12 giugno 2014
Cambridge, Massachusetts
In cima al vecchio muro di mattoni in fondo al nostro giardino vedo riflessi ramati che mi ricordano scaglie di avventurina. Penso alle case del rio dei Vetrai, a Murano, con la facciata in colori pastello e il tetto di tegole, alle fornaci e ai maestri soffiatori che lavorano il vetro fuso, e porto fuori due caffè dolcificati con il nettare di agave, attenta a non rovesciarli.
Tengo le tazzine di cristallo soffiato a bocca per i manici delicatissimi e ricordo la gita a Murano in cui le abbiamo comprate. Il profumo di aglio e peperoni grigliati mi segue oltre la zanzariera, che si chiude alle mie spalle. Sento l’odore delle foglie di basilico che ho sminuzzato con le mani. È una mattina bellissima. Non potrebbe essere più bella.
Ho mescolato l’insalata come piace a me, in maniera che i pezzetti di pane raffermo, le mantovane che ho cotto io sulla pietra qualche giorno fa, assorbano il sugo dei pomodori, l’olio e l’aroma di erbe e spezie. È meglio usare pane raffermo per la panzanella che, come la pizza, è un cibo povero, frutto della creatività di chi riusciva a mangiare bene anche con poco. Ricette come queste invitano all’improvvisazione, e stamattina ho aggiunto all’insalata un finocchio tagliato sottile sottile, sale kosher e pepe macinato grossolanamente. Ho anche usato cipolle dolci invece che rosse e aggiunto qualche foglia di menta, che coltivo insieme con altre piante aromatiche in grandi orci di terracotta comprati in Francia diversi anni fa.
Mi fermo un istante sul patio a controllare la brace. Noto che combustibile liquido e bricchette sono a distanza di sicurezza dal barbecue. Mio marito Benton, che lavora all’FBI, come cuoco non è granché, ma è un fuochista provetto e prudente. Sotto un velo di cenere bianca la carbonella è arancione. Fra poco potremo cuocere i filetti di pesce spada. A un tratto la mia attenzione torna di colpo a concentrarsi sul muro, interrompendo bruscamente le mie occupazioni edonistiche.
Mi rendo conto che quelle che sto guardando sono monetine. Cerco di fare mente locale per capire se erano già lì quando sono uscita all’alba a portare fuori il nostro levriero, Sock. Era particolarmente cocciuto e appiccicoso, stamattina, e io particolarmente distratta, presa com’ero da mille pensieri. Pregustavo il brunch all’italiana prima di andare all’aeroporto di Boston e non ero ancora uscita del tutto dall’annebbiamento sensuale di un risveglio dedicato a darci reciproco piacere. Non ho quasi memoria di aver portato fuori il cane. Non ricordo nessun particolare del tempo che ho passato con lui nel giardino sul retro pieno di rugiada nella luce incerta dell’alba. È possibilissimo, pertanto, che io non abbia notato quelle monetine di rame lucide o altri segni del passaggio di un ospite sgradito nella nostra proprietà. Provo un senso di freddo, come un’ombra oscura e inquietante che mi costringe a riflettere su una cosa a cui non voglio pensare.
“Anche se sei ancora qui, sei già partita per le vacanze. Ma sai benissimo che non si può.” I miei pensieri tornano in cucina, alla Rohrbaugh 9 mm di acciaio nella fondina sul bancone, vicino ai fornelli. Leggerissima, con puntatore laser, di solito me la porto appresso anche quando Benton è a casa. Ma stamattina non ci ho pensato. Non mi è neanche venuto in mente di proteggermi. Ho scacciato dalla mente di avere gestito fin nei minimi particolari le consegne arrivate al CFC durante la notte, chiuse in discreti sacchi neri, a bordo di furgoni bianchi privi di finestrini. Cinque pazienti che attendono in silenzio di essere visitati dall’ultimo medico che li toccherà su questa terra.
Ho voltato le spalle a quella realtà morbosa, tragica e pericolosa, in cui vivo quotidianamente. Ma so benissimo che non si può.
“Maledizione.” Scaccio quei pensieri funesti: qualcuno gioca con delle monetine, tutto lì.
La casa in cui abitiamo a Cambridge, costruita nel diciannovesimo secolo, è sul confine settentrionale del campus di Harvard, vicinissima alla Divinity School e di fronte alla Academy of Arts and Sciences. Molti prendono la scorciatoia passando di straforo nella nostra proprietà, che non è recintata. C’è un vecchio muro di mattoni, ma è lì più per bellezza che per difesa. I bambini ci si arrampicano sopra, ci si nascondono dietro.
“Sarà stato un bambino che si annoiava, adesso che è finita la scuola.”
«Hai visto cosa c’è sul muro?» Attraverso il prato per raggiungere Benton, seduto a leggere il giornale sulla panchina di pietra sotto la magnolia mentre io preparo il brunch.
«Cosa c’è?»
Sock è accoccolato ai suoi piedi e mi guarda con aria accusatoria. Ha capito che siamo in partenza. Appena ho preso la valigia, ieri sera, e ho cominciato a tirare fuori attrezzature da sub e da tennis, è sprofondato nella depressione e, qualsiasi cosa io faccia, non riesco più a risollevargli il morale.
«Una fila di monetine.» Gli porgo il caffè, un espresso ristretto preparato con una miscela robusta che mette voglia di carnalità.
Benton lo assaggia, attento a non scottarsi la lingua.
«Hai visto chi ce le ha messe?» gli domando. «Quando accendevi il barbecue, magari. C’erano già quando sei uscito?»
Guarda nella direzione del muro, in cima al quale sono allineate le monetine da un centesimo, lucidissime. «Non ci ho fatto caso. E non ho visto nessuno. Di sicuro non le hanno messe mentre io ero qui fuori» risponde. «La brace è quasi pronta?» È il suo modo di chiedermi se penso che abbia fatto un buon lavoro. Anche lui, come tutti, ha bisogno di conferme.
«Tra un quarto d’ora sarà perfetta. Grazie» dico mentre lui riprende a leggere un articolo sull’aumento del numero di frodi con carte di credito.
Il sole di metà mattina brilla sui suoi capelli facendoli sembrare d’argento. Sono un po’ più lunghi di come li porta di solito, gli coprono quasi la fronte e gli si arricciano sulla nuca.
Guardo le rughe sottili sul suo bel viso e la fossetta sul mento, deciso e volitivo. Ha mani lunghe e affusolate, eleganti e bellissime. Sembrano le mani di un pianista anche quando regge un giornale, un libro, una penna o una pistola. Sento il profumo leggero del suo dopobarba e mi chino a leggere l’articolo con lui.
«Se continua così, non so proprio come faranno queste compagnie.» Bevo un sorso di caffè, ripensando con un certo disagio alle mie recenti disavventure con i cyber ladri. «Il mondo farà bancarotta per colpa dei criminali invisibili che non riusciamo a prendere.»
«Non mi sorprende che i keylogger siano sempre più diffusi e difficili da scoprire.» Benton gira pagina con un fruscio. «Ti rubano il numero di carta di credito, fanno acquisti con PayPal e similari, spesso oltreoceano, ed è impossibile beccarli. Non parliamo poi dei malware.»
«Non ricordo più quando ho fatto l’ultimo acquisto su eBay. Non uso Craigslist né niente di simile.» Ne abbiamo parlato spesso, in questi ultimi tempi.
«Lo so, è irritante. Ma succede anche alle persone più prudenti.»
«A te non è mai successo.» Gli passo le dita fra i capelli, folti e morbidi, che sono ingrigiti quando era ancora molto giovane, prima che ci conoscessimo.
«Io compro meno di te» dice.
«Non è vero. Compri abiti di sartoria, cravatte di seta e scarpe costose. Vedi come mi vesto, no? Ho sempre pantaloni in stile militare, camici, zoccoli da chirurgo, scarponcini… Mi metto elegante solo per andare in tribunale.»
«Mi piace quando ti vesti elegante: gonna aderente di panno gessato, con lo spacchetto dietro…»
«E décolleté basse e comode.»
«Incompatibili con le fantasie che mi stavo facendo, purtroppo.» Mi guarda e io penso a quanto adoro il suo collo, sottile ma muscoloso.
Gli passo un dito sulla seconda vertebra cervicale e scendo verso la C7, palpandogli il muscolo lungo del collo, sentendo che gradisce, che si rilassa e diventa languido. Dice che gli faccio lo stesso effetto della kryptonite, ed è vero. Lo capisco dalla sua voce.
«Vuoi sapere la mia opinione?» dice. «Non si può stare dietro a tutti i programmi fraudolenti in grado di memorizzare i tasti che premi sulla tastiera e di trasmettere le informazioni agli hacker. A volte basta aprire un allegato infetto e sei fregato. Se fai così, non riesco a pensare.»
«Con gli antispyware, le password one-time e i firewall con cui Lucy protegge il nostro server e i nostri account, è impossibile scaricare un keylogger. E mi piace quando non riesci a pensare. Lo faccio apposta.»
La caffeina e il nettare di agave stanno facendo il loro effetto. Penso alla sua pelle, al suo corpo tonico quando mi ha lavato i capelli sotto la doccia, massaggiandomi il cuoio capelluto e il collo, accarezzandomi fino a farmi perdere il controllo. Non mi stanco mai di lui. È impossibile.
«Un software non può bloccare un malware che non riconosce» dichiara.
«Non credo sia quella la spiegazione.»
Mia nipote Lucy è un genio dell’informatica e sono certa che rende impossibile qualsiasi violazione del sistema informatico del CFC, il Cambridge Forensic Center che io dirigo. Mi duole dirlo, ma è più probabile che entri lei nei computer altrui, piuttosto che lasci entrare qualcun altro nei nostri.
«Come ho detto, è più probabile che ti abbiano clonato la carta in un negozio o in un ristorante.» Benton volta pagina e io gli accarezzo il naso, il padiglione dell’orecchio. «Anche Lucy è di questa opinione.»
«Per quattro volte da marzo fino adesso?» Ma sto pensando alla doccia, alle piastrelle bianche lucide da stazione della metropolitana, allo scroscio dell’acqua che ci investiva con intensità e ritmi diversi a seconda di come ci muovevamo.
«E inoltre chiedi a Bryce di fare ordini per te al telefono. Non che sia un incosciente, beninteso, però… Preferirei che non gli lasciassi usare la tua carta di credito. Vede la realtà in maniera diversa da noi.»
«Vede le cose peggiori ogni giorno al lavoro» ribatto.
«Non significa che capisca. È ingenuo, fiducioso. Non come noi.»
L’ultima volta che ho dato la carta di credito al mio assistente perché comprasse qualcosa è stato un mese fa, quando gli ho chiesto di mandare una gardenia a mia madre per la Festa della mamma. L’ultima notifica di frode è arrivata ieri. Dubito che sia colpa di Bryce o di mia madre, anche se non sarebbe la prima volta che una mia buona azione viene punita, tenuto conto di come vanno le cose nella mia famiglia. Mia madre si lamenta qualsiasi cosa io faccia e fa continui confronti con mia sorella Dorothy che, se il narcisismo fosse un reato, sarebbe in galera.
Regalarle una gardenia è stato un errore, comunque, visto che il giardino di mia madre è pieno di gardenie. “È come regalare ghiaccio agli eschimesi” mi ha fatto notare. “Dorothy mi ha mandato un mazzo di rose rosse con velo di sposa.” Non ha minimamente apprezzato il fatto che mi sono ricordata di quanto le piacciono le gardenie e che una pianta è viva, mentre le rose recise sono morte.
«È frustrante. Vedrai che la carta nuova arriverà mentre siamo in Florida» dico a Benton. «Mi tocca partire senza. Non è il modo migliore per iniziare una vacanza.»
«Non ne hai bisogno. Offro io.»
Lo farebbe comunque. Guadagno bene, ma Benton è figlio unico di una famiglia molto agiata. Suo padre, Parker Wesley, investì molto saggiamente la fortuna ereditata dai suoi genitori, anche in opere d’arte. Acquistava capolavori di Miró, Whistler, Pissarro, Modigliani, Renoir e altri, li teneva in casa per un po’ e poi li rivendeva. Idem con auto d’epoca e manoscritti rari. Era molto bravo a decidere quando separarsi da quegli oggetti preziosi. Benton ha preso da lui, in questo e altro. Ha la logica tipica della gente del New England e una ferrea determinazione, tutta americana, che gli consente di lavorare moltissimo, in condizioni anche disagiate, senza batter ciglio.
Ciò non significa che non sappia apprezzare la bella vita o che sia impermeabile alle opinioni altrui. Ev...