Cesare il conquistatore. Alle sorgenti della vita
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Cesare il conquistatore. Alle sorgenti della vita

  1. 324 pagine
  2. Italian
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Cesare il conquistatore. Alle sorgenti della vita

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Giulio Cesare non è morto, durante la congiura delle Idi di marzo. Stanco della vita fatta di intrighi politici, corruzione e continui scontri con i senatori della Curia, ha inscenato la propria morte insieme a Bruto. E dopo essere scomparso dalla vita politica di Roma, è tornato al comando di un manipolo di uomini ben addestrati e pronti a tutto, la Legio Caesaris, con l'intento di esplorare le terre oltre i confini dell'impero, per scoprire ricchezze e tesori, sottomettere le popolazioni barbare e, soprattutto, carpire il segreto della vita eterna. Perché Cesare ha uno scopo ben preciso in mente, ed è deciso a raggiungerlo: vuole ritornare trionfalmente a Roma per fare piazza pulita dei suoi nemici e regnare come imperatore assoluto. Per sempre.

Dopo la sua finta morte, perciò, si è imbarcato con la Legio Caesaris verso i regni degli dei del nord, alla ricerca della mitica isola di Thule, per confrontarsi con le creature eterne che governano il segreto dell'immortalità e strapparglielo con la forza. Lo scontro epico che lo ha visto impegnato insieme a Cicerone, Bruto, Spartaco e gli altri coraggiosi che hanno voluto seguirlo in quell'avventura, si è risolto in una cocente sconfitta, ma Cesare non è uomo che si arrende tanto facilmente. Capisce che l'unico modo per conquistare la vita eterna è scendere nell'Averno, il regno delle tenebre, e tuffarsi nelle acque del fiume Stige, che rendono immortali. Ma come raggiungerlo? Secondo le più antiche credenze, lo Stige non è altro che il nome con cui un tempo si indicava il Nilo. Decide così di intraprendere, sotto la guida esperta e ammaliante della regina Cleopatra, una difficile spedizione per risalire le acque del grande fiume, arrivare fino alla sorgente, individuare l'ingresso all'Averno e conquistarsi il diritto di immergersi nello Stige, combattendo contro gli dei e le terribili creature che popolano il regno degli inferi.

Dopo Cesare l'immortale, Franco Forte ci regala un nuovo, avvincente capitolo della saga che fa rivivere il condottiero romano, avventurandosi insieme a lui in territori - geografici e narrativi - sempre più imprevedibili.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
ISBN
9788852082818

CAPITOLO SETTIMO

Territori inesplorati
a sud del regno di Kush
30 a.C.

1

Procedevano così lenti che Cleopatra aveva l’impressione di essere fermi sull’acqua nera e fangosa del Nilo, che in quelle regioni opponeva maggiore resistenza rispetto a prima della sesta cateratta. I vogatori erano stanchi, stremati, e quel lento procedere contro corrente li sfiancava.
Non ricordava più da quanto tempo si erano inoltrati in quelle regioni sconosciute, di cui lei aveva solo sentito narrare dai pochi esploratori che avevano osato avventurarvisi. In realtà c’erano molte meno creature mostruose di quanto avesse immaginato, ma era normale che fosse così, visto che gli esploratori erano maestri nel caricare all’eccesso le loro imprese, per farle apparire formidabili. Quello che però era vero, e stava sfiancando la loro spedizione, erano quei paesaggi aridi e immutabili, il caldo feroce che li assillava, il tormento costante degli insetti e le malattie che li colpivano all’improvviso.
Cleopatra era sorpresa di essere ancora viva, di non avere patito nessuna delle paurose conseguenze delle punture degli insetti, dell’acqua putrida che erano costretti a bere o del cibo che dovevano ingurgitare. Le loro scorte erano terminate da un pezzo, e dovevano accontentarsi di quello che riuscivano a trovare, soprattutto grazie ad alcuni giovani esploratori nubiani che avevano ancora la forza per trascinarsi a terra e andare a caccia di qualsiasi creatura vivente incontrassero.
Cleopatra sapeva di essere deperita, e che la sua pelle non aveva più la morbida freschezza di cui lei era sempre andata fiera. Tra i romani, quella sfumatura malata che faceva squamare la pelle era ormai diffusa e predominante, e anche lei aveva lo stesso aspetto orribile che martoriava il volto rugoso di Cicerone o di Cesare.
«Se non troviamo al più presto la barca di Cheope, moriremo tutti.»
A parlare era stato il vecchio oratore, che giaceva sdraiato sul legno duro della barca, poco distante dai suoi piedi. Cesare, a torso nudo, era seduto fra loro due, sul parapetto bagnato, per cercare un po’ di refrigerio nel lento movimento dell’imbarcazione verso sud. Un movimento sussultorio, a scatti, che faceva venire la nausea a Cleopatra, ma di cui non poteva lamentarsi, perché era già un miracolo se riuscivano ancora a risalire la corrente del Nilo, con i pochi vogatori rimasti.
Giaceva sdraiata su alcuni cuscini consunti e in parte divorati dalla muffa, ricoperta solo da una leggerissima veste trasparente che rivelava ogni particolare del suo corpo. Le venne da ridere quando pensò che comunque, viste le facce di Cesare e Cicerone, non era certo la sua nudità a turbarli. Avevano ben altri pensieri, e lei dubitava che fosse possibile distoglierli dal cruccio che gli scavava i volti contratti.
«Perché sei così interessato a quella barca?» chiese a Cicerone spostando appena le gambe, allargandole quel tanto che bastava perché lui, o Cesare, o i due soldati romani che sedevano poco più avanti, potessero sbirciare nelle sue intimità. In fondo era davvero curiosa di capire quanto, nonostante la situazione in cui si trovavano, il suo corpo fosse ancora capace di suscitare reazioni negli uomini. «Non capisco che cosa cambierà, quando la troveremo. Sarà forse più facile navigare?»
«Non è solo questo» borbottò Cicerone, che per un attimo aveva spinto lo sguardo fra le sue gambe, per poi ritrarlo quasi indispettito, come se ritenesse assurdo dover concedere qualcosa al piacere personale. Cesare, da parte sua, sembrava ignorarla.
«E allora cosa? Non sappiamo nemmeno quanto ci vorrà per raggiungere le sorgenti del Nilo. Sempre ammesso che esistano…»
«Che cosa vuoi dire?» le chiese Cesare fissandola cupo.
«Non lo so!» sbuffò lei stizzita, richiudendo le gambe perché adesso dava fastidio anche a lei quello stupido gioco di seduzione. «Ma voi avrete un piano, no? Che cosa pensate che possa succedere, quando avremo messo le mani sulla barca Mesektet?»
Vide un guizzo fra gli sguardi di Cesare e Cicerone che si incrociarono per un attimo, pieni di ombre e di incertezze, e comprese che le sue domande non avrebbero potuto avere risposta.
«Forse non riusciamo a vedere l’ingresso dell’Averno proprio a causa di questo» provò a dire Cesare, alzandosi in piedi accigliato e nervoso. Si guardò attorno, come se potesse scorgere qualcosa che era solo nella sua immaginazione, o nelle sue speranze, poi tornò a sedersi scuotendo piano la testa. «O forse siamo solo degli illusi che moriranno in questo posto dimenticato dagli dei.»
«La nave di Cheope ci darà l’occasione di concludere il viaggio» affermò Cicerone prendendo un piccolo otre pieno di acqua calda e marcescente. Bevve un paio di sorsi, fece una smorfia e tornò a rivolgersi a lei e a Cesare come se volesse argomentare quello che aveva detto poc’anzi. «Il Nilo è il fiume della vita, lo Stige conduce nel regno dei morti. Dov’è la linea di confine? Quando l’uno diventa l’altro?»
«Non possiamo saperlo» l’incalzò Cleopatra, incuriosita da quel discorso.
«Esatto» annuì Cicerone offrendo l’otre a Cesare, che rifiutò con un cenno della testa. «Perché non abbiamo la possibilità di guardare nel regno degli dei con i nostri occhi mortali.»
«E pensi che potremo farlo una volta a bordo della barca Mesektet?» chiese Cleopatra, cercando di non mostrare il suo scetticismo, nonostante le avessero tramandato quella credenza fin da piccola, una credenza che affondava in millenni di storia del suo popolo.
«È quello che penso» concluse Cicerone.
Cleopatra si voltò verso Cesare e cercò di capire che cosa ne pensasse.
«Direi che è la nostra ultima speranza» mormorò questi.
Cleopatra annuì. «Va bene» disse. «Allora cerchiamola. E auguriamoci di trovarla dove il mio popolo ha sempre creduto fosse nascosta.»
«Lo faremo» confermò Cesare. «E…»
All’improvviso un frastuono tremendo lacerò l’aria, insieme alle grida di uomini e donne. Cleopatra si alzò e quello che vide la lasciò senza fiato.
La barca che procedeva dietro di loro era stata attaccata da un animale gigantesco.
«Un mostro!» gridò uno dei legionari a poppa, talmente paralizzato dal terrore da non riuscire nemmeno a tendere l’arco per cercare di colpire il colosso che aveva spalancato le fauci enormi e stava letteralmente facendo a pezzi lo scafo di papiro.
«Non è un mostro, è un ippopotamo!» disse Cleopatra, suo malgrado sorpresa dalla reazione imbufalita dell’animale, che soffiando aria e getti d’acqua dalle narici continuava a lanciarsi contro l’imbarcazione, sfasciandola come se avesse avuto tra le mascelle una barchetta di giunchi.
Lei sapeva bene quanto fossero pericolosi gli ippopotami, soprattutto quando… Si guardò attorno, e vide due piccoli allontanarsi nuotando al pelo dell’acqua.
«Si sta solo difendendo!» provò a gridare, ma ormai nessuno lo ascoltava più. Uomini e donne erano infatti caduti in acqua, e solo un paio si trovavano ancora su ciò che restava della barca, aggrappati disperatamente ai pochi appigli rimasti.
«Arcieri, tirate! Tirate!» Era Cesare a incitare gli uomini, ma non stava indicando l’ippopotamo, che adesso sembrava essersi acquietato e, seppure continuando a sbuffare e ad allargare la bocca emettendo versi minacciosi, si era fatto in disparte. Indicava delle sagome che si muovevano rapide nell’acqua, e che stavano aggredendo gli uomini e le donne caduti nel fiume. Coccodrilli. Ben presto l’acqua si colorò della sfumatura del sangue, mentre i predatori si accanivano contro quei poveracci che cercavano inutilmente di fuggire a nuoto.
Gli arcieri romani provarono a trafiggere quelle bestie, ma la pelle coriacea era in grado di resistere alle punte delle frecce. Ben presto i coccodrilli scomparvero nelle acque del fiume, portando con sé le loro prede.
Cleopatra, che aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo, tornò a respirare piano. Era accaduto tutto molto rapidamente, anche se lei aveva l’impressione che fosse durato un’eternità. I coccodrilli, i corpi esanimi dei loro uomini e delle loro donne, i pezzi frantumati della barca, persino il sangue che aveva arrossato l’acqua… ormai non c’era più niente, tutto trascinato via dalla corrente. Anche l’ippopotamo, dopo aver raggiunto i due piccoli che evidentemente aveva cercato di proteggere da quella che aveva creduto un’aggressione, si era allontanato.
Della barca di papiro restava ben poco, in balia dello scorrere del fiume, comprese le due persone rimaste in vita, che gridavano cercando aiuto mentre si tenevano disperatamente aggrappate a frammenti di legno e a ciò che restava del cordame della nave.
«Dobbiamo andare a prenderli» disse Cicerone con voce flebile, insicura, piena di terrore e forse di una stanchezza indicibile. «Non possiamo…»
«No» lo interruppe Cesare, tornando a sedere al suo posto, il volto pallido ed emaciato. «Sarebbe inutile. Quegli uomini sono già morti.»
Cleopatra aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi si rese conto che Cesare aveva ragione. Il relitto della barca fatta a pezzi dall’ippopotamo scivolò via, oltre la terza imbarcazione che chiudeva il loro convoglio, e lei non udì nemmeno più le grida dei due uomini che aveva visto implorare aiuto.
Lentamente, senza dire nulla, tornò anche lei al suo posto, mentre i vogatori sembravano aver ritrovato energie dimenticate e facevano procedere la barca più velocemente, per allontanarsi da quel luogo il prima possibile.
Era forse un segno degli dei, quello che era accaduto?
Non lo sapeva, e non lo voleva sapere. Che si assumesse Cesare la responsabilità della risposta.

2

Gaio era sfiduciato, ma soprattutto infuriato. Infuriato con se stesso perché si stava dimostrando un debole proprio nel momento di maggiore difficoltà, di fronte ai suoi uomini e agli dei che, ne era certo, lo stavano scrutando con disprezzo. Eppure non poteva combattere con la sola forza di volontà il senso di spossatezza e annullamento che lo opprimeva. Si sentiva sfibrato nei muscoli, nelle ossa e nell’anima. Il corpo percorso da rivoli di sudore, la pelle piagata dalle punture degli insetti, il ventre che gli doleva a ogni movimento, e che lo costringeva fin troppo spesso all’umiliante pratica di doversi sedere sul parapetto della barca per sporgersi all’infuori e defecare. Lo facevano quasi tutti, ormai, a parte la sorprendente Cleopatra, che sembrava immune ai dolori di stomaco che li affliggevano.
Gaio aveva visto diversi legionari imprecare contro gli dei, quando si erano accorti che, insieme alle feci liquide che evacuavano, c’era parecchio sangue. Lui non aveva ancora avuto il coraggio di verificare che cosa espellesse, ma di certo ogni giorno che passava si sentiva più debole e svuotato, incapace di reagire con la grinta e la decisione che lo avevano sempre contraddistinto, anche e soprattutto nei momenti di difficoltà.
«Lo so a cosa stai pensando» gli disse Cicerone con un filo di voce.
Il vecchio oratore trascorreva gran parte delle giornate sdraiato sul fondo della barca, avvolto in una coperta lurida, bevendo da un otre pieno dell’acqua putrida rimasta, che probabilmente era la principale causa dei dolori al ventre di tutti loro. Gaio non lo vedeva mangiare da giorni.
«Non sto pensando a niente» mugugnò in risposta, allungando una mano per farsi passare l’otre con l’acqua.
«Non ti consiglio di bere questa roba» ridacchiò Cicerone. «Fa schifo. E io non capisco come faccio a essere ancora vivo, sorbendola ogni giorno.»
«Non abbiamo altro» ribatté Gaio, sporgendosi in avanti e afferrando il contenitore di cuoio. Se lo portò alla bocca e bevve, cercando ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. CESARE IL CONQUISTATORE
  4. Personaggi principali
  5. PREMESSA
  6. PROLOGO
  7. CAPITOLO PRIMO
  8. CAPITOLO SECONDO
  9. CAPITOLO TERZO
  10. CAPITOLO QUARTO
  11. CAPITOLO QUINTO
  12. CAPITOLO SESTO
  13. CAPITOLO SETTIMO
  14. EPILOGO
  15. Ringraziamenti
  16. Copyright