La caduta dei Golden
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La caduta dei Golden

  1. 456 pagine
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La caduta dei Golden

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"Nel giorno dell'investitura del nuovo presidente, quando noi temevamo che potesse essere assassinato mentre camminava mano nella mano con la sua eccezionale consorte tra ali di folla acclamanti, e quando tanti di noi erano sull'orlo della rovina economica a seguito dell'esplosione della bolla dei mutui, e quando Isis era ancora una divinità-madre egizia, un ultrasettantenne re senza corona arrivò da un paese lontano a New York con i suoi tre figli senza madre per prendere possesso della sede del suo esilio, fingendo che non ci fossero problemi nel suo paese, nel mondo o nella sua storia personale." Salman Rushdie torna a raccontarci una nazione e il nuovo secolo con la forza evocativa e la leggerezza ammaliante del grande scrittore che si muove con disinvoltura tra le luci cinematografiche di una realtà fatta di riflettori e finzioni, e i sortilegi di un mondo antico che conosce fin troppo bene.

Il suo protagonista di chiama Nero Golden, è basso, perfino tozzo, con i capelli tinti tirati all'indietro ad accentuare il suo picco del diavolo, ha occhi neri e penetranti, avambracci da lottatore, terminanti in grosse mani pericolose, cariche di massicci anelli d'oro tempestati di smeraldi. Suona il violino, ha il culto dell'antica Roma e vive nella lussuosissima "Golden House", una Domus Aurea piazzata nel centro del Greenwich Village. Nerone, imperatore megalomane e paranoico, è il suo modello, e noi siamo avvertiti: qualcosa prima o poi brucerà.

Salman Rushdie, l'angloindiano che vive a New York, ci racconta una storia fatta di figli predestinati e sfortunati, amori intriganti, segreti e confessioni inattendibili. Ci racconta la New York degli oligarchi russi, il terrorismo, le fake news e la finzione che vince a mani basse sulla realtà, l'ascesa di un presidente mitico e di un miliardario che assomiglia tanto alle caricature cinematografiche. E ci trascina davanti a un vertiginoso interrogativo: quando il confine tra la pagina e il palcoscenico è superato, siamo sicuri di saper ancora distinguere tra una fantasia pericolosa e la realtà deviata?

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
ISBN
9788852082917

SECONDA PARTE

15

DI TOPI E GIGANTI, DI PERCENTUALI E ARTE

Apu Golden venne a sapere della moltitudine che per protesta contro l’arroganza delle banche aveva occupato uno spazio all’aperto nel Distretto finanziario e quando andò a dare un’occhiata, con un panama in testa, bermuda kaki e camicia hawaiana per non dare troppo nell’occhio, si ritrovò incantato dal carattere carnevalesco della folla, da barbe, teste rasate, biblioteche improvvisate, baci, odori, militanti appassionati, vecchi brontoloni un po’ matti, cuochi, giovani, anziani. «Persino i poliziotti sembravano sorridere» mi disse. «Be’, a dire il vero, solo alcuni di loro; gli altri erano i soliti esemplari di Cro-Magnon che se uno li vede cambia strada per non averci a che fare.» Gli piacque la scena, insieme agli aspetti letterari di quell’evento, i recital di poesia, i cartelli fatti con vecchie scatole di cartone, le sagome ritagliate di pugni e dita protese nel segno della V, e rimase colpito dal sostegno offerto ai contestatori da molti potenti defunti. «È una meraviglia» mi disse «vedere Goethe steso tra i sacchi a pelo, G.K. Chesterton in fila per mangiare, Gandhi che agita le dita protese verso l’alto in una forma di silenzioso applauso chiamato up-twinkles… anche se forse sarebbe meglio dire “Ghandi” perché nessuno sa più come si scrive, l’ortografia è burjuà. C’è persino Henry Ford, e le sue parole si propagano tra la folla con la tecnica del microfono umano.» Andai anch’io con lui, perché il suo ilare entusiasmo era contagioso, e guardai ammirato la rapidità e la precisione con cui la sua matita catturava la scena di massa, e ovviamente, sì, in quei suoi disegni, tra la folla, si vedevano anche i fantasmi immortali, Goethe che pontificava pomposo «Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo»; e anche “Ghandi” che recitava la sua vecchia barzelletta: «Prima ti ignorano, poi bla bla bla, e alla fine vinci». «Non l’ha mai detto» precisò Apu. «È soltanto un meme di Internet, ma che cosa ci vuoi fare? Nessuno sa più niente, come ho detto; anche il sapere è burjuà.» Chesterton e Henry Ford con le loro marsine sembravano fuori luogo, lì, ma anche a loro era riservato un rispettoso ascolto, dato che il loro sentire era preciso al centesimo, per così dire. «Una gran quantità del moderno ingegno viene spesa» sosteneva il vecchio G.K. «per trovare giustificazioni alla condotta ingiustificabile dei potenti», e H. Ford, in piedi accanto alla sua linea di montaggio, strillava: «Se il popolo di questa nazione comprendesse il nostro sistema bancario e monetario, credo che scoppierebbe una rivoluzione domani mattina». «È incredibile» disse Apu. «Internet ci ha trasformati tutti in filosofi.» Io, personalmente, preferivo le declamazioni di cartone di un pensatore anonimo che sembrava ispirato soprattutto dalla fame. «Un giorno i poveri non avranno più niente da mangiare se non i ricchi» ci ammoniva, mentre su un altro fumetto di cartone esprimeva lo stesso concetto, anche se in modo più conciso: «Mangia un banchiere!». Questo pensatore indossava una maschera di Anonymous, la bianca faccia baffuta e sorridente resa famosa dai fratelli Wachowski in V per Vendetta, ma quando gli domandai della figura storica di cui portava la maschera ammise di non aver mai sentito parlare della Congiura delle Polveri e non si rimembrava del 5 novembre. Eccola la sua auspicata rivoluzione. Apu disegnò tutto.
Espose questi lavori in uno spazio gestito da Frankie Sottovoce sulla Bowery, un contesto più “crudo” delle gallerie di Sottovoce a Chelsea. Era una mostra collettiva con Jennifer Caban, l’artista-attivista più significativa di quel momento dialettico, la quale, a un certo punto, durante l’inaugurazione, si mise lunga distesa dentro una vasca da bagno piena di denaro falso; ed entrambi furono subito acclamati e derisi per la loro partigianeria. Apu rifiutò le foto nella vasca e anche l’etichetta di artista schierato. «Per me l’aspetto estetico viene sempre prima di tutto» provò ad argomentare, ma lo Zeitgeist non gli diede ascolto, e alla fine lui si arrese alle definizioni che gli erano state appiccicate addosso e alla quota di celebrità politica che queste gli conferirono. «Forse ora sono famoso in più di venti isolati» mi disse meditabondo. «Ora gli isolati saranno trentacinque o quaranta.»
Nella casa di Macdougal Street, alla nuova notorietà da artista impegnato di Apu fu riservato ben poco rispetto. Nero Golden, lui, non aprì bocca né per elogiare né per condannare, ma la linea sottile delle sue labbra era eloquente quanto un discorso. Lasciò alla moglie il compito di scatenarsi. Vasilisa, seduta sul pavimento del salotto, circondata da patinate riviste di arredamento, interruppe il suo lavoro per impartire ad Apu una lavata di capo russa. «Quegli straccioni in mezzo alla strada, fanno tanto rumore e sporcizia, ma per che cosa? Pensano davvero che il potere loro nemico sia tanto debole da aver paura della marmaglia? Sono come un topo che pesta le zampe sul piede di un gigante. Il gigante non sente nulla e non si cura neppure di schiacciare il topo. A chi importa, del resto? Il topo presto si darà alla fuga. Che cosa faranno quando arriverà l’inverno? Verranno sconfitti dal clima. Non c’è neanche bisogno che qualcuno sprechi energie. E poi è senza capi, questo esercito di contadini che tu ami tanto. Senza programmi. E quindi non è niente. Come un topo senza testa. Quella folla è un topo morto che non sa di essere morto.»
Scherzando, ma fino a un certo punto, gli tirò addosso una rivista patinata. «Scusa, ma tu chi credi di essere? Quando faranno la loro rivoluzione, credi forse che ti includeranno nel loro sacro 99 per cento solo perché hai fatto qualche disegno? Nel mio paese, sappiamo bene che cosa succede quando arriva la rivoluzione. Dovresti inginocchiarti accanto a me davanti alla Madonna di Teodoro per pregare la Santa Vergine per la nostra salvezza, e speriamo di non finire assassinati in una cantina senza finestre dall’esercito del topo senza testa.»
A quel punto in Vasilisa Golden si verificò un cambiamento. In alcuni momenti, quando la luce colpiva il suo viso in un certo modo, mi ricordava Diane Keaton nel Padrino, con l’espressione, la mente, il cuore pietrificati dalla quotidiana necessità di non credere a quel che aveva sotto gli occhi. “Kay Adams”, però, aveva sposato “Michael Corleone” convinta che lui fosse una brava persona. Vasilisa, per così dire, aveva sposato consapevolmente il personaggio interpretato da Marlon Brando e non si faceva illusioni, quindi, sulla spietatezza, l’amoralità e i torbidi segreti che sono gli inevitabili consigliori degli uomini di potere, e quando la luce le cadde sul viso in una maniera diversa fu chiaro che lei non era Diane Keaton, a ben vedere. Vasilisa era complice. Lo sospettava di un delitto atroce, eppure aveva deciso, tra sé, di accantonare il sospetto per via della vita che si era scelta, la vita che lei giudicava adeguata alla sua bellezza. E forse anche per via del fatto che ora aveva paura. Aveva ancora fiducia nel proprio ascendente su di lui, ma ora riconosceva anche il potere di Nero, e sapeva che se avesse provato ad affrontarlo su questo piano le conseguenze per lei potevano essere… estreme. Non era entrata in quella casa per affrontare conseguenze estreme, e quindi doveva cambiare strategia. Non era mai stata una straniera ingenua, ma dopo gli omicidi di Union Square si era ulteriormente indurita. Aveva le idee più chiare sull’uomo con cui dormiva e sapeva che certi silenzi le sarebbero convenuti se intendeva sopravvivere.

A PROPOSITO DELLA FAMIGLIA: UN INTERROGATORIO

– Insisto, signore: per quale ragione un uomo abbandona la patria, cambia nome e inizia una nuova vita dall’altra parte del mondo? – Be’, perché è in lutto per la morte di una moglie adorata, signore, un fatto che l’ha mandato fuori di senno. Per il lutto, e per il bisogno di lasciarselo alle spalle, e questo fine poteva ottenerlo solo cambiando completamente pelle. – Plausibile. Ma non del tutto persuasivo. E comunque resta da domandare: come inquadrare i preparativi per la partenza, che precedono la tragedia? Bisognerà pur spiegare questo fatto, o no? – Lei è in cerca di un doppio fondo, vero? Sospetta marachelle, ribalderie, turlupinature… – Innocente fino a prova contraria. Nessuna accusa contro questo patriarca nello scandalo 2G Spectrum. Lo ammettiamo. D’altro canto, un uomo in fuga dalla legge, avendo adottato un’identità falsa, avrebbe senz’altro tenuto un profilo basso, no? Di certo, poi, un uomo del genere, all’estero, nella sua nuova patria, non si sarebbe esposto ai pettegolezzi. E invece quest’uomo continua, sempre di più, e con brio crescente, a far parlare di sé, nevvero? – Confermo, signore. Il che, come lei osserva, potrebbe denotare innocenza. Ma si può pensare anche alla parabola dello scorpione e della rana. Lo scorpione agisce secondo la sua natura, anche quando questo comportamento è suicida. A parte ciò, o forse a confermarlo, quest’uomo ha un carattere sfacciato. È certo, si direbbe, della propria invincibilità, perfettamente sicuro della propria invulnerabilità. Se davvero ci sono leggi che ha infranto o, come dire?, persone che si è inimicato – perché spesso i nemici più pericolosi si pongono a loro volta al di fuori della legge – allora può star certo di essere fuori dalla loro portata. Il raggio d’azione dei nemici pericolosi non è illimitato. Saranno magari pericolosi sul loro territorio, ma non è facile per loro muoversi al di fuori e non tentano di farlo. – Questa, perlomeno, è la mia ipotesi, ma non è un campo in cui ho competenze. – È evidente, però, che Nero si sente sempre più sicuro e, corazzato da questa crescente fiducia in se stesso, continua a comportarsi come lo scorpione, a fare un gran chiasso, la voce grossa, per far conoscere, come si dice oggi, il suo brand. – Una parola dai molteplici significati, signore, tra cui: segno di identificazione un tempo impresso a fuoco su criminali e schiavi. Una caratteristica, un tratto o una qualità che per qualcuno è causa di pubblica vergogna o disgrazia. Una torcia. Una spada. Si vedrà quale di queste accezioni è la più indicata, in questo caso.
Proseguiamo: nel 2012, anno di elezione presidenziale, era ormai chiaro che Nero Golden non intendeva condurre una vita tranquilla. Di tutti i sontuosi affari in cui aveva messo le mani nel corso della sua vita precedente, l’edilizia era quello che gli veniva più naturale, verso cui si sentiva più portato, e fu così che la parola GOLDEN, una parola d’oro, color oro, fatta di abbagliante luce dorata al neon, a lettere maiuscole d’oro, cominciò a spuntare sui cantieri della città, e anche fuori città, e del proprietario di quel nome si cominciò a parlare come di un nuovo potente attore all’interno di quella ristrettissima élite formata dalle poche famiglie e imprese che controllavano il settore edilizio della dorata città di New York.
– Famiglie, signore? Quando pronuncia questa parola intende forse alludere, per usare un eufemismo, alle famiglie? – No, signore, o non del tutto. L’industria, nel 2012, era molto più pulita. Negli anni Novanta le imprese edili appartenevano tutte alla mafia, e i loro preventivi erano assurdamente gonfiati. Ora l’influenza delle Cinque Famiglie è diminuita. In certi cantieri di Nero Golden c’erano lavoratori non iscritti al sindacato. Vent’anni prima questi lavoratori sarebbero stati ammazzati. – Lei si riferisce a persone rispettabili: Doronin, Sumaida, Khurana, Silverstein, Stern, Feldman, l’aristocrazia del settore immobiliare. – Non del tutto, come dicevo, signore. La mafia si adatta. Ora che è tutto finito e tutto è di dominio pubblico, sappiamo degli affari occulti fatti da Nero Golden con soci quali i discendenti di Petruccio “Chicken Little” Leone a Philadelphia, di Arcimboldo “Little Archie” Antonioni ad Atlantic City e di Federico “Crazy Fred” Bertolucci a Miami. Possiamo menzionare il fatto che a New York City alcuni dei grattacieli Golden sono stati costruiti da Ponti & Quasimodo Concrete Co. – “P&Q” –, una società in cui aveva corposi interessi Francesco “Fat Frankie” Palermo, ritenuto figura di spicco nella famiglia criminale dei Genovese. – Sono cose note? – Ora che l’affaire Golden si è concluso, sì. E soprattutto Nero Golden era chiaramente a suo agio nelle trattative con questi individui e con le loro famiglie. – A suo agio. – Di una serenità che la dice lunga.
Due domande ancora: mi sa dire se Chicken Little, Little Archie, Crazy Fred e Fat Frankie sfoggiavano barbe di due giorni deliberatamente incolte sui loro ampi menti e se, per caso, possedevano – e talvolta indossavano – smoking di pessima fattura? – Sì, signore, è così.
Ecco che Nero Golden toglie l’embargo ai media, mostra a un fotografo di una rivista patinata la propria bellissima casa. (Basta con la riservatezza; anzi, tutto in bella mostra.) Ecco che Nero Golden mostra a un’altra di queste riviste la propria bellissima moglie. Dice che è la sua fonte di ispirazione, la sua stella polare, la ragione del suo “rinnovamento”. Sono vecchio, dice, e forse per uomini della mia età è il caso di rallentare, andarsene in barca, giocare a golf, svernare in Florida, passare le consegne. Fino a poco tempo fa ero pronto a farlo, anche se i miei figli, e Dio mi è testimone, dimostrano poco interesse per gli affari di famiglia. Il mio ultimogenito, da non credersi, lavora in un locale per ragazze nella Lower East Side, sta facendo un ottimo lavoro, e va bene, ma può darsi che io abbia bisogno anche di lui, un po’ di attenzione, per favore. Poi c’è l’artista e, infine, Petija. Ecco come stanno le cose. Questi pensieri, però, hanno smesso di preoccuparmi, perché io sono un uomo rinato. Certe donne sono capaci di questi miracoli. Una donna come la signora Golden è l’elisir di lunga vita, fa ridiventare neri i capelli di un vecchio, gli tonifica l’addome, lo rimette in moto, e grazie a lei anche il cervello, e il suo acume per gli affari torna affilato come un coltello. Guardatela! Dubitate di quel che dico? Avete visto le sue foto su “Playboy”? Ovvio che non me ne vergogno, perché dovrei? Essere padroni del proprio corpo, averne cura e renderlo eccellente, non trovare nulla di male nella bellezza, questa è la vera liberazione. Lei è l’ideale della donna liberata, e anche la moglie ideale. Entrambi i lati della medaglia. Sì: un uomo fortunato. Certo. Con lei ho fatto bingo, non c’è dubbio.

16

A PROPOSITO DELL’AMORE: UNA TRAGEDIA

Il giorno in cui i miei genitori morirono, non ero in auto con loro. Era il weekend del Memorial Day, e stavano andando fuori città, mentre io avevo cambiato idea all’ultimo momento ed ero rimasto a casa perché Suchitra Roy mi aveva chiesto di aiutarla a montare un video per una casa di moda italiana. Ovviamente, ero innamorato di Suchitra, perché chiunque incrociasse il cammino di quella dinamo umana si innamorava di lei almeno un po’, e per molto tempo avevo avuto troppa paura della sua energia incontenibile, del suo spessore, dei suoi capelli che le facevano da scia nel vento sulla Sixth Avenue, della sua gonna blu e oro che luccicava sopra le sneakers all’ultimo grido, delle sue braccia che si protendevano in una decina di direzioni diverse, come fosse una dea indù che riesca ad accogliere un’intera città nel suo abbraccio… troppa paura di ammettere di essermi fatto affascinare, ma a quel punto non sussisteva più il minimo dubbio, e l’unico quesito era: quando avrei trovato la forza di dirglielo. O meglio ancora: se ne sarei mai stato capace. C’era una voce, dentro la mia testa, che diceva: “Dai, diglielo adesso, scemo!”, ma un attimo dopo risuonava una seconda voce, spesso più forte, la voce della mia codardia, secondo cui eravamo stati amici troppo a lungo, e dopo un certo punto diventava impossibile tramutare un’amicizia in una relazione romantica, e se uno ci provava senza successo rischiava di perdere l’amicizia, oltre all’amore, ed ecco nella mia mente di nuovo il Prufrock di Eliot, che parla straziato, usando la mia voce interiore: Posso osare?, e a proposito della terribile e terrificante questione della dichiarazione d’amore: Ne sarebbe valsa la pena / Se una, accomodandosi un cuscino o togliendosi uno scialle, / E volgendosi verso la finestra, dicesse: / Non per niente questo, / Non per niente questo volevo dire.a
Decisi di rimanere a lavorare con lei; alla fine del montaggio saremmo andati a bere una birra, e mi sarei dichiarato. Sì, l’avrei fatto. Quindi non salii in auto con i miei genitori, ed è per questo che sono ancora vivo. La vita e la morte sono entrambe prive d...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La caduta dei Golden
  4. PRIMA PARTE
  5. SECONDA PARTE
  6. TERZA PARTE
  7. Copyright