Di Michelangelo sappiamo fin troppo, ma non tutto quello che vorremmo. Conosciamo per filo e per segno i suoi proventi e il modo in cui fece fruttare il molto denaro che gli passava tra le mani. Parecchio ci è noto dei suoi rapporti con i familiari, e possiamo seguire da vicino le sue relazioni con colleghi e committenti. Otto papi non bastano? Aggiungete cardinali, principi, duchi e marchesi, l’elenco di quanti lo cercarono, lo blandirono, lo inseguirono per aver qualche prodotto del suo genio riempie un vero libro d’oro, che s’estende per decenni e decenni. La splendida edizione dell’epistolario, che comprende le lettere sue e quelle a lui dirette, conta quasi 1400 missive (Il carteggio di Michelangelo, edizione postuma di G. Poggi, a cura di P. Barocchi – R. Ristori, 5 voll., Firenze 1965-83). Si aggiungano i due tomi delle lettere dell’archivio familiare, che contengono riferimenti a lui e alla sua opera (Il carteggio indiretto di Michelangelo, a cura di P. Barocchi – K. Loach Bramanti – R. Ristori, 2 voll., Firenze 1988-95), le centinaia di pagine degli appunti e delle note contabili, sue e degli assistenti (I Ricordi di Michelangelo, a cura di L. Bardeschi Ciulich – P. Barocchi, Firenze 1970), il corpus ingente e metamorfico delle liriche.
Quello michelangiolesco è un vero tesoro testuale, soprattutto se confrontato con la penuria d’informazioni che affligge le biografie degli altri grandi artisti del suo tempo. Non è che si possa chiedere di più, anzi. Ci premerebbe però sapere dell’altro, ed è per questo che, nel titolo di questa sezione di fonti e rinvii bibliografici, vi avvisiamo delle omissioni, con cui si devono fare i conti per tutto il volume. «Se avessimo altrettante informazioni sulla cultura, sulle idee, sui propositi di Michelangelo quante ne abbiamo sulla sua maniera di investire i propri guadagni o sui marmi da lui via via cavati dalle Apuane, non ci troveremmo davanti a tanta ridda di interpretazioni, quanta se n’è scatenata intorno al significato allegorico delle opere michelangiolesche.» Sono frasi scritte, tempo fa, da Giorgio Spini, Michelangelo politico, in Idem, Michelangelo politico e altri studi sul Rinascimento fiorentino, Milano 1999, pp. 7-55: 9 (apparso originariamente col titolo Politicità di Michelangelo, in «Rivista storica italiana» 76 (1964), pp. 557-600). Nell’immagine che Michelangelo fa trapelare di sé gioca, come in ogni vita, il capriccio del caso, che confonde eventi minimi e grandi fatti. Ma lui, il generoso, collerico, tirchio, sommo artista, ha mescolato a bella posta le carte della memoria. Diventato vecchio e famoso, s’è impegnato a riscrivere, e a far riscrivere, il proprio passato, e in specie gli anni formativi, così che voci, leggende, mezze verità, messe in giro da lui stesso, o da lui filtrate, offuscano irrimediabilmente eventi decisivi. E anche nelle lettere, tanto è franco, passionale, brusco e, dopo solo un paio di righe, affettuoso verso i familiari, quanto diviene vago e tortuoso se s’accosta alla politica. Devoto, e profondamente credente, lo è di sicuro, ma cosa pensi veramente delle autorità di Chiesa e Stato, non se lo lascia certo sfuggire per iscritto. Né ci dice quasi mai di quali letture si nutra. A essere onesti, se il bandolo biografico è qua e là così ingarbugliato, la colpa non è nemmeno tutta sua. Di omissioni ne sono fioccate tante, dopo la sua morte, o ancor più censure ed epurazioni. È un lavorio, questo, che va avanti da secoli, almeno da quando il pronipote Michelangelo Buonarroti il Giovane (1568-1646), nel dare alle stampe, nel 1623, le Rime del grande avo, si mise di buzzo buono, con penna e cancellino, per cambiare generi grammaticali, nomi e circostanze, aggiungendo, girando, grattando via tutto il grattabile per fare di maschi amati e vagheggiati, amate e vagheggiate dame (l’edizione seicentesca è ristampata in Michelangelo Buonarroti il Giovane, Le Rime di Michelangelo [1623], a cura di M. Pieri – L. Salvarani, Trento 2006; sulle scelte editoriali del pronipote vedi anche E. N. Girardi, La poesia di Michelangelo e l’edizione delle Rime del 1623, in Idem, Studi su Michelangelo scrittore, Firenze 1974, pp. 79-95; L. Barkan, La voce di Michelangelo, in Atlante della letteratura italiana, vol. 2, Dalla controriforma alla restaurazione, a cura di E. Irace, Torino 2011, pp. 374-79). E si può dire fino a ieri, il Michelangelo dell’amore, e dell’erotismo che traspare qui e là, persino sguaiato, se ne deve stare in seconda o terza fila, e accontentarsi di note a piè di pagina o di cavillosi distinguo.
È come se le fonti michelangiolesche partecipassero, a modo loro, di quel non finito che connota alcuni capolavori del Maestro. Con la differenza che le omissioni e le ruvidezze biografiche ci tormentano senza offrirci emozioni estetiche. O forse, il guadagno ce lo dobbiamo sudare ogni volta. Per quanto Michelangelo sia cocciuto, elusivo, reticente e, a tratti, ci butti fuori strada a bella posta, e nonostante le tante rimozioni altrui, vecchie e semi-nuove, la sua grandezza rimane impigliata anche dove non ce l’aspetteremmo.
NOTA SULLE TRASCRIZIONI
Nel corso del libro, attingiamo a molte, variegate fonti originali. E proprio a causa di questa varietà, s’è deciso di rinunciare a normalizzare o ammodernare le grafie. Solo nel caso delle Rime michelangiolesche, citate in base alla recente edizione critica di Antonio Corsaro e Giorgio Masi, s’accettano i criteri di adeguamento grafico all’uso moderno, seguiti dai curatori (cfr. Michelangelo Buonarroti, Rime e lettere, introduzione, testi e note a cura di A. Corsaro – G. Masi, Milano 2016, pp. CXLII-CXLVII).
CITAZIONI BIBLICHE
Le citazioni dal Vecchio e dal Nuovo Testamento sono tratte da due fonti.
Fino al 1532, utilizziamo il volgarizzamento biblico di Nicolò Malermi (o Malerbi, c. 1420-79), nell’edizione del 1493 (Venezia, Guglielmus de Cereto, 23.IV.1493). È provato che Michelangelo usò questa stampa (e la precedente del 1490) per l’iconografia della Sistina (vedi poi il capitolo Ottobre 1512: Sistina e Contro-Sistina). Il frasario e il tono del testo quattrocentesco (l’editio princeps è del 1471) ci aiutano, crediamo, a cogliere echi biblici nell’opera michelangiolesca della gioventù e della prima fase della maturità molto meglio di quanto non farebbe una traduzione moderna.
Dopo il 1532, ricorriamo invece a La Biblia quale contiene i sacri libri del Vecchio Testamento, tradotti nuovamente de la hebraica verità in lingua toscana per Antonio Brucioli. Co divini libri del nuovo testamento … tradotti di greco in lingua toscana pel medesimo, 2 voll., Venetia 1532. Michelangelo fu in contatto amichevole col Brucioli (c. 1498-1566), figura di inquieto riformatore religioso, ed è verosimile che abbia conosciuto e utilizzato la traduzione del 1532, che ebbe largo seguito, soprattutto tra gli evangelici italiani (fu messa all’indice dei libri proibiti nel 1559). I rapporti tra i due sono documentati da un cenno contenuto nella lettera di Battista della Palla a Michelangelo, allora a Venezia, del 19 novembre 1529 («racomandatemi al Bruciolo, al quale scriverò di Fiorenza di nuovo del caso suo, al mio partire lasciato in assai buon termine», in Carteggio, vol. 3, pp. 284-85 nr. 800). Ascanio Condivi, Vita di Michelagnolo Buonarroti, Roma 1553, c. 42r, riferisce una notizia, altrimenti sconosciuta, secondo cui Brucioli avrebbe portato a Michelangelo un’offerta di ospitalità della Repubblica veneta: «Dalla Signoria di Vinegia fu à Roma mandato il Brucciolo, à invitarlo ad habitare in quella città et offerir provisione di scudi secento l’anno, non lo ubligando à cosa alcuna, ma solamente per che con la persona sua honorasse quella Republica, con conditione, che s’egli in suo servigio facesse cosa niuna, di tutto fusse pagato, come se da loro provisione alcuna non havesse».
ABBREVIAZIONI
ABFi | Archivio Buonarroti, Firenze |
AFSPVa | Archivio della Fabbrica di San Pietro, Città del Vaticano |
AIIFi | Archivio dell’Istituto degl’Innocenti, Firenze |
AOSMFFi | Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Firenze |
ASBo | Archivio di Stato di Bologna |
ASE | ASMo, Archivio segreto estense |
ASFi | Archivio di Stato di Firenze |
ASLu | Archivio di Stato di Lucca |
ASMn | Archivio di Stato di Mantova |
ASMo | Archivio di Stato di Modena |
ASVa | Archivio segreto vaticano |
AVAr | Archivio Vasari, Arezzo |
BAVa | Biblioteca apostolica vaticana |
BMFi | Biblioteca Moreniana, Firenze |
BNCFi | Biblioteca nazionale centrale, Firenze |
Carteggio | Il carteggio di Michelangelo, edizione postuma di G. Poggi, a cura di P. Barocchi – R. Ristori, 5 voll., Firenze 1965-83 |
Carteggio indiretto | Il carteggio indiretto di Michelangelo, a cura di P. Barocchi – K. Loach Bramanti – R. Ristori, 2 voll., Firenze 1988-95 |
CBFi | Casa Buonarroti, Firenze |
GC | BNCFi, Fondo manoscritti Ginori Conti, nr. 29 dell’inventario |
MAP | ASFi, Mediceo avanti il principato |
RVF | Rerum vulgarium fragmenta |
Istruzioni per trovarlo, Michelangelo
Una fiamma che muove, e si muove, anima le forme e la vita di Michelangelo. Ne coglie un bagliore Giovanni Paolo Lomazzo (1538-92), in un passo divenuto celebre e che, a sua volta, riferisce un insegnamento del Maestro, attraverso la voce di un seguace e protetto di questi, Marco di Giovanni Battista (Marco Pino, o Marco da Siena, 1521-83): «Dicesi adunque che Michel Angelo diede una volta questo avvertimento a Marco da Siena pittore suo discepolo, che dovesse sempre fare la figura piramidale, serpentinata … Et in questo precetto parmi che consista tutto il secreto de la pittura. Imperocché la maggior gratia, et leggiadria, che possa havere una figura è che mostri di muoversi, il che chiamano i pittori furia de la figura. E per rappresentare questo moto non vi è forma più accomodata, che quella de la fiamma del foco, la quale, secondo che dicono Aristotele, et tutti i filosofi, è elemento più attivo di tutti, et la forma de la sua fiamma è più atta al moto di tutte … et questa chiama Michel Angelo serpentinata» (Giovanni Paolo Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, scoltura, et architettura, Milano 1584, pp. 22-23). Una fiamma di «torsione, tensione ed improvvisa distensione», che si fa linguaggio letterario, e permea anche «i ritmi sintattici di Michelangelo, e l’effetto poetico complessivo» (G. Cambon, La poesia di Michelangelo. Furia della figura, traduzione di P. Ternavasio, Torino 1991 (ed. originale: Michelangelo’s Poetry. Fury of Form, Princeton 1985), p. 13). Fiamma sbattuta, soffocata, esaltata: «Come fiamma più cresce più contesa / dal vento, ogni virtù che ’l cielo esalta / tanto più splende quant’è più offesa» (Michelangelo Buonarroti, Rime e lettere, cur. Corsaro – Masi cit., p. 157, Rime liriche 18; Michelangiolo Buonarroti, Rime, a cura di E. N. Girardi, Bari 1960, p. 24 nr. 48).
«Quel ch’a par sculpe e colora, / Michel, più che mortale, Angel divino», scrive Ludovico Ariosto, nel canto XXXIII dell’Orlando Furioso. Questa lode, inserita nella terza e ultima edizione del 1532, quando Michelangelo aveva 57 anni, influenzerà grandemente la fama dell’artista. Sulla costruzione (e decostruzione) dell’immagine «divina» durante la vita del Nostro vedi P. A. Emson, Creating the «Divine» Artist. From Dante to Michelangelo, Leiden 2004.
Giorgio Vasari (1511-74) pone la biografia di Michelangelo, l’unica di un artista vivente, a chiusura della prima edizione delle sue Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, apparse presso Lorenzo Torrentino, a Firenze, nel 1550 (Michelangelo Bonarroti Fiorentino. Pittore scultore et architetto, pp. 947-91), e giustifica così l’eccezione: «E non si maravigli alcuno che io abbia qui descritta la Vita di Michelagnolo vivendo egli ancora; perché, non si aspettando che e’ debbia morir già mai, mi è parso conveniente far questo poco a onore di lui, che quando bene, come tutti gli altri uomini, abbandoni il corpo, non si troverrà però mai alla morte delle immortalissime opere sue. La fama delle quali, mentre ch’e’ dura il mondo, viverà sempre gloriosissima per le bocche degli uomini e per le penne degli scrittori, mal grado della invidia et al dispetto della morte». A queste lodi, Michelangelo risponde, cortese ma con una punta d’ironia, nella sua lettera al Vasari del 1° agosto 1550: «Io non ò penna da rispondere a tante altezze, ma sse avessi caro di essere in qualche parte quello che mi fate, non l’arei caro per altro se non perché voi avessi un servidore che valessi qualche cosa. Ma io non mi maravigl[i]o, sendo voi risucitatore d’uomini morti, che voi allung[h]iate vita a’ vivi, o vero che i mal vivi furiate per infinito tempo alla morte. Per abreviare, io son tucto vostro com’io sono» (AVAr, 12, c. 4, in Carteggio, vol. 4, pp. 346-47 nr. 648).
Benché scritta con intento celebrativo, la Vita vasariana dovette dispiacere al Buonarroti, soprattutto per il modo in cui vi veniva trattata la spinosa questione della tomba di Giulio II (1443-1513). A mo’ di replica, Ascanio Condivi (1525-74), che era vicino al Maestro e poté sicuramente contare sulle sue istruzioni, si affrettò a pubblicare una biografia più consona all’idea che il Nostro voleva dare di se stesso. Dopo la morte di Michelangelo, e sotto l’influenza delle novità contenute nel volume condiviano, Vasari ampliò e adattò la propria trattazione, e incluse, plagiandoli, molti passi del suo rivale, senza tuttavia mai citarlo, nella nuova edizione della sua grande opera, uscita dai torchi dei Giunti: Vita del gran Michelagnolo Buonarroti. Con le sue magnifiche essequie stategli fatte in Fiorenza dall’Achademia del disegno, in Idem, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori, 2 voll. (in 3 tomi), Fiorenza 1568: vol. 2, pp. 717-96.
I rapporti tra le due edizioni vasariane e il testo del Condivi sono minuziosamente analizzati da P. Barocchi in La vita di Michelangelo nelle redazioni del 1550 e del 1568, curata e commentata da Eadem, 5 voll., Milano-Napoli 1962. Vedi anche M. Hirst, Michelangelo and his first Biographers, in «Proceedings of the British Academy» 94 (2007), pp. 63-84, che, tra l’altro, discute l’ipotesi, avanzata già da J. Wilde, Michelangelo, Vasari, and Condivi, in Idem, Michelangelo. Six Lectures, Oxford 1978, pp. 1-16, secondo cui la Vita del Condivi sarebbe in realtà stata redatta, sulla base dei materiali raccolti da questi, da Annibal Caro (1507-66). Lo stile epistolare del Condivi è così modesto da far pensare che qualcun altro, di penna assai migliore, sia responsabile della gradevole prosa della biografia michelangiolesca (vedi G. Milanesi, Alcune lettere di Ascanio Condivi e di altri a messer Lorenzo Ridolfi, in «Il Buonarroti» 3 (1868), pp. 206-13). Ma perché i sospetti cadono proprio su Caro? Da un lato, tra i due esistono legami familiari: agli inizi del 1555, Condivi, originario di Ripatransone, nelle Marche, sposa Porzia Caro, nipote di Annibale, anch’egli marchigiano. D’altra parte, quest’ultimo si mostra, già nell’agosto 1553, ben a conoscenza delle ragioni che hanno portato alla pubblicazione della nuova Vita michelangiolesca, in risposta alla prima edizione di quella vasariana, nel 1550 (Annibal Caro, Lettere familiari, edizione critica con introduzione e note di A. Greco, 3 voll. Firenze 1957-61: vol. 2, pp. 147-48: «Non risposi sabbato alla lettera di V. S. aspettando che uscisse della stampa questa Vita di Michel Angelo fatta da un suo discepolo, nella quale si fa menzione spezialmente della cosa della sepoltura, di che io le parlai, e delle sue giustificazioni in questo negozio» – lettera del 20 agosto 1553 ad Antonio Gallo; cfr. Hirst, Michelangelo and his first Biographers cit., pp. 72-74). I confronti stilistici tra la prosa di Caro e quella della Vita condiviana, per i quali Hirst ha già raccolti alcuni spunti, attendono di essere ampliati e verificati.
Sul valore della Vita michelangiolesca del Vasari e di quella del Condivi nella costruzione del mito di Michelangelo s’è soffermato, con la sua solita verve, P. Barolsky, The Faun in the Garden. Michelangelo and the Poetic Origins of Italian Renaissance Art, University Park (PA) 1994. Una penetrante discussione della fortuna critica michelangiolesca si troverà in E. Battisti, Michelangelo, fortuna di un mito. Cinquecent...