La sessualità
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La sessualità

  1. 348 pagine
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Questo volume rappresenta un'ampia scelta di scritti su un argomento decisivo nell'opera di Freud e in tutta la cultura del Novecento: il rapporto dell'essere umano con il sesso. Sono qui contenuti saggi brevi e di grande chiarezza che toccano questioni nodali: lo sviluppo sessuale e le nevrosi, la morale sessuale e la civiltà moderna, la psicologia delle relazioni amorose, il tabù della verginità... Gli scritti proposti, composti tra il 1905 e il 1917, sono ordinati cronologicamente e permettono così di seguire lo sviluppo del pensiero freudiano nelle sue diverse fasi. Accanto alla teorizzazione, molte pagine sono dedicate al racconto della ricerca clinica per voce di Freud stesso, poiché è impossibile comprendere realmente questo autore e tutta la psicoanalisi rimanendo solo sul piano teorico: la teoria infatti nasce e trova la sua verifica nel lavoro clinico, nel rapporto con i pazienti.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
ISBN
9788852082948

DALLA STORIA DI UNA NEVROSI INFANTILE1

1. Osservazioni preliminari

Il caso clinico che sto per riferire – ancora una volta solo in modo frammentario2 – presenta per alcuni aspetti una fisionomia tutta sua, che è necessario mettere in luce prima di passare all’esposizione. Il protagonista è un giovane che a diciassette anni fu colpito da un’infezione blenorroica e quando, parecchi anni dopo, si sottopose a trattamento psicoanalitico aveva perso ogni autonomia ed energia vitale. Nel decennio anteriore alla malattia il ragazzo aveva trascorso una vita quasi normale e superato senza troppi disturbi gli studi medi. Ma negli anni precedenti era stato afflitto da una grave turba nevrotica, che all’inizio, prima che compisse i quattro anni, esplose in forma di isteria d’angoscia (zoofobia), poi si tramutò in nevrosi ossessiva a contenuto religioso e si protrasse con i suoi postumi fino al decimo anno d’età.
Oggetto della mia relazione sarà esclusivamente questa malattia infantile. Nonostante le dirette sollecitazioni del paziente, mi sono rifiutato di scrivere per intero la storia della sua malattia, del trattamento e della guarigione, poiché vi scorgevo un impegno tecnicamente irrealizzabile e socialmente inaccettabile. Il che, tra l’altro, ha fatto cadere la possibilità di illustrare la correlazione tra la sua malattia infantile e quella definitiva, contratta in seguito. Di quest’ultima posso solo dire che costrinse il paziente a lunghi periodi in case di cura tedesche e che in quella fase il suo fu classificato dagli esperti come un caso di «psicosi maniaco-depressiva». Una diagnosi del genere valeva sicuramente per il padre del paziente, la cui esistenza piena di occupazioni e interessi era stata turbata da ripetute crisi di una grave depressione. Quanto al figlio, in parecchi anni di osservazione mai mi è stato dato notare cambiamenti di umore che per intensità, e limitatamente alle condizioni in cui si manifestavano, fossero sproporzionati rispetto a quello che era l’evidente stato psichico del paziente. La mia sensazione è che questo caso, come tanti altri etichettati dalla psichiatria con una quantità disparata e fluttuante di diagnosi, vada inteso come l’effetto di una nevrosi ossessiva, che ha avuto uno sviluppo spontaneo e si è conclusa con una guarigione difettosa.
Il mio racconto verterà quindi su una nevrosi ossessiva infantile, sottoposta ad analisi non durante il suo decorso, ma solamente quindici anni dopo. Rispetto ad altre, questa situazione ha i suoi pro e i suoi contro. L’analisi direttamente condotta sul bambino nevrotico, pur apparendo fin dall’inizio attendibile, non potrà che essere povera di contenuto: troppi sono i pensieri e le parole che dobbiamo suggerire al bambino, per poi, forse, scoprire che gli strati della psiche più profondi sono impenetrabili alla coscienza. Nelle persone adulte e intellettualmente mature, l’analisi della malattia infantile attraverso il medio della memoria non soffre di questi limiti; e tuttavia si dovrà tener conto della distorsione e dell’adattamento che il proprio passato subisce nell’esame retrospettivo compiuto a distanza di tempo. Il primo caso dà forse risultati più persuasivi, il secondo è di gran lunga più istruttivo.
Comunque sia, è inevitabile che le analisi delle nevrosi infantili rivestono un altissimo interesse teorico. Per l’esatta comprensione delle nevrosi degli adulti esse sono pressappoco quello che i sogni dell’infanzia sono per i sogni dell’età adulta. Non che siano dotate di maggiore perspicuità o semplicità – anzi, la difficoltà di entrare in empatia con la vita interiore del bambino ne fa un’impresa particolarmente ardua per il medico. Tuttavia qui l’assenza di molte delle sovrapposizioni posteriori fa sì che l’essenziale della nevrosi salti agli occhi inconfondibile. Com’è noto, nella fase attuate della controversia sulla psicoanalisi l’ostilità ai suoi risultati ha assunto un nuovo aspetto. Prima ci si accontentava di contestare la realtà dei fatti asseriti dall’analisi, e la tecnica più atta allo scopo sembrava quella di eludere ogni verifica. A quanto pare, questo modo di procedere si sta lentamente esaurendo; oggi si batte un’altra strada: non si negano i fatti, ma con opportune reinterpretazioni si elimina ciò che ne deriva di conseguenza, così da continuare a restare al riparo da novità urtanti. Lo studio delle nevrosi infantili prova la totale insufficienza di questi scialbi o arbitrari tentativi di reinterpretazione. Esso mostra, infatti, quale parte preponderante abbiano le pulsioni libidiche, così volentieri disconosciute, nella fisionomia della nevrosi e mette in luce l’assenza di remote finalità culturali, di cui il bambino non sa ancora nulla e che pertanto a lui non dicono nulla.
Un altro punto su cui la presente analisi richiama l’attenzione riguarda la gravità della malattia e la durata del suo trattamento. Le analisi che in breve tempo conducono a un esito favorevole avranno indubbiamente il pregio di inorgoglire il terapeuta e potranno dimostrare l’importanza della psicoanalisi dal punto di vista medico; per il progresso della conoscenza scientifica esse rimangono per lo più irrilevanti. Non se ne ricava niente di nuovo. Se hanno avuto successo con tanta rapidità è solo perché si sapeva già tutto quello che occorreva per portarle a termine. Qualcosa di nuovo si può imparare solo da analisi che presentino particolari difficoltà, per superare le quali, dunque, ci vuole poi molto tempo.
Solo in questi casi si riesce ad accedere agli strati profondi e primitivi dello sviluppo psichico e di lì a scovare la soluzione dei problemi delle successive configurazioni che lo sviluppo assume. Si dice allora che, rigorosamente parlando, soltanto l’analisi spinta fino a tal punto merita questo nome. Il singolo caso, ovviamente, non informa su tutto ciò che si vorrebbe sapere. O meglio, potrebbe istruire su tutto, se solo si fosse in condizione di cogliere tutto, e non si fosse costretti ad accontentarsi di quel poco che è consentito dall’inadeguatezza della nostra stessa capacità percettiva. Quanto a difficoltà del genere, per altro feconde, il caso clinico che qui sto per descrivere non lascia certo a desiderare. Dopo i primi anni di trattamento era cambiato poco o niente. Nondimeno, una felice congiuntura di tutte le condizioni esterne rese possibile proseguire i tentativi di cura. Non mi è difficile immaginare che con un numero minore di circostanze favorevoli il trattamento dopo qualche tempo sarebbe cessato. Per quanto riguarda l’ottica del medico, posso solo dire che egli deve agire «fuori del tempo» proprio come l’inconscio, sempre che voglia capire e ottenere qualcosa. E alla fine vi riesce, se sa rinunciare alla miope ambizione terapeutica. In pochi altri casi si potrà contare su una pazienza, disponibilità, comprensione, fiducia come quelle che si richiedono al paziente e ai suoi parenti. Ma l’analista avrà motivo di dire a se stesso che i risultati che ha conseguito in un caso, lavorando così a lungo, contribuiranno ad accorciare sensibilmente la durata del trattamento di una futura malattia altrettanto grave, e dunque a superare gradualmente l’atemporalità dell’inconscio, dopo che egli l’ha subita una prima volta.
Il paziente di cui qui mi occupo restò a lungo trincerato dietro l’inattaccabile posizione di un’indifferenza arrendevole. Ascoltava, capiva e teneva tutto a debita distanza. La sua pur ineccepibile intelligenza restava come staccata dalle forze pulsionali che dominavano il suo comportamento nei pochi rapporti umani che gli restavano. Ci volle una lunga preparazione per indurlo a prendere parte attiva al lavoro, e quando, in seguito a questi sforzi, cominciò a provare sollievo, subito sospese la propria collaborazione per prevenire ulteriori cambiamenti e continuare a rimanere a proprio agio nella situazione prodotta. Il suo timore di dover condurre un’esistenza autonoma era così grande da controbilanciare tutti i fastidi dovuti alla malattia. Ci fu un solo modo per vincerlo. Dovetti attendere che il legame con la mia persona fosse diventato abbastanza stretto per fungere da fattore di equilibrio, che poi contrapposi all’altro. Sulla scorta di indizi favorevoli, colsi il momento giusto per stabilire che il trattamento doveva concludersi entro un certo termine, indipendentemente dai progressi compiuti. Era un termine cui ero deciso ad attenermi; infine, il paziente si convinse che facevo sul serio. L’inesorabile pressione esercitata da quella scadenza fiaccò le sue resistenze, la sua fissazione alla malattia, e da questo istante l’analisi forni in pochissimo tempo tutto il materiale utile a sciogliere le inibizioni ed eliminare i sintomi. A quest’ultima fase del lavoro, nella quale la resistenza era temporaneamente scomparsa e il malato dava l’impressione di una lucidità che in altri casi solo l’ipnosi può assicurare, risalgono anche tutte le informazioni che mi permisero di comprendere la sua nevrosi infantile.
Così, l’iter di questo trattamento è valso a illustrare un principio da tempo apprezzato nella tecnica analitica, cioè che la lunghezza del cammino percorso dall’analista insieme con il paziente e l’abbondanza del materiale da tenere sotto controllo lungo tale cammino contano ben poco rispetto alla resistenza che s’incontra durante il lavoro, e se contano è solo in quanto necessariamente proporzionali alla resistenza. È la stessa cosa che accade quando un esercito nell’attraversamento di un territorio nemico impiega settimane e mesi per compiere un tragitto che altre volte, in tempo di pace, viene percorso in poche ore di treno e che poco prima era stato coperto dall’esercito di casa in qualche giorno.
Una terza caratteristica dell’analisi che qui sto per descrivere ha ulteriormente intralciato la decisione di renderla nota. I dati che ne risultano collimano nel complesso con lo stato attuale delle nostre conoscenze, o almeno vi si adattano bene. Ma alcuni dettagli sono apparsi anche a me così straordinari e incredibili che mi facevo qualche scrupolo a chiedere l’assenso altrui. Il paziente, da me invitato a vagliare il più rigorosamente possibile i suoi ricordi, non vide niente d’inverosimile nelle proprie dichiarazioni e le confermò. Vorrei che il lettore fosse almeno certo che mi sono limitato a riferire quanto mi si è offerto come un libero dato dell’esperienza, non influenzato dalle mie aspettative. Così non mi è rimasto che tenere presente il saggio detto che ci sono più cose in cielo e in terra di quante possa immaginarne la nostra filosofia:3 cose che certamente scopriremo tanto più numerose quanto più radicalmente avremo saputo scalzare i nostri pregiudizi.

2. Quadro generale dell’ambiente e della storia del malato

Non mi è possibile scrivere la vicenda del mio paziente utilizzando un procedimento che sia o esclusivamente storico o esclusivamente pragmatico, né fare la storia del trattamento terapeutico piuttosto che del malato, o viceversa. Mi vedrò invece costretto a combinare l’un metodo o l’altro di esposizione. Come si sa, non s’è trovato il modo di infondere in qualche misura la forza di convinzione promanante dall’analisi nel resoconto dell’analisi stessa. Redigere esaurienti verbali di quanto accade nella seduta dell’analisi non servirebbe sicuramente a nulla, e, tra l’altro, la loro stesura è esclusa dalla tecnica del trattamento. Se si rendono pubbliche analisi del genere non è per convincere chi si è mostrato fin qui recalcitrante o incredulo. L’unica speranza è quella di offrire nuove indicazioni a quegli studiosi che si siano già fatti delle convinzioni in base alla propria esperienza clinica.
Comincerò con il delineare il mondo del bambino e con il rendere noto ciò che della storia della sua infanzia con il passare degli anni non guadagnò né in completezza né in chiarezza.
I genitori si sono sposati giovani. Il matrimonio procede felicemente, anche se presto offuscato dalle malattie di entrambi: i disturbi addominali della madre e le prime crisi depressive del padre, che lo tengono lontano da casa. Naturalmente, della malattia del padre il paziente saprà solo molto più tardi, mentre fin dai primi anni dell’infanzia si rende già conto della malattia della madre. La quale, a causa della sua indisposizione, si occupa relativamente poco del bambino. Questi, un giorno, sicuramente prima dei quattro anni, tenuto per mano dalla madre, la sente lamentarsi con il medico mentre lo accompagna fuori della porta di casa e si stampa nella mente le parole di lei, per applicarle in futuro a se stesso. Non è figlio unico; ha una sorella più grande di lui di circa due anni, vivace, intelligente, precocemente smaliziata; avrà un ruolo importante nella sua vita.
Per quel che gli riesce di ricordare, è affidato a una bambinaia, una vecchia popolana ignorante, che gli si dedica con instancabile affetto, in quanto vede in lui un figlio che le era morto in tenera età. La famiglia vive in una proprietà di campagna, per poi spostarsi d’estate in un’altra. Le due proprietà non sono distanti dalla città. Una svolta recisa nell’infanzia del paziente si ha quando i genitori vendono le due proprietà e si trasferiscono in città. Nell’una o nell’altra proprietà soggiornano per lunghi periodi i parenti più prossimi: i fratelli del padre, le sorelle della madre con i loro figli, i nonni materni. D’estate i genitori hanno l’abitudine di fare un viaggio di alcune settimane. In un ricordo di copertura, egli vede se stesso seguire con lo sguardo la vettura che porta via il padre, la madre e la sorella, e dopo rientrare tranquillamente in casa in compagnia della bambinaia. A quel tempo doveva essere molto piccolo.4 L’estate seguente la sorella fu lasciata a casa e fu assunta una governante inglese per accudire i bambini.
Negli anni successivi gli furono narrati molti episodi della sua infanzia.5 Molti li conosceva lui stesso, ma naturalmente sciolti da qualsiasi vincolo di tempo o contenuto. Da uno di questi racconti, ripetuto innumerevoli volte davanti a lui in occasione della successiva malattia, veniamo a conoscenza del problema che saremo impegnati a risolvere. A quanto pare, nei primi tempi era un bambino mite, docile, tranquillo, al punto che si diceva in continuazione che sarebbe dovuto essere lui la femminuccia e la sorella maggiore il maschio. Ma un giorno, al ritorno dal viaggio estivo, i genitori lo trovarono trasformato. Era scontento, irritabile, violento, si risentiva per qualsiasi motivo, e allora smaniava e strepitava come un furia; al che i genitori, perdurando tale stato, espressero la preoccupazione che non sarebbe stato possibile mandarlo a scuola in futuro. Era l’estate in cui era presente la governante inglese, che si rivelò persona bizzarra, intrattabile, tra l’altro dedita al bere. La madre propendeva perciò a collegare il cambiamento di carattere del bambino con l’influenza della ragazza inglese, e supponeva che egli fosse irritato dal modo di fare di lei. La nonna, che aveva passato l’estate con i bambini, con perspicacia avanzò l’opinione che l’irritabilità del piccino fosse provocata dai litigi tra la bambinaia e la ragazza inglese. Quest’ultima aveva ripetutamente dato della strega alla bambinaia, costringendola a lasciare la camera; il piccolo aveva apertamente preso le parti dell’adorata «Nanja» e dimostrato il suo odio per la governante. In ogni caso, la ragazza inglese fu licenziata subito dopo il ritorno dei genitori, senza che ciò apportasse qualche modificazione nell’indole insopportabile del bambino.
Il ricordo di questo brutto periodo si è mantenuto vivo nel paziente. A suo parere, la prima scenata avvenne una volta in cui, a Natale, non aveva avuto regali doppi, come gli sarebbe spettato per via che il Natale cadeva nello stesso giorno del suo compleanno. La sua petulanza e suscettibilità non risparmiavano neppure l’adorata Nanja, che, anzi, era forse la più tormentata di tutti. Ma la fase di tale cambiamento di carattere è indiscutibilmente legata a molti altri fenomeni singolari e patologici, di cui il paziente non sa ricostruire la cronologia. Egli fa confluire tutte le cose che sto per riferire, e che non possono essersi svolte contemporaneamente e sono piene di elementi contraddittori, in un unico lasso di tempo, indicato con l’espressione «ancora ai tempi della prima proprietà». Aveva, gli pare, cinque anni quando lasciarono quella proprietà. Dunque sa quel che dice quando racconta che soffriva di un’angoscia di cui approfittava la sorella per tormentarlo. C’era un libro illustrato, su cui era raffigurato un lupo che avanzava in posizione eretta e a grandi passi. Quando gli cadeva l’occhio su questa figura, incominciava a strillare come un forsennato: aveva paura che il lupo venisse a mangiarlo. Per altro, la sorella riusciva sempre a sistemare il libro in modo da costringerlo a vedere quella figura, e si divertiva a terrorizzarlo. In realtà, egli temeva anche altri animali, grandi e piccoli. Una volta stava dando la caccia a una bella, grande farfalla dalle ali screziate di giallo e appuntite alle estremità (probabilmente un macaone). All’improvviso lo prese una terribile paura dell’animale, e tra gli strepiti smise di inseguirla. Anche coleotteri e bruchi gli...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Nota biografica
  5. Nota bibliografica
  6. La sessualità
  7. TRE SAGGI SULLA TEORIA SESSUALE
  8. I. Le aberrazioni sessuali
  9. II. La sessualità infantile
  10. III. Le trasformazioni della pubertà
  11. Riepilogo
  12. CARATTERE ED EROTISMO ANALE
  13. LA MORALE SESSUALE «CULTURALE» E IL NERVOSISMO MODERNO
  14. DALLA STORIA DI UNA NEVROSI INFANTILE
  15. CONTRIBUTI ALLA PSICOLOGIA DELLA VITA AMOROSA
  16. Bibliografia
  17. Copyright