Ferito a morte
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Ferito a morte

  1. 238 pagine
  2. Italian
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Ferito a morte

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«Testimonianza vibrante di quegli irripetibili anni Cinquanta napoletani e italiani - teneri e sfacciati, avviticchiati e svaniti come i giri di un cavatappi - e fedelissima alle loro sfumature più dolorosamente superficiali ed effimere, Ferito a morte è anche un classico. È un libro straordinario, che fonde perfettamente natura e storia, coerenza strutturale della costruzione narrativa e impalpabile poesia del fluire della vita, percezione sensibile e critica politica, l'istante atemporale dell'epifania esistenziale e la storicità (entrambi incarnati in una Napoli mitica e reale), pessimismo e felicità, compresenti nel cuore come nella seduzione del mare, fisicità immediata e riflessione.» Claudio Magris

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
ISBN
9788852081606

V

Che stupido, andare tanto sotto, nuotando dietro un sarago che una volta nemmeno in considerazione l’avrebbe preso! Prima era niente scendere ai dieci quindici metri, neppure se ne accorgeva. Stamattina invece, sopra le chiane di Villa Maisto, ai cinque metri, la fitta nell’orecchio. Da quel giorno sotto il penitenziario di Nìsida, dopo la rottura del timpano, mai più guarito. È ancora otturato ma è meglio non scuotersi per liberarsi dal fastidio, pare che l’acqua penetri sempre più in fondo al labirinto osseo attraverso complicati canalicoli, prema su cartilagini e membrane, sui filuzzi dei nervi. Basta appena un movimento e rintrona, dentro, come l’onda in una caverna. Sulla via del ritorno, peggiorata la situazione remando. Ora restare immobile, così l’acqua troverà da sola in qualche modo una via d’uscita. Stagnando nei recessi timpanici deve aver formato una barriera che rende opaco e distante il mondo esterno, i rumori infatti arrivano come da lontano, e le parole degli altri sulla terrazza, il suono e il senso, più ottusi.
Sotto le palpebre abbassate, macchie verdi-arancione. La sdraio è una barella, e il sole? Il sole è una logora vestaglia tiepida che t’avvolge da capo a piedi. Dal tennis, a intervalli regolari, i colpi delle racchette, e la vena batte nell’orecchio, e la voce di Ninì insiste, animandosi: «Allora come ti spieghi il successo di Tonino Peluso?».
«Successo? Lo chiami successo fare l’allevatore di galline?» A dire com’è difficile far soldi allevando galline. Con le morìe e tutto il resto. E dove? In un paese fetente del Sudamerica.
«Intanto lui va e viene col Saturnia, prima classe, e tu non tieni nemmeno i soldi del tram per venire qua!»
Ridono, l’acqua trema nel meandro auricolare, confonde le parole che quelli dicono.
«Filuccio!»
L’avvocato. Pare sempre arrabbiato quando chiama il cameriere.
«Be’?…»
Sì, accenna Filuccio con la testa, quasi sull’attenti, piccolo davanti all’avvocato Lo Sardo.
«Stanno ancora giocando?»
«Sì.»
«NO!» con l’occhio catastrofico esorbitante.
Sì, sì, conferma invece Filuccio, eh sì, che ci volete fa’ eh, non è colpa mia se quelli…
«NO…» con quel no! costernato in faccia, mentre il lento sguardo semicircolare cerca invano un pubblico. Macché, tutti intorno a Ninì, a sentire le fesserie che dice. Il no! lentamente si dissolve, una sedia scricchiola, ecco s’è seduto proprio qua, pensa Massimo, addio!
«Cose-da-pazzi-cose-dell’altro-mondo» la voce dell’avvocato, ora senza intonazione, lenta, staccata, come leggendo un messaggio cifrato. Apre il giornale, i titoli in cinque colonne gli annunciano come al solito che per colpa dei comunisti sta per scoppiare la terza guerra mondiale, intanto è rimandata di un altro giorno, ma siamo lì lì: «Benebenebene… Di’, sei stato a mare stamattina?».
Massimo accenna di sì, il movimento provoca una ondata che si infrange sulle pareti del timpano, un rimescolio serpeggiante tra le spirali ossee, deve essere il risucchio, un’altra leggera fitta dolorosa.
«Preso niente?»
Non muoversi. Un gesto con la mano: niente.
«Mai una volta che pigliate qualche cosa, ma come va ’sto fatto?… Tu hai sentito? Stanno ancora là dentro a giocare, ti pare possibile? Due giorni e due notti di poker, senza interruzione, in un Circolo che si rispetta queste cose, eh una volta l’ambiente era diverso. Cose-da-pazzi-cose-dell’altro-mondo!»
«… e non mi dirai che Tonino Peluso era un genio!» Ninì non la finisce più stamattina con questo Tonino Peluso. «Fesso era e fesso è rimasto, pure se va e viene col Saturnia dal Venezuela!»
«Allora è fesso pure Glauco? Pure lui se ne va in Venezuela.»
Va in Venezuela, così è nata la discussione, guai a chi gli tocca il Venezuela. Col torvo occhietto azzurro, l’altro è mezzo chiuso, e la smorfia di fastidio sulla faccia, sta attento al battibecco.
Ninì lo ha notato, figuriamoci: «Glauco?» dice, cadendo dalle nuvole, «Glauco non va ad allevare le galline, stupido, va a cercare i diamanti» e aspetta serio la risposta e la rappresaglia.
«I diamanti?! E che sono, vongole?»
Con una santa pazienza, proprio non gli va di scomodarsi per mettere a posto quell’incosciente, Glauco si alza dalla sedia a sdraio, l’occhio un po’ pazzo, braccia scostate dal corpo per via dei dorsali gonfi sotto le ascelle. Si muove così, con una specie di dondolio da scimpanzé, verso il disgraziato, l’incosciente, l’imprudente, che ancora non capisce se scherza o fa sul serio, ma un po’ pallido è, e ad ogni passo di Glauco indietreggia di un passo – Tutto previsto da Ninì.
Anche da Massimo: sempre la stessa scena, uffaà! Da un anno a questa parte Glauco è cambiato, qualcosa gli deve essere successo. Si ferma, abbassa la testa come un toro, poi a seconda delle giornate o vola il pugno o viene fuori lo sproloquio. Stavolta lo sproloquio. «Microcefalo! Paranoico! Degenerato! Mentecatto!» Annaspa in cerca di qualche altra parola complicata, resta indeciso se colpire o no, decide di no con una smorfia di disprezzo, è troppo facile, non ne vale la pena: «Informati, analfabeta! Istruisciti! E poi vieni a ridere in faccia a questo!». Agita l’avambraccio in un gesto isterico-osceno, quasi toccando il naso dell’altro, e ritorna alla sua sdraio, stanco.
Andata bene. Massimo si rincantuccia di nuovo dietro le palpebre sollevate quel tanto che bastava per inquadrare distrattamente la scena, sprofonda di nuovo in un caldo buio fetale, e: «Secondo te» dice l’avvocato, «quello s’avvia veramente in Venezuela con l’idea dei diamanti?».
Non lo sa, non gliene importa niente: glielo fa capire con un gesto. L’acqua sarà evaporata nell’orecchio? Le parole gli sono arrivate in un ronzio, come da una conchiglia.
Giù sulla spiaggia, davanti alla terrazza, i tre ragazzini stanno giocando a palla. Due eseguono passaggi e tirano a volo in porta, l’altro para a tuffo anche quando non è necessario. Massimo sente l’hop-hop di Giggino Cannavacciuolo che in quel momento arriva di corsa sulla palla: «Para!» grida al portiere, e tira una cannonata euforica, sleale, a tre metri dalla porta. Il ragazzino si scosta rassegnato a subire il gol, poi corre di malavoglia a recuperare la palla finita in mare.
«Microcefalo, paranoico… per lo meno sapesse che significa! Cose-da-pazzi-cose-dell’altro-mondo, con questa mania delle parole difficili un giorno o l’altro lo portano al manicomio. Dice àdipe, madornale, erroneo, per lui, hai capito? è come se ’ste parole fossero parole straniere. Tutto muscolo e niente cervello, non è capace di fare quattro chiacchiere filate, comincia coi sorrisetti che non sai se ti sfotte o sta pensando a un’altra cosa, ride storto, parla amaro, pare che gli hanno fatto chi sa che, e non ti dico se vengono fuori i nomi di quei due o tre guagliòni come, mettiamo, Sasà Santelli, Guidino Cacciapuoti, Livio De Martino… be’, di’ che hai visto Sasà nello yacht della Serino di Castelforte o sul motoscafo di Carlottina Capece-Latrio, e guarda la faccia che fa… “Filuccio! Portami un bicchiere di seltz con una scorza di limone dentro!”» Mentre Filuccio s’avvia lo trattiene a volo per un braccio: «Fredda, mi raccomando!». Riprende il giornale: «Uffaaà! oggi si crepa!» e con l’occhio fermo sul titolo IN COREA SI COMBATTE, ripete «Benebenebene…».
Lieve lieve lieve un venticello porta lontano, sul mare, le sue parole, sul mare dove un cutter con le vele gonfie fila verso terra. Ninì lo sta seguendo con lo sguardo. Si sforza di distinguere dai colori della bandiera o della striscia sulla linea d’acqua, a quale Circolo Nautico appartiene.
Si alza dalla sdraio per guardare meglio e si mette a cavalcioni sulla ringhiera della terrazza, in vedetta, con la mano a visiera sugli occhi. Alle sue spalle parlano ancora del Venezuela. Glauco dopo lo sfogo s’è calmato, ora sembrano tutti presi dalla voglia di andarsene con lui, nel gruppo circola una brezzolina di euforia, parlano dei milioni di Dodero… Milioni? Miliardi, vuoi dire. Più di Onassis. – Che faresti tu coi soldi di Dodero? E che farebbe Dodero coi soldi miei, quello voglio vedere, pure lui buttato sopra la terrazza di un Circolo sotto un sole cocente! Sì sì, meglio levare mano, te ne vai in Venezuela, paese giovane, per lo meno non vedi più le stesse facce! Come fa Elio che ogni tanto scompare, sai che è partito, e quando ritorna tutti s’interessano a lui.
«… già, e poi come fai?»
Glauco: «Come faccio che?!». È già esasperato, aggressivo.
Risponde un altro più calmo, per lui: «A Capri come fai? Vai per una settimana coi soldi che bastano per un giorno e ci resti un mese. Tutt’è arrivare, e una volta a Caracas voglio vedere chi te ne caccia!».
«Io, veramente, a Capri non ci sono mai stato.»
E Glauco: «Bravo, bravo, pupetto!» con l’aria di dire: ma si può sapere che campi a fare? e con un sorriso mellifluo che allude a chissà quali avventure capresi, tutte senza testimoni, si capisce.
Pure Ninì a Capri ancora mai stato, ma non lo va dicendo «Uno di questi giorni ci vado, e allora…». Senza voltarsi per prender parte alle chiacchiere di quelli, lancia uno sguardo d’intesa all’isola azzurrina che naviga tra i vapori del mezzogiorno. Quest’estate, decide. E soddisfatto di aver preso l’appuntamento, continua a seguire le evoluzioni del cutter che dopo una bordata punta deciso verso il pontile del Circolo.
«Dove hai detto?»
«Eh?»
«Dove hai detto che sta?»
«Guaranjho, Guarugno, un nome così.»
«Nelle pampe, t’immagini la polvere?»
Impiedi, con le spalle addossate al muro bianco di calce, Filuccio se li sta a sentire, suda sotto la giacchetta abbottonata fino al collo, tenta di rimanere sotto la protezione dell’ombra che ormai è ridotta ad una strisciarella larga nemmeno un palmo, alla base del muro. I discorsi di quelli, sul Venezuela, gli si annebbiano nella testa: Tonino Peluso ha fatto fortuna tanto è vero che per due volte è venuto col Saturnia in prima classe, Mario Pestilli – se lo ricorda ancora guagliòne quando veniva al Circolo – diventato collaudatore di una fabbrica di aeroplani in Brasile a novecentomila mensili… Ogni tanto perde il filo, cade in una specie di sonnolenza canina bruscamente interrotta dalla voce di un padrone che chiama: Filuccio! «Ettore De Sario, e come no? Anche lui ha conosciuto, ora sposato a San Paulo con la vedova di un fabbricante di contrabbassi, sfondata, dice. Giovanni Criscuolo, sempre scapato quello! Nel Mato Grosso, come si chiama, ha trovato i diamanti, oggi nei bar di Rio chiede un Martini e dà al barista un diamantino di mancia…»
«Uuuuuuuuuh!…»
Ninì ulula, voltandosi per un momento, disgustato dall’esagerazione. Il cutter s’è fermato prua al vento, una barca col marinaio del Circolo s’è staccata dal pontile e s’accosta per prendere a bordo, adesso lo riconosce benissimo, quel fesso di Cocò Cutolo. E chi è quella meraviglia con lo slip nero, che Cocò, cose da pazzi! sta aiutando a scendere nella barca?
Il pontile dove sbarcheranno sta dall’altro lato del campo di tennis, sotto la terrazza degli spogliatoi. Vediamo un po’ di che si tratta. Strascicando gli zoccoli come pattini, come per dire col rumore che fanno, io me ne fotto di tutti, aria e sguardo sicuro, indisponente, Ninì entra, per acquistar tempo, negli spogliatoi, così non pare che uno è andato là apposta a riceverli.
È un po’ prima dell’una un po’ dopo mezzogiorno, l’ora dei soci anziani, di quelli che contano nel Circolo e non solo nel Circolo, capi, notabili, decani di questo e di quello, si stanno spogliando in fretta e furia, paroliandosi allegramente, manate, colpetti sulle pance, urlati commenti sui reciproci corpaccioni che sono veramente uno schifo… no, ha ragione mamma, non è un ambiente molto chic questo, pensa Ninì. E dire che lei non li ha visti negli spogliatoi, li vede solo nelle sale del Circolo dove assumono un contegno. Qui li dovrebbe vedere, è un’altra cosa qui, sono diversi, si lasciano andare al rutto, al peto, girano tutti nudi con quei piedi unghiogialluti, li senti euforici sotto le docce che si raccontano storie di casino, che parlano di troie con competenza, rispondono cordialmente ad un insulto, e sempre esagerati nelle parole e nei movimenti, con quelle facce segnate, come dice Massimo, dalle rughe degli infiniti sorrisi ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione. di Sandro Veronesi
  4. FERITO A MORTE
  5. I
  6. II
  7. III
  8. IV
  9. V
  10. VI
  11. VII
  12. VIII
  13. IX
  14. X
  15. APPENDICE
  16. Copyright