Andare avanti
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Andare avanti

In cammino per ridare un senso alla vita

  1. 144 pagine
  2. Italian
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Andare avanti

In cammino per ridare un senso alla vita

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Informazioni sul libro

«A un certo punto Marta mi prese la mano e mi confessò: "Nulla mi fa più felice che aiutare il prossimo, Christian. Credo che sia doveroso far qualcosa in più per sostenere chi ha bisogno. Mi sta girando nella testa un'idea: un viaggio itinerante in Italia per raccogliere fondi per la ricerca sulle malattie rare. Sarebbe anche un modo per farle conoscere alla gente". La sua mano mi trasmetteva un'incredibile energia, i suoi occhi erano colmi d'amore, l'amore per il prossimo.» Christian Cappello e Marta Lazzarin sono una giovane coppia all'apice della felicità: insieme hanno girato il mondo, insieme hanno creato un coinvolgente lavoro nella new economy e costruito la loro casa. E ora aspettano il loro primogenito di cui hanno già deciso il nome: Leonardo.

Tutto procede per il meglio, ma all'improvviso Marta muore in modo fulminante. E con lei se ne va anche il bambino che porta in grembo.

Dopo settimane di sorda disperazione, Christian si ritrova a camminare lungo un sentiero, come in trance, per diverse ore. Quando rientra in sè, sente di essere preda di un'insolita euforia fisica e di una nuova consapevolezza: il progetto che Marta gli aveva accennato a Natale - aiutare le persone colpite dalle malattie rare - sarà anche quello della sua rinascita.

Christian fonda quindi la onlus Marta4kids e si mette in cammino. Impiegherà quasi un anno per visitare di persona i ventisette centri di ricerca sulla fibrosi cistica sparsi in tutto il territorio italiano. Camminerà a costo zero, raccogliendo soldi per la onlus e ospitalità per sè. Incontrerà migliaia di persone, malati di ogni tipo, familiari, medici, giornalisti, sindaci e semplici curiosi. A tutti racconterà che il senso della vita, anche quando è la vita stessa ad apparire ingrata e ingiusta, è l'amore per gli altri: l'ultima, semplice lezione di Marta.

Questo libro è il diario di una avventura vera, partita da Bassano il 2 aprile 2016 e continuata per oltre quattromila chilometri di eccezionale solidarietà.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
ISBN
9788852083143
Categoria
Viaggi

1

Dal lucernario posto al centro del tetto il sole d’agosto illuminava i frammenti di polvere, legno e lana di roccia che fluttuavano nell’aria. L’alta concentrazione del pulviscolo, che si librava leggero, definiva il confine tra luce e ombra e mi teneva compagnia durante i lunghi weekend di lavoro.
Indossai velocemente la tuta che mi proteggeva dalla lana di roccia che maneggiavo da mesi, feci un salto in garage a prendere l’ultimo rotolo e ritornai alla scala a pioli che mi permetteva di salire al piano di sopra. Come sempre, sotto il mio peso, scricchiolò. Mi ero arrampicato così tante volte lì sopra che ormai quel rumore mi era diventato familiare: lo consideravo uno speciale benvenuto in soffitta.
Con la mano sinistra mi sorreggevo ai pioli, mentre con la destra trascinavo il pesante sacco su per la ripida scala. Arrivato all’ultimo gradino gettai la lana di roccia sopra il soppalco con un movimento circolare del braccio ormai collaudato e l’impatto del rotolo sul legno del pavimento sollevò una nuvola di polvere che mi fece starnutire.
Infilai i guanti e abbassai sul naso la mascherina che portavo tra i miei capelli già imbiancati di polvere. Mi misi al lavoro. Con il taglierino incisi gli ultimi dodici pezzi di isolante e li spinsi delicatamente nell’intercapedine che avevo creato tra le tavelle che sostengono le tegole e le belle travi che avrebbero caratterizzato gli alti soffitti della casa.
Con quel gesto avevo portato a termine l’isolamento e il rinnovo dei centododici metri quadri di tetto. Era stato un lavoro durissimo, durato quasi un anno, fatto di sudore e prurito causato da quella maledetta lana di roccia: non sono mai riuscito a spiegarmi come riuscisse a oltrepassare tuta e guanti.
Quando osservai il lavoro compiuto, però, non sentii più la fatica dei tanti mesi passati lassù, provavo soltanto pura soddisfazione. Ce l’avevo fatta.
Incurante della polvere mi stesi a terra e passai un paio d’ore a osservare tutto ciò che avevo creato con le mie mani. Più i miei occhi ispezionavano ogni piccolo particolare di quel tetto, più il mio cuore si riempiva di felicità.
Marta e io avevamo comprato quella vecchia casa malandata per via della sua posizione centrale e per le sue potenzialità: la ristrutturazione l’avrebbe resa bellissima, proprio come la volevamo. Sì, certo, c’erano ancora molte cose da fare, ma eravamo a buon punto.
Mentre mi godevo quel momento speciale, si aprì la porta d’ingresso e in un bagno di luce, luminosa come sempre, entrò Marta.
«Ciao Christian» mi disse, «ti ho portato una birra ghiacciata e un po’ di vitello tonnato. Vieni giù?»
«Arrivo, amore» risposi.
Scesi rapidamente dalla scala, mi tolsi guanti, mascherina, tuta e la strinsi forte tra le mie braccia.
Il sole stava tramontando. Nell’angolo di quella che sarebbe diventata la nostra cucina c’era un vecchio tavolino impolverato che usavo per posare gli attrezzi da lavoro. Spostai da lì l’avvitatore, la scatoletta delle viti e il potente trapano demolitore che mi aveva rotto le braccia per quasi un anno. Ecco, ora era libero. Recuperai l’aspirapolvere industriale, anch’esso ricoperto di polvere, infilai la spina nella presa e avviai il motorino d’aspirazione.
Afferrai il lungo tubo nero e lo passai tra le assi del tavolo bucherellate dai tarli, aspirando ogni granello di polvere. Il tavolo tornò al suo colore originale.
Marta estrasse dalla sua borsa a fiorellini rossi una tovaglia bianca a righe blu e, lanciandola in aria, la fece planare dolcemente sul tavolo. Poi tirò fuori due tovaglioli di carta, sopra i quali dispose con meticolosa attenzione coltelli e forchette, posò con una geometria perfetta i piatti e li riempì con il vitello tonnato.
Avevo una fame mostruosa, e Marta lo sapeva: razione doppia per me.
Ci sedemmo su un paio di vecchie sedie. Mi versai un bicchiere di birra, lo bevvi tutto d’un fiato e, alzando le braccia al cielo, fiero come un condottiero al termine di una battaglia, annunciai, guardando con ammirazione il soffitto: «Ho una bellissima notizia da darti: ho finito. Ci sono voluti quasi undici mesi, ma credo che ne sia valsa la pena. Ti piace?».
Marta non mi dava mai troppa soddisfazione: era convinta che si potesse sempre fare meglio. Del resto, anch’io la pensavo come lei. In quell’occasione, però, mi stupì.
Alzò i suoi occhioni azzurri verso il tetto. «Amore» disse, «hai fatto un lavoro impeccabile, bravo! Non ho mai messo in dubbio la tua abilità manuale, ma questa volta ti sei superato!»
Per un attimo rimasi sorpreso dall’inaspettato complimento e non riuscii a togliermi dalla faccia una specie di stupido sorriso. Riuscii soltanto ad alzarmi dalla sedia e, protraendomi verso di lei, a baciarla.
«Christian, ho anch’io una bella notizia» disse lei, e non aggiunse altro. Era molto brava a creare suspense.
«Me la dici?» le sussurrai dolcemente.
Esitò un altro attimo e, guardandomi dritto negli occhi, con una dolcezza che solo una madre può avere, annunciò: «Aspettiamo un bambino!».
Provai immediatamente una strana sensazione di beatitudine, mi sembrò di vivere un sogno.
«Io diventerò papà?» riuscii a dire, con la voce spezzata dall’emozione.
«Sì, amore, tra un po’ lo sarai.»
Incredulo, feci il giro del tavolo, inciampando goffamente in un cavo, e l’abbracciai così forte che lei, in tono scherzoso, mi avvertì: «Christian, mi fai male!».
Mi inginocchiai davanti a lei e con un orecchio appoggiato al suo pancino sussurrai al nuovo arrivato: «Ciao, sono il tuo papino, e ti voglio tanto bene. Benvenuto sulla Terra!».
Avevo appena ricevuto la più bella notizia di sempre. Un brivido mi salì dalla schiena e raggiunse le spalle, finché non si trasformò in lacrime di gioia.
«Che fai?» disse. «Piangi per la disperazione?»
«Sì, amore, sono disperatamente innamorato di te. I love you.»
Fu proprio in quel momento che tutte le mie priorità cambiarono radicalmente: sarebbe cominciato il più bel capitolo della mia vita.
Chiesi a Marta di seguirmi e incominciai a spostarmi spedito di stanza in stanza, indicando vari punti del cantiere. «Dobbiamo finire al più presto la casa! Dobbiamo ordinare subito la cucina, posare il pavimento, imbiancare le pareti, andare all’Ikea, commissionare la pavimentazione esterna, piastrellare il bagno, ordinare la doccia e…»
Lei mi interruppe subito con il suo bel sorriso rassicurante: «Una cosa alla volta, amore. Non ti preoccupare, ce la faremo!».
I denti di Marta erano così bianchi che mi sembrarono delle perle perfettamente allineate appartenenti a un gioiello di inestimabile valore.
Amavo quel sorriso che mi dava forza e mi sosteneva sempre, nei momenti di gioia e in quelli di difficoltà; quel sorriso riusciva a cancellare ogni mio pensiero negativo, e per me era magico e indispensabile. Spesso mi trovavo a pensare a come avrei fatto a vivere senza la sua incredibile positività.
Nei giorni successivi scrissi una lunghissima lista delle nostre priorità e iniziai a seguirla scrupolosamente, passo dopo passo, senza tralasciare nulla. Ogni volta che cancellavo una riga vedevo la fine dei lavori avvicinarsi, il nostro progetto concretizzarsi.
In quel periodo, oltre a gestire i contatti e i materiali di sponsorizzazione di un’importante azienda della zona, ero un consulente per la realizzazione di strategie marketing relative a social media e siti web. Tenevo corsi in diverse aziende per usare al meglio la fotografia, applicandola a Instagram, e grazie ai numerosi follower dei miei account social media e al grande pubblico di blogdiviaggi giravo il mondo per far scoprire, con i miei racconti, bellezze più o meno conosciute del meraviglioso pianeta in cui viviamo.
Nonostante il mio lavoro mi piacesse, lo sentivo un po’ d’impiccio, mi sembrava di sottrarre tempo alla realizzazione dei nostri sogni. In ogni caso avevo troppe cose da fare in casa e mi servivano molti soldi, era indispensabile fatturare il più possibile. Cercavo comunque di non trascurare mai la mia lista: tra un meeting e l’altro chiamavo gli artigiani, fissavo appuntamenti e chiedevo preventivi, e ognuno di questi passaggi era mirato a portare a compimento i lavori spendendo il meno possibile.
Acquistai dei listoni in legno e, con l’aiuto di Marta, li installai alla perfezione, creando così il meraviglioso pavimento flottante della casa. Non avevamo mai svolto un lavoro del genere prima: per installarli avevamo cercato dei tutorial su YouTube che purtroppo non ci avevano aiutato molto, ma alla fine eravamo riusciti a capire il meccanismo di incastro e a risparmiare così i duemila euro che ci aveva richiesto un artigiano. In cinque giorni avevamo realizzato il nuovo pavimento.
In una settimana scavai in giardino circa novanta metri lineari di fossato della profondità di settanta centimetri per far passare i tubi di gas e acqua, risparmiando altri milleottocento euro. Imbiancai tutta la casa risparmiandone altri duemila. Andai personalmente a comprare le mattonelle, la doccia, i sanitari, varie colle e siliconi, e passai pomeriggi interi con il fiato sul collo dei piastrellisti, che pagavamo a ore.
Di sera, mentre io lavoravo alla casa, lei si sedeva sul nuovo divano nero a forma di elle e gestiva l’intricato mondo del blogging: rispondeva alle mail, dava consigli spassionati agli utenti, organizzava viaggi stampa. Nelle brevissime pause che ci concedevamo discutevamo del nome da dare al nostro primogenito. Chissà perché ero sicuro che sarebbe stata una femmina. Quanti nomi, quanta emozione, quante risate.
Alla fine decidemmo di chiamarla Sydney, un nome esotico che ci piaceva davvero tanto. Marta ogni tanto mi chiedeva: «E se fosse un maschio?». Allora io le rispondevo sistematicamente: «Impossibile, sono sicuro che è femmina, non mi sbaglio!».
«Ok» mi diceva. «Se lo dici tu…»
Giunse finalmente il giorno dell’ecografia che avrebbe rivelato il sesso del bambino. Entrammo in ospedale mano nella mano pieni di curiosità ed energia. Ricordo il passo deciso di Marta scandito dal ticchettio delle sue scarpe che riecheggiava lungo il corridoio. Ci sedemmo di fianco a un gruppo di future mamme che, come noi, aspettavano il proprio turno. Nell’attesa, per rompere la tensione, ci divertimmo a commentare gli arredi così freddi dell’ospedale.
Ci chiamarono dopo una mezz’oretta. Entrammo in una stanza piena di macchinari; alle pareti erano state affisse delle foto di ecografie in 3D, dove i bimbi, all’interno del grembo materno, apparivano molto chiaramente. Ero davvero curioso di vedere per la prima volta il mio bambino.
Non appena Marta si sdraiò sul lettino, il ginecologo le scoprì la pancia, le spalmò del gel e posò la sonda. Si spensero le luci, come al cinema: stava per iniziare il grandioso spettacolo della vita. Ci vollero solo pochi secondi per sentire per la prima volta il cuore di mio figlio, che, come il mio, batteva fortissimo. Sullo schermo vidi le sue minuscole gambe che già scalciavano e la sua piccola testa adagiata all’utero materno. Non riuscivo a credere che quello fosse davvero mio figlio, mi commossi.
Passarono pochi minuti, durante i quali la sonda si mosse a destra e a sinistra sulla pancia di Marta. A un tratto il ginecologo si fermò e, con un sorriso, disse convinto: «...

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  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Andare avanti
  4. 1
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  6. 3
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