Oro bianco
eBook - ePub

Oro bianco

Storie di uomini, traffici e denaro dall'impero della cocaina

  1. 276 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Oro bianco

Storie di uomini, traffici e denaro dall'impero della cocaina

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Fino agli anni Novanta, la cocaina era una droga d'élite, riservata a pochi ricchi in vena di originalità. Oggi è «sballo» di massa, popolare e a buon prezzo: c'è chi la fuma e chi la sniffa anche tutti i giorni, perché tanto «basta chiederla e la trovi ovunque». Il mondo della cocaina è un immenso suk, un grande mercato di miraggi e illusioni, un piacere effimero costruito sull'inganno della mente. È, soprattutto, un mercato che non conosce crisi. Secondo l'Unodc, l'ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, nel 2012 nel mondo 243 milioni di persone fra i 15 e i 64 anni hanno assunto almeno una volta sostanze illecite. Fra tutte, la cocaina è la più richiesta e la più venduta dalla 'ndrangheta. Per i boss della mafia calabrese, la «neve» è profitto, guadagno, flusso costante di liquidità che capovolge il pensiero economico classico, secondo cui la criminalità non «produce» perché distrugge, e non genera ricchezza. In queste pagine, frutto di un lavoro di ricerca e sul campo senza precedenti, Nicola Gratteri e Antonio Nicaso ricostruiscono i grandi traffici di cocaina nel mondo in un viaggio che dalla Colombia ci porta fino in Calabria, seguendo le tappe del business planetario che arricchisce i narcotrafficanti, impoverisce e uccide i tossicodipendenti, contamina il sistema bancario, corrompe le classi dirigenti. Hanno visitato le piantagioni di coca in Colombia (dove per coltivare un ettaro di arbusti se ne disboscano quattro di foresta, con danni gravissimi all'ambiente) e sono entrati nei laboratori dove dalla foglia della pianta viene ricavata la «pasta base» (che ai contadini viene pagata pochissimo, ma moltiplica il proprio valore a ogni passaggio, fino a raggiungere cifre da capogiro quando arriva al cliente finale); sono stati in Bolivia, Perú, Argentina, Brasile, Canada, Messico, Stati Uniti, ma anche in Africa (il «magazzino» dove vengono stoccate tonnellate di cocaina da trasferire nelle più importanti piazze europee) e in Australia (il paese in cima alla classifica dei consumatori di droga al mondo, e dunque un mercato che fa gola ai narcos). E poi in Germania, Austria, Spagna, Portogallo, Irlanda, Belgio, Olanda, per ricostruire le rotte di aria, mare e terra lungo le quali la cocaina passa dal produttore al consumatore. Hanno intervistato decine di investigatori, giornalisti, esperti, avvalendosi della preziosa collaborazione delle forze di polizia italiana e straniere specializzate nel narcotraffico. Oro bianco è un libro rivelatore e appassionante, tragicamente vero, ma al tempo stesso capace di riaccendere la speranza di poter debellare, prima o poi, quello che senza ombra di dubbio può essere considerato un vero flagello mondiale.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Oro bianco di Nicola Gratteri,Antonio Nicaso in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Social Sciences e Violence in Society. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852063541

Colombia

Qui, dove tutto inizia. La Colombia. Paradiso dell’ossimoro, identità degli opposti, solitudine senza tristezza, come la definisce Gabriel García Márquez, il cantore di Macondo.1 In Colombia, dove negli anni Ottanta la ’ndrangheta acquista le prime partite di cocaina, tutto è esagerato: la bellezza dei luoghi, la violenza che insanguina il mercato della droga, lo sfruttamento dei più deboli, l’affabilità della gente.
Peppino Impastato diceva che «non ci vuole niente a distruggerla, la bellezza […] bisognerebbe insegnare alla gente a riconoscerla, a difenderla».2
Quella della Colombia è bellezza sfregiata, come il Cristo di Zervò, sull’Aspromonte, ai tempi dei sequestri di persona. Una bellezza deturpata dalla guerra sucia che, coinvolgendo esercito, paramilitari e guerriglieri, negli ultimi cinquant’anni, ha fatto da contraltare alle spiagge caraibiche, alla foresta amazzonica, alla cordigliera andina, in un Paese che potrebbe garantire lavoro e benessere a molti, grazie alle miniere di oro, smeraldi, carbone e alle piantagioni di ortaggi, tabacco e caffè, di cui trabocca il suo territorio. E che, invece, continua a convivere con la violenza e la corruzione, la delinquenza, lo spaccio a livelli industriali, la solitudine e la paura…
Del vecchio mito dei conquistadores rimane solo il nome, El Dorado, impresso sulla facciata dell’aeroporto di Bogotá, terzo in America Latina per numero di passeggeri e primo per quantità di merci in transito. Gli unici che ancora ritengono questo Paese un Eldorado sono i trafficanti di cocaina che sfruttano il lavoro dei granjeros, i coltivatori di coca, raccogliendo cifre da capogiro. È gente senza scrupoli, per la quale la vita di un uomo vale meno di quella di un cane randagio.
In alcuni quartieri di Bogotá, la capitale, nove milioni di abitanti, la paura è quasi fisicamente percettibile. Dopo le otto di sera, facce patibolari, spesso minacciose, quasi sempre disperate, si aggirano senza meta. Come tante schegge impazzite. Molti sono desplazados, profughi interni della guerra sporca, vittime del narcotraffico e del disboscamento selvaggio che sta divorando la foresta amazzonica.
Isabel Cortéz ha il terrore ancora stampato in faccia. Agli inizi degli anni Novanta viveva in un villaggio fatto di case di argilla e canna selvatica, sulla riva di un fiume. «Ci facevano inginocchiare con le mani legate dietro la schiena» racconta. «Ci intimavano di lasciare le nostre case. Chi si rifiutava, veniva torturato e ucciso. Ad alcune donne, mie vicine di casa, hanno strappato gli occhi con un cucchiaino.» Undicimila vittime in pochi anni, per sfollare a sangue e fuoco i contadini dalle loro case, come riferisce Salvatore Mancuso, ex capo delle Auc, l’Autodefensas Unidas de Colombia, i paramilitari di estrema destra, fino a pochi anni fa in guerra con i guerriglieri delle Farc, le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, e dell’Eln, l’Ejército de Liberación Nacional. Ai magistrati, Mancuso confessa di aver ricevuto pagamenti milionari da parte dei dirigenti di una multinazionale americana delle banane, interessata alle terre nella regione dell’Urabá, lungo la costa nord del Paese, in quello che Terry Colling Sworth, esperto americano di diritto internazionale, definisce «il caso di terrorismo più grande della storia recente, con tre volte il numero delle vittime dell’attacco alle Torri Gemelle».
Juan Cordero, che da sempre sopravvive di espedienti al Cartucho, il quartiere dei dannati tra la Calle 9 e 10 e la Carrera 15 e 16, a meno di un chilometro dal palazzo presidenziale, racconta altre atrocità: «Molti miei familiari sono stati ammazzati come cani da uomini in tuta mimetica, protetti dal governo» ricorda. «Non hanno guardato in faccia nessuno, né donne, né bambini. La sera, le mosche ronzavano sopra i corpi e le pozze di sangue.» Entrare nel barrio del Cartucho è come scendere all’inferno, un posto carico di miasmi e di umanità cenciosa. Molti abitanti sono indios strappati dalla loro terra, i cui unici averi sono gli stracci che si portano addosso.
Qui si raduna la feccia della città: c’è chi inala le esalazioni del pegante, una colla vischiosa ricca di diluenti, e chi fuma basuco, un prodotto di scarto della raffinazione della cocaina, che contiene un’alta percentuale di principio attivo, crea una potente dipendenza ed è estremamente tossico.
Secondo le Nazioni Unite, i tossicodipendenti in Colombia sono 342.891, mentre più del 12 per cento dell’attuale popolazione ha consumato droghe illecite.
«¿Hola, señor, tiene dinero?» chiede un vecchio senza denti. Poco più in là, una prostituta ammicca. In questo bivacco dell’autodistruzione, come lo definisce Francisco Amín, il poeta dei diseredati, si trova di tutto: cocaina, eroina, marijuana, armi, bimbe da violentare. Chi finisce al Cartucho è considerato vuoto a perdere, desechable, usa e getta, come le cose inutili.
Stesse facce e medesima disperazione nella zona di Soacha, una città a sud di Bogotá, ottocentomila abitanti, molti dei quali desplazados, che vivono senza acqua né servizi, tra tavole e lamiere, strade di fango, baracche e topi.
In questa realtà cresciuta a dismisura, tra sovraffollamento e indigenza, la violenza è radicata. Nell’agosto 1989, proprio nella piazza del Municipio, viene ucciso Luís Carlos Galán Sarmiento, candidato alla presidenza della Repubblica colombiana. In un Paese dove il 13 per cento della popolazione infantile soffre di malnutrizione, come documenta nel 2009 un rapporto del Centro de Estudios sobre Desarrollo Económico (Cede) dell’Università delle Ande,3 molti giovani di Soacha finiscono nella rete delle bande criminali, per necessità, per fame, per soldi.
Allo stesso tempo, Soacha è la città delle tante madri che chiedono giustizia per le stragi dei cosiddetti falsos positivos, decine di migliaia di vittime, spesso contadini inermi, uccisi da frange dell’esercito colombiano e fatti passare per guerriglieri solo per giustificare la ricompensa garantita dal governo con i fondi della cooperazione internazionale.
Ana ha il viso rotondo, gli occhi grandi e scuri, i capelli neri. «Mio figlio è uscito di casa e non è più tornato» dice tra le lacrime. «Non aveva niente a che fare con le Farc. Sperava solo di affrancarsi dalla miseria.»
Per la vicenda dei falsos positivos c’è stato, finora, un unico processo, concluso il 15 luglio 2011 con la condanna di otto militari a pene che vanno da tre settimane a cinquantacinque anni di reclusione.
La Colombia che abbiamo conosciuto nel nostro percorso alla scoperta del lungo viaggio dell’«oro bianco» è questa, fatta di miseria e violenza, ma è anche quella dell’orgoglio dei tanti poliziotti e militari che per il loro Paese sognano un futuro di pace, dei molti colombiani colti e per bene incontrati per le strade, dei commercianti che ti accolgono sempre con un sorriso nel mercatino a ridosso del Museo del Oro, a pochi passi dal parco Santander, a Bogotá.

La coca cresce nella foresta

L’Amazzonia è il polmone verde del mondo, con una superficie di 643.000 chilometri quadrati, più del doppio dell’Italia, tra paludi di mangrovie e foreste vergini.
Qui, dove gli schiavi africani sono stati deportati dai conquistadores spagnoli per cercare l’oro nei fiumi che scendono dalle Ande, si coltiva la foglia di coca, la materia prima della cocaina, la regina delle droghe.
Narra una vecchia leggenda che un anziano indigeno abbia chiesto aiuto al dio Sole per sopportare le sofferenze della schiavitù. «Vedi questa piccola pianta dalle foglie ovali che ho fatto crescere?» rispose il dio. «Di’ alla tua gente di masticarne le foglie, il succo allevierà le pene della fame e della stanchezza. E se le masticherete tutti insieme, condividerete momenti di fratellanza e unità.»
Ancora oggi, chi mastica a lungo le foglie dal sapore aspro che crescono sotto forma di arbusti o piccoli alberelli sempreverdi, è convinto di poter sopportare la fatica, i disagi e qualsiasi disturbo provocato dalla scarsa ossigenazione dovuta all’altitudine di certe regioni andine.
Vista dall’alto, la foresta amazzonica sembra uno sterminato tappeto verde con una vegetazione fittissima, solcata da migliaia di chilometri d’acqua pigra color cacao. È una delle tante aree immolate sull’altare dell’«oro bianco», dove cresce bene la coca boliviana (Erythroxylum coca), la varietà più ricca di alcaloidi (ne contiene dal 70 all’80 per cento, contro il 50 per cento della varietà peruviana).
Si calcola che per ottenere un ettaro di terreno destinato alla coltivazione della pianta di coca sia necessario disboscarne almeno quattro di selva. Finora, nella sola Colombia sono stati distrutti oltre due milioni di ettari di foresta tropicale, un’area equivalente alla Toscana.
Ogni tanto si vedono vaste chiazze grigie: sono i terreni dove si coltivava la coca che sono stati colpiti dalle fumigazioni, in cui si spargono dall’alto erbicidi molto dannosi anche per il resto dell’ambiente naturale e per gli abitanti. «Per distruggere seicento ettari di piantagioni con le aspersioni aeree ci mettiamo tre giorni, con l’eradicazione manuale due mesi» spiega Noel Alfredo Amorocho Martínez, maggiore della Policía Nacional. «L’eradicazione manuale, inoltre, comporta rischi alla nostra incolumità. Le bande criminali e i guerriglieri fanno di tutto per proteggere le coltivazioni di coca. Nella selva, il pericolo è continuamente in agguato.»
Le fumigazioni, però, fanno molto discutere. Bandite in Bolivia e Perú, vengono praticate solo in Colombia. «Nei miei campi hanno distrutto ettari di canne destinate a uno zuccherificio» racconta Manuel Barbano, un contadino del Putumayo. «Con le fumigazioni è andato tutto distrutto. Il governo non è si mai scusato, ci hanno coperto di veleno, come fossimo topi.»
Tantissimi granjeros attribuiscono proprio ai raid erbicidi la responsabilità degli enormi danni alla catena alimentare e alla biodiversità. «Sono la causa dell’aumento di forme tumorali, di problemi dermatologici e di una più alta percentuale di aborti» denunciano. «È un ecocidio.»
La polizia nazionale e il ministero di Giustizia respingono le accuse: «Ci sono 180 studi e nessuno attribuisce alle aspersioni di glifosato particolari danni all’ambiente o alla salute pubblica». E aggiungono: «Fanno più danni gli insetticidi e i fungicidi di scarsa qualità acquistati a poco prezzo dai granjeros e utilizzati per proteggere le coltivazioni di coca».
In una sorta di progetto pilota, nella zona del Catatumbo, al confine con il Venezuela, si è tentato di evitare le fumigazioni, ma la produzione di coca è aumentata, benché i granjeros si fossero impegnati a distruggere manualmente le piantagioni in cambio di investimenti nei settori della pubblica istruzione e dei servizi sociali. «È stata un’esperienza fallimentare» dichiara ancora Noel Alfredo Amorocho Martínez. «Prima di criticare le fumigazioni bisognerebbe valutare l’impatto sulla salute pubblica, sulla biodiversità e sulla catena alimentare dei precursori chimici che vengono dispersi nell’ambiente dai cocineros, i chimici addetti alla raffinazione della cocaina.»
Ogni anno, infatti, nelle varie fasi di lavorazione della foglia di coca vengono impiegati decine di migliaia di tonnellate di cemento, almeno 250-300 milioni di litri di benzina e qualcosa come 120-150.000 litri di acido solforico, elementi indispensabili e in quantità industriali, che comportano problemi di vario genere, per il reperimento, lo stoccaggio, la conservazione e – al termine del procedimento – l’eliminazione dei residui, che vengono abbandonati senza alcun riguardo per niente e per nessuno. I narcos e i loro «manovali» sono come le marabuntas, le voraci formiche tropicali che al loro passaggio annientano ogni forma di vegetazione.
Fabio Castillo, un giornalista molto attento al fenomeno del narcotraffico,4 già nel 1996 chiama in causa gli interessi economici di alcune grandi società: «L’acetone proviene dagli Stati Uniti e viene introdotto da una nota multinazionale, che giustifica l’importazione con le necessità di una propria fabbrica di sigarette a Cali, mentre i giganteschi carichi di bicarbonato di sodio, sequestrati in Colombia a un’impresa statale polacca, erano destinati a un’unica e importante azienda di dentifrici con sede a Cali».
Diciotto anni dopo, la situazione non è cambiata. Il trucco, noto come «disvio di precursori», sta nella capacità di stornare dalle regolari transazioni il quantitativo di prodotto necessario a rifornire i laboratori clandestini, in modo che il «prelievo» passi inosservato. Il permanganato di potassio, per esempio, è una sostanza chimica lecita, utilizzata per la purificazione dell’acqua, per il trattamento dei rifiuti e per le produzioni tessili e conciarie, ma è fondamentale anche per la raffinazione della cocaina. Chi dovrebbe controllare e impedire la diversione dei precursori non lo fa e così, oltre al permanganato di potassio, allo stesso modo nei laboratori dei narcos arrivano in grande quantità reagenti, solventi e catalizzatori, ovvero tutte le sostanze necessarie per produrre l’«oro bianco», la «neve», come viene anche chiamata la cocaina. Dove, poi, queste sostanze chimiche vadano a finire non è un problema che riguarda i narcos.5 A loro interessa solo il denaro, la plata. Il fatto che le falde acquifere siano inquinate, che i bambini possano bere acqua contaminata, che la vegetazione soffra, che l’aria sia irrespirabile, che gran parte della popolazione faccia la fame e spesso muoia della peggior droga possibile è del tutto ininfluente.

Dalla foglia all’«oro bianco»

Pedro Sánchez, nipote di un vecchio cocinero, vive nel barrio Las Cruces, uno dei più vecchi quartieri operai di Bogotá. «Contrariamente al caffè, la coca cresce dappertutto, anche in zone impervie. Quattro raccolti di foglie l’anno, una tettoia di lamiera per il laboratorio, ed è fatta.» I laboratori, alimentati da un generatore elettrico, sono nascosti nel folto della foresta, vicino a un fiume, perché per la produzione sono necessarie grandi quantità d’acqua.
La pianta di coca è un arbusto folto, dalle foglie ovali di un bel verde brillante. I coltivatori potano regolarmente i cespugli, in modo che non superino mai una certa altezza, per rendere più agevole la raccolta delle foglie.
Il raccolto viene effettuato, a seconda delle zone, da quattro a sei volte l’anno. I raccoglitori sono sempre molto giovani, spesso ragazzini, che anziché andare a scuola passano le proprie giornate a strappare con le mani le foglie di coca dai ramoscelli. Procedono a oltranza, e riescono ad accumularne anche più di 20 chili in un giorno di lavoro.
Quando il carico è completo, le foglie vengono portate nei pressi del laboratorio. La lavorazione può differire in alcuni dettagli, ma i passaggi salienti sono più o meno gli stessi in ogni Paese produttore. A volte le foglie vengono fatte seccare prima di essere lavorate, altre volte vengono utilizzate fresche. Spesso vengono sminuzzate, in altri casi lasciate intere, ma sempre vengono immerse prima in un miscuglio di candeggina e cemento, diluito con acqua, e poi nella benzina o nel cherosene, dove restano per alcune ore, in modo che gli alcaloidi contenuti si trasferiscano nel liquido solvente. Per accelerare e migliorare il passaggio degli alcaloidi, spesso gli stessi ragazzini procedono a pestare con i piedi nudi la massa di foglie e liquido, come si faceva un tempo con l’uva da vino.
Per pochi dollari al giorno, ragazzini di dieci-dodici anni rischiano ustioni e scottature, e respirano esalazioni venefiche senza soluzione di continuità.
Il liquido oleoso ottenuto dalla successiva «spremitura» deve essere in seguito decantato tramite una serie di procedimenti chimici. Il più diffuso è l’aggiunta dell’acido solforico, che consente di trasferire la cocaina disciolta nel cherosene all’acido, ottenendo solfato di cocaina, mentre una certa quantità di soda caustica neutralizza l’acido.
Il liquido lattiginoso che ne deriva viene integrato con ammoniaca, che fa cristallizzare il solfato di cocaina, mandandolo a depositarsi sul fondo del bidone di solito utilizzato dai cocineros, che infine filtrano il tutto con teli sottili, in modo da trattenere la parte solida, la cosiddetta pasta base di cocaina.
Qui finisce il lavoro dei cocineros e inizia quello dei narcos. Prima di acquistare la pasta base, i trafficanti ne sciolgono un poco in un cucchiaio sopra una fiammella. Se la droga diventa oleosa, la qualità è buona. Il colore bianco e la consistenza vischiosa ne rivelano la purezza. Comincia così il viaggio dei pa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Oro bianco
  4. Prologo
  5. Colombia
  6. Perú
  7. Bolivia
  8. Argentina
  9. Venezuela
  10. Brasile
  11. Messico
  12. Stati Uniti
  13. Canada
  14. Australia
  15. Africa
  16. Europa
  17. L’Italia: il porto di Gioia Tauro
  18. Le piazze del consumo
  19. Il riciclaggio di denaro
  20. Gli investimenti
  21. La ’ndranghetizzazione
  22. Conclusioni
  23. Note
  24. Ringraziamenti
  25. Copyright