Napoleone
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Napoleone

Un rivoluzionario alla conquista di un impero

  1. 576 pagine
  2. Italian
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Napoleone

Un rivoluzionario alla conquista di un impero

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Dalle selvagge montagne della Corsica alla gloria sui campi di battaglia, dai fasti imperiali all'angoscia dell'esilio. Una nuova esauriente biografia di uno dei personaggi più controversi dell'età moderna. L'edizione comprende una vasta bibliografia e un accurato indice dei nomi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852062650
Argomento
Storia
Parte quinta

TRIONFO E TRAGEDIA

XVIII

Il sole di Austerlitz

Ho battuto l’armata russa e austriaca comandata dai due imperatori. Mi sono un po’ affaticato.
NAPOLEONE a Joséphine
Napoleone resta dolorosamente ferito dalla sconfitta di Trafalgar. Da tempo si tortura per aver perso in questi anni un appuntamento con la storia. La pace di Amiens con l’Inghilterra nel 1802 era stato un risultato: tutto il XIX secolo avrebbe potuto esserne determinato. Poteva scaturirne, sosteneva Talleyrand, l’unione franco-inglese: il punto di congiunzione naturale tra latinità e mondo anglosassone. Si sarebbero pacificate finalmente l’aristocrazia, la democrazia, le monarchie assolute e quelle illuminate. E invece la voglia di guerra ha rovinato tutto.
«Ricominciamo la guerra dei Cent’anni» ha commentato sconsolatamente il grande scettico Talleyrand. Guerra, solo guerra: quando invece l’alleanza tra l’Inghilterra marinara, commerciante, industriale e la Francia agricola, colta e militare avrebbe potuto creare la base politico-culturale per l’europeo moderno.
Ma Napoleone aveva bisogno di altro che di pace. Nel gennaio 1803 ha confidato a Thibaudeau: «Un primo console per volontà della nazione non assomiglia affatto a quei re per grazia di Dio che conservano i loro Stati come un’eredità. Ha bisogno di fragore! E di conseguenza, della guerra».
Eppure nel 1802-1803 avrebbe potuto rendersi immortale stabilendo la pace perenne. Talleyrand gli aveva spiegato che dalla pace sarebbe dipesa la sua statura storica. Ma Napoleone preferì i cannoni.
Non si può dire che abbia scelto la guerra perché odiava l’Inghilterra: Albione esercitava su di lui un forte fascino. Lo riempiva d’ammirazione il fatto che fosse in vantaggio di almeno mezzo secolo su tutti gli altri Stati quanto a progresso industriale e meccanico. Dal 1785 le macchine della sua fiorente industria tessile facevano scuola al mondo; ed era all’avanguardia del vapore con le invenzioni di Wilkinson e Watt. Il 2 gennaio 1805 l’imperatore scrisse personalmente a re Giorgio III d’Inghilterra invocando la pace e il rispetto dei trattati. Non rispose il re; ma Lord Mulgrave al ministro degli Esteri Talleyrand. In modo evasivo spiegò che il sovrano inglese doveva fedeltà agli accordi con i suoi alleati, soprattutto con lo zar di Russia. Così il 4 febbraio Napoleone comunicò ai tre corpi legislativi che aveva fatto di tutto per proporre alla Gran Bretagna una pacificazione generale. E respingeva sdegnato l’accusa che gli si muoveva di amare la guerra per se stessa.
Non fece dunque guerra all’Inghilterra perché l’odiasse, ma perché si sentiva in pericolo. Dice nel maggio 1803 a Roederer: «È nella natura e nella forza delle cose di continuare la lotta del passato con il presente. Questa coalizione permanente dei nostri avversari ci obbliga a batterli per non esserne annientati». Perciò, archiviata la pace di Amiens, prepara 190 mila uomini pronti a essere imbarcati su una sterminata flottiglia di piccole imbarcazioni che, oltre la Manica, dovranno raggiungere il Tamigi sotto la protezione dei cannoni di 69 vascelli di linea.
Si sono combinati in questa spinta di Napoleone alla guerra, scrive Georges Lefebvre, l’ambizione irresistibile, il gusto dell’avventura, l’amore del rischio. Mentre sogna di conquistare l’Inghilterra, dice all’ammiraglio Latouche-Tréville: «Saremo padroni dello Stretto per sei ore e saremo i padroni del mondo!». Talleyrand ride: «In quelle sei ore, che peraltro non bastano, sguarniremo il continente di soldati, cannoni, cavalli. E così avremo l’aquila imperiale sulla Torre di Londra ma ci ritroveremo quella austriaca a due teste su Notre-Dame. Un bel cambio!».
Napoleone aveva sognato di manovrare la sua flotta da Tolone alla Guadalupa come dei battaglioni in un quadrato. Il suo ammiraglio Villeneuve avrebbe attirato Nelson e Cornwallis a casa del diavolo, nei Caraibi, e una volta ingannatili sarebbe tornato in Europa a riunirsi a Ganteaume per lanciarsi nella Manica vuota di navi inglesi e pilotare l’invasione. Una bella partita a scacchi. Ma il mare non è mai stato il forte di Napoleone; e l’ardito disegno si è infranto sulla solidità della flotta inglese. Quella franco-spagnola di quindici vascelli, di ritorno dall’America, al largo di Ferrol ha incontrato la squadra dell’ammiraglio Calder, nove vascelli, e ne è stata vittima.
D’altronde l’unico militare che ha osato mai disobbedire all’imperatore è stato un marinaio, l’ammiraglio Bruix. Napoleone gli aveva ordinato di schierare la flotta sul Canale per passarla in rassegna. Ha trovato che l’ordine non è stato eseguito. «Sire, si prepara una tremenda tempesta. Volete esporre la vita di tanti bravi?» Napoleone fa una scenata paurosa e impone all’ammiraglio Magon di eseguire l’ordine mentre Bruix viene trasferito d’urgenza in Olanda. La rivista si svolge sotto la furia dell’uragano e il pedaggio è di duecento morti. Un altro capitolo del Napoleone feroce.
Ma l’imperatore crede ciecamente nel suo destino. Da Boulogne scrive a Joséphine: «Fra l’eternità, l’oceano e la notte plana il mio buon genio». Ma nella città marinara si ferma solo dodici giorni in tutto il 1805, come se presagisse che l’invasione è impossibile. I giornali satirici inglesi lo ritraggono con le braccia incrociate sul petto: guarda «l’altra» costa senza speranza. Il ritratto di una tragica impotenza.
La Terza coalizione contro Napoleone – Inghilterra, Russia, Austria, Svezia e in attesa la Prussia – si forma l’11 aprile 1805 con la convenzione di Pietroburgo. È un trattato d’alleanza segreto, di cui è anima l’Inghilterra, che mira a restituire all’Europa «la pace, l’indipendenza e la felicità di cui è privata dall’ambizione smisurata del governo francese». Scopo dell’accordo è mettere in piedi un’armata di 160 mila uomini, liberare l’Hannover e il Nord della Germania dalle truppe francesi, ottenere l’indipendenza dell’Olanda e della Svizzera, procedere alla restaurazione del re di Sardegna, far evacuare i francesi da Napoli, cancellare l’influenza francese in quell’Italia di cui Napoleone si è proclamato re e dove Genova è diventata una provincia francese. La Francia dovrà rientrare nei suoi confini del 1791.
Alla testa della coalizione è il bell’Alessandro, lo zar di Russia che si prende per il Messia anche se è stato complice dell’assassinio del proprio padre. Vuol essere l’arbitro d’Europa come lo furono Pietro il Grande e sua nonna Caterina. Perciò stringe amicizia con il debole Federico Guglielmo III e con la sua seducente ed energica moglie Luisa di Prussia. I sovrani prussiani detestano Napoleone ma hanno una sacra paura di fargli la guerra. Manterranno la grinta minacciosa e cercheranno di contrattare l’Hannover come prezzo della neutralità.
Lo zar si appoggia a Francesco II d’Austria. Il quale è un imperatore solenne quanto superficiale e vacuo. Il suo grande ministro Cobenzl gli ha consigliato di non fare la guerra, ma il sovrano non l’ha ascoltato. Anche se a sua volta ha paura di Napoleone. Per tutto il 1804 si è trincerato dietro un pavido: «La Francia non ci ha fatto nulla». Come se Napoleone non si fosse incoronato re d’Italia, escludendo l’Austria.
Ma il 16 luglio 1805 i marescialli Wintzingerode e Mack sottopongono a Francesco II il piano di operazioni per invadere la Francia dalla Foresta Nera. L’imperatore accetta. Si è convinto che il grido di Bonaparte nel cingere la corona d’Italia – «Dio me l’ha data! Guai a chi me la tocca!» – sia stato la definitiva sfida all’aquila imperiale austriaca. E gli hanno riferito che il francese ha detto ai suoi generali: «Non ci sarà riposo in Europa che sotto un solo capo, sotto un solo imperatore che avrà per ufficiali dei re e che distribuirà i regni ai suoi luogotenenti». Il duello è entrato dunque nella fase mortale.
Napoleone nella morsa della storia diventa crudele contro i suoi stessi uomini. Dice al ministro della Marina Decrès a proposito di Villeneuve rinchiusosi dentro Cadice per sfuggire a Nelson: «Scrivetegli da parte mia che lo considero l’ultimo dei vigliacchi». Qualche mese dopo la sconfitta di Trafalgar il cadavere dell’ammiraglio sarà trovato in una camera d’albergo di Rennes coperto di sangue. Si è trafitto tre volte con la sua spada. Le parole dell’imperatore lo hanno ucciso.
Comincia la campagna: Napoleone sposta tutta la sua armata da Boulogne e la manda verso il Reno. Con maniacale ricerca della perfezione ha scritto nei suoi taccuini i dati riguardanti non solo tutti i battaglioni e reggimenti del suo esercito ma anche quelli del nemico, per conoscere i quali ha incaricato gli ambasciatori e consoli francesi a Vienna, Salisburgo, Monaco, Dresda e Berna di abbonarsi alle gazzette tedesche. Così sa tutto delle due armate russe concentrate in Polonia e in Galizia. E anche delle due formidabili armate austriache, ciascuna di 100 mila uomini: l’una sta per invadere la Baviera, l’altra fa la guardia a Venezia. Un corpo di 25 mila uomini è insediato in Tirolo.
Napoleone ha scelto il suo obiettivo: la valle del Danubio. Sa che il nemico ha preparato contro di lui quattro attacchi: uno contro l’Hannover e l’Olanda; uno nella valle del Danubio contro Strasburgo; uno in Lombardia; uno da Napoli verso nord. Sono in movimento 60 mila russi di stanza in Polonia, comandati da Buxhöwden, sorretti dai 12 mila uomini d’élite della Guardia imperiale, di cui lo zar sta per prendere personalmente il comando. Altri 60 mila sono al comando di Kutuzov. Si dirigono a Ulm, l’ultima città che si incontra sulla carta se si segue il Danubio fino alla foce. Là i russi contano di congiungersi con gli austriaci per tentare l’invasione della Francia. Ma prima devono attraversare la Galizia, la Moravia, l’Austria e la Baviera. Devono fare più strada loro di quanta debba farne Napoleone per arrivare da Boulogne a Ulm.
Gli austriaci sono più organizzati. 100 mila sotto l’arciduca Carlo, vecchio avversario di Napoleone, costeggiano l’Adige; l’imperatore Francesco con altri 100 mila vuol essere il primo a entrare in Parigi; l’arciduca Giovanni, il vinto di Hohenlinden, fa la guardia al Tirolo. 100 mila uomini stanno per rimontare il Danubio, attraversare la Baviera e la Svevia e impadronirsi di Ulm dove attenderanno i russi e insieme punteranno sulla Francia. Il comandante in capo austriaco è uno dei più celebri generali dell’epoca: Karl von Lieberich, barone Mack, grande stratega. Sotto di lui c’è l’arciduca Ferdinando, che con 90 mila uomini in agosto occupa la Baviera.
Napoleone manda l’abilissimo Masséna contro l’arciduca Carlo. Gli ha preparato lui stesso il piano della nuova campagna d’Italia. Sa che per ora c’è un’immensa distanza tra gli austriaci che puntano su Ulm e i russi attardati in Galizia. Progetta perciò di affrontarli separatamente, come ha sempre fatto nelle sue campagne.
Attaccherà gli austriaci, ma non vuole servirsi della strada della Foresta Nera. Là manda Murat e Lannes per far credere a Mack che sia la direttrice dell’attacco e per far convergere là le forze austriache. Lui invece prenderà l’armata in divisa bianca da dietro, scompaginando la retroguardia dell’arciduca Ferdinando. L’attacco avverrà tra il Danubio e Ulm. Perciò con il grosso delle forze, ma occultandosi, costeggia il Danubio a est di Ulm tra Donauwörth e Ingolstadt.
Napoleone ha predisposto una manovra colossale spostando le sue truppe da Strasburgo alla Germania e facendole precedere dalla mitica cavalleria agli ordini del più trascinatore dei generali: Murat. E accanto alla cavalleria c’è la Guardia imperiale comandata da Bessières. Si muove per l’Europa tutta la Grande Armée (l’imperatore l’ha appena battezzata così). Numeri d’eccezione: 226 battaglioni, 233 squadroni, 161 compagnie d’artiglieria e genio, 1108 ufficiali di stato maggiore, 8269 ufficiali di truppa e 202.338 tra sottufficiali e soldati; 29.474 cavalli di truppa e 6430 per l’artiglieria, che trainano 396 bocche da fuoco. Alla fine della campagna Napoleone si troverà con 300 mila uomini a combattere 500 mila coalizzati: 250 mila austriaci, 200 mila russi, 50 mila tra inglesi, svedesi e napoletani.
A Talleyrand il 25 agosto ha scritto: «Il mio movimento è cominciato. Il 17 settembre sarò in Germania con duecentomila uomini». Ci arriverà invece solo il 1º ottobre. Ha perso tempo perché ha dovuto occuparsi della crisi finanziaria in Francia e della leva dei giovani soldati. È preoccupato perché i francesi vedono con ostilità la nuova guerra. Ma afferma con sicurezza: «Tra quindici giorni avrò battuto gli austriaci, i russi e gli speculatori al ribasso».
A Strasburgo ha lasciato l’imperatrice. E nel lasciarla ha anche pianto. Da tempo vuole ripudiarla e le sue sorelle lo incoraggiano a quel passo e quasi gli fanno trovare nel letto bellezze più fresche. Ma lui nonostante tutto ama Joséphine: l’infedele, la traditrice, l’inaffidabile. L’ama anche se la tradisce con una bellissima ventenne, la bionda Duchatel, naso aquilino e occhi color azzurro profondo. Lei suona l’arpa e lo incanta. Ma l’imperatore incaricherà proprio Joséphine di annunciarle che tutto è finito fra loro. Imprevedibile Napoleone!
Il maresciallo Mack si è installato in Ulm convinto di essere in una posizione formidabile. Napoleone ha distaccato 40 mila uomini nella Foresta Nera e lo ha convinto che attaccherà di là.
E invece 150 mila soldati hanno marciato esemplarmente dal mare al Reno e il II corpo di Marmont ha dato un esempio straordinario di movimento ordinato. Napoleone ha diffuso nel suo esercito il culto della disciplina, che nelle armate del Settecento non esisteva. Ha creato il miracolo Grande Armée. Questo è un esercito nazionale, non è più quello in cui il colonnello era proprietario del suo reggimento. Napoleone è fiero della sua opera. «Avevamo l’Armata del Reno, l’Armata d’Italia, l’Armata d’Olanda. Non c’era l’Armata francese. Ora esiste.»
Finalmente l’armata, servita da 3500 vetture da quattro cavalli l’una, costeggia il Danubio fra Ulm e Ingolstadt. Non è andato perso neppure un cassone di munizioni. Le guarnigioni austriache guardano sbalordite le truppe di Murat, Soult, Lannes, Davout che prendono tutti i ponti sul Danubio. Bisogna evitare che Mack si ritiri da Ulm.
Napoleone punta su Augusta. Vuole tenere gli austriaci di Ulm lontani da rinforzi austriaci e russi e tagliare le comunicazioni con Monaco. L’8 ottobre a Wertingen i francesi costringono il nemico a ritirarsi in disordine e fanno quattromila prigionieri. Il colonnello Maupetit del 9º dragoni carica nel villaggio e cade. Grida: «Dite all’imperatore che il 9º dragoni è stato degno della sua reputazione e che ha caricato e vinto al grido di: “Vive l’Empereur!”». È la prima vittoria della causa imperiale in Germania. Napoleone fa cavaliere della Legion d’Onore il capo squadrone Exelmans che ha avuto nell’azione due cavalli uccisi sotto di sé. E decora un dragone per ogni reggimento.
Il 9 Ulm è investita a sud da Lannes e Murat, a nord da Ney. È accerchiata. Dopo una serie di scontri gli austriaci rimasti tagliati fuori da Ulm si ritirano e lasciano a Ney le due rive del Danubio. Il maresciallo ha ucciso duemila uomini al nemico, fatto 1200 prigionieri e preso dieci cannoni.
Napoleone è stupito che Mack sia così abulico e aspetta il suo attacco. Nella notte dal 12 al 13 ottobre percorre il campo in carrozza e visita i soldati lungo l’intero fronte. «Li accerchiamo… li teniamo… sarà una nuova Marengo.»
Arriva una bella notizia. Il generale Dupont con la sua sola divisione ha battuto un’armata austriaca. Ha sconfitto con seimila uomini 25 mila austriaci e fatto quattromila prigionieri. Riferiscono a Napoleone che Mack ha capito di essere in trappola e da tre giorni cerca la via d’uscita. Spera di potersi involare verso le alture di Michelsberg. Ney ha capito e ha provato ad attaccarlo in quel luogo. Ma Murat ha litigato con lui davanti a più di cento testimoni e ha costretto le truppe a rimanere ferme attorno a Ulm. Solo i seimila uomini di Dupont sono riusciti a sfuggire al suo ordine e non a caso hanno riportato una strepitosa vittoria.
Napoleone ripassa il Danubio sotto il fuoco austriaco e va a dare ragione a Ney che, a cavallo, il mattino ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Parte prima. LA GIOVINEZZA
  4. Parte seconda. IL FULMINE DI GUERRA
  5. Parte terza. LA LUCE DELLE PIRAMIDI
  6. Parte quarta. L’AQUILA IMPERIALE
  7. Parte quinta. TRIONFO E TRAGEDIA
  8. Bibliografia
  9. Copyright