Carlo V
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Carlo V

Un sovrano per due mondi

  1. 480 pagine
  2. Italian
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Carlo V

Un sovrano per due mondi

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Imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V d'Asburgo visse in un'epoca le cui contraddizioni segnarono profondamente la sua politica. La biografia avvincente di un uomo coraggioso tentato dal miraggio d'una monarchia universale.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852062827
Argomento
History
Categoria
World History
Parte Terza

IL SIGNORE DEL MONDO

XI

Contadini in rivolta. L’idea dell’Impero universale

Alla lunga guerra che si svolge in Italia tra Carlo V e Francesco I s’intrecciano le lotte di religione in Germania, il crescente progresso della Riforma luterana e le rivolte contadine.
Carlo V dalla Germania, dove aveva affrontato Lutero nella Dieta di Worms, si era trasferito in Spagna, e qui aveva dovuto affrontare la rivolta dei comuneros.
Il papa Leone X era rimasto appagato dal bando decretato a Lutero, capiva che l’alleanza con l’imperatore era fruttuosa, paventava l’espansione francese in Italia e stava escogitando nuove alleanze e intrighi, conforme al suo temperamento ambiguo, quando il 1° dicembre 1521 morì.
Fu eletto papa il 9 gennaio 1522 e consacrato il 31 agosto Adrien Florent di Utrecht, che divenne Adriano VI. Questo ecclesiastico fiammingo ch’era stato precettore di Carlo V era – come abbiamo già visto – un uomo di grande austerità e santità e tentò subito di mettere in atto delle riforme che potessero migliorare di fronte all’Europa l’immagine della Chiesa di Roma e che contrastassero il malessere che aveva determinato i successi della ribellione di Lutero.
Il nuovo papa percepiva con acutezza i pericoli che correva la istituzione ecclesiastica ed era anche, per certi versi, impressionato dalla serietà dei riformatori. «Non era alieno» ammise un gentiluomo della sua Corte, «da simpatie per la nuova teologia.»
Adriano considerava un’astuzia della Provvidenza il fatto che in quel momento uno come lui, un non-italiano, fosse potuto insediarsi nel soglio di Pietro. Ed era fermamente determinato a separare la Santa Sede dalla confusione della politica italiana e a sottrarla alla partecipazione ai duelli tra le monarchie europee. L’unica guerra che si addiceva al papato era la grande crociata contro il Turco che minacciava la Cristianità; e in subordine quella contro Lutero.
Fermare il Turco, sì, era importante. Ma la formidabile priorità consisteva nel cauterizzare le ferite riportate dalla Chiesa nella polemica con il monaco di Wittenberg. Il discorso però non doveva essere fatto solo in funzione della repressione del luteranesimo: questa fu la novità di Adriano VI. Il papa riteneva che bisognasse promuovere importanti riforme, che rilanciassero la vitalità della Chiesa di Roma e che svuotassero la protesta dei suoi nemici. Non si poteva però trascurare il fatto che metà della Germania era perduta: e i vecchi lupi della Curia sapevano che nei prossimi mesi c’era solo da attendersi il peggio.
Adriano era convinto che a questo punto fosse necessario usare la maniera forte. Perciò si rivolse al Consiglio di Reggenza della Germania, presieduto da Ferdinando fratello dell’imperatore, affinché procedesse all’esecuzione dell’editto di Worms.
Questa severa misura, che l’imperatore aveva ottenuto dai principi tedeschi per colpire Lutero e il luteranesimo, era stata però disattesa. Ma anche il Consiglio esitava a colpire il monaco, perché la sua popolarità era aumentata immensamente e metà della Germania stava con lui.
L’arciduca Ferdinando fu ancora più catastrofico nella sua amara fotografia della situazione. «Ci sarà sì e no un Tedesco su mille», disse, «che non sia stato infettato dall’eresia luterana.»
Allora, per adottare nuove misure, nel novembre 1522 si convocò una nuova Dieta a Norimberga. Ma anche qui nessuno se la sentiva di raccomandare provvedimenti energici. Tutti erano consapevoli del fatto che il movimento luterano era divenuto il più importante fermento della trasformazione statale e nazionale della Germania e che grazie a esso il Paese dei principi era assurto dall’egoismo e dalla grettezza a una nuova altezza morale dei concetti di responsabilità e di dovere.
Nella Dieta si svolse un dibattito penoso. Alla fine i suoi rappresentanti risposero al papa che non potevano mettere in atto l’editto di Worms perché temevano – qualora lo avessero fatto rispettare con la forza – di scatenare la guerra civile.
Naturalmente la Dieta era consapevole che una ferita gravissima era stata inflitta da Lutero alla Chiesa. Perciò propose di convocare in Germania un concilio generale laico ed ecclesiastico che risolvesse la situazione. Nel frattempo la Dieta garantiva la proibizione della propaganda luterana.
Il timore ventilato della guerra civile era tutt’altro che infondato. Spinto da un fanatico seguace luterano, Ulrich von Hutten, il turbolento cavaliere dell’Impero Franz von Sickingen aveva formato una forte lega di cavalieri con la quale – in nome di Lutero e della propria rivolta – incalzava il cattolico elettore di Treviri.
Il Consiglio di Reggenza non riuscì a mantenere l’ordine nella Germania in fermento e fu dissolto dalla Dieta, che nel 1524 lo sostituì con un altro Consiglio.
Intanto il 14 settembre 1523 era morto, dopo un brevissimo pontificato, l’idealista e riformatore Adriano VI, speranza della Chiesa contro la sua dissoluzione. E il 19 novembre fu eletto papa Clemente VII, che determinò una svolta notevole.
Il conclave di cinque giorni che aveva seguito la morte dell’intellettuale di Utrecht divenuto papa dette come risultato l’elezione del cardinale più gradito a Carlo V. Era questi Giulio de’ Medici, appartenente alla grande dinastia fiorentina. Figlio bastardo che Giuliano de’ Medici aveva avuto dall’amante Fioretta, era nato a Firenze il 26 maggio 1474 poco dopo che il padre era stato assassinato da congiurati.
Il futuro papa era stato allevato dal grande nonno, Lorenzo il Magnifico. Nel 1513 suo cugino Leone X, superando disinvoltamente l’impedimento della nascita illegittima, lo fece arcivescovo di Firenze e cardinale.
Dal maggio 1517 l’abile prelato si era insediato in Vaticano come vicecancelliere ed era stato largamente responsabile delle scelte politiche di Leone X, comprese le mosse anti-Lutero e la bolla di scomunica.
Dal maggio 1519 il cardinale governò Firenze e nel 1521 fu l’artefice dell’alleanza tra il papa e Carlo V. Durante l’effimero regno di Adriano VI mantenne la propria potenza in Curia, cementando sempre più l’alleanza fra Santa Sede e Impero.
La sua elezione a papa fu salutata con grande entusiasmo. Chi conosceva il Medici, però, disse subito che Clemente VII era un eccellente ministro, un «numero due» eccezionale e un esecutore impareggiabile, ma che gli mancavano carattere e capacità per essere il leader in un tempo di crisi. Era colto, abile, umanista, affascinante; ma d’altro canto incerto e indeciso, facile alle esaltazioni come agli sconforti, angusto e inadeguato nell’azione. Non era uomo di Stato.
E infatti nelle gravi crisi che si trovò ad affrontare si comportò come un principe italiano e come un partigiano della fazione Medici, non come un’altissima autorità spirituale investita della missione universale.
Di conseguenza andò incontro a terribili fallimenti: massimo e più simbolico di tutti il Sacco di Roma del 1527. Fu timido, sperduto e vacillante in tutto.
Clemente si salva nel giudizio della Storia solo perché, da vero Medici, fu un inimitabile patrono e suscitatore delle lettere e delle arti. Protesse e aiutò uomini di lettere come Machiavelli e Guicciardini e artisti come Michelangelo, Raffaello, Benvenuto Cellini. A Michelangelo commissionò i monumenti di suo padre e di suo zio nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze e – poco prima della sua morte – il Giudizio Universale nella Cappella Sistina.
Nel 1524 Clemente mandò il suo legato Lorenzo Campeggio alla Dieta di Norimberga e chiese che finalmente si applicasse l’editto di Worms contro Lutero, mettendolo fuori legge. L’imperatore naturalmente sosteneva la sua richiesta.
Il Consiglio di Reggenza ripeté la domanda che in Germania fosse convocato al più presto un Concilio. E doveva essere appoggiato da una Dieta a Spira per la soluzione delle controversie religiose.
Carlo V ricordò ai signori e vescovi tedeschi che stabilire un Concilio generale era insieme una prerogativa dell’imperatore e della Chiesa universale. E mandò un messaggero a Clemente VII, il 18 luglio 1524, indicando Trento come luogo ideale per il Concilio. L’imperatore scriveva al papa: «Poiché i Tedeschi chiedono che il Concilio venga tenuto in Germania, Vostra Santità potrebbe scegliere la città di Trento, che essi considerano tedesca sebbene in realtà sia già terra italiana».
Il legato Campeggio aveva già intimato ai principi cattolici di Germania di riunirsi in congresso a Ratisbona. Era la prima volta che veniva raccolta con forza la sfida di Lutero.
Si formò un partito cattolico: che voleva fare le riforme per rilanciare la Chiesa, ma anche stanare Lutero e combatterlo con le armi.
Se Clemente VII – dice lo storico W. Lewis – fosse stato un Gregorio VII o un Giulio II, cioè un papa di grande energia e di piglio militare, in quel momento con l’aiuto di Carlo V avrebbe potuto debellare Lutero e risolvere il problema tedesco.
Ma Clemente era minato dalla sua stessa instabilità psicologica. Il papa non era leale verso l’imperatore né verso nessuno. Era tentennante e opportunista, ambiguo ed egoista. Medici fino all’inverosimile, la sua preoccupazione era di gestire gli affari di famiglia a Firenze, come aveva fatto Leone X, e per riuscirci mantenne un pericoloso equilibrio fra Carlo V e Francesco I. Infido, Clemente attendeva di vedere chi dei due sarebbe stato il vincitore.
Ma proprio in questo frangente in Germania scoppiò la terribile anarchia chiamata la «Guerra dei contadini». La quale mancò poco che distruggesse l’edificio di quella società.
La rivolta contadina della Germania fu assai simile alla Jacquerie in Francia e alla sollevazione di John Ball in Inghilterra. In Germania però i contadini avevano più problemi che in qualsiasi altro Paese, sotto il regime feudale che il Rinascimento aveva ereditato dal Medioevo. Erano maltrattati dai loro signori e anche dagli alti dignitari del clero tedesco, che erano anch’essi dei signori feudali.
Le ragioni per cui i contadini si ribellavano erano le terribili tasse che li opprimevano, lo sfruttamento insopportabile, l’usura, la rapina delle loro terre e un’infinità di angherie.
La ribellione dei contadini esplose nella Foresta Nera nel maggio 1524 e in pochi mesi si diffuse a macchia d’olio in tutta la Germania, devastando soprattutto il centro e il sud. Il leader era un uomo molto determinato, Thomas Müntzer. Tra i capi-popolo c’era di tutto: patrioti, nazionalisti, idealisti, rivoluzionari mistici, profittatori e fanatici pazzi.
L’atteggiamento di Lutero verso quei miserabili, quei dannati della terra che si ribellavano con forte carenza di organizzazione e quasi certamente destinati a venire schiacciati, è curioso.
Il monaco cominciò con il condannare la rivolta, in quanto contraria alla volontà divina. Però subito dopo lanciò una severa reprimenda contro quei principi laici e spirituali che opprimevano spietatamente i loro contadini. E indirizzò ai ribelli un appello a unirsi alla Riforma, che li avrebbe protetti. Ma immediatamente dopo cambiò ancora idea. E sbalordì la Germania con lo scritto: Contro le orde assassine dei contadini. Ai nobili di Germania il padre della Riforma gridava:
«O miei buoni signori. Soccorrete le povere genti, abbiate pietà della loro miseria! Ma punite, colpite, schiacciate tutti gli altri. Strangoli chi può i lupi e le belve sanguinose! Non sono solo i principi e i magistrati che dovrebbero sterminarli. Ogni onest’uomo ha il diritto di giudicare e di giustiziare quei miserabili e di sgozzarli come si sgozza un cane arrabbiato!»
Questo passaggio rappresenta il momento più nero nell’intera storia intellettuale di Lutero. I nobili ignorarono totalmente l’appello a soccorrere la povera gente, mentre accettarono con trasporto l’incitazione alla repressione e al massacro, e passarono subito con entusiasmo alle esecuzioni di massa.
Anche i nemici di Lutero trascurarono la prima frase e ridussero il messaggio alla seconda parte, cosicché il suo intervento appare il massimo contributo ideologico a quella carneficina che suggellò la guerra dei contadini.
Lutero diede certo scarsissima prova, in quest’occasione, di carità cristiana. I suoi scritti furono una istigazione alla strage: e la sua responsabilità dei massacri nella guerra dei contadini va considerata gravissima.
Perché la repressione contro i ribelli fu feroce. Il luterano langravio Filippo d’Assia schiacciò le orde dei contadini nella battaglia presso Ulm e arrivò a catturare il capo anarchico della rivolta, Thomas Müntzer.
Questi aveva scelto Mulhouse, capoluogo della Turingia, come sede di un governo ribelle, che predicava un nuovo ordine sociale, palingenetico e proponentesi di rovesciare radicalmente quello vigente.
Müntzer era diventato la bestia nera dei nobili, un riformatore pericolosissimo: questo spiega come mai, appena catturatolo, essi si affrettarono a giustiziarlo.
Morto Müntzer, tutto fu più facile per l’ordine costituito. Il duca di Lorena ristabilì l’ordine in Alsazia e nei Vosgi. La Lega sveva sottomise la Franconia. Quasi tutto l’esercito dei ribelli si arrese.
I nobili furono imbattibili in crudeltà. Anche a rivolta domata, sparsero fiumi di sangue dei ribelli.
Lutero ebbe un soprassalto di orrore per avere dato la sua complicità a questi massacri. Per alleggerirsi la coscienza, indirizzò uno scritto duro ai nobili: «O sporchi bruti, peggiori dei lupi e delle tigri».
Ma quando il massacro fu finito, il monaco tornò a essere l’uomo dei ricchi e dei signori. Per ingraziarseli arrivò ad annunciare il dogma secondo cui i principi erano supremi arbitri anche in materia religiosa. Egli voleva indubbiamente stare dalla parte dei ricchi e dei potenti. In questo periodo aveva sposato una suora, Caterina von Bora, che nei quadri rivelatori del Cranach ci appare con i pomelli rossi, gli occhi cupi, l’aria matriarcale e soddisfatta. Lutero l’adorava. La chiamava Herr Kathe, il signor Caterina, rendeva omaggio alle sue qualità mascoline, sopportava cristianamente il suo pessimo carattere e adorò anche i sei figli che lei gli diede. In Lutero l’amore profano e la maledizione contro i poveri diavoli procedettero di pari passo.
Il 1526 è un anno importante nella storia del protestantesimo. In quell’anno fu messo in pratica per la prima volta il criterio di nazionalismo e territorialismo in religione.
La Dieta che doveva affrontare tutta la complessità dei molti problemi religiosi sul tappeto si riunì a Spira nel giugno 1526. E qui vennero adottati i nuovi criteri di condotta.
Carlo V, che si era spostato in Italia, fece sapere ai partecipanti alla Dieta che presto sarebbe stato indetto il Concilio generale per occuparsi dei mali della Chiesa. E per l’ennesima volta ordinò alla Dieta di eseguire il bando decretato cinque anni prima a Worms contro Lutero. L’imperatore si era battuto per quella condanna e intendeva che fosse eseguita.
Ma in due dei tre collegi della Dieta la maggioranza cattolica era riluttante a eseguire la sentenza.
La Dieta decretò allora che fino alla convocazione del Concilio ogni Stato tedesco, rispondendo verso Dio e verso l’imperatore, decidesse autonomamente sull’esecuzione dell’editto di Worms. Passava così questo importante principio: i principi potevano liberamente imporre la loro fede e le loro convinzioni nei loro domini.
I due più potenti fra i principi luterani, che erano l’Elettore di Sassonia e il langravio Filippo d’Assia, approfittarono di questa dichiarazione d’autonomia per valersene alla rovescia. Essa era stata fatta per sostenere la parte cattolica, ma i luterani la sfruttarono per impadronirsi delle proprietà monastiche nei loro Stati e per stabilirvi la Riforma. Cominciavano in questo modo la grande rapina e il grande saccheggio dei beni ecclesiastici che dovevano rendere in breve tempo ricchissimi tanti signori in Germania e in Inghilterra.
Attraverso queste autonomie la Dieta di Spira rivelò il volto di una nuova Germania. Questa Dieta aveva vol...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Ringraziamento
  4. Introduzione. IL TEMPO DI CARLO V
  5. Parte Prima. LA GIOVINEZZA
  6. Parte seconda. LUTERO, LA RIFORMA E I CONQUISTADORES
  7. Parte Terza. IL SIGNORE DEL MONDO
  8. Parte quarta. TRAMONTO E FINE
  9. Epilogo
  10. Nota Bibliografica
  11. Inserto fotografico
  12. Copyright