La forza dell'amore
eBook - ePub

La forza dell'amore

  1. 192 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La forza dell'amore

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Nel cuore di una grande metropoli come Buenos Aires, il suo pastore, Jorge Mario Bergoglio, annuncia il Vangelo con lo spirito profetico dell'uomo di Dio che non ha paura di usare parole scomode e forti, perché vuol far sentire la novità profonda e la forza dell'amore che nasce dall'incontro con Cristo. Ancora una volta, nel leggere questi discorsi e omelie, si avverte chiara la sensazione che qui ci siano già tutta la tensione, la volontà e l'energia che sta ispirando ora il pontificato di Francesco. C'è la fede del pastore che prega per il suo popolo e si mette in cammino per portargli l'annuncio della salvezza, seguendo i passi di Gesù, lasciandosi guidare dallo Spirito e sempre invocando la materna protezione di Maria. C'è il senso della tradizione, delle radici della fede e dell'appartenenza cristiana, assieme alla consapevolezza di quanto costa «vivere nella verità», quando il demonio – padre della menzogna – è sempre in agguato per allontanare da essa. C'è la consapevolezza del sacrificio e della lotta permanente da ingaggiare contro le seduzioni dei mercanti di morte che rubano la speranza e la libertà, contro le distruttive illusioni di tanti paradisi artificiali, contro le tentazioni della superbia, della mondanità, dell'autosufficienza, l'onda lunga dell'illegalità, della violenza, della corruzione. C'è lo sconfinato paesaggio quotidiano dell'egoismo, dell'ingiustizia, dell'indifferenza, che si manifesta anche nei confronti del Creato e della sua custodia: tema, quest'ultimo, di vasta portata e di grande attualità. Tanti buoni motivi per leggere queste pagine come la tappa di una strada che continua, qual è – nella visione di Francesco – la vita di fede: un cammino che si percorre insieme alla Chiesa; l'incontro con Gesù che si rinsalda per le strade, assieme a tutto un popolo che si aiuta vicendevolmente ad andare verso la stessa meta.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a La forza dell'amore di Francesco, Giuliano Vigini in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Theology & Religion e Christianity. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852060618

2012

Le sorprese di Dio

(Rm 12,12)
Nella preghiera con cui abbiamo iniziato questa celebrazione chiesi a Dio Padre, per mezzo di Gesù, di inviare la forza dello Spirito Santo su di voi per rendervi disponibili nella consegna, umili nel servizio e perseveranti nella preghiera. Che siate disponibili. Cioè, che il tempo non sia vostro, lo spazio non sia vostro, il cuore non sia vostro. Disponibili, pronti a questa disponibilità, quando suona il campanello mentre state guardando una partita che vi interessa, o che passiate la notte a confortare qualcuno. È il primo passo di privazione: disponibili!
E la vita ci sorprende sempre con il non programmato. Abbiate nella vostra agenda del giorno il non programmato, che significa stare a servire, rendersi disponibili per l’imprevisto. Dio ci sorprende sempre con il non programmato della vita. Chiunque, in ogni lavoro umano, deve avere le cose estremamente programmate. E il non programmato, se è molto pesante, si affronta; e, altrimenti, si fa aspettare. Nel lavoro di consacrazione al Signore il non programmato è sempre come l’orizzonte imprevisto della volontà di Dio. Nella disponibilità siate aperti, pronti.
Umili nel servizio. Servire con mitezza. Non «abbaiate», non maltrattate i fedeli. «Padre... ma quante volte questo o quella fanno la stessa cosa!» E Dio «cosa dovrebbe dire di noi?». Abbiamo le medesime fragilità! Sicuramente Lui non vi maltratta, vi cura, perché vi sta servendo. Imitare Dio, che vi serve, servendo gli altri: la mitezza e la pazienza di Dio nel servizio diaconale! Che sempre i fedeli si sentano ricevuti, accolti, con affetto, con pazienza, con molto amore.
Perseveranti nella preghiera. Queste due cose non le raggiungete se non pregate – ancora di più ora –, se non chiedete la grazia, se non portate alla presenza del Signore le sorprese di ogni giorno, gli imprevisti, i problemi, le stanchezze, le lotte, le mortificazioni dei vostri propri gusti.
Vorrei questo per voi. Che siate disponibili di fronte a qualsiasi sorpresa di Dio. Che abbiate molta mitezza e pazienza nel servizio. E che preghiate, perseverando nella preghiera. Che preghiate seriamente, insieme con il Signore. E se fate queste tre cose: se siete disponibili, se avete mitezza e pazienza nei rapporti con i fedeli, e se pregate, sembrerete sempre più simili a Gesù, «che non è venuto per essere servito, ma per servire».
Che la Vergine si prenda molta cura di voi nella disponibilità, nella mitezza, nella pazienza e nella perseveranza della preghiera.
Buenos Aires, 17 marzo

Uscire e camminare

(Is 61,1-9 – Sal 88,21-27 – Ap 1,4-8 – Lc 4,16-21)

Permanere nell’unzione

Il Salmo 88 che abbiamo appena recitato ci parla del «per sempre» dell’unzione: «Ho unto Davide, mio servo, con l’olio santo, affinché la mia mano sia sempre con Lui». L’unzione del Signore è «fedeltà e amore che ci accompagnano» nel corso della nostra vita sacerdotale. Forse san Giovanni esprime ancora meglio il carattere permanente dell’unzione: «l’unzione che avete ricevuto da Lui rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri» (1 Gv 2,27).
L’unzione permane in noi, ci imprime carattere, e noi permaniamo in lei poiché: «Questa unzione li istruisce in tutto ed è vera e non mente, dimora in Lui, come lei gli insegna».
Permanere nell’unzione, che ci insegna interiormente come permanere in amicizia con Gesù.
Faremo bene a chiederci: che cosa ci aiuta a permanere nell’unzione? Come sperimentare la sua gioia, come sentire che ci rende forti, rendendo soave e sopportabile la croce, come viverla come uno scudo contro le tentazioni e come balsamo sulle ferite? Che cosa ci aiuta a depotenziarla, a non perdere il sale, a mantenere ardente il fervore? Come evitare di unirsi alla lista di coloro che finiscono male e non permangono nell’unzione: Saul, Esaù, Salomone? In risposta, poco prima, nella stessa lettera, Giovanni fornisce la chiave: «Chi dice di dimorare in Cristo deve comportarsi come Lui si è comportato» (1 Gv 2,6).
Permanere nell’unzione allora non significa mettere «la faccia dei santini» o mantenere una postura estatica; significa «andare», l’andare di cui parla Giovanni (periepatesen) è lo stesso di tutti i paralitici guariti dal Vangelo, che si alzavano di colpo e camminavano con la loro barella sulle spalle e seguivano il Signore; è l’avanzare di Pietro verso Gesù, camminando sulle acque, simbolo dell’uomo che cammina nella fede, che «abbandona tutte le sicurezze e avanza verso ciò che si raggiunge solo con la grazia» (von Balthasar). Così è: per rimanere nell’unzione si deve camminare, bisogna uscire e camminare come camminava Cristo.
L’unzione dello Spirito è rimasta sul Signore che «passò facendo del bene», spargendo la misericordia del Padre su tutti quelli che ne avevano bisogno in ogni occasione, fino a consumare la sua Pasqua e l’esodo di se stesso nell’apertura totale del suo Cuore trafitto sulla croce. E permanere nell’unzione è transitare facendo del bene. Un bene che non è un possesso constatabile, ma che si diffonde come il profumo di nardo puro con cui Maria unse il Signore. Questo è ciò che fece adirare Giuda, che aveva perso l’unzione e non poteva più godere della fragranza che profumava tutta la casa. L’intangibilità dell’unzione dello Spirito è spesso sostituita, quando si perde, con la tangibilità contante e sonante del denaro. Pensiamo all’autoreferenzialità contabile di tante persone e istituzioni della Chiesa. Com’è stato il loro permanere nell’unzione?
Quando, nel deserto, il popolo si stancò dell’unzione, si fabbricò un vitello d’oro (Es 32,1-6).
La permanenza nell’unzione si circoscrive nel camminare e nel fare. Un fare non solo nei fatti, ma un modo di agire che ricerca e vuole poter partecipare a quello di Gesù. Il «farsi tutto a tutti, per vincere un po’ per Cristo» significa questo. Essere unti significa partecipare a quella unzione che imprime il battito mite e umile al Cuore del Signore. Partecipare a quella unzione che lo esalta quando vede come il Padre fa tutto bene e rivela le sue cose ai piccoli. Partecipare a quella unzione che copre tutto il suo Corpo durante la Passione, cospargendo le sue piaghe con il farmaco della carità, significa rimarginarle. Partecipare a quell’unzione con l’olio della gioia della Risurrezione, che passa attraverso il lavoro di consolare gli amici.
Ma è proprio nel modo di annunciare e difendere la verità che possiamo vedere meglio il modo di agire dell’Unto e il suo modo di procedere. Qui risalta fortemente la pazienza che il Signore aveva nell’insegnare. La pazienza con le persone (gli evangelisti ci fanno notare come Gesù trascorreva ore insegnando e parlando con le persone, anche se era stanco), e la pazienza con i discepoli (come spiegava loro le parabole quando erano soli, con quanto buon umore li faceva confessare che stavano parlando di chi era il più importante, come li stava preparando per la sua croce e quindi a riconoscere, dopo, l’incredibile gioia della Risurrezione). L’immagine più bella, forse, dell’insegnamento di questa unzione è quella del Pellegrino di Emmaus. I discepoli gli parlano e ancora gli parlano e Lui li ascolta pazientemente mentre fa sentire e gustare dentro di loro il bene che è camminare in sua compagnia, in modo che quando fa cenno di voler proseguire oltre sentono che non vogliono che se ne vada e lo invitano a restare. Così «gli si aprono gli occhi» e lo riconoscono nello spezzare il pane. L’unzione con la quale il Signore spezzava il pane e lo distribuiva! È l’unzione della celebrazione dell’Eucaristia che è rimasta incisa nella memoria della Chiesa e alla quale ognuno di noi sacerdoti partecipiamo. Nella formula comune della Chiesa ognuno mette quello che ha di speciale nel cuore nel consacrare, ed è solita essere la grazia partecipata di un altro sacerdote che gli fece sentire l’unzione del Signore. Permanere nell’unzione, rimanere nella scuola della Parola come chi condivide il pane.
Lasciamo da parte, per il momento, la precisione e la vivacità del Signore per prendere come motivo d’insegnamento il quotidiano, così come nell’elaborazione magistrale delle parabole, che sono di persone illustri, e contempliamo come si manifesta l’unzione del Signore quando combatte l’errore e le insidie dei suoi nemici. Niente sfuggiva dalla bocca del Signore. Eppure aveva tutte le capacità e le ragioni di essere ironico, o di mostrarsi provocatorio o di essere pungente. Sul non voler dialogare con il demonio (perché con il demonio non si deve dialogare), la sua padronanza della lingua con gli scribi e i farisei, il suo silenzio di fronte ai potenti, sul suo non vendicarsi con i deboli che si influenzavano e correvano a far legna con l’albero caduto... ci parlano di questo modo di procedere dell’Unto al quale siamo invitati a partecipare. Tutta questa parte, «negativa», se si vuole, di autocontrollo, è la faccia opposta necessaria di questa buona parola che seminava in profondità nei cuori degli umili. L’Unto che seguiamo non si impone con prepotente arroganza né maltratta i fedeli. Ciò che è la Parola unge penetrando delicatamente all’interno di chi ha buona volontà e blinda il cuore in modo che nessuna parola possa essere usata impropriamente dal nemico.
Oggigiorno, forse più che mai, abbiamo bisogno di questa grazia dell’unzione della Parola. Abbiamo bisogno di sentire parole unte che ci permettono di interiorizzare la verità in modo che non abbiamo paura di perdere la libertà se obbediamo alle parole del Signore, o della Chiesa: parola unta che ci insegna interiormente. Abbiamo anche bisogno di sentire parole unte per diventare allergici a ogni cattiva parola, quelle che lasciano l’amaro in bocca e inasprito il cuore. Il nostro popolo fedele ha bisogno che gli predichiamo parole unte, che raggiungono il cuore e lo fanno ardere come le parole del Signore arsero il cuore dei discepoli di Emmaus, parole unte che difendono il cuore affinché non penetri la parola cattiva, il pettegolezzo come la volgarità, la falsità come la parola calcolatrice. Questi modi di parlare, che oggi si sentono ovunque e per tutto il tempo, sono quelli che attaccano e spesso fanno perdere l’unzione.
Unti nell’Unto guardiamo oggi nostra Madre e chiediamole che si prenda cura dell’unzione nel nostro cuore. E che accudisca anche il nostro sguardo e le nostre mani. Che con questo suo modo di procedere, come suo Figlio, modo di procedere che Lei prima gli insegnò e poi, come discepola, apprese da Lui, ci parli della verità e lo faccia – da buona Maccabea – con quel linguaggio materno (cfr. 2 Mac 7,21-27) che ci conduca irresistibilmente a rimanere in Gesù. Che la sua bontà ci aiuti a capire che l’unzione non si manifesta con una posa ieratica e artificiale nel nostro modo di essere, ma nel procedere come Gesù. Ci aiuti a proteggere la parola con unzione e con unzione guardare e lavorare. E soprattutto le chiediamo che non esca dalla nostra bocca parola alcuna che non sia edificante, ma che, proteggendo e riflettendo sulle cose del suo Figlio nei nostri cuori, ci germoglino parole che rallegrino il santo popolo fedele di Dio, secondo i passi dell’unto che venne ad annunciare la Buona Novella.
Messa Crismale, omelia,
Buenos Aires, 5 aprile

Non avere paura

(Mc 16,1-7)
All’alba uscirono dalle loro case per andare al sepolcro. Prima avevano comprato degli oli aromatici per ungere il corpo di Gesù. Nel preparare ogni cosa, in pratica avevano trascorso quasi tutta la notte in bianco fino a che ci fosse stata abbastanza luce per andare con il levare del sole. Anche noi stanotte siamo insonni, non preparandoci per ungere il corpo del Signore, ma ricordando le meraviglie di Dio nella storia dell’umanità. Soprattutto ricordiamo che quella stessa notte per la grande meraviglia Egli la passò insonne: «Notte di veglia fu questa per il Signore per farli uscire dal paese d’Egitto» (Es 12,42). Questa veglia risponde a un mandato di gratitudine: «Questa sarà una notte di veglia in onore del Signore per tutti gli Israeliti, di generazione in generazione» (ivi).
Come gli Israeliti, è possibile che i nostri figli, i nostri conoscenti ci chiedano il motivo di questa veglia. La risposta deve venire dal profondo della nostra memoria di popolo eletto del Signore: «Con braccio potente il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto, dalla condizione servile» (Es 13,14). Così è: «Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e notte» (cfr. Es 13,21); la notte in cui noi, peccatori, siamo resi alla grazia, «la notte in cui Cristo spezzò le catene della morte ed è risorto vittorioso dagli abissi». Questa è la notte in cui si consolida la libertà. Per questo, «questa notte è chiara come il giorno».
La nostra vita continuerà con la luce di quello che celebriamo durante questa veglia e, come è accaduto ai nostri Padri nel deserto, accadrà anche a noi. Molte volte le difficoltà, le distrazioni del cammino, i dolori e le sofferenze offuscano la gioia e anche la certezza di questa libertà donata, e possiamo provare la nostalgia delle «cose belle» della schiavitù, come le cipolle e l’aglio d’Egitto (cfr. Num 11,4-6). Possiamo anche essere dominati dall’impazienza che ci porta a preferire l’immediatezza occasionale degli idoli (cfr. Es 32,1-6). In questi momenti sembra che il sole si nasconda e torni la notte, e la libertà donata entri in eclissi. Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Salomè, anche se il giorno era appena iniziato, giunsero alla fine dell’altra notte, la notte della paura, e «fuggirono via dal sepolcro» (Mc 16,8).
Sono scappate via senza dire niente a nessuno. La paura ha fatto loro dimenticare quello che avevano appena ascoltato: «Voi cercate Gesù di Nazaret, il Crocifisso. È risorto, non è qui». La paura le ammutolì, così che non potevano annunciare la notizia. La paura paralizzò il loro cuore e si rattrappirono nella certezza di un sicuro fallimento, invece di cedere alla speranza, quella che suggeriva loro: «Andate in Galilea, lì lo vedrete». E così accade anche a noi: come loro, abbiamo paura della speranza e preferiamo rifugiarci nei nostri limiti, meschinità e peccati, nei dubbi e le negazioni che, giusto o sbagliato, ci impegniamo a gestire. Esse venivano in segno di lutto, venivano per ungere un cadavere e restano stupite, come i discepoli di Emmaus sono incapsulate nella delusione (cfr. Lc 24,13-24). In sostanza, avevano paura della gioia (cfr. Lc 24,41).
E la storia si ripete. In queste nostre notti, notti di paura, di tentazione e di prova, notti in cui la schiavitù vinta vuole essere ristabilita, il Signore continua a vegliare come fece quella notte in Egitto; e con parole dolci e paterne ci dice: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho» (Lc 24,38-39). O, a volte, con un po’ più di energia: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24,25-26). Il Signore Risorto è sempre vivo al nostro fianco.
Ogni volta che Dio si manifestava a un israelita, cercava di dissipare la sua paura: «Non temere» gli diceva. Lo stesso fa Gesù: «Non temere», «non avere paura». Questo è ciò che l’angelo dice a queste tre donne che la paura spinge a scegliere la veglia.
In ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Presentazione di Giuliano Vigini
  4. 2007
  5. 2008
  6. 2009
  7. 2010
  8. 2011
  9. 2012
  10. Copyright