Il Principe Nero
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Il Principe Nero

  1. 208 pagine
  2. Italian
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Divenuto uno dei più illustri cavalieri inglesi al servizio dell'erede al trono d'Inghilterra, il Principe Nero, Sir Nigel affronta pericoli e agguati, tenacemente fedele alla sua dama e al suo onore.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852059674

Capitolo XV

A sud di Pamplona, tra colline grigiastre e brune disseminate di massi granitici, si stendeva un vasto altipiano. Sul versante guascone delle montagne si vedevano corsi d’acqua, prati, foreste, piccoli villaggi appollaiati sulle alture; sul versante navarrese soltanto nude rocce, poveri pascoli, vaste lande selvagge e pietrose. Cupe gole intersecavano il paesaggio, attraversate da torrenti che scendevano a precipizio dalle montagne. Soltanto il fragore delle acque, il grido dell’aquila, l’ululato dei lupi rompevano il silenzio di quella regione desolata, inospitale.
In quel silenzio avanzavano sir Nigel e la sua compagnia, cavalcando ora fra strette e impervie pareti di roccia, che lasciavano scorgere soltanto una stretta, irregolare striscia di cielo tra i cespugli alti sul crinale, ora per sentieri angusti e sassosi, tracciati dal passaggio dei mulattieri sull’orlo di precipizi in fondo ai quali scorrevano altri torrenti. In due giorni passarono Fuente e attraversarono l’Ega; alla sera del secondo giorno videro scomparire la zona montuosa, e distendersi davanti a loro l’Ebro, vasto e azzurro, che scorreva sinuoso tra case e villaggi. Quella notte i pescatori di Viana furono svegliati da voci aspre che parlavano in una lingua a loro estranea; prima dell’aurora, la Compagnia aveva attraversato il fiume in barconi, giungendo infine in terra di Spagna.
Il giorno seguente rimasero accampati in una foresta di pini nei pressi del villaggio di Logrono, per lasciar riposare i cavalli e tenere consiglio sul da farsi. Sir Nigel era accompagnato da sir William Felton, sir Oliver Buttesthorn, sir Simon Burley, grosso e attempato, dal conte di Angus e da sir Richard Causton, tutti cavalieri tra i più valorosi dell’esercito; aveva inoltre con sé sessanta armigeri e trecentoventi arcieri. Quella mattina erano stati mandati avanti degli esploratori che erano tornati al tramonto riferendo che il re di Spagna era accampato a circa quattordici miglia oltre la foresta, in direzione di Burgos, forte di ventimila uomini a cavallo e quarantacinquemila appiedati.
Era stato acceso un fuoco di legna, e i capi vi si erano radunati attorno, mentre gli arcieri se ne stavano seduti tra i cavalli legati in cerchio, parlando tra loro e mangiando le scarse provviste.
«Quanto a me» disse sir Simon Burley «ritengo che la nostra missione sia stata compiuta. Ora sappiamo dov’è il re e quanti uomini sono con lui; non era questo che volevamo?»
Sir William Felton annuì.
«Ma io» aggiunse «mi sono unito a questa spedizione perché da molto tempo non ho spezzato una lancia in guerra, e non tornerò indietro prima di avere affrontato qualche cavaliere spagnolo. Chi vuole può andarsene: io rimango in attesa di poter fare quello che ho detto.»
«Non intendo abbandonarvi, sir William» ribatté Burley «ma, come veterano e uomo esperto di guerra, non posso non osservare che quella di quattrocento uomini stretti tra un fiume e sessantamila nemici è una situazione molto pericolosa.»
«Tuttavia, non possiamo tornarcene senza aver avuto neppure il minimo scontro, per l’onore stesso dell’Inghilterra.»
«E per quello della Scozia» aggiunse il conte di Angus, il cavaliere scozzese. «Se volgerò indietro il mio cavallo prima di aver visto il campo spagnolo, che possa non ritornare mai più al Leith!»
«Avete parlato molto bene, davvero molto bene, parola mia!» esclamò allora sir Nigel. «E infatti ho sentito spesso dire che tra gli scozzesi vi sono cavalieri nobilissimi. Del resto, sir Simon, riflettete che le notizie relative agli spagnoli le abbiamo avute da spie del luogo, che possono dirci ben poco delle forze nemiche in relazione a quanto desidera apprendere il principe.»
Burley fece un cenno di assenso.
«Siete voi il capo della spedizione, sir Nigel; io non faccio che esprimere la mia opinione, pronto a rimettermi a quello che voi deciderete.»
«E il vostro consiglio, sir Simon, ci è sempre prezioso. Quanto al fiume di cui avete parlato, possiamo anche non curarci di averlo alle spalle, perché il principe deve essere ormai a Salvatierra e di là proseguirà per Vittoria. Se ci spingiamo fino all’estremità del campo spagnolo, potremo in ogni caso ritirarci in buon ordine.»
«In concreto, che cosa esattamente pensate di fare?» chiese Burley, scrollando la testa come non fosse pienamente convinto.
«Vorrei ci spingessimo avanti immediatamente perché la notizia che abbiamo attraversato l’Ebro non ci preceda. In questo modo, potremo vedere con i nostri occhi il campo spagnolo e forse avere l’occasione di compiere qualche modesta impresa.»
«E sia dunque così» concluse Burley.
Avendo tutti gli altri approvato il piano di sir Nigel, i cavalieri fecero rapidamente una magra cena, e subito si riprese l’avanzata tra le tenebre. La Compagnia cavalcò tutta la notte, con molte difficoltà, tra gole selvagge e aride vallate, guidata da un contadino atterrito che Simon il Nero teneva legato per un polso al suo arcione. Alle prime luci dell’alba si trovava in una gola intersecata da altre gole che si prolungavano a destra e a sinistra. Rocce impervie si innalzavano ai lati, aprendosi in lunghe terrazze naturali.
«Se me lo consentite, mio signore» disse Simon il Nero a sir William Felton «quest’uomo ci ha condotto per una strada sbagliata; e poiché non vedo qui un albero a cui lo si possa impiccare, credo lo si debba precipitare giù da quella roccia.»
Il contadino non aveva capito le parole, ma dal tono con cui erano state pronunciate e dall’espressione di Simon, intuì che la sua vita era in pericolo; e si gettò in ginocchio chiedendo a gran voce pietà.
«Ma che hai fatto dunque, cane?» gli disse sir William parlandogli in spagnolo. «È forse questo l’accampamento al quale avevi promesso di condurci?»
«Giuro su quanto ho di più caro che nell’oscurità ho sbagliato io stesso strada!» esclamò il contadino tremando.
«Gettatelo nel precipizio! Che si fracassi le ossa!» urlarono una decina di voci.
Il contadino si afferrò freneticamente a una roccia. Alcuni arcieri stavano per strapparlo di là, quando intervenne sir Nigel.
«Ma che fate, cavalieri? E voi, lasciate stare quel disgraziato! Finché il principe mi fa l’onore di affidarmi il comando di questa spedizione, io soltanto posso dare ordini; e, sul mio onore! sono pronto a sostenerlo contro chiunque se ne sentisse offeso. Che ne dite, sir William? e voi, Lord Angus? e voi, sir Richard?»
«Andiamo, sir Nigel» rispose per tutti Felton «questo misero contadino non merita che dei vecchi compagni debbano battersi a causa sua. Sappiate però che ci ha traditi e che indubbiamente ha meritato di morire da quel cane che è.»
Sir Nigel si volse allora al contadino.
«Ascoltami bene, amico, vogliamo darti modo di rimetterci sulla strada giusta. Sir William, noi ci prepariamo a guadagnare molto onore in quest’impresa, e sarebbe davvero triste se il primo sangue versato fosse quello di un indegno contadino. Diciamo piuttosto le nostre preghiere del mattino, e forse, prima che abbiamo finito, quest’uomo avrà trovato il modo di rimetterci sulla strada giusta.»
A capo scoperto, cavalieri e arcieri rimasero in piedi accanto ai loro cavalli mentre sir Simon Burley recitava il Pater, l’Ave Maria, il Credo. Alleyne avrebbe ricordato a lungo quella scena: il gruppo di cavalieri chiusi nelle plumbee armature, il viso largo e colorito di sir Oliver, i vigorosi lineamenti del conte scozzese, il cranio lucido di sir Nigel, il cerchio di facce rozze, barbute attorno a loro, e, come sfondo, le nude, impervie rocce brune. La Compagnia aveva appena pronunciato l’ultimo Amen, quando si udì improvvisamente il suono di centinaia di trombe, accompagnato da un rullare di tamburi e un tintinnare di cembali. Immediatamente, tutta la Compagnia era a cavallo, pronta al combattimento, certa che un intero esercito stesse per sorprenderla; ma il contadino cadde in ginocchio e a gran voce ringraziò il cielo per la sua misericordia.
«Caballeros» esclamò «li abbiamo ritrovati! Sentite? suonano la diana. Se volete degnarvi di seguirmi, vi condurrò all’accampamento nel tempo che occorre per recitare il rosario.»
E subito si avviò, seguito da tutti gli altri. Scese in fondo a un burrone, risalì la piccola altura sul lato opposto e li condusse in una breve vallata boscosa attraversata da un ruscello. Di là, guardando cautamente fra gli alberi, gli inglesi videro una scena che per qualche istante accelerò a tutti il battito del cuore.
Davanti a loro si stendeva una vasta pianura erbosa, attraversata da due corsi d’acqua, chiusa in fondo dalle torri di Burgos che si innalzavano fiere nell’aria chiara del mattino. Tutta la vasta pianura era coperta di tende, divise da sentieri come in una città, dominate da alti padiglioni di seta sui quali sventolavano i vessilli dei più grandi feudatari di Castiglia e di León. Al centro, su un padiglione più grande di tutti gli altri, sventolavano le armi reali di Castiglia indicando che anche il valoroso Enrico di Trastamara si trovava tra i suoi guerrieri.
L’immenso esercito era già in piedi. Cavalieri, frombolieri, balestrieri si muovevano ovunque fra le tende; altri si raggruppavano davanti ai loro padiglioni; altri ancora si allontanavano per cacciare, con i falconi sul pugno, seguiti da mute di cani tenute al guinzaglio da battitori vestiti di verde.
«Per le ossa delle mie dieci dita!» esclamò Samkin rivolto a Alleyne, che osservava in preda alla meraviglia quella scena per lui nuova. «Li abbiamo cercati tutta la notte, e adesso che li abbiamo trovati non so che cosa possiamo fare.»
«Hai ragione, Samkin» intervenne il vecchio Johnston. «Vorrei che ci trovassimo di nuovo sull’altra riva dell’Ebro: a quanto vedo, non c’è da farsi onore né da trarre qualche profitto. E tu, che ne dici, Simon?»
«Sul mio onore!» ribatté fieramente Simon il Nero. «Prima di voltare il mio cavallo verso le montagne, voglio vedere di che colore è il loro sangue! Sono forse un bambino, per aver camminato tre giorni senza concludere nulla?»
«Ben detto, amico mio!» lo approvò John di Hordle. «Io sono sempre con te, come l’elsa è con la spada. Ah, se potessi soltanto mettere la mano su uno di quei bei cavalieri che vedo laggiù! Non dubito che ne ricaverei un riscatto tale da poter comprare a mia madre un’altra mucca.»
«Un mucca?» ribatté Samkin. «Vorrai dire dieci acri di terra e una casa sulle rive dell’Avon.»
«Davvero? Se è così, vado a vedere se riesco a prendere quel cavaliere in giustacuore rosso.»
E con la sua solita temerarietà, stava infatti per uscire dagli alberi tra i quali si nascondeva la Compagnia, quando sir Nigel corse a trattenerlo.
«Indietro!» ordinò brevemente. «Non è ancora venuto il momento: dobbiamo rimanere qui fino a sera. Toglietevi tutti l’elmo e la cotta di maglia, perché non se ne veda lo scintillio, e attaccate i cavalli laggiù in fondo, vicino alle rocce.»
Gli ordini furono eseguiti prontamente; poco dopo, gli arcieri erano sdraiati sulla riva del ruscello, mangiando pane e lardo e allungando ogni tanto il collo per osservare l’accampamento nemico. Il silenzio era profondo, interrotto soltanto da qualche frase scherzosa detta a bassa voce, da qualche comando sussurrato appena. Si erano sentiti infatti suoni di tromba dalle colline intorno: la Compagnia era dunque capitata fra gli avamposti nemici. I capi si erano messi a sedere al riparo dei cespugli e tenevano consiglio.
«A che serve aspettare?» disse sir William Felton. «Attacchiamo il campo prima di essere scoperti.»
«È anche il mio parere» aggiunse il conte scozzese. «Li prenderemo alla sprovvista: non pensano affatto di avere i nemici così vicini.»
Ma sir Simon Burley era di altro parere.
«Quanto a me» disse «questa mi sembra una pazzia bella e buona. Non possiamo certo pensare di sconfiggere un esercito così grande, e quando il nemico ci avrà circondato, come probabilmente accadrebbe, che cosa faremo? Vorrei sapere che cosa ne pensate voi, sir Oliver Buttesthorn.»
«Parola mia!» si affrettò a rispondere il grosso cavaliere. «Mi pare che il vento porti fin qui uno squisito odore di aglio e di cipolla fritta, che certo viene dalle cucine del campo. Perciò, se il mio vecchio amico qui non decide diversamente, proporrei di piombargli subito addosso.»
«No» ribatté sir Nigel. «Ho un mio piano, grazie al quale potremo compiere qualche piccola impresa e in seguito ritirarci, cosa che ci sarebbe altrimenti impossibile, come ha detto giustamente sir Simon.»
«Che cosa intendete fare, sir Nigel?» chiesero alcuni.
«Rimarremo qui l’intera giornata, perché è difficile che ci vedano tra questi alberi; poi, quando verrà la sera, usciremo verso il campo e vedremo se ci sarà l’occasione di compiere qualche impresa.»
«Ma perché non ora?»
«Perché l’oscurità ci aiuterà a ritirarci, e potremo allora rifare il cammino percorso tra le montagne. Lascerò una ventina di arcieri nella gola, con i nostri vessilli piantati sulle rocce e con quante trombe abbiamo, perché quelli che ci inseguono credano di trovarsi di fronte tutto l’esercito del principe e non avanzino troppo. Che ne dite del mio piano, sir Simon?»
«Sul mio onore, dico che è ottimo! Se quattrocento uomini devono combattere contro sessantamila, non vedo come potrebbero farlo altrimenti, in relativa sicurezza.»
«Anch’io approvo di cuore» aggiunse allegramente Felton. «Ma vorrei che fosse già stasera. Sarebbe molto grave se ci scoprissero prima.»
Felton aveva appena finito di pronunciare quell...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. IL PRINCIPE NERO
  4. Capitolo I
  5. Capitolo II
  6. Capitolo III
  7. Capitolo IV
  8. Capitolo V
  9. Capitolo VI
  10. Capitolo VII
  11. Capitolo VIII
  12. Capitolo IX
  13. Capitolo X
  14. Capitolo XI
  15. Capitolo XII
  16. Capitolo XIII
  17. Capitolo XIV
  18. Capitolo XV
  19. Capitolo XVI
  20. Capitolo XVII
  21. Capitolo XVIII
  22. Copyright