Le mani sui bambini
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Le mani sui bambini

Storie cliniche di abusi infantili

  1. 168 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Le mani sui bambini

Storie cliniche di abusi infantili

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Informazioni sul libro

Dieci storie attinte al quotidiano orrore delle cronache nere. Storie di abusi sessuali sui bambini e del lavoro terapeutico fatto per aiutare le piccole vittime. Dalla maggiore esperta italiana di psicologia infantile, un libro dal quale emerge, in tutta la sua inconcepibile violenza, la realtà sconcertante della pedofilia.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852061592
1

Le mani su Mondrian

Mondrian oggi ha 9 anni e non vuole assolutamente ricordare. Ogni volta che la famiglia di suo padre tenta di contattarlo, ha una crisi di nervi. Batte la testa contro il muro, piange, urla, distrugge tutto quello che gli capita a tiro. Nessuno può avvicinarlo fino a quando non gli garantiscono che i nonni non verranno. Quei nonni sono il suo incubo, la casa dei nonni è come l’antro di una strega dal quale è riuscito a trovare scampo, ma rimanendo psichicamente distrutto. I genitori di Mondrian sono docenti universitari, sposi in tarda età i quali, prima della nascita del figlio, costituivano, per loro stessi e per gli altri, una coppia modello. Nessuno alzava mai la voce in casa di Mondrian, la cui colonna sonora era caratterizzata dai concerti di musica classica che la madre di Mondrian amava ascoltare già prima che lui nascesse. La madre era certa che, nel grembo, Mondrian già imparasse ad apprezzare Bach, Beethoven e, soprattutto, Mozart.
Quando Mondrian nacque, dopo 15 ore di doglie, assistito da un’intera équipe di medici, con la madre che stringeva la mano del padre e lo incoraggiava perché il padre di Mondrian non amava la vista del sangue, gli furono scattate più di cento foto. Mondrian da neonato era già bellissimo e, forse per questo motivo, i nonni non smisero mai di scattargli foto. Il nonno soprattutto ci aveva preso un gusto matto. Di Mondrian bambino esistono ben 1692 foto che lo ritraggono dai suoi primi momenti di vita fino ai 7 anni, cioè fino al giorno in cui Mondrian disse «basta!», e distrusse la macchina fotografica strappandola dalle mani del nonno e calpestandola furiosamente. Perché? Nessuno sa dare, ancora oggi, un’esatta spiegazione, ma molte cose da quel giorno cambiarono. Mondrian, infatti, iniziò a star male. Gradatamente, giorno dopo giorno, divenne sempre più collerico, ingovernabile, ossessivo. La sua ossessione riguardava il mettere in ordine tutte le foto che gli erano state scattate. Dopodiché non permetteva più a nessuno di toccarle, Mondrian si isolava dal mondo e usava quelle foto come se fossero giocattoli: carte da gioco, soldatini, figurine. Le metteva in fila, le cambiava di posto, ci costruiva instabili castelli. Prima di ogni gioco, però, le selezionava con grande attenzione. Utilizzava solo quelle che gli erano state scattate prima del suo sesto compleanno. Le altre, invece, dai 7 anni in su, le ammonticchiava in un gruppo a parte. Se erano foto di famiglia, le disponeva a sinistra e non prestava loro particolare attenzione. Magari le guardava una volta soltanto e poi se ne separava facilmente. Se, invece, le foto lo raffiguravano da solo, vestito, in casa sua, in casa di altri o ai giardini, passava molto tempo a osservarle, quindi le metteva tutte insieme alla sua destra. Infine, al centro, Mondrian metteva le tante foto che, sin da quando era bambino, lo ritraevano nudo in casa, dopo il bagno sul fasciatoio a pancia in su o sopra il letto a pancia in giù; al mare, sulla riva; o in vacanza, a casa dei nonni, nel giardino. Quelle foto erano per lui speciali a tal punto che non teneva conto della barriera dei 6 anni da lui stesso imposta al gioco. Le metteva insieme tutte quante. Le guardava attentamente; le disponeva in perfetto ordine cronologico, da quelle che lo ritraevano neonato in poi. Il rituale ossessivo durava anche delle ore, ma, inizialmente, nessuno in casa lo considerava tale.
La famiglia di Mondrian aveva abituato il bambino a giocare da solo, in silenzio, col sottofondo della musica classica. Pertanto, sin da piccolissimo, da quando a soli 3 anni già iniziava a leggere, Mondrian aveva usufruito di un suo spazio di solitario intrattenimento che si protraeva per molte ore, nell’ambito del quale egli utilizzava, per giocare, libri illustrati e materiale cartaceo di ogni genere (carte da gioco, mappe, percorsi ecc.). Perciò i suoi genitori non si allarmavano certo notando poi che Mondrian si intratteneva in modo analogo con le «sue» fotografie. In casa di Mondrian, del resto, la fotografia era bene accetta proprio come la musica. I nonni paterni di Mondrian erano appassionati fotografi dilettanti, ma, soprattutto, amavano mostrare le loro foto e confrontare esperienze con altri appassionati di fotografia. Inoltre il nonno, un aitante signore di 60 anni con un passato di sportivo e di «tombeur de femmes», dichiarava, sorridendo, che poiché non poteva mostrare, per decenza, le foto con autoscatto che lui e la moglie erano soliti farsi durante gli ancora focosissimi amplessi, preferiva esibire le immortalate fattezze di Mondrian. Fotografarlo, fin dai primi giorni di vita, in varie pose, ma soprattutto nudo, sembrava il loro pallino fisso. Una sorta di sistematico, ossessivo safari fotografico a cui sottoponevano, braccandolo, il bambino. Quasi un modo per possedere, giorno dopo giorno, il suo corpo in crescita. Ma questa sorta di persecuzione fotografica sarebbe certamente rimasta un’invadente manifestazione di possessivo affetto se Mondrian, a 7 anni, non fosse all’improvviso «esploso», prima distruggendo la macchina fotografica dei nonni, con un accanimento e una rabbia mai espresse in precedenza, e se, in seguito, non avesse iniziato a sottrarsi al rapporto con gli altri: anzitutto e drasticamente con i nonni, quindi, a poco a poco, anche con i genitori, con gli zii e i cugini, peraltro amatissimi, e con la governante di mezza età che lo aveva visto nascere, per inaugurare una sorta di graduale ritiro dal mondo. Mondrian, insomma, sbarra il passo a qualsiasi tentativo di contatto, soprattutto da parte degli adulti, utilizzando proprio quella cortina di foto «tutte sue».
Questo processo di graduale, autistico rifiuto, iniziato intorno ai sette anni, tocca il suo apice quando il bambino, che giorno dopo giorno, al ritorno dalla scuola, prolunga l’ossessivo rituale di ordinare cronologicamente le sue foto, inizia, più volte nell’arco di uno stesso pomeriggio, a staccare del tutto il contatto con il mondo. Mondrian, infatti, tralascia di allineare le foto e inizia a parlare da solo. Prima con voce bassa e strisciante, poi, all’improvviso, a voce alta, acuta, come di chi stia per urlare. Di quel che Mondrian dice, poco si capisce. A volte si tratta solo di un indistinto borbottio; a volte, invece, pronuncia frasi chiarissime e sempre uguali: «Non mi tenere le mani dietro la schiena!», «Lasciami le mani!», «Mi fai male al sedere!», «Non mettermi niente dietro!». Le assenze di Mondrian, il suo rifiuto del mondo, il suo parlare convulso con i fantasmi della mente, si fanno, col passare dei giorni, più consistenti. Mondrian se ne va altrove con la testa poiché delirare, per lui, è una possibilità di sfuggire al dolore, alla paura, alla vergogna, alla violenza di quel che gli è stato fatto e che neppure riesce a dire. La sua mente non conosce riferimenti possibili a una simile esperienza, se non l’idea del Male. È un male che gli ha penetrato la carne; è un male invasivo che l’ha colto alle spalle. È un male che ha a che fare con le foto e con la sua nudità. Mondrian tenta di spiegarlo «anche» a se stesso, ricercando nelle sue foto l’inizio e l’indizio dell’esperienza che il suo corpo nudo ha fatto.
Mondrian cerca di contenere la sua angoscia, ricorrendo all’ossessivo ordine in cui pone le foto; poi cerca di intrattenere i fantasmi delle violenze subite parlando loro, minacciandoli. Ma nessuno riesce a contenere l’angoscia di Mondrian, nessuno riesce a placare il suo delirio se non la musica. È come se il bambino associasse il conforto della musica alla protezione avuta nel grembo della madre. La musica gli consente di ritornare feto, di sentirsi protetto, riconosciuto. Tra una crisi e l’altra Mondrian ascolta, placato, la musica e, subito, se c’è la musica a fare da contenitore, smette di parlare ai fantasmi e di disporre ossessivamente le foto nell’ordine che documenta la sua crescita fisica. È la madre a scoprire questo benefico, significativo effetto che la musica ha su Mondrian.
È la madre, per prima, a capire che il suo bambino non è più quello di prima e che i suoi comportamenti non sono «stranezze» da superdotato o una manifestazione di «specialità» da parte del piccolo genio che Mondrian è sempre stato per tutti. Mondrian sta veramente male, qualcosa di grave è accaduto e tutto questo lo ha fatto andare «fuori di sé». A scuola, però, il «disagio» di Mondrian non si manifesta subito così apertamente come a casa. La scuola è un contenitore migliore della famiglia per Mondrian che anche lì, comunque, è molto cambiato. È poco socievole, distratto, apatico e, a tratti, fortemente aggressivo. Mondrian, che è sempre stato gentile con gli altri bambini, ora ha degli scatti improvvisi, degli ingiustificati momenti d’odio durante i quali si scaglia sui compagni, con violenza, in preda all’evidente, incontenibile desiderio di far loro del male. In quelle occasioni ripete le frasi che, in casa, proferisce quando parla da solo. Indirizza quelle frasi ai suoi compagni, anche se nessuna azione in esse indicata sta avvenendo in quel momento. Dice infatti «non mi tenere le mani dietro la schiena!», «mi fai male sul sedere!», «non mettermi niente dietro!» all’indirizzo dei compagni con i quali si azzuffa, anche se le parti del corpo che indica non sono certo quelle coinvolte nello scontro fisico con i suoi compagni. Durante le liti, che lui stesso alimenta provocando gli altri ragazzini, Mondrian cerca di picchiarli, di gettarli a terra e di costringerli all’immobilità. Quando riesce ad atterrare un suo coetaneo, lo riempie di botte, usando mani e piedi, e di sputi. Lo fa anche quando il bisticcio o i contrasti fra bambini non meritano una simile aggressività. Mondrian vuole farsi male e far male all’altro. Spesso torna a casa malconcio dopo una sfida fisica con ragazzini più grandi di lui che, naturalmente, hanno la meglio e lo picchiano. Ma per Mondrian questo esercizio è salutare. Vuole «sentire» il suo corpo anche attraverso il dolore, perché quel dolore è, per lui, garanzia di esistenza, di radicamento a terra; è stimolo a reagire a un dolore che, altrove e altrimenti, gli è stato inflitto. Un dolore fisico, una violenza, un’umiliazione, alla quale non ha potuto sottrarsi; contro la quale non ha potuto lottare. Farsi male, far male all’altro, lottare, picchiare, gli consente di ristabilire un contatto con la realtà e di mettere in scena, scaricandone gli effetti, il conflitto che sente internamente. A scuola, Mondrian sta meglio perché può esprimere il suo dolore, la sua paura, la sua rabbia, utilizzando il rapporto con gli altri bambini.
Gli insegnanti di Mondrian, dopo un po’, segnalano ai genitori l’aggressività notevole che il bambino manifesta in classe. Ne sono stupiti e restano interdetti anche perché, nel contempo e nonostante tutto, il rendimento scolastico di Mondrian è sempre alto. Gli insegnanti chiedono ai genitori di Mondrian se sia successo qualcosa al bambino o in famiglia. Quelle rabbie improvvise che si trasformano in provocazioni, in zuffe, per scaricare la tensione, devono pur avere una ragione d’essere. Anche l’apatia di Mondrian, la sua poca concentrazione, quel bisogno che egli ha in classe di distrarsi, di assentarsi, quasi la mente del bambino non reagisse allo sforzo di prestare attenzione, vengono segnalati dagli insegnanti ai genitori. Mondrian ha, forse, subito un forte stress e ora sta reagendo a modo suo. Ma quale stress? Ogni indagine sul perché stia così, fatta a casa e a scuola da genitori e insegnanti, non dà alcun risultato.
Per cercare di capire da cosa traggano origine quelle frasi che il ragazzino sempre urla e quale significato dargli vuol dire ipotizzare il peggio, i genitori di Mondrian, la madre soprattutto, iniziano a indagare. Sennonché, convincere Mondrian a fare, anzitutto, una visita dal medico di famiglia risulta un’impresa quasi disperata. Mondrian, infatti, non vuole spogliarsi e, davanti al dottore, ha una violentissima crisi di panico. È così forte la paura che Mondrian prova di fronte all’insistenza degli adulti nel volerlo far spogliare, che egli inizia a saltare e correre per tutto lo studio. Contro i genitori che cercano di fermarlo, scaglia tutto quello che trova sul suo percorso di fuga: le sedie, il paravento, un panchetto, un cestino dei rifiuti. Mentre fugge, poi, Mondrian inizia a gridare le solite frasi: «non mi tenere le mani dietro la schiena!», «non mettermi niente dietro!», «non mi fare male al sedere!». Il medico di famiglia consiglia l’immediato intervento di un neuropsichiatra infantile. Ma di ritorno a casa, dopo la visita medica, Mondrian inizia a distruggere, nella sua stanza, giocattoli e libri. Questa volta neppure la musica riesce a calmarlo. Se tentano di trattenerlo, urla con tutta la forza che ha e si getta all’indietro con la testa e poi con tutto il corpo. Sembra indemoniato. Il medico di famiglia, richiamato d’urgenza, somministra a Mondrian un sedativo. Il bambino s’addormenta per un po’. Di notte, però, si sveglia, raduna tutte le foto nelle quali è nudo e dà loro fuoco, un fuoco che subito divampa. I genitori accorrono, e spengono in tempo il falò. Mondrian saltella eccitatissimo intorno a quel fuoco: ride, urla, piange, si rotola a terra, tira calci. Si scatena come un primitivo di fronte al fuoco purificatore. Le foto bruciano rapidamente, ma non tutte. Quelle che restano, bruciacchiate o illese, Mondrian le prende a calci e sputi. Le insulta come fossero persone.
Dopo la crisi notturna, Mondrian viene ricoverato per una settimana. I farmaci che gli vengono somministrati lo fanno stare subito meglio. Soprattutto dorme, forse perché, finalmente, un rogo è stato acceso e ogni cattivo ricordo esplicitato e arso. Mondrian inizia, da allora, un percorso terapeutico che, ancora oggi, non si è concluso e che, soltanto in parte, ha svelato le radici e i drammatici retroscena del suo malessere psicologico. Dai suoi giochi, dai suoi incubi notturni, dai suoi disagi, dai vaghi ricordi che, piano piano, affiorano alla sua mente; dalle domande che fa e che sono sempre relative a quelle parti del suo corpo che egli teme possano essere nuovamente violate; dall’ostilità invincibile che egli dimostra nei confronti dei nonni (e del nonno soprattutto!) e dalle violentissime reazioni di panico che lo assalgono quando si accenna alla famiglia del padre o alla possibilità che quei parenti vengano in visita e/o vogliano incontrarlo, si fa strada, nei genitori di Mondrian e in chi lo cura, l’ipotesi che il bambino sia stato vittima di un abuso sessuale e che, ad abusare di lui, sia stato il nonno con la complicità della nonna e della macchina fotografica.
Il padre di Mondrian, durante i colloqui terapeutici che, insieme al lavoro clinico sul bambino, vengono settimanalmente effettuati, ricorda che suo padre era solito fotografare lui e la sorellina nudi e che «senza complessi» (sic!) toccava il corpo dei figli anche nelle parti intime e «insegnava» loro come provare piacere da soli o in compagnia dei genitori. Questa disinvoltura sessuale, capace di creare, secondo il padre di Mondrian, una «grande intimità» tra i membri della famiglia e una «piacevole complicità tra di loro», non si era mai trasformata, a suo avviso, in un abuso vero e proprio. Tutto era rimasto a livello di un «gioco senza conseguenze». Per questo motivo, non aveva mai ostacolato la fotomaniacalità di suo padre nel ritrarre Mondrian nudo, né aveva considerato un pericolo il fatto che i nonni volessero tenerlo così spesso con loro durante i week-end. Infatti, nulla di quello che sembrava essere toccato a Mondrian era capitato a lui. O, comunque, nulla egli ricordava.
Finestra n. 1
Le foto di Mondrian sono state ritrovate su Internet in un sito per pedofili scambisti. Alcune sono di semplice nudità. Altre, invece, lo ritraggono, intontito, forse drogato, mentre «qualcuno» (un adulto) abusa di lui. Il cognome del padre di suo padre è tra quelli delle persone che hanno fornito materiale pornografico su bambini a quella «sporca navigazione».
2

Le mani su Viridiana

Viridiana, 9 anni, ha un papà e una mamma che vegliano su di lei e sulla sorellina Marta, di 7, con grande attenzione. Entrambi lavorano: il padre è dirigente di una grossa azienda, e la madre ha fatto un’ottima carriera statale. Sono persone «perbene», che curano molto l’ambiente nel quale vivono le loro due bambine. Rinnovano spesso la loro stanzetta cambiando la carta da parati, le tende, la stoffa delle poltrone. Hanno comprato dei tappeti «lavabili in lavatrice» sui quali Viridiana e Marta possano giocare e disegnare senza temere di lasciare indelebili tracce della loro creatività. Aggiornano continuamente la piccola biblioteca delle figlie. Il sabato pomeriggio, poi, la famigliola lo dedica agli acquisti per le bambine. E non c’è sabato nel quale non vengano comprati alle due ragazzine vestiti o giocattoli o libri. La domenica, infine, si sta tutti insieme.
Niente sembra poter turbare questo idilliaco clima da «Mulino bianco»: i genitori si amano, senza peraltro lesinare attenzione e dialogo nei confronti dei bambini. C’è benessere, allegria, serenità, unione. Fino a quando non si cominciano a verificare una serie di curiosi episodi che lasciano interdetta non tanto la mamma e il papà di Viridiana e Marta – i quali, inizialmente, non vi fanno neppure caso –, quanto una zia nubile, anziana, che vive in famiglia e che ama molto le bambine. Viridiana è la prima delle sue nipoti e, pertanto, la segue con particolare attenzione. Viridiana, dunque, inizia a fare strani giochi, sottraendo dal contenitore dei panni sporchi gli indumenti intimi della mamma, del papà o della sorellina per andarli a nascondere in vari punti della casa. Ma questi suoi «dispetti» non vengono subito attribuiti a lei. Infatti, una prima volta la zia trova, nascosti dentro un cache-pot che contiene delle piante finte «talmente belle da sembrare vere», degli slip che appartengono alla madre di Viridiana. L’indumento è nascosto alla base della falsa pianta sempreverde, e si tratta degli slip che la mamma della bambina da alcuni giorni non riusciva più a trovare. Sono slip «preziosi», di pizzo nero, sexy.
In un primo momento si pensa che, per errore, sia stata la domestica a metterli lì. In casa di Viridiana, infatti, lavora una filippina di 25 anni, Maria del Carmelo, che vive con la famiglia da circa sette anni, da quando, cioè, è nata Marta. Ed è proprio la zia a sospettare della ragazza («Forse – pensa – voleva nasconderli, come se si fossero persi, per poi «ripescarli» quando in casa nessuno più li avrebbe cercati!»). Maria del Carmelo viene accusata dell’accaduto, e anche rimproverata. Ma lei non accetta il rimprovero, piange, respinge le accuse e si difende dicendo che non può essere stata lei a nascondere gli slip nel portavaso! Al pianto di Maria del Carmelo assistono anche Viridiana e Marta, ma mentre la più grande non fa alcun commento, la piccola s’interessa vivamente all’accaduto. Gira intorno alla «tata» a cui è molto affezionata, la prende in disparte e le chiede: «Ma è vero che hai fatto questo dispetto alla mamma? È vero che volevi nascondere gli slip?».
Dopo qualche settimana, l’incidente viene superato: la domestica si consola, Viridiana e Marta non parlano più dell’episodio. La zia, però, vigila. Una ventina di giorni dopo, si verifica un nuovo episodio: questa volta scompaiono un paio di boxer del papà e vengono ritrovati nascosti nel tombino, situato in fondo alla grande terrazza della casa. Il tombino, nel quale defluisce l’acqua destinata all’irrigazione automatica delle piante, è ricoperto da una piccola costruzione in mattoni. Proprio dietro a uno di questi mattoni, che si è incrinato ed è un po’ distaccato dagli altri, vengono ritrovati i boxer. L’indumento è strappato, tagliuzzato in più parti, quasi fosse stato oggetto di un atto di deliberata distruzione non portato, però, a compimento totale. Questa volta a trovarlo è Marta, che lo scopre mentre sta giocando sulla terrazza. La bambina corre subito a portarlo alla domestica dicendole: «Allora, lo hai fatto di nuovo quel gioco di nascondere le cose di mamma e papà…?». Mentre la domestica rigira tra le mani l’indumento intimo maschile ridotto a brandelli, sopraggiunge la zia e chiede, anche lei, spiegazioni. Questa volta la reazione di Maria del Carmelo è violenta: la donna è più che decisa a dare le dimissioni da quella casa, nella quale continua a essere umiliata con accuse infondate. La famiglia si riunisce, i genitori di Viridiana e la zia si interrogano su che cosa stia accadendo. E se poi non fosse la domestica fili...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LE MANI SUI BAMBINI
  4. L’ANIMA DEL MONDO
  5. Introduzione. La camicia d’ortica
  6. 1. Le mani su Mondrian
  7. 2. Le mani su Viridiana
  8. 3. Le mani su Irina
  9. 4. Le mani su Lilia
  10. 5. Le mani su Ciprì
  11. 6. Le mani su Alessandra
  12. 7. Le mani su Lavinia
  13. 8. Le mani su Argia
  14. 9. Le mani su Arletta
  15. 10. Le mani su Elio
  16. APPENDICE
  17. Copyright