Vite pulviscolari
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Vite pulviscolari

  1. 112 pagine
  2. Italian
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Vite pulviscolari

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Con Vite pulviscolari, Maurizio Cucchi ha cambiato rotta e il suo umanesimo freddo, intelligente, insofferente, vagamente beffardo - o altrimenti, la sua sofferente ironia - si sono inoltrati in un territorio di confine. In effetti, l'umano e «inevitabile magone» del Disperso è divenuto qui «bolla definitiva d'aria»; il sensibile, doloroso versarsi, travasarsi - di sé - «nel niente» dell' Ultimo viaggio di Glenn si è chiarito nel pensiero poetico fondamentale: «che cos'è / il nulla?». Se "metafisica" è innanzitutto esplorazione del confine tra esistente e non esistente, sguardo sui concetti primi, visione della struttura del mondo, Cucchi con il suo cadenzato passo feriale si è alfine incamminato nella metafisica: disintegrando ogni retorica - dei sentimenti, della natura, della vita, dello spirito, degli oggetti stessi, lontani e avviliti «senza traccia né attrito» - e negando tutte le oppugnabili rassicurazioni della psiche, riscontra su quella via la forma di ciò che è o fu uomo o donna, come un'informazione che sbuca «viva / o superstite, integra, / emersa da un nero immenso tutto». È il tu madre-padre-moglie che recando consolazione viene al mondo, «in quel poco tempo che è il mondo», o sta per allontanarsene, stillante di mistero, a un passo dal nulla non nominabile (o dal nero tutto) e a un passo dalla vita. È la «storia... ingiustamente accidentata» di una piccola donna «gaia e turbata», «piccola madre» retrocessa al non essere, che all'improvviso da quel buio confine si sporge, amorosa, come da una finestra fiorita. È l'antica ribellione «astratta, totale» di un essere chiuso nella sua insufficiente forma umana e l'attuale, clamoroso «grazie» del figlio di fronte a quella stessa forma... Ma questa temeraria poesia di Cucchi, in bilico tra cielo e «terra da mangiare », «felice attrito / col mondo» e nulla sdrucciolevole, è anche una poesia scritta «per rimanere insieme ancora un po'» - umanamente, uomini e mondo - e per trattenere il mondo in sé, nonostante il «sopore negativo» e la «noia delle circostanze »: custodire la forma-mondo come il bene sovrano, nella sua stessa difforme struttura e nella sua vocazione ultima alla difformità.
Giorgio Ficara

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852060588
Argomento
Letteratura
Categoria
Poesia

IL BACIO DELLA BUONANOTTE1

Se ne è andata così, all’oscuro di tutto.
Come sempre, come ognuno di noi.
Presto saremo tu e io senza ormai tempo
risucchiati senza tormenti o gioie, senza
né corpo né afflizioni, assorbiti in una nube,
in una bolla definitiva d’aria.
Vorrei ricondurre tutto, ora,
alla nobile pulizia dei gesti,
delle parole e dei silenzi,
dei saluti e delle confessioni,
tra noi, senza più sprechi,
né equivoci o falsi pudori,
senza la noia delle circostanze
o la sfiducia desolata nelle cose.
Osservo con la lente, sullo sfondo,
la Porta Garibaldi, i due colori, i due
carretti e il tram. È fiero il guidatore
impettito nella sua giacca bianca.
C’è una bambina, scura come te,
in mezzo ai binari. Chi sarà stato,
già inghiottito da un secolo, l’uomo
ozioso che aspetta, dietro il lampione,
alla fermata, con le mani in tasca?
E forse è lui quel ragazzino in un formicolio
di gente opaca e antica, sudicia,
pulviscolo umano oltre la Collegiata,2
sotto il bianco della montagna,
o sul confine dove si insabbia
l’ultima carrozza sulla grafia distinta
del turista, leziosa come la sua:
«I come tomorrow. Edgar»
datato 9/10/1902.
Chissà se l’hai incontrata in giro
quella ragazza dallo strano nome,
Leonisa, studentessa, la figlia
della contessina grassa, la figlia
di tuo padre. Magari in via Lupetta,
in via Bagnera, in Santa
Maria Fulcorina, o qui al cancello
delle due farfalle.3
Perché era piccola allora la città,
piccola madre in abbandono
come Agnese, piccola madre
che non ci sei più.
Facciamo però in modo
che tutto diventi soffice,
intimo, familiare, affabile,
anche nei gesti del crepacuore.
Ti disturbava quel fervore chiassoso
dell’officina, quel gran disordine
di ferro in barre, in cunei, in lamiere,
serbatoi, assi, ingranaggi, manovelle,
marmitte soprattutto, e tute di operai
giovani, sporchi di fuliggine e di gesso
e le montagne di frantumi arrugginiti.
Avessi visto invece, come nell’album
delle figurine, la nobiltà del ferro
giovane, abbagliante. Il ferro rosso
di fuoco o bianco incandescente, il ferro
nero freddo, e un gusto forte
di ferro, un odore aspro
di ferro...
Si alza, dal fondo,
come un boato animale...
Eri di colpo diventata fioca.
E terrea. Di colpo
smorta, e totalmente
assente.
Di colpo, lavato male,
mi fermavo e sentivo un senso
strano, anch’io, di vacuità,
che sai... Per poco, per fortuna,
ma tu sai, conosci
questo sopore negativo.
Nei primi giorni... Era
strano. Come se fossi stata
un sogno, o fantasia, come
se non trovassi più una traccia
fisica, tangibile... Come un fantasma.
Ma dice giusto l’amica,4 dice
profondo: la memoria è in fondo
inaffidabile, imperfetta, tutta
caverne e trappole. È il sangue,
invece, il corpo, il vero
testimone che non mente,
che porta impressa, sicura
anche se mutante, la memoria.
Ecco perché continuo a rivederti,
vera, presente, nelle forme
delle teste e negli occhi,
nelle fronti di Elena fine
e di Novello, il marinaio artista.
Il camminatore ama
le condizioni climatiche estreme,
di quasi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. IL BACIO DELLA BUONANOTTE
  4. L’ORIZZONTE DEGLI EVENTI
  5. UN TRANQUILLO WEEK-END
  6. PICCOLO ALBUM
  7. IL DENARO E GLI OGGETTI
  8. IL BUSTO DEL BAMBINO
  9. LA TRAVERSATA
  10. Note
  11. Copyright