La natura dell'amore
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La natura dell'amore

La belva umana e le sue passioni

  1. 190 pagine
  2. Italian
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La natura dell'amore

La belva umana e le sue passioni

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Informazioni sul libro

Conoscere quanto l'uomo somiglia agli animali, che cosa di "bestiale" c'è ancora in lui, può aiutarci a comprendere certi comportamenti che sembrano assurdi e che pure sono perfettamente naturali. Per liberare così le nostre doti migliori, quelle che più di ogni altra cosa ci elevano rispetto a tutti gli esseri viventi: l'amore e la creatività.
Il libro, come scrive Maria Rita Parsi, "è costruito come un percorso di conoscenza della 'belva umana' per individuare i riti necessari ad addomesticarne il cuore". Un percorso costellato di passioni e riflessioni, intessuto di storie e ricamato da illustrazioni d'artista, in cui scienza e sensibilità poetica si abbracciano e regalando al lettore emozione, curiosità e meraviglia.
Senza timori reverenziali verso il (cattivo) romanticismo, queste pagine si immergono a ricercare la natura dell'amore, le sue basi evoluzionistiche e i suoi meccanismi biochimici. In un affascinante e istruttivo gioco di specchi, le passioni umane vengono messe in parallelo con altrettanti comportamenti animali, fino a scoprire quanto si può imparare sul nostro modo di amare dalla separazione "a scopo di rinnovamento" dei colombacci o dalla bigamia degli uccelli pigliamosche, dalle strategie dei moscerini gelosi o dall'amore estremo e spietato delle mantidi religiose.
Tenendo insieme Freud e Il Piccolo Principe, Pet Therapy e storie di vita, Maria Rita Parsi costruisce questo fantasmagorico e originale saggio sull'amore, che ci dimostra quanto può essere importante scoprirci animali per ritrovare tutta la nostra migliore umanità.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852062087
Parte prima

LA SCIMMIA NUDA E LE PASSIONI

L’amore della scimmia nuda

Recenti studi sul genoma umano mostrano che uomini e scimmie hanno in comune il 98,4 per cento del patrimonio genetico. Tra uomo e donna, è uguale il 96 per cento del genoma. Il 4 per cento di differenza corrisponde a circa sessantamila caratteristiche… Come dire che un maschio umano è fisiologicamente più vicino a una scimmia maschio che a una donna! E, naturalmente, la stessa somiglianza vale per le femmine di primati e di razza umana.
SERGE GINGER (psicologo clinico e psicoterapeuta, fondatore dell’École Parisienne, «Psychologies Magazine», aprile 2005)
La «scimmia nuda»1 è il primate più evoluto che conosciamo: apparsa in uno scenario sfavorevole, allorché mutamenti climatici costrinsero i nostri antenati ancestrali a lasciare le foreste che andavano sempre più riducendosi, questa scimmia dovette subire molti cambiamenti e adattamenti per sopravvivere. Mentre cercava di risolvere questo quotidiano problema, circa un milione di anni or sono la scimmia nuda sviluppò una strategia unica nel mondo animale. Allo scopo di uccidere le sue prede, invece di diventare un corridore più rapido o un predatore più potente, dotato di artigli o zanne come lo sono, ad esempio, i lupi o i grandi felini, si dotò di oggetti, organizzazione sociale, armi, caccia in gruppo sempre più sofisticata, cura della prole sempre più efficiente: insomma, sviluppò il cervello. Gli antichi modi di vivere determinati geneticamente, come avviene in tutti gli animali, programmati a comportarsi in modo istintivamente adatto alla loro sopravvivenza e alla riproduzione, vennero affiancati da altri molto più complessi. La scimmia nuda diventò, progressivamente, un animale sempre più «culturale», vale a dire che le sue abitudini vennero a mano a mano condizionate dall’educazione più che dall’istinto. Ma, come insegna lo zoologo Desmond Morris, per quanto le nostre motivazioni e i nostri affetti possano essere diventati diversi e complessi rispetto a quelli dei nostri antenati, l’evoluzione non può che avere «aggiunto» nuove caratteristiche, senza sopprimere i vecchi istinti della scimmia nuda, ancorati nelle parti più antiche del nostro cervello e del nostro patrimonio genetico. «Pur nel diventare tanto erudito, l’Homo sapiens è rimasto uno scimmione nudo, che nell’acquistare nuovi ed elevati moventi non ha perso nessuno dei vecchi moventi più bassi. Spesso ciò gli provoca un certo imbarazzo, ma i suoi antichi impulsi gli appartengono da milioni di anni, i nuovi solo da qualche millennio.» Non possiamo, insomma, «scuoterli via» e, anzi, vivremmo meglio se comprendessimo a fondo noi stessi come animali. Forse, chi lo sa, saremmo così anche in grado di addomesticare noi stessi, come abbiamo addomesticato moltissime specie selvatiche, quando ci siamo messi ad allevarle, diventando, anche noi, via via sempre più «domestici» e civilizzati. Anche quando ci innamoriamo, la scimmia nuda ama con noi e in noi. Ogni volta che amiamo, infatti, dentro di noi scattano i meccanismi dell’«amore naturale», un mix di istinto, bestialità e umanità. Seguendo la teoria di Darwin, l’amore è la versione umana del processo di attaccamento che caratterizza tutti i mammiferi. Meccanismo che è frutto di un’evoluzione millenaria e affonda le sue radici nell’istinto che lega il cucciolo alla madre, per poi estendersi al rapporto fra individui di sesso opposto che si legano tra loro per formare una coppia che si prende cura della prole al fine di garantirne al meglio la sopravvivenza. L’amore si è evoluto in uno scenario paleolitico, quando i cuccioli erano esposti a tanti predatori e dovevano essere difesi dalla coppia genitoriale. La selezione naturale ha premiato gli individui che sapevano amare, i loro figli sono sopravvissuti e noi oggi siamo la discendenza delle scimmie più intelligenti, senza dubbio, ma, soprattutto, siamo la discendenza di quelli che hanno saputo amare i loro figli e amarsi tra loro, in coppie. È stato l’amore a garantire il nostro successo riproduttivo. È stato l’amore a contrastare la nostra rabbia di carnivori predatori, l’odio che, come uomini, ci caratterizza: siamo gli unici animali che fanno la guerra e siamo gli unici animali che amano. Siamo scimmie nude e siamo angeli caduti. E, se vogliamo, siamo anche molto più di tutto questo, prima di essere donne e uomini siamo stati scimmie, e lo portiamo dentro di noi, nel nostro cervello. Prima ancora siamo stati mammiferi e i mammiferi si sono evoluti da specie più antiche. Nel nostro corpo c’è tutta la storia dell’evoluzione. C’è un vecchissimo cervello da rettili, quello che ancora oggi usiamo per respirare e camminare, il tronco encefalico che somiglia in modo impressionante al cervello semplice di un serpente. E, in fondo, dentro di noi, che siamo il prodotto più alto della filogenesi su questo globo che abbiamo battezzato «Terra», possiamo riconoscere tutti i meccanismi del regno animale e, se guardiamo ancora più a fondo, ritroveremo in noi tutte le «regole» degli altri regni, fino ai minerali. Non seguiamo forse anche noi le stesse leggi fisiche di tutti i corpi? Di tutta la materia, organica e inorganica? E non c’è forse, in senso lato, come scrive Gregory Bateson, una Mente in tutte le cose? Una struttura, che secondo la tesi di questo libro è l’amore, che connette tutte le cose e permette loro di sopravvivere ed evolvere? Potrebbe essere proprio l’amore quella «struttura che connette», rispondendo alla domanda di Bateson, che chiedeva cosa unisca «il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi con l’ameba da una parte e lo schizofrenico dall’altra?» (Bateson, 1984).
1. La geniale espressione «scimmia nuda» si deve allo zoologo Desmond Morris, che nel suo libro La scimmia nuda. Studio zoologico sull’animale uomo ha definito l’uomo come «la centonovantatreesima specie di scimmia, l’unica sprovvista di peli».

L’enigma della coda del pavone

Alcune forme, colori, strutture corporee degli animali non servono molto alla sopravvivenza, anzi, paradossalmente ostacolano la vita stessa, oppure la rendono molto disagevole: la coda fa del pavone indubbiamente un animale più impacciato nei movimenti, lo espone di più alla vista di eventuali predatori. Perché madre natura dota questo magnifico uccello di un ornamento tanto mirabile e tanto scomodo? I pappagalli amazzonici, i pesci tropicali con i loro colori sgargianti sono prede facili rispetto ad animali più «grigi»; dunque dobbiamo supporre che venga violato il principio del survival of the fittest1 ipotizzato da Charles Darwin? A prima vista non si comprende come mai la natura fornisca gli animali di «difetti» macroscopici come la coda sontuosa del pavone, il brillante piumaggio del fenicottero rosa, le policromie sgargianti delle farfalle. Forse non siamo nati solo per lottare. Forse non conta soltanto essere «adatti a sopravvivere». No, non conta veramente nulla, se poi non si arriva al vero scopo di ogni esistenza: riprodurre se stessa in forme sempre più ampie, complesse, meravigliosamente diverse tra loro ed evolute. Il bel mantello non serve a sopravvivere, ma, in compenso, serve al corteggiamento, a convincere l’altro che si è belli, forti e meritevoli di essere accettati, a essere amabili e amati, insomma, a fare coppia e, infine, a riprodursi. Dunque la bellezza non è inutile! Attrarre un individuo di sesso opposto è un compito fondamentale, uno dei due «programmi» dei quali ogni animale è dotato: sopravvivere fino all’età fertile e, in seguito, accoppiarsi, riprodursi e generare una prole che verrà amata e protetta.
Cosa fa, allora, la nostra «scimmia nuda» per amare ed essere amabile? Fondamentalmente, ancora una volta, usa ciò che di meglio ha a disposizione. Non le unghie, non le zanne, non gli artigli. Ma il cervello. La sua incomparabile intelligenza e creatività. Ecco perché la creatività umana va considerata una forma di amore, un modo di dare e ricevere, un amore che ci può salvare; la creatività rappresenta la sostanza vera e propria di tutta la nostra storia e della nostra umana civiltà, che abbiamo espresso sotto forma di musica, pittura, scrittura, oppure di filosofia, diritto, ma anche di matematica, scienza, tecnologia. Tutto ciò non avrebbe semplicemente avuto senso, se non fosse stato fatto per l’amore. Amore rivolto verso l’altro, verso il proprio partner anzitutto, verso la propria progenie e, infine, amore rivolto verso la propria specie e, anche, verso se stessi. Amore che viene da noi vissuto a livelli diversi, come meccanismo di conservazione, come attaccamento e come sentimento vero e proprio, a seconda che vogliamo esaminare i nostri vissuti più antichi, che abbiamo in comune con tutti gli animali, o quelli più evoluti.
L’encefalo umano, infatti, è composto di tre aree alle quali corrispondono modi di funzionamento differenti: queste aree prendono i nomi di tronco encefalico, sistema limbico e corteccia cerebrale. La strutturazione a tre livelli del sistema nervoso centrale umano, descritta nella teoria del «cervello tripartito» di Paul MacLean (1984), suggerisce l’idea che la nostra storia evolutiva si rifletta nel modo in cui le strutture del cervello sono organizzate dal punto di vista della filogenesi, poiché, infatti, il tronco encefalico si è sviluppato, nella storia dell’evoluzione dell’uomo, per primo, seguito dal sistema limbico e, in ultimo, dalla corteccia. I ricercatori chiamano il tronco encefalico «cervello rettiliano», dato che si è formato nella preistoria dell’uomo, centinaia di milioni di anni fa: governa gli istinti più arcaici e anche i rettili ne sono provvisti. Regola le sensazioni e le funzioni vitali: la respirazione, l’attività cardiovascolare e la secrezione di alcuni importanti ormoni. Il sistema limbico, invece, si forma più tardi, sia nella filogenesi (sviluppo della specie) che nell’ontogenesi (sviluppo dell’individuo), ed è quello che ci consente (a differenza dei rettili!) di percepire e reagire attraverso le emozioni. Tutti i mammiferi ne sono provvisti ed è responsabile delle più importanti esperienze emotive: la sua formazione avviene nella primissima infanzia (vita neonatale) e anch’esso si struttura grazie all’amore e alla comunicazione, in particolare attraverso la comunicazione non verbale con la madre e il padre. Se i messaggi che arrivano al bambino sono rassicuranti, se viene guardato negli occhi, ascoltato e rispettato nei suoi stati d’animo e comportamenti, trattato con sensibilità quando manifesta delle esigenze, soccorso quando piange, accarezzato e coccolato, il suo sistema limbico si formerà in modo armonico e le amigdale, piccole strutture a forma di mandorla, saranno in grado di secernere adeguatamente le sostanze che ci insegnano il benessere e l’amore, ci motivano a vivere e ci permettono di affrontare e superare il dolore (endorfine). In mancanza di una secrezione equilibrata e armonica di queste sostanze, le emozioni diventano caotiche, ingovernabili, tanto che – come spiega lo psicoterapeuta Arthur Janov nel suo ultimo libro intitolato Il potere dell’amore – si possono sviluppare diverse forme di disturbi psicologici, come la depressione, le sindromi ansiose, gli attacchi di panico, le fobie e le ossessioni. L’eccezionale sviluppo della corteccia cerebrale è poi ciò che caratterizza specificamente l’essere umano; la neocortex, una struttura estremamente plastica che si sviluppa fino ai vent’anni circa, è in grado di conferire rigore logico e complessità al nostro pensiero, di organizzare il comportamento in modo razionale. Attraverso la corteccia si organizza la capacità, esclusivamente umana, di mediare tra gli impulsi interni e le esigenze del mondo sociale, di interagire in modo controllato con l’esterno.
La corteccia cerebrale serve anche per comprendere come mai stiamo provando una determinata emozione in relazione a un evento, per collegare i nostri vissuti al contesto di ciò che sta accadendo. È la corteccia cerebrale che ci permette di capire e, magari, raccontare a noi stessi le nostre emozioni, di renderci conto di cosa vogliano dire, per esempio, frasi come: «Sento rabbia perché il mio partner mi trascura di nuovo», oppure: «Ho paura perché non so cosa mi aspetta». Il cervello appare, alla luce degli studi scientifici più recenti, come una sorta di «crocevia» nel quale si giocano i significati che noi esseri umani diamo alle nostre problematiche emotive complesse (Toro, 2004).
Il premio Nobel Edelman riporta, nel suo ultimo libro, le parole di Emily Dickinson: «Il cervello è più grande del cielo», perché, nel pensarlo, lo può contenere. Allo stesso modo è «più profondo del mare» e, di sicuro, è l’oggetto materiale più complesso che esista al mondo. Trenta miliardi di neuroni, grandi tre millesimi di centimetro, e un milione di miliardi di collegamenti tra loro (Edelman, 2004). Infinitamente più complesso di un calcolatore, poiché non è frutto di progettazione ma di una lunghissima storia evolutiva durante la quale, da semplice organo che faceva comunicare gli altri organi, com’è nelle specie inferiori, è diventato «laboratorio biochimico che produce anima». Grazie alla sua complessità il cervello ci consente di essere coscienti, vigili, attenti a ciò che accade, memori del passato, in grado di anticipare il futuro e anche coscienti di noi stessi. Autoconsapevolezza: non è questa la radice cognitiva dell’anima umana?
1. Letteralmente: «la sopravvivenza del più adatto».

Meccanismi cerebrali
e biochimici dell’amore

Qualche parola sul cervello umano, a partire dalla serotonina e dell’ossitocina. Il cervello reagisce all’amore dal punto di vista sia funzionale (l’amore attiva alcune regioni dell’encefalo e ne disattiva altre) che neurochimico (l’amore mette in circolo alcune sostanze e riduce la concentrazione di altre): sarà dunque fondamentale comprendere come ciò possa avvenire. Un importante aspetto da approfondire, anzitutto, è che sia il tronco encefalico, sia il sistema limbico, sia la neocorteccia sono costituiti da milioni e milioni di cellule dette neuroni, le quali comunicano attraverso delle sostanze chimiche, i neurotrasmettitori. Questi sono paragonabili a «messaggeri nel cervello» e la loro concentrazione infonde nel nostro sistema emotivo sensazioni di benessere e amore o, all’opposto, di malessere e stress; la serotonina, ad esempio, produce una sensazione positiva e rilassata di benessere. Perché, allora, quando siamo pazzamente innamorati la serotonina tende a calare? Diversi studi, infatti, mostrano che l’amore passionale, specialmente se accompagnato da gelosia, riduce i livelli di concentrazione della serotonina. Quando siamo innamorati, probabilmente, è presente un aspetto di sottile disagio, legato alla possibilità di allontanamento: la separazione fa soffrire, mentre l’avvicinamento è accompagnato da sensazioni positive. In Italia la questione è stata affrontata da un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa, coordinato dalla professoressa Donatella Marazziti (2003), che ha mostrato gli aspetti, per così dire, «nevrotici» dell’amore, come l’ossessione del pensiero verso la persona amata e la paura di perderla.
Un altro interessantissimo ormone dell’amore è poi l’ossitocina. Ne parla Bas Kast nel suo libro La formula dell’amore, dove riporta le ricerche londinesi che hanno mostrato come l’ossitocina salga a livelli «stellari» nel sangue in occasioni diverse. La più eclatante è il sesso. L’ossitocina arriva a livelli duemila volte superiori alla norma. La curiosità che ci deve spingere a una profonda riflessione sui nostri meccanismi «animali» è che l’altro momento nella vita di una donna in cui l’ossitocina va alle stelle è quello che si accompagna alle contrazioni uterine del parto. Non a caso, la parola stessa «ossitocina» viene dal greco e si potrebbe tradurre con «parto rapido». Anche durante l’allattamento sale l’ossitocina e dunque potremmo, con Bas Kast, ipotizzare che ogni volta che si sta creando un legame fortissimo, che due persone di stanno attaccando l’una all’altra, intervenga l’ossitocina, che ci porta calma, rilassatezza e benessere. Se vogliamo poi parlare di anatomia, non possiamo non segnalare che alcune tecniche di recente sviluppo che permettono di «vedere» dal vivo il funzionamento del cervello (come per esempio la risonanza magnetica funzionale) stanno cominciando a svelarci anche i meccanismi fisici dell’amore. L’amore, infatti, porta il cervello a funzionare in un modo tutto particolare, diverso, per esempio, da quando viene stimolato dall’amicizia o dagli altri sentimenti umani. Quando siamo innamorati il cervello si attiva in un modo riconoscibile da un semplice esame diagnostico, com’è stato mostrato dalle ricerche pionieristiche dei ricercatori Bartels e Zeki. I due neurologi dell’University College di Londra hanno studiato l’amore romantico in modo davvero singolare, reclutando, cioè, tramite volantinaggio ed e-mail, delle particolarissime «cavie sperimentali»: uomini e donne innamorati truly, madly and deeply («davvero, pazzamente e profondamente»), cui chiesero di partecipare al loro esperimento. Risposero settanta persone, in maggioranza donne. Bartels e Zeki ne scelsero solo diciassette: quelli che, dopo una valutazione eseguita con diversi test, si rivelarono perdutamente innamorati. Questi soggetti furono sottoposti a risonanza magnetica funzionale mentre guardavano, su uno schermo, successioni di immagini, tra le quali quelle del partner. Il risultato fu sorprendente: le aree cerebrali che corrispondono alla «felicità», a livello sia corticale che sottocorticale, si illuminarono subito, mentre quelle collegate con la «malinconia» tendevano a disattivarsi.
L’amore, dunque, è per il cervello l’emozione positiva per eccellenza, non una «malattia» ma una delle chiavi del benessere, un antidepressivo che contrasta le emozioni negative, ci rende meno rabbiosi ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La natura dell’amore
  4. Nota introduttiva
  5. Parte prima - LA SCIMMIA NUDA E LE PASSIONI
  6. Parte seconda - GLI ANIMALI CI AIUTANO
  7. Bibliografia
  8. Copyright