Il nostro Papa
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Il nostro Papa

La prima biografia illustrata di Francesco

,
  1. 224 pagine
  2. Italian
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Il nostro Papa

La prima biografia illustrata di Francesco

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Informazioni sul libro

Per la prima volta un libro racconta la vita di papa Francesco con una ricca raccolta di immagini, accompagnate da un testo coinvolgente e pieno di curiosità. Fotografie private, poco note, che ci mostrano Bergoglio bambino con i compagni di scuola, ragazzo in famiglia o in seminario, giovane sacerdote per le strade di Buenos Aires e poi, già vescovo, in metropolitana come un comune cittadino. Pagina dopo pagina vediamo anche i luoghi più importanti della sua formazione: dove abitava, dove studiava, dove ha ricevuto la vocazione... Ma il racconto di Tiziana Lupi, giornalista di "Il mio Papa", la prima rivista al mondo dedicata esclusivamente al pontefice, parte ancora da più lontano. Con il supporto di foto d'epoca, ricostruisce le origini italiane di Bergoglio: il paesino del Piemonte da dove è partita la sua famiglia, il viaggio attraverso l'oceano, la vita da immigrati dei genitori, compreso quell'incredibile bivio del destino che avrebbe potuto cambiare drammaticamente tutta la storia. Con chiarezza e precisione, il libro affronta tutte le vicende di questa vita straordinaria, dagli anni difficili della dittatura in Argentina all'emozione dell'elezione a pontefice, e ripercorre tutti i passaggi più significativi del pontificato, fino ai viaggi e alle dichiarazioni più recenti. Il nostro papa diventa così una galleria di storie, di fotografie, di frasi illuminanti che ci restituiscono come mai prima d'ora l'immagine di un uomo che è entrato nella Storia e nel cuore della gente.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852055898

Capitolo 1

 

QUANDO AVREMO
UN PAPA?

Roma, 13 marzo 2013. Sono circa le 19.00. La città, come sempre a quest’ora, è frenetica. A peggiorare la situazione una pioggia incessante che quando cade nella capitale riesce a congestionarla come pochi altri eventi. C’è chi, facendo lo slalom tra gli ombrelli colorati, si affretta nelle strade piene di negozi alla ricerca dell’ultimo acquisto; chi è in coda nel traffico, per il rientro a casa; chi a casa è già arrivato e sta preparando la cena.
Eppure non è una serata come le altre. Stasera Roma è in attesa. Da poco più di un mese, sorprendendo il mondo intero, Benedetto XVI ha annunciato l’intenzione di lasciare il soglio di Pietro, e dal 28 febbraio la Chiesa di Roma non ha più il suo vescovo. I cardinali elettori sono riuniti in conclave soltanto da un giorno, ma sono in molti a pensare che la prossima fumata, la quinta, sarà bianca, quella decisiva. Il popolo cattolico, smarrito dopo le dimissioni di Joseph Ratzinger, ha bisogno di una guida. E tra poco sarà Pasqua. La Chiesa deve trovare al più presto il suo nuovo pastore. “L’inizio del conclave deve essere stabilito tra i quindici e i venti giorni dall’inizio della Sede vacante”, cioè dalle ore 20 del 28 febbraio secondo quanto detto dallo stesso Benedetto XVI. “Se tutto si svolge senza problemi, si può pensare che inizierà dal 15 marzo in poi, quindi per Pasqua dovremmo avere il nuovo papa” aveva annunciato, all’indomani delle dimissioni di Benedetto XVI, il portavoce della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Forse per questo, stasera, l’atmosfera è così carica di attesa. La percepisci nell’aria; nei televisori dei bar sintonizzati sui telegiornali e sui canali all news, collegati con piazza San Pietro, dove, da giorni, stazionano pullman regia, telecamere e inviati da tutto il mondo, sistemati per l’occasione su un’impalcatura in fondo a via della Conciliazione, proprio nei pressi di Castel Sant’Angelo; nelle persone che, sempre più numerose, si accalcano nelle strade e stradine intorno alla Città del Vaticano. Via della Conciliazione e via di Porta Angelica, che arrivano dritte a piazza San Pietro, sono insolitamente affollate per quest’ora. Così come sono ancora aperti molti dei negozi che vendono souvenir: generalmente a metà pomeriggio, quando i turisti cominciano a rientrare negli alberghi e nei numerosissimi bed & breakfast disseminati nel quartiere, i commercianti ritirano la merce esposta, magliette delle squadre di calcio e rosari, ombrelli e libriccini delle preghiere, sacro e profano a braccetto, e chiudono. Stasera no. E negli espositori, accanto alle cartoline con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ci sono già gli spazi vuoti che ospiteranno le immagini del nuovo papa. Per trovare le statuette o le custodie dei rosari con il volto del successore di Ratzinger, rigorosamente made in China, si dovrà forse aspettare qualche giorno ma, c’è da scommetterci, le prime foto arriveranno sugli scaffali a tempo di record. Bisogna cogliere l’attimo perché la zona è più che mai piena di turisti: molti di loro avevano magari prenotato il viaggio a Roma o la crociera nel Mediterraneo con tappa a Civitavecchia e tour nella capitale alcuni mesi prima, senza immaginare nemmeno lontanamente che si sarebbero ritrovati a Roma nei giorni del conclave. E, se tutto andrà come previsto, persino nel giorno dell’elezione del nuovo papa. Anche piazza San Pietro è già piena, nonostante la pioggia battente e il clima piuttosto freddo: migliaia di persone, senza nessuna certezza ma con infinita speranza, aspettano con lo sguardo verso l’alto, rivolto al camino della stufa collocata all’interno della Cappella Sistina dove sono riuniti i cardinali elettori. Sono 115, hanno un’età media di 72 anni e sono arrivati da tutti i continenti. Oltre la metà sono europei: di questi, ben 28 sono italiani. Solo uno, invece, proviene dall’Oceania. Sono entrati ieri, in processione, preceduti dalla croce e dal libro dei Vangeli, al canto delle litanie dei santi. Hanno invocato lo Spirito Santo perché li guidi nella scelta del nuovo pontefice.
La cerimonia d’inizio del conclave è stata seguita sui maxischermi dai tantissimi fedeli che, sfidando il brutto tempo, si sono recati comunque in piazza San Pietro. Le immagini hanno mostrato i cardinali che, a uno a uno, dopo essersi avvicinati al leggio posto al centro della Cappella, hanno pronunciato la formula di giuramento: “Prometto, mi obbligo e giuro”. Poi, con la mano sul Vangelo, hanno aggiunto: “Così Dio mi aiuti e questi Santi Evangeli che tocco con la mia mano”. L’Extra omnes, annunciato dal Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, ha infine sancito ufficialmente l’inizio del conclave. Molti tra i fedeli presenti hanno scattato foto con cellulari e iPad alle immagini dei cardinali elettori trasmesse dai maxischermi. Perché, dopotutto, uno di loro sarà nominato successore di Pietro.
Della sua identità si parla e si discute da giorni nel consueto e animato “toto-papa”. Molti sono pronti a scommettere che, dopo due pontefici stranieri, adesso sarà la volta di un italiano. Tra i nostri connazionali, il nome più accreditato è quello dell’arcivescovo di Milano Angelo Scola, seguito dal presidente del Pontificio consiglio della cultura Gianfranco Ravasi, dal presidente della Conferenza episcopale italiana Angelo Bagnasco e dall’arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori. Numerosi anche i candidati stranieri, dall’arcivescovo di New York Timothy Michael Dolan al prefetto della Congregazione per i vescovi Marc Ouellet. Ma la vera novità, ipotizzata da più parti, sarebbe l’elezione di quel “papa nero” che molti aspettano di vedere sul trono di Pietro a causa di un’errata interpretazione delle profezie di Nostradamus e di Malachia che, in realtà, non hanno parlato di un pontefice di colore. Né, tantomeno, di catastrofi, morte, distruzione o fine del mondo che seguirebbero questa elezione. Tutte queste ipotesi non hanno fatto che accrescere l’attesa, e la gente in piazza San Pietro non si stanca di tenere lo sguardo rivolto al camino della stufa. Da lì sta per uscire, per la quinta volta dall’inizio del conclave, il fumo: se sarà nero (ottenuto bruciando le schede e i documenti della votazione insieme a perclorato di potassio, antracene e zolfo) vorrà dire che nessun candidato ha ancora raggiunto i due terzi, almeno, delle preferenze; se sarà bianco (prodotto bruciando, insieme ai documenti della votazione, clorato di potassio, lattosio e colofonia), nel giro di un’ora il popolo cattolico conoscerà il nome (e il volto) del nuovo pastore. Alle 19.06 uno sbuffo di fumo esce dal camino. Un silenzio quasi irreale irrompe nella piazza. Quel fumo sembra bianco. No, non sembra: è bianco. Un grido spezza il silenzio: “È bianca! È bianca!”. Allora è vero, la fumata è bianca. La Chiesa di Roma ha trovato il suo nuovo vescovo. Il mondo conoscerà il 266° papa della Chiesa cattolica. E il popolo cattolico ha trovato il suo pastore. Quel popolo che è felice e non ha timore di mostrarlo, di urlare al mondo intero la propria felicità: c’è chi si abbraccia, chi piange, chi applaude, chi prega, chi sventola bandiere, chi urla: “Viva il papa!”. Nel giro di pochi minuti piazza San Pietro si riempie di una moltitudine che arriva quasi di corsa. Ha sentito l’annuncio alla radio o in televisione e vuole esserci, vuole essere presente quando il papa appena eletto si affaccerà, vuole vederlo, salutarlo, applaudirlo, fargli sentire il calore del popolo e della città di Roma che stasera, per un attimo, sembra aver dimenticato tutti i problemi: il traffico, la crisi economica, la politica.
Viste dall’alto, le stradine intorno a Borgo Pio sembrano un formicaio e il cammino della gente è accompagnato dalle campane che continuano a suonare festose e solenni in attesa dell’annuncio. Dopo circa un’ora dalla fumata bianca, dopo un tempo che sembra infinito in cui, però, la gioia ha preso il posto dello smarrimento e la certezza è subentrata alla speranza, quell’annuncio arriva. Il cardinale protodiacono Jean-Louis Tauran si affaccia al balcone della loggia centrale della Basilica di San Pietro e pronuncia la formula tradizionale dell’elezione: “Annuntio vobis gaudium magnum, habemus Papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Georgium Marium Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Bergoglio qui sibi nomen imposuit Franciscum”. Un brivido attraversa la piazza. Il nuovo papa ha, finalmente, un nome: è il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio. Non sono in molti a conoscerlo, non se ne era parlato sui giornali nei giorni precedenti perché non era tra i “papabili”, anche se pare fosse stato a un soffio dall’essere eletto al posto di Ratzinger, nel 2005. Per tutti, è già solo Francesco, il nome del santo di Assisi, al quale qualche cronista televisivo, nella concitazione del momento, affianca anche il numero ordinale: Francesco I. Ma il Vaticano precisa subito: niente numeri, il pontefice si chiamerà semplicemente Francesco. È il primo papa sudamericano, il primo gesuita. Ma è il primo anche in tante altre cose. Perché Francesco è un papa “diverso”, come appare chiaro sin dal primo discorso. Perché non è mai capitato, almeno negli ultimi decenni, che un pontefice abbia salutato i fedeli augurando loro: “Buona notte e buon riposo!”. Lui lo fa. Alle 20.22 stupisce le migliaia di persone che lo stanno aspettando con un semplice: “Fratelli e sorelle, buonasera”, addolcito dall’accento argentino. Il suo sorriso conquista immediatamente tutti: “Francesco! Francesco!” grida la folla con una sola voce. Lui aspetta che torni il silenzio e, poi, aggiunge: “Voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo, ma siamo qui”. La gente si guarda stupita e commossa al tempo stesso, sorride quasi incredula. Qua e là, tra le tante bandiere, ogni tanto ne spunta una bianca e celeste: sono quelle della “sua” Argentina. Bergoglio le guarda e sembra contento. Chiede ai fedeli di pregare con lui per il suo predecessore, il vescovo emerito Benedetto XVI, “perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca”. Chiede anche che il suo popolo preghi per lui, “chiedendo la benedizione per il suo vescovo”. Poi la benedizione “a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà”. Infine, il saluto: “Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e a presto! Ci vediamo presto: domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma. Buona notte e buon riposo!”. L’ennesimo applauso fragoroso scuote la piazza. Papa Francesco lascia il balcone, la finestra si chiude. I fedeli, però, non vanno via subito. Rimangono ancora un po’ per sentirsi più vicini al loro papa che, ora, non è più solo un nome ma ha finalmente un volto, e una voce venata di dolcezza che li accompagnerà nel lento ritorno verso casa.

Capitolo 2

LE RADICI
ITALIANE

Dunque il nuovo papa è argentino. Jorge Mario Bergoglio è nato il 17 dicembre 1936 a Buenos Aires, la città dove ha sempre vissuto, a eccezione della permanenza in Cile, durante il noviziato nella Compagnia di Gesù, di alcuni viaggi e del periodo trascorso prima in Germania, per motivi di studio, e poi a Córdoba: “Sono casalingo, amo il posto in cui vivo” ha raccontato ai giornalisti Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti per il libro-intervista Papa Francesco. Il nuovo papa si racconta (Salani, Milano 2013), rivelando loro che, durante il soggiorno a Francoforte per preparare la tesi, combatteva la nostalgia andando a passeggiare, la sera, al cimitero: da lì riusciva a vedere l’aeroporto e aveva la sensazione di essere più vicino al suo Paese salutando gli aerei in decollo verso quella destinazione. Del resto è a Buenos Aires che Jorge Mario Bergoglio ha percorso tutte le tappe che lo avrebbero portato sul soglio di Pietro: l’ordinazione a sacerdote gesuita, la nomina a vescovo, arcivescovo, primate di Argentina e presidente della Conferenza episcopale argentina.
Eppure, al di là del luogo di nascita e di residenza, il suo cognome dice qualcos’altro. Parla italiano. Così come parla la nostra lingua, per la precisione il dialetto piemontese, l’albero genealogico dei Bergoglio, ricostruito a tempo di record all’indomani dell’elezione di Francesco, appena si è sparsa la notizia che nelle sue vene scorreva anche un po’ di sangue italiano. Lo ha detto lui stesso al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, quando si è recato in visita al Quirinale: “Rendendole visita in questo luogo così carico di simboli e di storia, vorrei idealmente bussare alla porta di ogni abitante di questo Paese, dove si trovano le radici della mia famiglia terrena”. E in un’intervista raccolta per il libro scritto con Rubin, Francesca Ambrogetti ha confermato: “Fin dal primo incontro siamo rimasti colpiti dall’attaccamento alle origini della sua famiglia. Parlando dell’emigrazione e della nostalgia recitò a memoria, in piemontese, una poesia di Nino Costa. Quando il libro finalmente fu pronto, preparammo a casa di un dirigente della comunità piemontese una bagna cauda, perché sapevamo che era uno dei suoi piatti preferiti, e lo vedemmo commuoversi ascoltando le canzoni alpine”.
Le ricerche genealogiche sulla sua famiglia paterna raccontano la nascita in provincia di Asti del nonno di Jorge Mario, Giovanni Angelo, da una famiglia di contadini. A denunciarla all’anagrafe fu il padre Francesco, il bisnonno (allora ventisettenne) del papa, nativo di Montechiaro d’Asti, che, curiosamente, porta il suo stesso nome. Le indagini, che si spingono fino ai trisnonni paterni (i genitori di Francesco Bergoglio: Giuseppe e Maria Giacchino, entrambi nati nell’Astigiano, il primo nel 1816 a Schierano, frazione di Passerano Marmorito, la seconda nel 1819 a Cocconato d’Asti), raccontano anche la decisione di Giovanni Angelo di lasciare la cascina a Bricco Marmorito della Valle Versa, vicino a Portacomaro, oggi un paese di circa duemila abitanti, patria del Grignolino, e che vanta leggendari natali che lo vogliono fondato dalla gens Comara come accampamento in terra di Galli. Giovanni Angelo va a Torino e qui, nel 1907, sposa Rosa Margherita Vassallo: lei è originaria di Piana Crixia, un paesino di campagna in provincia di Savona, nonché l’unico comune ligure a confinare con la provincia di Asti. Lo stesso papa Francesco lo ha scoperto solo di recente, quando gli appassionati di alberi genealogici, scavando nel suo alla ricerca di ulteriori legami con l’Italia, hanno scoperto, tra gli altri, questo con Piana Crixia. Ha persino scritto al parroco per esprimere la sua gioia: “Caro Fratello, ho ricevuto la sua lettera scritta con il sindaco. Grazie tante. Per me è stata di grande emozione. Questa nonna Rosa è quella che ha lasciato in me tanta impronta umana e religiosa”. Rosa è una donna forte e coraggiosa e, come Giovanni Angelo, si è trasferita nel capoluogo piemontese in cerca di fortuna. Per l’Italia sono anni difficili. Il processo di unificazione è stato completato da parecchi anni ma le disuguaglianze restano. E sono molto profonde. Non solo tra Nord e Sud ma anche tra le classi sociali. Quelli che versano in condizioni peggiori sono i contadini, che non riescono a ricavare dalla terra nemmeno il necessario per nutrire la propria famiglia. E spesso l’unica possibilità che rimane loro è quella di trasferirsi in una grande città come Torino. Proprio come ha fatto Rosa, una delle figure fondamentali nella vita di papa Francesco.
È lei, infatti, a trasmettergli la profonda religiosità. Lo racconta lui stesso nella veglia di Pentecoste del 18 maggio 2013: “Io ho avuto la grazia di crescere in una famiglia in cui la fede si viveva in modo semplice e concreto; ma è stata soprattutto mia nonna, la mamma di mio padre, che ha segnato il mio cammino di fede. Era una donna che ci spiegava, ci parlava di Gesù, ci insegnava il catechismo. Ricordo sempre che il Venerdì Santo ci portava, la sera, alla processione delle candele, e alla fine di questa processione arrivava il ‘Cristo giacente’, e la nonna ci faceva – a noi bambini – inginocchiare e ci diceva: ‘Guardate, è morto, ma domani risuscita’. Ho ricevuto il primo annuncio cristiano proprio da questa donna, da mia nonna! È bellissimo, questo! Il primo annuncio in casa, con la famiglia! E questo mi fa pensare all’amore di tante mamme e di tante nonne nella trasmissione della fede. Sono loro che trasmettono la fede. Questo avveniva anche nei primi tempi, perché san Paolo diceva a Timoteo: ‘Io ricordo la fede della tua mamma e della tua nonna’”. Jorge Mario, da bambino, trascorre molto tempo con la nonna. A Buenos Aires abitano vicini, e lei è sempre pronta a dare una mano alla nuora che, con cinque figli, spesso non riesce a fare tutto da sola. Con lei, che lo va a prendere la mattina e lo riporta a casa la sera, Jorge Mario impara anche l’italiano: “Io fui il più italiano di tutti i miei fratelli perché venni allevato dai nonni. Tra di loro parlavano piemontese e così l’imparai anch’io. Ebbi il privilegio di condividere la lingua dei loro ricordi”. Insomma, tra nonna e nipote c’è un legame particolare, uno di quegli affetti che rappresentano un porto sicuro dove tornare nei momenti di difficoltà, che trasmettono forza e fiducia in se stessi e che contribuiscono alla formazione del carattere, come sa chiunque abbia nella storia della sua vita un nonno o una nonna speciali. Nonni convinti che i nipoti vadano anche un po’ viziati perché a educarli ci devono pensare i genitori. Non è un caso che papa Francesco porti ancora con sé, a tanti anni di distanza, una testimonianza tangibile di nonna Rosa: il suo testamento e alcune lettere, custodite gelosamente nel breviario. Quando Rubin e Ambrogetti gli chiedono quale di queste lettere lui ricordi con particolare affetto, risponde: “Una del 1967, metà in italiano e metà in castigliano, scritta quando sono stato ordinato. Siccome aveva paura di morire prima, aveva deciso di scriverla in anticipo e unirla a un regalo, affinché me li recapitassero il giorno in cui sarei diventato sacerdote. Per fortuna, quando sono stato ordinato lei era ancora viva e me li ha potuti dare entrambi di persona”. Quella lettera è ancora lì con lui, tutti i giorni, conservata come un tesoro prezioso. C’è scritto: “In questo bellissimo giorno in cui puoi tenere tra le tue mani consacrate il Cristo Salvatore e ti si apre un lungo cammino per l’apostolato più profondo, ti faccio questo modesto regalo di scarso valore materiale ma immenso valore spirituale”. Anche il testamento di nonna Rosa lo accompagna sempre, nascosto tra le pagine di quel breviario che è la prima cosa che apre al mattino, quando si sveglia, e l’ultima che chiude la sera, prima di addormentarsi. Un passo di quel testamento è un pensiero di nonna Rosa per i nipoti, “a cui ho dedicato il meglio di me stessa”, perché “abbiano una vita lunga e felice. Ma se un giorno il dolore, la malattia o la perdita di una persona cara dovessero riempirli di afflizione, ricordino sempre che un sospiro al tabernacolo, dove è custodito il martire più grande e augusto, e uno sguardo a Maria ai piedi della croce possono far cadere una goccia di balsamo sulle ferite più profonde e dolorose”. Da nonna Rosa, Jorge Mario impara anche il distacco dalle cose materiali, che è uno dei tratti caratteristici del suo pontificato, cioè il desiderio di “una Chiesa povera per i poveri. Mia nonna diceva a noi bambini: il sudario non ha tasche”: sono le parole che ha ricordato ai fedeli presenti alla sua prima messa della Domenica delle Palme, quando ha condannato la “sete di denaro, che poi nessuno può portare con sé”, e i “conflitti economici che colpiscono chi è più debole”.
Da Rosa e Giovanni Angelo il 2 aprile 1908 nasce a Torino il padre di Francesco, Mario José Francisco, che nel dicembre del 1935 sposerà Regina María Sívori, la madre di papa Francesco, anche lei con radici italiane poiché originaria di Santa Giulia di Centaura, sulle alture di Lavagna, in provincia di Genova. Quando il bambino ha compiuto dieci anni, Rosa e Giovanni Angelo tornano nella provincia di Asti dove aprono un negozio di alimentari, dopo l’esperienza di Giovanni come barista e portiere in una clinica. Sono tempi difficili: l’Italia deve affrontare prima una guerra terribile, poi un dopoguerra ancora più terribile. I Bergoglio, però, si danno da fare e riescono persino a far diplomare il figlio Mario in ragioneria, all’epoca “abilitazione tecnica nell’indirizzo commerciale”. Una vera eccezione se si considera che, allora, erano molto pochi i ragazzi che conseguivano il diploma, tanto più se figli di contadini.
Madre e figlio sono anche militanti dell’Azione cattolica astigiana: Rosa collabora con il vescovo Luigi Spandre e con i sacerdoti della diocesi dove nel 1923, come consigliera per le questioni relative alla moralità, comincia a tenere conferenze, incontri in tutta la provincia e anche un corso di lezioni per giovani fidanzate. Grazie alla sua straordinaria voglia di apprendere e ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione
  4. Il nostro papa
  5. Capitolo 1 - Quando avremo un papa?
  6. Capitolo 2 - Le radici italiane
  7. Capitolo 3 - La famiglia Bergoglio alla scoperta dell’America
  8. Capitolo 4 - L’infanzia e gli studi
  9. Capitolo 5 - Jorge Bergoglio entra in seminario
  10. Capitolo 6 - Nell’Argentina della dittatura militare
  11. Capitolo 7 - Un vescovo sempre in servizio
  12. Capitolo 8 - L’impegno contro la povertà
  13. Capitolo 9 - Sul trono di Pietro
  14. Capitolo 10 - Tutto il mondo parla di lui
  15. Capitolo 11 - In viaggio tra i fedeli
  16. Crediti delle immagini
  17. Ringraziamenti
  18. INSERTO FOTOGRAFICO
  19. Copyright