I diari di Hitler
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I diari di Hitler

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I diari di Hitler

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Il primo aprile 1983 l'autorevole storico Hugh Trevor-Roper riceve una telefonata dal vicedirettore del «Times», Colin Webb, che gli chiede di autenticare del materiale assolutamente esplosivo proveniente dalla rivista «Stern»: niente meno che i diari privati di Hitler. Come è noto, lo scoop si sarebbe rivelato una delle più costose e sensazionali truffe dei nostri tempi: sessanta quaderni, pagati quasi quattro milioni di dollari, che nel giro di due settimane risultarono solo una "rozza contraffazione".
Robert Harris racconta l'incredibile vicenda di uno dei più paradossali ed eclatanti episodi del mondo dell'editoria, piena di personaggi straordinari: il falsario, che inizia la sua carriera contraffacendo buoni pasto e che con i suoi manoscritti inganna storici, periti calligrafi e consumati uomini d'affari; il reporter di «Stern» che, prima di essere smascherato riesce a truffare tutti, compreso il falsario; i proprietari di giornali e di media, come Rupert Murdoch, e i direttori del «Sunday Times» e di «Newsweek», accecati dalla sete di rivelazioni scottanti al punto di abbandonare ogni prudenza.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852055775
Argomento
Storia

PARTE TERZA

«Le svastiche vendono, e vendono sempre meglio.»
SIDNEY MAYER, editore

XI

Quel primo incontro tra Kujau e Heidemann durò più di sette ore. Secondo la testimonianza di Heidemann, all’inizio Kujau pareva riluttante a intavolare una trattativa. Disse al reporter che per i diari aveva già ricevuto un’offerta di due milioni di dollari dall’America: il gruppo editoriale giornalistico Hearst stava prendendo in considerazione la possibilità di pubblicarli a puntate. A quel punto, stando a Edith Lieblang, Heidemann aprì la valigetta e mostrò un’«ingente somma di denaro». Lo offriva a Kujau come anticipo per i diari. Ripeté che per il corpus dei quaderni la sua compagnia era disposta a pagare due milioni di marchi. Come ulteriore strumento di persuasione, Heidemann esibì poi l’uniforme di Göring, che a quanto sembra entusiasmò Kujau persino più del denaro. «Dovevo averla», avrebbe poi riconosciuto, «possedevo tutte le altre divise, quella di Hitler, quella di Himmler, quella di Rommel. Il mio unico pensiero fu: “In che modo posso portare via questa uniforme a quest’uomo?”.» Kujau, secondo la Lieblang, assicurò al reporter che «avrebbe fatto in modo di reperire i diari».
Dopo di ciò, l’atmosfera si fece un po’ più distesa. Heidemann, whisky alla mano, si vantò dei suoi contatti con celebri nazisti quali Karl Wolff e Klaus Barbie. Raccontò come era riuscito a individuare il luogo dell’incidente di Börnersdorf. Quindi cominciò a narrare le sue esperienze come corrispondente di guerra. Intorno a mezzanotte Edith iniziò ad avere sonno, e se ne andò a dormire. Ma Heidemann e Kujau rimasero a parlare quasi fino alle tre del mattino, quando il reporter finalmente se ne andò, per rientrare al suo hotel di Stoccarda.
Dopo un sonnellino di poche ore, alle 10 era di nuovo da Kujau, questa volta nel negozio in Aspergstraße. La sua preoccupazione principale era il diario in possesso a Fritz Stiefel. Temeva che la notizia della sua esistenza trapelasse e giungesse a un giornale concorrente. A detta di Edith, «insisteva» sul fatto che dovevamo andare a recuperarlo. Kujau, che si preoccupava di non incrinare il rapporto con Stiefel, riuscì a calmarlo dicendogli che l’industriale si trovava in vacanza in Italia. Heidemann era ansioso di concludere almeno un abbozzo di accordo legale con Kujau prima della partenza. Avanzò la proposta di prendere contatto con l’avvocato di Kujau e fissare per lui un appuntamento ad Amburgo, dove sarebbe stato firmato un contratto con il dipartimento legale della Gruner & Jahr; Kujau si affrettò a declinare l’offerta. I due si lasciarono, invece, con una sommaria intesa verbale. Kujau avrebbe procurato i quaderni, Heidemann avrebbe consegnato il denaro. «Conny» avrebbe richiamato il reporter dopo avere sentito il fratello nella Germania Orientale. Come segno della reciproca fiducia, si scambiarono dei regali: Heidemann lasciò la sua uniforme di Göring, autentica, e tornò ad Amburgo con un olio di Hitler, fasullo. Il rapporto si era aperto sulla nota appropriata.
Alle 11,30 del mattino seguente, nell’elegante quartier generale di «Stern» sul lungofiume, noto ad Amburgo con l’irriverente nomignolo di «scoglio delle scimmie», Heidemann si recò a incontrare Wilfried Sorge per riferire sugli esiti del viaggio a Stoccarda. Il fornitore dei diari, disse a Sorge, era un «ricco collezionista» di cimeli nazisti che aveva un fratello generale nella Germania Orientale. Alcuni dei diari di Hitler erano già a Ovest. All’inizio varcavano il confine all’interno di comuni valigie da viaggio, ma ora venivano nascosti all’interno di pianoforti (i pianoforti erano uno dei principali prodotti d’esportazione della Germania Orientale in Occidente). Se avesse sospettato la futura pubblicazione dei diari su «Stern», il generale avrebbe immediatamente sospeso le spedizioni. Perciò Heidemann sarebbe stato presentato come un collezionista svizzero. Tassativo, ripeté, era che l’azienda osservasse l’assoluta segretezza.
A Stoccarda, intanto, Konrad Kujau era impegnato a dare spiegazioni a Fritz Stiefel, non a proposito dei diari di Hitler, ma circa altri esemplari di cosiddetti scritti hitleriani che aveva venduto al collezionista.
Eberhard Jäckel e il suo coeditore Axel Kuhn avevano proseguito il loro lavoro, pubblicando materiale proveniente dalla raccolta di Stiefel nel loro libro sugli scritti di Hitler compresi tra il 1905 e il 1924. Il libro era stato pubblicato l’autunno prima. Con loro disappunto, Anton Hoch, dell’Istituto di Storia contemporanea di Monaco, aveva rilevato che alcune delle «poesie» di Hitler erano palesemente false. In particolare Der Kamerad, un componimento che Hitler avrebbe scritto nel 1916, era copiata di sana pianta da un libro di versi intitolato Poesie dei vecchi commilitoni di Herybert Menzel, pubblicato nel 1936. Si sarebbe potuto controbattere che era stato Hitler stesso a copiare, da qualche precedente edizione dell’opera di Menzel. Ma sfortunatamente, faceva notare Hoch, Menzel aveva soltanto dieci anni nel 1916. Jäckel contattò Stiefel per avere chiarimenti, e Stiefel, irritato, si rivolse a Kujau.
Il 5 febbraio, a una settimana esatta dal suo accordo con Heidemann, Kujau raggiunse Stiefel e Jäckel per un incontro di emergenza nell’ufficio del professore, all’Università di Stoccarda. Ciò che lo lasciava più perplesso, disse Jäckel, era il fatto che Der Kamerad era accompagnato da una lettera ufficiale del poligrafico nazista, firmata da un funzionario del partito, nella quale si affermava che la poesia era indiscutibilmente autentica. Se Der Kamerad era palesemente falsa, allora lo doveva essere anche la lettera. E lettere come quella accompagnavano decine di esemplari degli scritti di Hitler in possesso a Stiefel pubblicati da Jäckel nel suo libro. Bisognava concludere che erano tutte contraffazioni.
Per Kujau fu un momento difficile. «Pareva molto turbato dai miei dubbi», dirà Jäckel. Ma si destreggiò con abilità. Alla luce delle calunnie di cui era stato fatto segno, disse, era pronto a fornire maggiori ragguagli sulle fonti del materiale. Con notevole astuzia, passò allora a raccontare ai due la storia dell’aeroplano di Hitler precipitato, seguendo fedelmente l’esposizione che gliene aveva fatta Heidemann la settimana precedente. Ricordava Jäckel:
Kujau mi espose in dettaglio ciò che in precedenza aveva presentato soltanto in termini generali: i documenti venivano da un aeroplano che si era schiantato vicino a Börnersdorf nel 1945 mentre stava volando da Berlino a Salisburgo […]. Per rendere più efficace la sua versione disse che il giornalista Gerd Heidemann aveva visto le tombe dell’equipaggio del velivolo a Börnersdorf.
Dopo avere usato gli elementi fornitigli da una sua vittima per cercare di placare le inquietudini di un’altra vittima, Kujau si ritirò sulla sua consueta ultima linea di difesa. A detta di Jäckel «affermò di non poter aggiungere granché, perché lui era solo l’intermediario. Non sapeva davvero molto di più sui documenti o sul loro contesto storico».
Non si poté cavarne altro. Jäckel non aveva alternative. Iniziò a preparare una comunicazione da pubblicare su un giornale accademico, nella quale diceva che era stato ingannato. Contemporaneamente suggerì a Stiefel di sottoporre il suo materiale a una perizia scientifica. Quanto a Kujau, si recò nella sua casa di Ditzingen per iniziare a scrivere il primo quaderno dei falsi diari di Hitler destinati a Gerd Heidemann.
Nel corso dei due anni successivi per fare fronte alle sue fatiche Kujau, come qualsiasi coscenzioso scrittore professionista, seguì una disciplina regolare. Si alzava alle sei del mattino, seguito, mezz’ora dopo, da Edith Lieblang. I due prendevano insieme il caffè, poi Edith si recava in macchina a Stoccarda, per lavorare al bar Hochland. Kujau si preparava una colazione sostanziosa, patate fritte e due uova, e così ritemprato, si ritirava nel suo studio, dove attendeva al suo lavoro per tutto il giorno, senza nemmeno effettuare la pausa per il pranzo. Quando, nel 1983, la polizia perquisì i locali, ne ricavò dieci scatoloni pieni di libri e di articoli che Kujau aveva accumulato per aiutarsi a stabilire quali fossero le attività quotidiane di Hitler. Nel suo laboratorio c’erano 515 tra libri e giornali, e altri 106 periodici erano in cantina. Tra le pagine migliaia di segnalibri – carte da gioco, carta assorbente, vecchi biglietti, vecchi scontrini, biglietti da visita e carta igienica – rimandavano a passi necessari all’elaborazione dei diari. Kujau stendeva una minuta a matita, e quindi passava all’inchiostro, copiandola in uno dei quaderni scolastici che teneva in cantina. Con il passare del tempo il lavoro si fece sempre più sofisticato. All’inizio Kujau si limitò a scrivere dei primi anni di Hitler al potere, anni pieni di leggi e di decreti con cui si potevano riempire i giorni vuoti del Führer, anni per cui non era necessario effettuare grandi ricerche su questioni politiche complesse. La sera, al rientro dal lavoro, Edith cucinava la cena per entrambi. «“Conny” se ne stava abbandonato sul divano», ricorderà la Lieblang, «guardavamo la televisione e spesso lui si addormentava. Non avevo idea di che cosa facesse durante il giorno. Ci lasciavamo molta libertà.» Questo regime sedentario durò fino alla primavera del 1983.
Kujau ebbe ad affermare di avere terminato i primi tre quaderni circa dieci giorni dopo l’incontro con Stiefel e Jäckel. Per decorarli appose sulla copertina un sigillo di cera rossa con l’aquila germanica, insieme a un’etichetta firmata da Rudolf Hess in cui si dichiarava che appartenevano a Hitler. Li maltrattò un poco per invecchiarli e sulle pagine versò del tè. Quindi chiamò Heidemann per dirgli che aveva i quaderni. Più tardi Walde dirà che l’origine presunta di quei primi diari non era la Germania Orientale, «bensì gli Stati Uniti, dove “Fischer” li aveva offerti tramite un avvocato a un cliente interessato». Kujau lasciò Stoccarda e volò con i diari da Heidemann, per essere suo ospite a bordo del Carin II. Per celebrare l’arrivo dei primi quaderni il reporter, entusiasta, stappò una bottiglia di spumante.
Alla Gruner & Jahr solo cinque persone conoscevano il segreto dell’esistenza dei diari. Per loro mercoledì 18 febbraio fu un giorno memorabile. Poco prima delle dieci del mattino quattro degli «iniziati», Gerd Heidemann, Thomas Walde, Jan Hensmann e Wilfried Sorge, entrarono nell’ufficio del quinto, Manfred Fischer. Le porte si chiusero e Fischer disse alla segretaria di assicurarsi che non fossero disturbati. Heidemann gli mise dinanzi i diari.
Dev’essere stato un momento solenne, quasi religioso. Hensmann prese uno dei diari. Aveva una «rilegatura nera», ricorderà, «di un centimetro e mezzo di spessore». Come la maggior parte degli altri, Hensmann non era in grado di leggere l’antica calligrafia tedesca nella quale era stato scritto, ma l’impressione era che il quaderno fosse senz’altro autentico. «Lo maneggiai con cura», dirà in seguito. Anche Manfred Fischer fu impressionato dall’aspetto leggermente sgualcito dei quaderni: «Erano un po’ rovinati, l’estremità delle pagine era piegata». Per Fischer l’arrivo di questi primi diari hitleriani fu «uno dei grandi momenti» della sua vita: «Poter tenere in mano un oggetto del genere trasmetteva una sensazione molto speciale. Pensare che quel diario fosse stato scritto da lui, e ora averlo tra le mani…».
I diari fecero piombare la stanza in un incantesimo: il profondo segreto che circondava l’incontro, l’emozione di avere tra le mani materiale di contrabbando, trafugato a caro prezzo e a gran rischio dal luogo in cui era precipitato un aereo in tempo di guerra, ma soprattutto la presenza di Adolf Hitler in quello sconosciuto verbale dei suoi pensieri intimi, tutti questi elementi concorrevano a creare un’atmosfera decisamente intensa, un clima da cui a sua volta nacque quella che Fischer avrebbe poi chiamato «una sorta di psicosi di gruppo». La prospettiva di possedere oggetti già appartenuti al Führer sedusse quei freddi e moderni uomini d’affari della Germania settentrionale come aveva fatto con gli ossessionati collezionisti ex nazisti del Sud. Sui diari, Fischer dichiarerà: «Volevamo averli; anche se avessimo creduto che le possibilità della loro autenticità fossero solo il dieci per cento, avremmo detto: “Portateli qui”». Di tutti i personaggi della storia forse soltanto Adolf Hitler poteva esercitare una tale suggestione ipnotica.
Immersi in questa atmosfera, i cinque uomini presero una serie di decisioni che avrebbero avuto notevoli conseguenze. Sia Heidemann sia Walde ricordarono con insistenza al gruppo l’importanza di conservare la massima segretezza. Se il più piccolo indizio dell’esistenza dei diari fosse trapelato, dissero ai tre businessmen, il generale della Germania Orientale avrebbe interrotto l’invio del materiale. Secondo Hensmann, Heidemann andò oltre: «Non si limitò a ricordare la necessità di proteggere le sue fonti, ma disse che ne poteva andare della vita stessa». Per questo i due giornalisti si pronunciarono decisamente contro la prospettiva di chiamare periti esterni a esaminare i diari prima che l’azienda fosse entrata in possesso di tutta la serie. «Tali limitazioni», affermerà Sorge «furono accettate, e condussero alla decisione di ottenere gli altri quaderni prima di fare eseguire perizie sulla loro autenticità.» Prima che tutte le transazioni fossero perfezionate, cosa che a detta di Heidemann sarebbe avvenuta a metà maggio, neanche Henri Nannen e i tre redattori-capo di «Stern» sarebbero stati informati di quanto stava accadendo.
Tutte queste richieste furono accolte. «Fu approvato all’unanimità che saremmo andati avanti secondo i piani», così Hensmann.
Di fatto i cinque uomini erano ora coalizzati in una cospirazione contro «Stern». Senza consultare un perito calligrafo, un consulente scientifico legale o uno storico, quel giorno Fischer dispose che l’azienda acquistasse i ventisette quaderni dei diari di Hitler al prezzo di 85.000 marchi l’uno, e pagasse altri 200.000 marchi per il terzo volume di Mein Kampf. Il costo totale sarebbe stato di 2.500.000 marchi. Nella sua qualità di amministratore delegato della compagnia, firmò un documento che autorizzava l’immediato prelievo di un milione di marchi dal conto della compagnia per l’acquisto dei diari.
«Abbiamo vissuto tutti una specie di blackout», avrebbe commentato in seguito.
Nonostante i riferimenti all’obnubilamento della mente, la condotta di quegli uomini d’affari non era del tutto irrazionale. Da editori quali erano, conoscevano le dimensioni del potenziale mercato che si apriva a qualsiasi iniziativa legata al Terzo Reich. In Inghilterra l’editore Bison Books aveva costruito tutto il suo successo sul forte fascino che il pubblico avvertiva per le figure del nazismo. Hitler’s Wartime Picture Magazine era costituito da semplici estratti della rivista propagandistica nazista «Signal» riuniti in un solo volume: in Inghilterra e negli Stati Uniti vendette oltre 250.000 copie, e tra il 1976 e il 1978 conobbe otto ristampe. Der Führer, un altro libro illustrato edito dalla stessa casa e curato dall’ex ufficiale delle SS Herbert Walther, fu comprato da oltre 50.000 persone. Sulle ragioni di tanto successo, Sidney Mayer, l’effervescente fondatore della Bison, era piuttosto esplicito:
Io non voglio finire per fare l’editore di Hitler. Pensavo che il pubblico ne fosse stufo, come lo sono io. Ma non è così. I venditori incalzano. Hitler vende. I nazisti vendono. Le svastiche vendono, e vendono sempre meglio. A fare presa è la svastica in copertina. Quanto a svastiche non ci batte nessuno. Ho persino pensato di metterne una su un libro di ricette, visto che Hitler era vegetariano.
Mayer aveva appeso alla parete del suo ufficio una grande immagine che lo ritraeva con tanto di baffetti alla Hitler, commentata dalla scritta: «Primavera per Mayer».
Se questo era il mercato per la semplice riedizione di materiale già apparso, le possibilità di vendita legate ai diari segreti di Hitler erano evidentemente eccezionali. E la Gruner & Jahr era nella migliore posizione per sfruttarla. L’azienda possedeva una serie di fortunate riviste della Germania Occidentale, tra le quali «Stern» e «Geo». Aveva testate in Spagna, in Francia e negli Stati Uniti (dove possedeva «Parents» e «Young Miss»). Controllava venti periodici sparsi in tutto il mondo e il suo giro d’affari era di quasi mezzo miliardo di dollari.
Dal 1972 tre quarti delle azioni della compagnia erano posseduti dalla multinazionale tedesco-occidentale Bertelsmann AG, il maggiore gruppo editoriale del Paese. Fondata nel 1835 per pubblicare saggi religiosi, nel 1981 la società controllava 180 aziende, attive in 25 Paesi. In America era proprietaria di gruppi ben noti, come la Bantam Books e la Arista Records. Una volta che questa formidabile macchina editoriale e commerciale fosse stata messa in moto per i diari di Hitler, i guadagni avrebbero potuto rimborsare facilmente l’investimento di 2.500.000 marchi effettuato da Fischer.
Hitler stava per renderli tutti ricchi, e più di ogni altro Gerd Heidemann. Per il progetto dei diari, Fischer aveva accettato di accordare al reporter un riconoscimento ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Personaggi
  4. Prologo
  5. PARTE PRIMA
  6. PARTE SECONDA
  7. PARTE TERZA
  8. PARTE QUARTA
  9. Epilogo
  10. Ringraziamenti
  11. Copyright