Il viaggio della Jerle Shannara - 1. La strega di Ilse
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Il viaggio della Jerle Shannara - 1. La strega di Ilse

  1. 448 pagine
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Il viaggio della Jerle Shannara - 1. La strega di Ilse

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Centinaia di anni sono passati da quando gli Elfi tornarono nelle Quattro Terre con i talismani di Shannara, e la vita sembra ormai scorrere tranquilla. Fino al giorno in cui un Cavaliere Alato trova sulla spiaggia un naufrago in fin di vita. Gli hanno strappato occhi e lingua, e ha addosso uno strano braccialetto e una mappa misteriosa. Bisogna partire immediatamente per Arborlon, la capitale degli Elfi, e chiedere un'udienza privata al re per raccontargli i fatti.
Inizia così, a bordo della nave alata Jerle Shannara, una spedizione piena di pericoli mortali e di nemici insidiosi che emergono dall'ombra. La meta è una terra sconosciuta al di là dell'oceano, alla ricerca di un tesoro inestimabile: la "magia fatta di parole" in grado di cambiare per sempre i destini del mondo. La strega di Ilse è il primo capitolo di una nuova e appassionante trilogia, dedicata al viaggio della nave magica. Una nuova epopea annunciata dallo stesso Brooks come il suo capolavoro.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852048708

1

Hunter Predd pattugliava la distesa dello Spartiacque Azzurro a nord dell’isola di Mesca Rho, estremo avamposto del Wing Hove ai margini delle acque territoriali degli Elfi, quando vide l’uomo aggrappato al relitto. Era abbandonato sul legno come una bambola di pezza, con la testa appoggiata alle tavole e la faccia a poca distanza dall’acqua, un braccio mollemente avvolto attorno allo stretto relitto per non scivolare. Sole, vento e pioggia gli avevano bruciato e devastato la pelle ed era vestito di stracci. Era così immobile da non permettere di capire se fosse ancora vivo. In effetti era stato lo strano rollare del suo corpo tra le morbide onde a richiamare lo sguardo di Hunter Predd.
Ossidiana stava già planando in direzione del naufrago, senza bisogno del tocco del padrone per sapere il da farsi. Aveva gli occhi più acuti di quelli dell’elfo e aveva scorto l’uomo nell’acqua assai prima di lui, cambiando subito rotta per effettuare il salvataggio. Trovare e salvare i naufraghi delle navi affondate faceva parte del suo addestramento. Il Roc riusciva a distinguere a mille iarde di distanza un pezzo di legno o un pesce da un essere umano.
Eseguì un largo giro con le grandi ali distese, e scese verso l’acqua per raccogliere l’uomo con una presa salda ma delicata. I grandi artigli si avvolsero con sicurezza ma dolcemente attorno alla forma inerte, poi il Roc si alzò di nuovo in volo. Limpido e sconfinato, il cielo della tarda primavera si stendeva su di lui come una cupola azzurro brillante, illuminata dalla luce solare che permeava l’aria tiepida e si rifletteva in lampi argentei sulle onde. Hunter Predd diresse la sua cavalcatura verso la terra più vicina, un piccolo atollo ad alcune miglia da Mesca Rho. Là avrebbe deciso cosa fare, ammesso che si potesse fare qualcosa.
Raggiunsero l’atollo in meno di mezz’ora, e per tutto il tragitto Hunter Predd mantenne basso e regolare il volo di Ossidiana. Nero come l’inchiostro e ancora nella prima maturità, quel Roc era il terzo che usava da quando era Cavaliere Alato del Wing Hove e di sicuro il migliore. Oltre a essere forte e robusto, Ossidiana aveva un eccellente sesto senso e prevedeva quello che Hunter voleva senza bisogno di ordini. Erano insieme da cinque anni, non molti per un cavaliere e la sua cavalcatura, ma sufficienti, nel loro caso, a far sì che agissero come se fossero tutt’uno nella mente e nel corpo.
Avvicinandosi all’atollo dalla parte sottovento e battendo piano le ali, Ossidiana depose il suo carico su un lembo di sabbia asciutta e si posò sulle rocce vicine. Hunter Predd balzò di sella e corse verso la figura immobile. L’uomo non reagì quando il cavaliere lo voltò sulla schiena e cominciò a cercare segni di vita. Il cuore batteva. La respirazione era lenta e superficiale. Ma quando Hunter Predd gli guardò la faccia, vide che gli avevano cavato gli occhi e tagliato la lingua.
Il naufrago era un elfo, notò il cavaliere, tuttavia non veniva dal Wing Hove, perché sulle mani e sui polsi non si scorgevano i segni delle redini. Hunter esaminò con attenzione il corpo alla ricerca di ossa rotte, ma non ne trovò. L’unico apparente danno fisico pareva quello alla faccia: soprattutto soffriva per l’insolazione e la mancanza d’acqua. Il cavaliere svitò la borraccia e gli versò un po’ d’acqua sulle labbra, facendogliela gocciolare in gola. Le labbra dell’uomo si mossero leggermente.
Hunter valutò le possibilità e decise di portare l’uomo a Bracken Clell, l’insediamento più vicino dove si potesse trovare un elfo guaritore capace di dargli assistenza. Non poteva portarlo a Mesca Rho perché l’isola era solo un avamposto e lui e un altro cavaliere erano gli unici abitanti. Se voleva salvare la vita dell’uomo, doveva rischiare di portarlo nel continente, a est.
Il cavaliere bagnò con l’acqua della borraccia la pelle dell’uomo e spalmò sulle scottature un unguento che l’avrebbe protetto da ulteriori danni. Non aveva con sé abiti di ricambio, perciò l’uomo avrebbe dovuto viaggiare con gli stracci che indossava. Cercò di nuovo di farlo bere, e questa volta la bocca dell’uomo si mosse più avidamente e dalle labbra sfuggì un gemito. Per un istante cercò di aprire gli occhi martoriati, e mormorò qualcosa di incomprensibile.
Come sempre, seguendo il procedimento consueto, il cavaliere frugò il naufrago e prese i due soli oggetti che aveva con sé. Entrambi lo sorpresero e destarono le sue perplessità. Li studiò con attenzione, e la sua fronte si aggrottò sempre più.
Per non ritardare la partenza, sollevò l’uomo e lo collocò sull’ampia groppa di Ossidiana, aiutato dal Roc stesso. Con un’imbottitura e alcuni lacci lo assicurò alla cavalcatura, poi, dopo un’ultima occhiata, salì a sua volta e l’uccello si alzò in volo.
Volarono per tre ore verso est, verso l’oscurità che avanzava, e si stava già avvicinando il tramonto quando avvistarono Bracken Clell. La popolazione di quella città portuale era una mescolanza di razze, con predominanza di Elfi, e i suoi abitanti erano abituati a vedere i cavalieri e i loro Roc andare e venire. Hunter Predd portò Ossidiana fino a una radura riservata agli atterraggi e il grande Roc planò agilmente tra gli alberi. Un messaggero scelto in mezzo alla folla di curiosi che si era radunata in pochi minuti venne mandato in città, e poco più tardi comparve il guaritore, con un gruppetto di infermieri.
«Cosa gli è successo?» chiese l’uomo quando scorse le orbite vuote e la bocca ferita.
Hunter scosse la testa. «L’ho trovato così.»
«Hai qualche modo per identificarlo? Chi è?»
«Non lo so» mentì il cavaliere.
Attese che l’uomo e i suoi aiutanti sollevassero il naufrago e lo portassero nella casa del guaritore, dove l’avrebbero ricoverato nell’infermeria del centro di cura, poi mandò Ossidiana a riposare su un posatoio più alto e infine seguì la folla. Ciò che sapeva non andava rivelato né al guaritore né ad altri di Bracken Clell. Ciò che sapeva era riservato per un solo uomo.
Si sedette a fumare la pipa sotto il portico dell’infermeria e, deposti accanto a sé l’arco e il coltello da caccia, attese il guaritore. Il sole era tramontato, e l’ultima luce del giorno si stendeva sulle acque della baia creando macchie rosse e oro. Hunter Predd era un uomo minuto rispetto agli altri Cavalieri Alati del Wing Hove, ma robusto come una corda ritorta. Non era né giovane né vecchio, ma comodamente situato a metà e lieto di trovarvisi. Con quella pelle abbronzata e screpolata dal vento, la faccia segnata da rughe e gli occhi grigi sotto i folti capelli castani, sembrava esattamente ciò che era: un elfo vissuto sempre all’aria aperta.
A un certo punto, mentre aspettava, prese il braccialetto e lo tese alla luce, per assicurarsi di non essersi sbagliato quando aveva riconosciuto lo stemma. La mappa la tenne in tasca.
Un inserviente gli portò del cibo, e il cavaliere mangiò in silenzio. Quando ebbe finito, l’uomo ricomparve e portò via il piatto, senza dire nulla. Il guaritore non si era ancora fatto vedere.
Era tardi quando infine apparve, e nel sedersi accanto a Hunter sembrava stanco e preoccupato. Si conoscevano da tempo: il guaritore era giunto nella città portuale solo un anno dopo che Hunter era tornato dalle guerre di frontiera ed era entrato nella guardia costiera dei Cavalieri Alati. Avevano preso parte insieme a più di una missione di salvataggio e, pur essendo assai diversi tra loro per vocazione e origine, condividevano molte idee sulla follia del mondo. Là, nelle retrovie della civiltà, ai margini della regione chiamata “Quattro Terre”, avevano scoperto di poter sfuggire a un po’ di quella follia.
«Come sta?» chiese Hunter Predd.
Il guaritore sospirò. «Non bene. Può darsi che sopravviva. Se si può chiamare vita. Ha perso gli occhi e la lingua. Gli sono stati strappati. L’insolazione e l’inedia hanno consumato le sue forze a tal punto che probabilmente non si riprenderà più. Si è svegliato varie volte e ha cercato di comunicare, ma non c’è riuscito.»
«Forse, col tempo…»
«Il problema non è il tempo» lo interruppe il guaritore, fissandolo negli occhi. «Non è in grado di parlare, e neppure di scrivere. Non si tratta solo della ferita alla lingua o della mancanza di forze. È la sua mente. La sua ragione se n’è andata. Le esperienze attraverso cui è passato l’hanno danneggiato irreparabilmente. Non credo che sappia dov’è, e neppure chi è.»
Hunter Predd guardò in lontananza, nella notte. «Neppure il suo nome?»
«Neppure quello. Non credo che ricordi nulla di quanto gli è successo.»
Il cavaliere rimase in silenzio per qualche istante, riflettendo. «Lo puoi tenere qui ancora per qualche giorno, prendendoti cura di lui e sorvegliandolo? Voglio cercare di vederci chiaro.»
Il guaritore annuì. «Da dove inizi?»
«Arborlon, penso.»
Un leggero rumore di passi lo fece girare di scatto. Apparve un inserviente con tè caldo e la cena per il guaritore. L’uomo rivolse loro un cenno del capo, senza parlare, e scomparve di nuovo. Hunter Predd si alzò, raggiunse la porta per controllare che fossero soli, poi tornò a sedere accanto al guaritore.
«Sorveglia il malato, Dorne. Nessuna visita. Nulla, finché non avrai mie notizie.»
Il guaritore bevve un sorso di tè. «Tu sai qualcosa di lui che preferisci non dirmi, vero?»
«Ho un sospetto. È diverso. Ma ho bisogno di tempo per esserne certo. Puoi darmi quel tempo?»
Il guaritore alzò le spalle. «Posso provare. Anche l’uomo nell’infermeria avrà da dire la sua, sul fatto di attendere fino al tuo ritorno. È molto debole. Devi sbrigarti.»
Hunter Predd annuì. «Tutta la velocità che possono darmi le ali di Ossidiana» rispose piano.
Dietro di lui, nella semioscurità della porta aperta, un’ombra si staccò da dietro una parete e si allontanò in silenzio.
L’inserviente che aveva portato la cena al Cavaliere Alato e al guaritore attese fino a mezzanotte, allorché la maggior parte degli abitanti di Bracken Clell erano addormentati, per lasciare le sue stanze nel villaggio e inoltrarsi nella foresta che circondava l’abitato. Si muoveva rapido, senza bisogno di illuminazione: conosceva bene il cammino, dato che l’aveva percorso molte volte. Era un ometto rinsecchito, che aveva trascorso tutta la vita al villaggio e non attirava l’attenzione. Abitava da solo e aveva pochi amici. Serviva da più di tredici anni nella casa del guaritore, silenzioso, senza mai lamentarsi, privo di immaginazione ma fidato. Queste caratteristiche lo rendevano adatto come inserviente del guaritore, ma ancora più adatto come spia.
Raggiunse le gabbie nascoste in un pollaio buio, dietro la vecchia capanna nella quale era nato. Quando il padre e la madre erano morti, la proprietà era passata a lui in quanto primogenito maschio. Non era granché, come eredità, e l’uomo non aveva mai accettato di non avere diritto ad altro. Perciò, quando gli si era presentata l’occasione, l’aveva afferrata al volo. Poche parole orecchiate qua e là, una faccia o un nome riconosciuti in base alle chiacchiere udite nelle taverne, qualche frase smozzicata mormorata da coloro che erano stati salvati dall’oceano e portati al centro per essere curati: tutto questo poteva avere un certo valore per le persone giuste.
Per una, in particolare, non c’erano dubbi.
L’uomo sapeva cosa ci si aspettava da lui: la donna l’aveva chiarito fin dall’inizio. Era la sua padrona, e non tollerava deviazioni dalla linea di condotta che gli aveva prefissato. Voleva sapere chi entrava nella casa del guaritore e tutto quello che diceva, se si trattava di qualcosa di importante. Era lui a decidere quando era il caso di farsi vivo, e naturalmente a subire le conseguenze di un eventuale errore. Doveva essere rapido e deciso. La sua padrona poteva accettare una perdita di tempo, ma non la perdita di una buona occasione.
A volte si sbagliava, ma la donna non si irritava e non lo biasimava. Qualche errore era prevedibile. In genere l’uomo sapeva riconoscere le notizie meritevoli di attenzione. Erano necessarie pazienza e perseveranza.
Lui le aveva entrambe, e tutt’e due gli erano state utili. Questa volta era certo di essersi imbattuto in qualcosa di veramente grosso.
Aprì la porticina della gabbia e prese uno degli strani uccelli che la donna gli aveva dato. Erano creature dall’aspetto malvagio, con l’occhio acuto e il becco affilato, lunghe ali nere, corpo sottile. Lo osservavano con attenzione quando si avvicinava, o li toglieva dalle gabbie, o legava un messaggio alle zampe, come in quel momento. Lo osservavano attenti, e pareva che controllassero la sua efficienza per fare rapporto alla loro comune padrona. All’uomo non piaceva essere fissato a quel modo, perciò li guardava il meno possibile.
Una volta legato il messaggio, lanciò l’uccello in aria, e l’animale s’innalzò nell’oscurità e sparì. Volavano solo di notte, quegli uccelli. A volte tornavano con messaggi della padrona, altre volte senza messaggi, e attendevano che li rimettesse nella gabbia. Non si era mai chiesto la loro origine. Aveva la sensazione che fosse meglio limitarsi ad accettarli per la loro utilità.
Rimase a fissare il cielo buio. Aveva fatto quello che poteva. Adesso doveva solo attendere. La donna gli avrebbe dato gli ordini successivi. Lo faceva sempre.
Chiuse la porta del pollaio in modo da nascondere nuovamente le gabbie e rifece in silenzio la strada dell’andata.
Due giorni più tardi Allardon Elessedil era appena uscito da una lunga seduta del Gran Consiglio degli Elfi, nella quale si era discusso del rinnovo degli accordi commerciali con le città del Callahorn e dell’interminabile guerra che combattevano contro la Federazione come alleati dei Nani, quando lo avvertirono che un Cavaliere del Wing Hove lo attendeva per conferire con lui. Era tardi ed era stanco, ma il cavaliere era giunto ad Arborlon dal porto meridionale di Bracken Clell, a due giornate di volo, e rifiutava di riferire il messaggio a una persona diversa dal re. L’aiutante che riferì ad Allardon la presenza del Cavaliere Alato fece chiaramente capire che l’uomo non si sarebbe lasciato convincere.
Il re degli Elfi annuì e seguì l’aiutante fino alla stanza dove lo aspettava il cavaliere. Gli accordi con il Wing Hove prevedevano che i messaggeri gli parlassero in privato. In base a un patto stipulato all’inizio del regno di Wren Elessedil, i Cavalieri servivano gli Elfi come esploratori e messaggeri lungo la costa dello Spartiacque Azzurro da più di centotrent’anni. In cambio di questo servizio ricevevano beni e denaro: un patto che i re e le regine degli Elfi avevano trovato utile in più di un’occasione. Se il cavaliere aveva chiesto di parlare con Allardon in privato, doveva avere una buona ragione per farlo, e lui non intendeva ignorarlo.
Accompagnati da due della sua Guardia, Perin e Wye, Allardon e il suo aiutante lasciarono l’edificio del Consiglio e attraversarono i giardini fino al palazzo degli Elessedil. Allardon era re da più di vent’anni, dal...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La strega di Ilse
  4. Capitolo 1
  5. Capitolo 2
  6. Capitolo 3
  7. Capitolo 4
  8. Capitolo 5
  9. Capitolo 6
  10. Capitolo 7
  11. Capitolo 8
  12. Capitolo 9
  13. Capitolo 10
  14. Capitolo 11
  15. Capitolo 12
  16. Capitolo 13
  17. Capitolo 14
  18. Capitolo 15
  19. Capitolo 16
  20. Capitolo 17
  21. Capitolo 18
  22. Capitolo 19
  23. Capitolo 20
  24. Capitolo 21
  25. Capitolo 22
  26. Capitolo 23
  27. Capitolo 24
  28. Capitolo 25
  29. Capitolo 26
  30. Capitolo 27
  31. Capitolo 28
  32. Capitolo 29
  33. Capitolo 30
  34. Capitolo 31
  35. Capitolo 32
  36. Copyright