Autobiografia di un dandy
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Autobiografia di un dandy

Scritti inediti

  1. 192 pagine
  2. Italian
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Autobiografia di un dandy

Scritti inediti

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L'eleganza e la buona conversazione, l'arte e la moda negli scritti acuti e raffinati pubblicati su numerosi giornali e riviste da Wilde all'apice del suo successo. Un'ideale autobiografia pervasa dall'impareggiabile spirito caustico dello scrittore inglese.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852055089

Autobiografia di un dandy

Scritti inediti

Modelli londinesi

«English Illustrated Magazine», gennaio 1889
La professione di modello è un’invenzione moderna. I greci, per esempio, non li conoscevano. Il signor Mahaffy, è vero, afferma che Pericle offriva pavoni alle gran dame della società ateniese per indurle a posare per l’amico Fidia, e sappiamo che Polignoto inserì nel quadro delle donne troiane il viso di Elpinice, la celebrata sorella del leader conservatore del tempo, ma queste grandes dames non rientrano chiaramente nella categoria delle modelle di professione. Gli antichi maestri eseguivano costantemente studi dei loro allievi e apprendisti, e anche i quadri religiosi sono pieni di ritratti di parenti e amici, ma non sembra abbiano avuto il vantaggio inestimabile dell’esistenza di una categoria di persone che di mestiere non fanno altro che posare. Nel significato attuale del termine, il modello è un prodotto delle accademie d’arte.
Ora ogni paese ha i suoi modelli, tranne l’America. A New York, e persino a Boston, un buon modello è una tale rarità che i pittori si devono rassegnare a ritrarre il Niagara o i milionari. Ma in Europa le cose vanno diversamente. Qui abbiamo una quantità di modelli e modelle, di ogni nazionalità. I migliori sono i modelli italiani. La grazia naturale degli atteggiamenti, unita alla meravigliosa qualità pittorica dei loro colori, li rende soggetti molto facili – spesso troppo facili – per il pennello di un pittore. I francesi, meno belli degli italiani, hanno però una intelligenza intuitiva, una capacità di capire l’artista, che è davvero notevole. Sono poi in grado di assumere molte espressioni, hanno talento drammatico e sanno parlare il gergo artistico come il critico di «Gil Blas». I modelli inglesi sono una classe a parte. Non sono pittoreschi come gli italiani, né abili come i francesi, e, per così dire, non hanno alcuna tradizione professionale. Ogni tanto un veterano bussa alla porta di uno studio e si offre di posare come Aiace che sfida il fulmine o re Lear sulla landa percossa dalla tempesta. Uno di loro qualche tempo fa andò da un noto pittore, che, trovandosi in quel momento ad aver bisogno di un modello, lo assunse e gli chiese di inginocchiarsi in atteggiamento di preghiera. «Devo avere un’aria biblica, signore, o shakespeariana?» chiese il veterano. «Diciamo shakespeariana» rispose il pittore, chiedendosi con quale sottile sfumatura espressiva il modello avrebbe espresso la differenza. «Va bene, signore» disse il professore di posa, e solennemente si inginocchiò e cominciò a strizzare l’occhio sinistro! Questa categoria di modelli, però, si sta estinguendo. Ai nostri giorni, il tipo più diffuso è una graziosa ragazza dai dodici ai venticinque anni, che non sa niente di arte, a cui non importa niente di arte, che vuole soltanto guadagnare sette o otto scellini al giorno senza faticare troppo. Raramente le modelle inglesi guardano i quadri e non si azzardano mai a dare pareri estetici. A dire la verità, sono la perfetta incarnazione del critico d’arte quale lo vede Whistler, perché non esprimono alcuna critica. Accettano qualsiasi scuola artistica con l’assoluto universalismo del banditore d’aste, e posano per un giovane, originale impressionista come per un dotto e laborioso accademico. Non sono né favorevoli né contrarie ai seguaci di Whistler; la querelle tra la scuola dei fatti e la scuola degli effetti non le sfiora neppure; idealistico e naturalistico sono parole senza significato per loro; chiedono soltanto che lo studio e il pranzo siano caldi, perché tutti i pittori generosi offrono il pranzo ai modelli.
Sono indifferenti anche a quello che gli viene chiesto di fare. Di lunedì indossano gli stracci di una mendicante per il grande Patetico, le cui commoventi immagini di vita moderna fanno tanto piangere il pubblico, e martedì posano in peplo per il maestro Febo, convinto che un soggetto artistico debba necessariamente essere classico. Attraversano allegramente secoli e costumi diversi, e, come gli attori, sono interessanti soltanto quando non sono loro stesse. Hanno un gran buon carattere e sono molto concilianti. «Per che cosa posa?» chiese un giovane pittore a una modella che gli aveva mandato il suo biglietto da visita (tutte le modelle, tra parentesi, hanno biglietti da visita e una borsetta nera). «Oh, per quello che vuole lei, signore, anche un paesaggio se è necessario.»
Da un punto di vista intellettuale, bisogna riconoscerlo, sono filistee, ma da un punto di vista fisico sono perfette – almeno alcune. Nessuna di loro sa parlare greco, ma molte sanno prendere un’aria greca, il che è naturalmente molto importante per un pittore dell’Ottocento. Se gli viene permesso, chiacchierano molto, ma non dicono mai nulla. Le loro osservazioni sono le sole banalités che si ascoltino nella Terra della Bohème. Però, se non sanno apprezzare l’artista come artista, sono prontissime ad apprezzarlo come uomo. Sono molto sensibili alla gentilezza, al rispetto e alla generosità. Una bella modella che aveva posato per due anni per uno dei nostri più noti pittori, si fidanzò con un gelataio ambulante. In occasione del suo matrimonio, il pittore le mandò un bel regalo di nozze e ricevette una graziosa lettera di ringraziamento con il seguente importante poscritto: «Non mangi mai i gelati verdi!».
Quando sono stanche, se un pittore è saggio le fa riposare. Allora siedono su una sedia e leggono romanzetti da quattro soldi, fino a quando vengono strappate alla tragedia della letteratura per riprendere il loro ruolo nella tragedia dell’arte. Tra loro, qualcuna fuma sigarette. Ma le altre lo considerano poco serio e lo disapprovano. Vengono assunte a giornata o a mezza giornata. La tariffa è uno scellino all’ora; i grandi pittori in genere aggiungono il biglietto dell’omnibus. I due aspetti più positivi sono la grazia del loro aspetto e la loro assoluta rispettabilità. In complesso sono molto educate, soprattutto quelle che posano per la figura, fatto singolare o naturale: dipende dai punti di vista sulla natura umana. In genere fanno un buon matrimonio, e qualche volta sposano il pittore. Per un pittore sposare la modella è fatale come per un buongustaio sposare la cuoca: il primo rimane senza modella e il secondo senza pranzo.
Generalmente, le modelle inglesi sono molto ingenue, molto spontanee e di buon carattere. Le virtù più apprezzate dai pittori sono il bell’aspetto e la puntualità. Di conseguenza, ogni modella di buon senso tiene un’agenda con gli appuntamenti e si veste con eleganza. La brutta stagione per loro è naturalmente l’estate, quando i pittori sono fuori città. Ma negli ultimi anni, alcuni pittori ingaggiano le modelle perché li seguano, e la moglie di uno dei nostri pittori più simpatici ha spesso avuto sotto la sua tutela in campagna tre o quattro modelle, perché il lavoro del marito e dei suoi amici non dovesse interrompersi. In Francia le modelle migrano in massa verso i porticcioli o i villaggi nelle foreste in cui si danno convegno i pittori. Ma le modelle inglesi di consueto aspettano pazientemente a Londra il ritorno degli artisti. Quasi tutte vivono con i genitori e aiutano a mantenere la famiglia. Hanno tutte le caratteristiche necessarie per venire immortalate nell’arte, tranne la bellezza delle mani. Le loro mani sono quasi sempre rozze e rosse.
Per passare ora ai modelli, c’è il tipo del veterano cui ho già accennato. Ha tutte le caratteristiche tradizionali dello stile epico, e sta rapidamente scomparendo come la scuola che rappresenta. Un vecchio che parla di Fuseli è naturalmente insopportabile, e inoltre i patriarchi non sono più un soggetto di moda. Poi c’è l’autentico modello da accademia. È in genere un uomo di trent’anni, raramente bello, ma con una muscolatura prodigiosa. È anzi il trionfo dell’anatomia, e così conscio del suo splendore che vi parla della sua tibia e del suo torace come fosse il solo a possederli. Poi ci sono i modelli orientali. Ce n’è una quantità limitata, ma una dozzina a Londra se ne trovano sempre. Sono molto ricercati perché riescono a rimanere immobili per ore e hanno in genere bei costumi. Hanno però una ben scarsa opinione della pittura inglese che considerano un incrocio tra una personalità volgare e una fotografia banale. Poi c’è il ragazzo italiano, che è venuto qui per fare il modello, o si è rassegnato a farlo quando gli si è guastato l’organetto. Spesso è molto grazioso con i grandi occhi malinconici, i capelli ricci e la figura snella. Mangia aglio, è vero, ma sa stare eretto come un fauno, e rannicchiarsi come un leopardo in agguato, così bisogna perdonarglielo. È sempre molto complimentoso e gli accade di avere qualche buona parola di incoraggiamento anche per i nostri pittori più grandi. Il ragazzo inglese della stessa età non posa mai; sembra non consideri quella del modello una professione seria. In ogni caso è difficile, quando non impossibile, catturarlo. Anche i bambini inglesi sono difficili da trovare; qualche volta una modella che ha un figlio, gli arriccia i capelli, gli lava la faccia e gli fa fare il giro degli studi, tutto tirato a lucido e profumato di sapone. Alla nuova scuola artistica non piace, ma alla scuola più accademica sì, e quando compare alle pareti della Royal Academy, viene chiamato L’infanzia di Samuele. Accade anche che un pittore veda per strada due gamins e gli chieda di andare nel suo studio. La prima volta vengono sempre, ma poi non rispettano gli appuntamenti. Non gli piace stare fermi, e detestano, forse comprensibilmente, sembrare patetici. Inoltre, hanno sempre l’impressione che il pittore rida di loro. È triste a dirsi, ma è innegabile: i poveri non si rendono conto di quanto sono pittoreschi. Quelli che si lasciano indurre a posare lo fanno nella convinzione che il pittore sia soltanto un benigno filantropo il quale ha scelto un modo eccentrico per fare l’elemosina ai poveri non meritevoli. Forse l’istruzione pubblica insegnerà ai gamins londinesi il loro valore artistico, e così potranno diventare modelli migliori. I modelli dell’Accademia godono di un privilegio notevole, quello di poter estorcere una sovrana a ogni nuovo artista eletto all’Accademia. Aspettano a Burlington House di sentire l’annuncio, poi si precipitano alla casa dell’inerme pittore. Il primo che arriva ha diritto al danaro. Di recente sono molto preoccupati per il lungo percorso che hanno dovuto fare correndo, e non guardano di buon occhio all’elezione di artisti che vivono a Hampstead o Bedford Park, perché è considerato un punto d’onore non prendere la ferrovia sotterranea, l’omnibus o qualsiasi mezzo artificiale di locomozione. Devono essere i più veloci a vincere.
Oltre a quelli che posano negli studi, ci sono quelli che posano nei viali del parco, ai ricevimenti pomeridiani, in politica e al circo. Tutte e quattro le categorie sono incantevoli, ma soltanto l’ultima è davvero decorativa. Acrobati e ginnasti possono offrire a un giovane pittore suggestioni infinite: vi è nella loro arte una velocità di movimento e un mutamento costante di cui il modello in studio è forzatamente privo. In questi «schiavi del tendone» l’elemento più interessante è che in loro la bellezza è un risultato inconsapevole, non un obiettivo voluto, il risultato di un calcolo matematico di curve e distanze, di una assoluta precisione dello sguardo, di una conoscenza scientifica dell’equilibrio delle forze, e di un perfetto allenamento fisico. Un buon acrobata è sempre aggraziato, anche se non si pone mai la grazia come fine; è aggraziato perché fa quello che deve fare nel miglior modo in cui può essere fatto, perché è naturale. Se un greco antico dovesse tornare in vita oggi, ipotesi che mette a dura prova la nostra presunzione se si pensa alla probabile severità delle sue critiche, lo si vedrebbe al circo più spesso che a teatro. Un buon circo è un’oasi di ellenismo in un mondo che legge troppo per essere saggio e pensa troppo per essere bello. Senza la pista per le corse a Eton, le regate a Oxford, i bagni del Tamigi, e i circhi annuali, l’umanità dimenticherebbe la plastica perfezione delle sue forme e scivolerebbe in una razza di professori miopi e di preziose con gli occhiali. Naturalmente i proprietari dei circhi non sono di consueto consapevoli della nobiltà della loro missione. Non ci annoiano forse con gli esercizi di alta scuola e non ci stancano con i loro clown shakespeariani? Ma almeno ci danno gli acrobati, e gli acrobati sono artisti. Per il semplice fatto di non parlare mai al pubblico, dimostrano di comprendere la grande verità che scopo dell’arte non è rivelare la personalità, ma piacere. Il clown può essere volgare, ma l’acrobata è sempre bello. È un’interessante combinazione dello spirito della scultura greca con i lustrini dei costumisti moderni. Ha trovato posto anche nei romanzi contemporanei, e se Manette Salomon è la messa a nudo della modella, Les frères Zemganno è l’apoteosi dell’acrobata.
Quanto all’influenza dei modelli di professione sulla scuola pittorica inglese, non la si può dire pienamente positiva. Naturalmente, è un vantaggio per il giovane artista che se ne sta nel suo studio per poter isolare «un angolo di vita», come dicono i francesi, da ogni scomoda vicinanza e studiarlo in determinati effetti di luce e ombra. Ma questo stesso isolamento porta spesso a un banale manierismo e priva il pittore di quella vasta comprensione delle realtà della vita che è l’essenza dell’arte. Dipingere in studio servendosi di modelli può essere la condizione dell’arte, ma non ne è lo scopo. È allenamento, non perfezione. Usarne addestra lo sguardo e la mano del pittore, abusarne crea quadri leziosi e artificiosi. È il segreto dell’artificiosità dell’arte moderna, l’uso costante di gente di bell’aspetto che si mette in posa, e quando diventa artificiosa, l’arte diventa monotona. Oltre il microcosmo dello studio, con i suoi bei drappeggi e il suo bric-à-brac, si stende il cosmo della vita con la sua infinita, shakespeariana varietà. È tuttavia necessario distinguere tra i due generi di modelli: quelli che posano per la figura e quelli che posano per il costume. Lo studio dei primi è sempre eccellente, ma il modello in costume sta diventando tedioso nella pittura moderna. Serve davvero a poco mettere addosso a una ragazza londinese drappeggi greci e raffigurarla come una dea. Il vestito può essere di Atene, ma il volto in genere è di periferia. Ogni tanto, è vero, capita di incontrare una modella il cui viso è un sublime anacronismo, che appare spontanea e bella nel costume di qualsiasi secolo, purché non sia il suo. Ma è molto raro. In genere le modelle e i modelli sono risolutamente de notre siècle, e come tali andrebbero dipinti. Sventuratamente, non accade così, e ogni anno ci offrono scene da un ballo mascherato che vengono definite scene storiche, ma sono soltanto mediocri raffigurazioni di gente del nostro tempo in maschera. In Francia sono più saggi. I pittori francesi si servono dei modelli soltanto per gli schizzi; per il quadro definitivo, si ispirano alla vita reale.
Ma non dobbiamo biasimare il modello per i difetti dell’artista. I modelli inglesi sono una categoria bene educata di lavoratori seri, e se si interessano all’artista più che all’arte, lo stesso può dirsi di gran parte del pubblico: le moderne mostre giustificano in larghissima misura tale scelta.

L’invasione americana

«Court and Society Review», 23 marzo 1887
Un terribile pericolo incombe sugli americani a Londra. Il loro futuro e la loro reputazione quest’anno dipendono interamente dal successo di Buffalo Bill e della signora Brown-Potter. Il primo richiamerà certamente pubblico; perché gli inglesi si interessano alla barbarie americana ben più che alla civiltà americana. Quando avvistano Sandy Hook, controllano i fucili e le munizioni; e dopo aver cenato una sera da Delmonico, partono per il Colorado o la California, per il Montana o il parco di Yellowstone. Le Montagne Rocciose li affascinano più dei milionari vistosi; spesso preferiscono i bufali a una città come Boston. E perché non dovrebbero? Le città americane sono inesprimibilmente noiose. I bostoniani prendono troppo gravemente la loro erudizione; la cultura in loro è un obiettivo raggiunto più che un’atmosfera; la loro città, il loro Hub,1 come la chiamano, è il paradiso dei pedanti. Chicago è una specie di gigantesco negozio, pieno di chiasso e di seccatori. La vita politica a Washington è come la vita politica in una sagrestia di provincia. Baltimora è divertente per una settimana, ma Phi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. «Nota introduttiva» di Anna Luisa Zazo
  4. «Introduzione» di John Wyse Jackson
  5. Autobiografia di un dandy
  6. Note
  7. Copyright