Londra in scena
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Londra in scena

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Informazioni sul libro

A Londra Virginia Woolf è nata; a Londra è vissuta per quasi tutta la vita. Londra è la sua passione: una passione nutrita con lunghissime passeggiate e testimoniata, oltre che nei romanzi, nelle lettere, nei saggi, nel diario, dalle "scene" qui pubblicate, che sono un tributo innamorato, una vera e propria elegia, ironica e appassionata, rivolta alla sua città. Scritte di getto nel giro di pochi giorni nella primavera del 1931 su commissione della rivista americana «Good Housekeeping», esse offrono al lettore sei "istantanee" della capitale britannica all'epoca dell'Impero, dal movimentatissimo porto alla vivace Oxford Street, piena di negozi e di gente, fino ai quartieri di Chelsea e Hampstead, dove abitavano i poeti Carlyle e Keats, e alla House of Commons a Westminster, per finire con l'immagine di un interno borghese. Sei pezzi d'autore, incantevoli per virtuosismo, quasi musicali nella scrittura, fonte di rara suggestione.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852056314

Cronologia

1882-1894

Adeline Virginia Stephen nasce il 25 gennaio a Londra. Dopo Vanessa e Thoby, è la terza figlia di Julia Prinsep Jackson, vedova Duckworth, e di Leslie Stephen, storico e critico letterario, intellettuale di spicco nell’establishment letterario tardo-vittoriano, che al momento della nascita di Virginia assume la direzione del monumentale Dictionary of National Biography – un’opera la cui importanza nel mondo anglosassone è stata paragonata al grande classico di Gibbon, Decline and Fall of the Roman Empire. È in effetti il grande epos della civiltà britannica al tramonto. (Per i giovani di Bloomsbury il Dictionary rappresenterà una specie di Spoon River Anthology, una collana funebre dei grandi eroi del patriottismo isolano, che francamente aborrono.)
Julia ha altri tre figli dal precedente matrimonio con Herbert Duckworth: Gerald, George e Stella; dal precedente matrimonio con Minny Thackeray (figlia dello scrittore) Leslie ha una figlia ritardata, Laura.
La grande casa al 22 di Hyde Park Gate, in Kensington, accoglie nelle numerose, vaste, oscure stanze una famiglia il cui centro dinamico è Julia, madre di tutti – anche del marito: è lei l’“angelo del focolare” che, obbediente a tale funzione, consumerà con sublime appropriatezza il proprio doveroso (“very victorian”) sacrificio.
Appena nata Virginia è una «bellezza»; la chiamano Beauty, oltre che Ginny, Ginnum, Ginia. La tiene a laico battesimo (la famiglia è rigorosamente agnostica) l’ambasciatore americano James Lowell, ammiratore della madre Julia. Vanessa ricorda: «Non ci battezzavano in chiesa, avevamo però lo stesso padrini e madrine». Virginia per l’appunto ha il bell’ambasciatore, che Vanessa e Thoby le invidiano, perché alla sua protetta ogni volta regala sei scellini, mentre agli altri ne dà solo tre; e una volta le regala un uccello, «un uccello vivo in gabbia!». Virginia la vezzeggiano tutti. Sempre Vanessa (di tre anni circa più grande) la ricorda rosea e paffuta, con grandi occhi verdi: seduta sul seggiolone batte impaziente il cucchiaino contro la scodella per sollecitare la pappa. Ricorda anche che per un certo tempo, forse più di due anni (a lei sembrano tantissimi), la sorella Virginia non parla, non chiaramente, comunque. E lei si dispera, teme non lo faccia mai, e il tedio, la noia di una sorella muta le paiono insopportabili. Finché un giorno Ginny prende a parlare e da allora la parola diventa il suo strumento: un’«arma assolutamente mortale in bocca sua».
Un anno dopo di lei nasce Adrian, l’ultimo figlio, il più delicato della nidiata, il beniamino della mamma. Ginny rimane la più chiacchierina, inventiva, teatrale. Poi d’un tratto cambia, si fa seria. E una sera, invece delle solite storie, chiede alla sorella: a chi vuoi più bene, alla mamma o al babbo? A Vanessa sembra una domanda indecorosa. Risponde comunque: alla mamma. Ginny spiega che lei invece preferisce il babbo. Spiega anche che non si tratta affatto di una preferenza emotiva, di affetti. Dopo aver analizzato i propri sentimenti con attenzione ed esaminato in piena coscienza il carattere dei due genitori sente di poter affermare che il babbo le piace di più. Come lui, vuole diventare scrittrice.
Da sempre, secondo quanto Vanessa ricorda, era deciso tra loro che Virginia sarebbe stata scrittrice, lei pittrice. I pomeriggi più belli li passano in una stanza a pianterreno di Hyde Park Gate: Vanessa dipinge, Virginia legge ad alta voce. Leggono così gli scrittori vittoriani: «Thackeray lo sento ancora con la sua voce» ricorda Vanessa.
Per quattro o cinque anni i quattro piccoli Stephen redigono un giornalino, «The Hyde Park Gate News», che nella sostanza è scritto da Virginia, la quale ne è molto orgogliosa; tremante per l’eccitazione, spia da dietro la porta per sentire che ne dirà la madre, e va in estasi quando questa quietamente riabbassa il foglio e commenta col marito: intelligente, davvero brillante. D’estate la famiglia si trasferisce in Cornovaglia, a Talland House, una specie di Eden che per la scrittrice costituirà lo sfondo sensuale sonoro visivo tattile dell’infanzia, tante volte rievocato anche nei romanzi: è il setting della Stanza di Jacob, di Al Faro; è lo sfondo ritmico delle Onde. È un mondo naturale, materno, che svanirà presto.

1895-1899

La morte della madre nel 1895 segna l’inizio della disgregazione familiare. Ginny soffre del primo violento attacco della malattia che più volte si riaffaccerà nella sua vita – un crollo nervoso, con conseguente crisi maniaco-depressiva e tendenze suicide. Nel 1897, tre mesi dopo il matrimonio, muore la sorellastra Stella. Nello stesso anno Virginia inizia il suo diario, che dopo una lunga interruzione riprenderà nel 1917.
Nel 1899 Thoby va a studiare a Cambridge. Anche i due Duckworth per lo più sono fuori casa. La grande dimora di Hyde Park Gate si tramuta in un sepolcro, di cui Vanessa e Virginia (la prima soprattutto) sono le vestali.

1904

Nel febbraio il padre Leslie muore, e la nidiata Stephen, sotto l’ala di Vanessa, si trasferisce al 46 di Gordon Square, in Bloomsbury, quartiere allora niente affatto alla moda, anzi senz’altro disdicevole per ragazze dell’alta borghesia.
Alla morte del padre Virginia ha il secondo serio attacco della sua malattia, da cui la salvano le cure mediche di Sir George Savage, e soprattutto quelle materne di Violet Dickinson, amica della defunta sorellastra Stella, generosa e instancabile nell’affetto che dimostra alle orfane Stephen, specialmente a Virginia che più di Vanessa ne ha bisogno. Violet porta Virgina con sé nella sua casa di campagna a Welwyn e con straordinaria intelligenza dona alla sofferente l’amore che salva. Il simbolo del loro rapporto si offre qualche anno dopo, quando a Virginia Violet manda in regalo una culla: «Mia Violet,» risponde Virginia «ieri entrando per caso in una di quelle stanze da soggiorno da scapolo, ho scoperto una culla […] poco alla volta ho messo insieme la storia – che era arrivata una cassa, che la signorina Dickinson ecc… […] Nessun altro ha mai frugato nei vecchi negozi con un risultato simile».
Ma insieme al calore femminile materno Violet, che è una donna indipendente e pratica, offre all’amata Virginia il contatto con Margaret Lyttelton, direttrice del supplemento femminile della rivista clericale «The Guardian»; contatto che le frutterà una collaborazione. È il primo incarico ufficiale di Virginia, che presto prenderà a collaborare anche con il «Times Literary Supplement», con «The National Review» (diretta dal marito di Kitty Maxse, altra figura femminile centrale nella vita dell’orfana Virginia, immortalata nella Signora Dalloway) e con il prestigioso «Cornhill», che per anni era stato diretto dal padre. Nell’ottobre Virginia ritorna a Londra in buona salute, e comincia la vita a Bloomsbury.

1905

Iniziano nel febbraio di quest’anno i “giovedì sera” di Bloomsbury, organizzati da Thoby. Al Trinity College di Cambridge Thoby ha stretto profonda amicizia con Saxon Sydney-Turner, Lytton Strachey, Clive Bell, E.M. Forster, Maynard Keynes, Leonard Woolf e Duncan Grant. Con loro a Londra organizza serate di discussione di filosofia e letteratura nella libera casa degli orfani Stephen. Virginia e Vanessa partecipano, per lo più in silenzio. Nell’ottobre Vanessa dal canto suo organizzerà invece il Club del venerdì per parlare d’arte.
Intanto Virginia (che il 14 dicembre 1904 aveva pubblicato sul «Guardian» la sua prima recensione, non firmata, su W.H. Howells e circa due mesi più tardi, il 22 febbraio 1905, recensisce The Golden Bowl di Henry James) estende la sua cerchia di collaborazioni: lavora, insomma, guadagna. In quattro anni (dal 1905 al 1908) pubblica centoventidue recensioni, circa trenta l’anno. I suoi pezzi vengono tagliati, alterati, spesso pubblicati anonimi; è costretta a scrivere di romanzi che mai si sognerebbe di leggere; ma lo fa con l’entusiasmo e l’orgoglio della propria indipendenza e con la serietà di chi riconosce il proprio bisogno. Si diverte, anche: impara una tecnica, e allo stesso tempo sviluppa una voce personale. A differenza del padre che ha sempre usato il «noi» patriarcale, Virginia parla in prima persona. Dal 1905 al 1907 insegna letteratura inglese alla scuola serale del Morley College: porta le sue allieve a visitare la National Gallery con la guida di Vanessa, oppure invita Thoby a parlare di Virgilio. Virginia non riesce, infatti, a mettersi in cattedra, non crede all’autorità astratta dell’imperativo culturale; crede piuttosto che si debba accendere un amore, un desiderio del bello, che non ha niente a che fare col dovere. «Quando ero giovane» racconterà più tardi «ho cercato di condividere con la classe operaia i frutti dell’imperfetta educazione ricevuta insegnando letteratura al Morley College, ho tenuto seminari settimanali alla Women’s Cooperative Guild, e ho lavorato per il voto alle donne. Ho scritto anche dei libri e alcuni di essi hanno venduto molte migliaia di copie. Cioè, ho fatto del mio meglio perché potessero raggiungere una cerchia di persone più ampia di un piccolo privato gruppo di gente raffinata e colta.»

1906

Nel settembre Virginia, Vanessa e Violet partono per la Grecia, dove già si trovano i fratelli Thoby e Adrian. Il viaggio verso quella terra amata, simbolo di una civiltà venerata e di una lingua desiderata, alla cui conoscenza Virginia per anni e anni si applica, ha però un risultato funesto: al ritorno Thoby muore di tifo. È il 20 novembre. Il colpo per Virginia è tremendo. Sì, «Dio ha la mano pesante» con gli orfani Stephen. Un velo sottile di lutto per il fratello amato, mai dimenticato, affiorerà nella Stanza di Jacob, nelle Onde.

1907

Il 7 febbraio l’adorata Vanessa si sposa con Clive Bell. Virginia è davvero sola, ora.
Nell’aprile si trasferisce con Adrian (ma è un fratello poco amato e poco amabile) pochi metri più in là, sempre a Bloomsbury, al 29 di Fitzroy Square e si consola nutrendosi con più decisione delle nuove amicizie con i giovani intellettuali di Cambridge amici di Thoby e di Adrian, con gli artisti amici di Vanessa. La vita a Bloomsbury si fa sempre più eccitante. Così Virginia racconta una serata: «Io e Vanessa ce ne stavamo in salotto, quando entra Clive e io comincio a discutere con lui, e sarebbe presto finita a male parole […] Vanessa zitta cuciva, faceva qualche cosa di misterioso con l’ago e le forbici. Io parlavo egocentricamente, senza dubbio di cose mie. All’improvviso si apre la porta e sulla soglia appare la figura allampanata, sinistra di Lytton Strachey che punta il dito sul vestito di Nessa, c’è una macchia. Sperma? fa. […] Scoppiammo tutti a ridere. Bastò quella parola a far fuori le barriere della reticenza e del pudore. Un torrente del sacro liquido sembrò travolgerci». E per quanto riguarda Bloomsbury, a chi anni più tardi lo attaccherà, spiega: «Leonard [intende Woolf] è Bloomsbury. E ha passato la vita a scrivere libri come International Government, Barbarians at the Gate, Empire and Commerce per prevenire la nascita del nazismo e creare la Lega delle nazioni. Maynard Keynes è Bloomsbury. Ha scritto sulle conseguenze della pace. Lytton Strachey era Bloomsbury. I suoi libri hanno avuto una circolazione ampia e influenzato una cerchia assai più vasta che un piccolo gruppo. Duncan [intende Grant] s’è guadagnato da vivere con la pittura da sempre. Ecco i fatti».

1908

Nell’agosto va in vacanza nel Galles in cerca di solitudine. Ha bisogno di pensare. «Penso molto al mio futuro» dice. «Decido quale libro scrivere, in che modo riformerò il romanzo e catturerò moltitudini di cose al momento sfuggenti, le imprigionerò in un tutto, e darò forma a infinite strane figure.» Come impareremo presto a riconoscere, questo è il momento “maniaco” dell’onda, quando l’onda la trasporta in alto, e lei si sente euforica, potente – comunque pronta a tutto; a cui segue però il momento “depressivo”, quando è tutta impotenza, non vale nulla, meno di nulla, e «uno spaventoso vuoto» scende su di lei, la schiaccia. Allora non riesce a scrivere e «rispuntano fuori tutti i diavoli – neri e pelosi».

1909

Le duemilacinquecento sterline che la zia Caroline Emelia Stephen le lascia in eredità perché si affermi nella carriera di scrittrice avviano Virginia per la sua strada: ora ha una stanza tutta per sé e del denaro, e può perciò smettere di scrivere a cottimo recensioni anonime di libri che non le interessano. Si tuffa con ostinata determinazione nel suo primo romanzo, che ancora chiama «...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione. Scrittrice, fotografa, regista e flâneuse
  4. Cronologia
  5. Bibliografia
  6. LONDRA IN SCENA
  7. I Docks
  8. La marea di Oxford Street
  9. Le case dei grandi
  10. Abbazie e cattedrali
  11. «Ecco la Camera dei Comuni»
  12. Ritratto di una londinese
  13. Copyright