Il Druido supremo di Shannara - 2. Tanequil
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Il Druido supremo di Shannara - 2. Tanequil

  1. 350 pagine
  2. Italian
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Il Druido supremo di Shannara - 2. Tanequil

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Grianne Ohmsford ha sciolto l'alleanza con le forze del male e ricostruito il Consiglio dei Druidi, ma non tutti apprezzano quanto sta facendo per l'equilibrio dei poteri nelle Quattro Terre. Una congiura ordita da alcuni druidi di Paranor la colpisce infatti attraverso un maleficio che la proietta nel cupo mondo dei Divieto, il mondo che gli Elfi chiamano nella loro lingua arcaica Jarka Ruus e nel quale nell'antichità esiliavano i demoni loro nemici. Costretta a vagare senza meta Grianne rischia di perdere la ragione. Solo un potente talismano, lo scettro nero, può far sì che suo nipote Pen Ohnsford riesca a riportarla nel mondo reale. Per forgiarlo il giovane dovrà recarsi al di là delle terre dei Troll, dove si dice che cresca il Tanequil, un albero dagli antichi poteri. Ma il compimento della sua missione sarà duramente osteggiato dai druidi nemici di Grianne...

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852044663

1

Sen Dunsidan, Primo ministro della Federazione, si fermò a guardarsi alle spalle mentre percorreva il corridoio che portava al suo alloggio privato.
Ovviamente non vide nessuno che non fosse autorizzato a trovarsi in quelle sale. Era sempre così, ma questo non gli impediva, ogni volta, di girarsi a controllare. Scrutò attentamente il corridoio illuminato dalle torce. Meglio essere certi. Lo consigliava il buonsenso.
Entrò e chiuse la porta dietro di sé, senza fare rumore. La luce calda, il profumo dolce delle candele che lo accolsero erano rassicuranti. Dunsidan era l’uomo più potente delle Terre del Sud, ma non certo il più amato, e se all’inizio la cosa non gli aveva mai dato fastidio, da quando aveva conosciuto la Strega di Ilse aveva cominciato a preoccuparsene. E anche se adesso quella donna se n’era finalmente andata, esiliata in una sanguinaria terra di pazzia da cui nessuno aveva mai fatto ritorno, non si sentiva affatto al sicuro.
Si soffermò per qualche istante a contemplare la propria immagine riflessa nello specchio appoggiato alla parete, di fronte al letto. Lo specchio era stato collocato in quel punto per altri motivi: per assistere a piaceri e indulgenze che sembravano appartenere a un’altra vita, tanto erano ormai lontani da lui. Avrebbe potuto procurarseli in qualsiasi momento, ma sapeva che non ne avrebbe tratto alcuna soddisfazione. Ormai non c’era più nulla che gli desse piacere. La sua vita era diventata un esercizio di equilibrismo, composto in pari misura di cupa decisione e di ferrea volontà. Tutto ciò che faceva era legato a uno scopo politico. Ogni suo atto, ogni sua parola avevano conseguenze che andavano ben al di là del momento immediato. Non c’erano tempo né luogo per altro. E in realtà non era necessario.
Il suo riflesso lo guardava dallo specchio. Sen Dunsidan fu leggermente sorpreso dal proprio aspetto, molto più vecchio di quanto immaginava. Quando era successo? Era ancora giovane, sano di mente e di corpo, era all’apice della sua carriera, era indiscutibilmente l’uomo più importante delle Quattro Terre. “Eppure” pensò “guarda come mi sono ridotto.” I suoi capelli erano quasi bianchi, il volto, un tempo liscio e regolare, era segnato dall’ansia. Si scorgevano ombre nei punti dove le preoccupazioni si erano raccolte come macchie. Aveva le spalle curve, mentre un tempo erano ben squadrate. Non c’era più nulla in lui che riflettesse sicurezza o forza, gli pareva di essere un guscio svuotato di tutti i contenuti vitali.
Si allontanò dallo specchio. Erano state la paura e la vergogna a ridurlo così. Non si era mai ripreso dalla notte in cui, nelle prigioni della Federazione, il Morgawr aveva divorato l’anima dei prigionieri Liberi. Non aveva mai scordato la loro trasformazione in morti viventi, creature la cui vita non aveva altro scopo che quello di obbedire agli ordini dello stregone. Anche dopo la morte del Morgawr, il ricordo di quella notte era rimasto con lui, una visione della follia che l’avrebbe consumato se si fosse allontanato troppo dalle finzioni che gli garantivano la sanità mentale. Divenire Primo ministro gli aveva assicurato il rispetto delle persone che governava, ma oggi era assai meno ammirato che all’inizio, quando la gente nutriva ancora la speranza che riuscisse a vincere la guerra. Quella speranza era da tempo svanita sul terreno roccioso del Prekkendor, dove migliaia di uomini continuavano a spargere il loro sangue e a perdere la vita. Era svanita con la sua incapacità di vincere un conflitto che consumava da decenni le Quattro Terre, ma anche perché aveva lasciato incancrenire quella lotta senza avvicinarsi ad alcuna conclusione significativa. Il rispetto era svanito a causa della sua incapacità di accrescere il prestigio della Federazione agli occhi di coloro che ancora amavano le Terre del Sud, e se fosse morto l’indomani avrebbe lasciato dietro di sé soltanto amarezza e delusione.
Sedette sul letto e, soprappensiero, si versò un bicchiere di vino dalla brocca posata sul tavolo. Bevve una lunga sorsata, pensando che almeno si era liberato dell’insopportabile presenza di Grianne Ohmsford. L’odiosa Strega di Ilse se n’era andata, finalmente. Alleandosi con Shadea a’Ru, per quanto fosse portata al tradimento, Dunsidan aveva una ragionevole probabilità di sbloccare la situazione di stallo in cui si trovava da vent’anni. Condividevano la stessa visione del futuro: una visione in cui i Druidi e la Federazione controllavano il destino di tutte le razze e ne dettavano le scelte. Insieme avrebbero trovato il modo di mettere fine alla guerra contro i Liberi e di porre le Quattro Razze sotto il dominio del Sud.
Questo scopo, però, non era ancora stato raggiunto, peggio, sembrava farsi sempre più lontano. Irritante, soprattutto, era l’incapacità di Shadea, che non era riuscita ad avere l’appoggio del Consiglio dei Druidi. Il Primo ministro cominciava a temere che la loro alleanza fosse un po’ troppo a senso unico. Lei approfittava del suo appoggio, ma lui non aveva niente in cambio.
Per questo continuava a guardarsi le spalle. La sfiducia cresceva, e così la resistenza alla sua autorità.
Aveva appena terminato di bere e si chiedeva se fosse il caso di riempire di nuovo il bicchiere quando sentì bussare alla porta. Con sua grande irritazione, quel suono lo fece sobbalzare. Una volta sarebbe stato il silenzio a farlo trasalire: le due persone che maggiormente temeva, la Strega e il Morgawr, non perdevano tempo a bussare. Adesso, a ogni minimo rumore sentiva morse d’acciaio attanagliargli il petto. Respirò a fondo per allentare la stretta, poi si alzò e posò con attenzione il bicchiere.
«Chi è?»
«Chiedo scusa, Primo ministro» rispose il capitano della Guardia. «C’è una persona che vuole parlarti, uno dei nostri ingegneri. Insiste nel dire che la cosa è urgente, e dalla sua agitazione direi che è proprio così.» Una pausa. «È disarmato ed è solo.»
Dunsidan raddrizzò le spalle. Un ingegnere? A quell’ora di notte? Ne aveva diversi, alle sue dirette dipendenze; lavoravano sulle navi volanti, con l’incarico di apportare migliorie alle varie parti. Ma nessuno si sarebbe mai sognato di venire a parlargli di persona, soprattutto di notte. Sospettò subito un tradimento, ma dopo qualche istante pensò di poterlo escludere, a meno di un complotto talmente ramificato da coinvolgere anche la sua Guardia personale. Assurdo. Probabilmente, quell’ingegnere era disperato. Incuriosito, Sen Dunsidan lasciò da parte il fastidio e i timori e andò alla porta.
«Fallo entrare.»
L’ingegnere scivolò come un furetto attraverso la porta semiaperta. Era un uomo minuto, privo di qualsiasi connotato che lo distinguesse da mille altri ometti come lui. L’aria intimorita con cui guardava Sen Dunsidan indicava come sapesse di dover stare al suo posto. «Primo ministro» disse, inchinandosi, e non aggiunse altro.
«Mi devi parlare di una questione urgente?»
«Sì, Primo ministro. Mi chiamo Orek. Etan Orek. Lavoro per te come ingegnere navale da più di vent’anni. Sono un tuo fedelissimo servitore e ammiratore, Primo ministro, e ho capito subito di doverne parlare soltanto a te, quando ho fatto la mia scoperta.»
Teneva ancora la testa bassa, non osava rivolgersi a Dunsidan su un piano di parità. Nel comportamento dell’ometto c’era un fondo di viltà che il Primo ministro trovava irritante, ma si costrinse a ignorarlo. «Alza la testa, guardami.»
Etan Orek obbedì, ma non riuscì a fissare Dunsidan negli occhi: abbassò subito lo sguardo sulla cintura del Primo ministro. «Mi scuso del disturbo.»
«Che tipo di scoperta hai fatto, ingegnere Orek? Qualcosa che riguarda il tuo lavoro sulle navi volanti, suppongo.»
L’ometto annuì subito. «Oh, certo, Primo ministro, è così. Ho lavorato sui cristalli di diapso, per aumentare il loro rapporto di conversione della luce in energia. Negli ultimi cinque anni mi sono dedicato a questo compito.»
«E hai scoperto qualcosa?»
Orek ebbe un istante di esitazione. «Mio signore» disse, passando al titolo onorifico «è meglio che tu lo veda di persona, anziché descriverlo a parole. Comprenderai subito il valore della scoperta.» Si ravviò nervosamente i capelli, poi congiunse le mani. «Sarebbe chiedere troppo, se ti pregassi di venire nel mio laboratorio? So che è tardi, ma ti assicuro che non rimarrai deluso.»
Per un momento, Sen Dunsidan tornò a chiedersi se non si trattasse di un tentativo di assassinio. Poi scartò di nuovo l’idea. I suoi nemici avrebbero trovato di sicuro un piano assai migliore, se avessero avuto seriamente l’intenzione di eliminarlo. Quell’ometto era troppo impaurito per poter essere lo strumento capace di mettere a morte un Primo ministro. La sua presenza aveva ben altre ragioni e Dunsidan era curioso di conoscerle. «Ti rendi conto che se dovesse risultare una perdita di tempo le conseguenze sarebbero sgradevoli?» disse.
Etan Orek, che all’improvviso pareva avere ritrovato il suo orgoglio, lo fissò negli occhi. «Spero che penserai a una ricompensa più che a una punizione, Primo ministro.»
Dunsidan sorrise a dispetto di se stesso. L’ometto era avido, una caratteristica che non gli dispiaceva in coloro che cercavano i suoi favori. Abbastanza schietto, ed era disposto a dargli la possibilità di farsi valere. «Fammi strada, ingegnere. Vediamo cos’hai scoperto.»
Quando uscirono dalla stanza, immediatamente la Guardia personale di Sen Dunsidan li seguì, per proteggerlo da ogni attacco alle spalle; la loro semplice presenza bastò a dargli nuova sicurezza. Non avevano mai tentato di ucciderlo, anche se si era scoperto qualche occasionale complotto che prima o poi avrebbe potuto portare a un tentativo di assassinio. Ogni volta le persone che vi avevano preso parte erano state fatte scomparire senza rumore e i suoi uomini avevano diffuso qualche spiegazione sulla loro assenza, plausibile ma poco rassicurante. Il messaggio era chiaro: parlare di sostituire il Primo ministro costituiva un tradimento e comportava la stessa punizione.
In ogni caso, Sen Dunsidan non era così ingenuo da non pensare che qualcuno, prima o poi, avrebbe tentato di ucciderlo. Sarebbe stato uno sciocco a crederlo, data l’irrequietezza dei suoi ministri e l’insoddisfazione della sua gente. Se un tentativo d’assassino avesse avuto successo, i responsabili non sarebbero stati condannati per il loro gesto, anzi, il suo successore li avrebbe premiati.
Doveva muoversi su un sentiero stretto e tortuoso, e Dunsidan era perfettamente al corrente dei pericoli. Una salutare cautela era quanto mai raccomandabile.
Eppure, quella sera non riteneva necessaria una simile prudenza. Non avrebbe saputo spiegare perché era giunto a quella conclusione, ma l’istinto gli assicurava di potersi fidare, e lui dava sempre retta al suo istinto. L’ometto che lo precedeva, quell’Etan Orek, aveva in mente qualcosa di assai diverso dall’eliminazione del Primo ministro. Si era recato da lui di propria volontà – come pochi altri avrebbero osato – e per farlo doveva avere un piano e uno scopo molto specifici. Sarebbe stato interessante scoprirli entrambi, anche se in seguito fosse stato necessario ucciderlo.
Uscirono dall’abitazione del Primo ministro e giunsero all’ingresso principale, dove un altro gruppo di guardie dal mantello nero li accolse sull’attenti, con le picche che brillavano alla luce delle torce.
«Fate venire la carrozza» ordinò Sen Dunsidan.
Attese nella stanza d’ingresso, accanto alla porta, e tenne d’occhio Etan Orek, che spostava nervosamente il peso da un piede all’altro e guardava dappertutto meno che nella sua direzione. Di tanto in tanto l’ingegnere dava l’impressione di voler parlare, per poi fermarsi all’ultimo istante. Meglio così. Dopotutto, di che cosa avrebbero potuto discutere? Non si erano mai conosciuti. Non erano amici. Dopo quella notte, probabilmente non si sarebbero mai più rivisti. Uno di loro, forse, sarebbe morto.
Quando la carrozza giunse nel cortile, accanto alla massiccia cancellata di ferro, Sen Dunsidan cominciava a essere stanco di tutta quell’impresa. Occorreva un mucchio di fatica per fare quello che l’ingegnere gli aveva suggerito e non c’era ragione al mondo per ritenere che non fosse solo una perdita di tempo. Ma ormai, arrivato a quel punto, sarebbe stata una sciocchezza rinunciare, prima di essere certo della sua assenza di valore. Nel corso degli anni aveva assistito alle cose più strane; meglio aspettare prima di dare un giudizio.
Montarono in carrozza e le sue guardie presero posto sulle predelle, a destra e a sinistra dei passeggeri e dietro la vettura. I cavalli sbuffarono quando il cocchiere schioccò la frusta e la carrozza corse via nell’oscurità. Il comprensorio dove abitavano i ministri era vuoto, e solo qualche finestra illuminata rivelava la presenza degli altri membri del governo e delle loro famiglie. Una volta fuori del recinto, la luna era una sfera luminosa, appesa nel firmamento privo di nubi, e splendeva su Arishaig con una tale luminosità da rivelare ogni dettaglio della capitale.
In notti come quella, pensò il Primo ministro aggrottando la fronte, spesso si manifestava la magia. Tutto stava nel vedere se fosse favorevole a lui.
Giunti al campo delle navi volanti, che occupava tutta la periferia Nord della città, Etan Orek li indirizzò verso una delle costruzioni più piccole, un edificio squadrato situato dietro gli altri e che chiaramente non poteva ospitare qualcosa di grande come una nave. La sentinella venne di corsa ad accoglierli. Confuso e intimidito dall’inattesa presenza del Primo ministro, l’uomo si affrettò ad aprire la porta del laboratorio.
Una volta dentro, l’ingegnere li guidò lungo un corridoio male illuminato da qualche lampada posta alle estremità, e con ampi tratti di parete bui. Due guardie di Sen Dunsidan passarono davanti al Primo ministro, per controllare i punti dove si sarebbe potuto nascondere un assassino, e si misero alle spalle di Orek, sempre più allarmato.
Svoltarono in un altro corridoio e dopo qualche passo l’ingegnere si fermò accanto a una piccola porta e la indicò. «Da questa parte, Primo ministro.»
Aprì l’uscio e lasciò passare per prime le guardie, che svanirono all’istante nell’oscurità che regnava all’interno. Dopo essere entrate, accesero le torce infilate negli anelli alle pareti e quando Sen Dunsidan fece il suo ingresso, il luogo era gradevolmente illuminato.
Il Primo ministro si guardò attorno con espressione dubbiosa. La stanza era un labirinto di tavoli di lavoro, su cui si scorgevano pile di utensili e di apparecchiature. Alle pareti erano appesi altri attrezzi, il pavimento era coperto di ritagli metallici di tutte le forme e dimensioni. Scorse varie ceste piene di cristalli di diapso, le cui facce riflettevano la luce delle torce. Nella stanza, ogni cosa sembrava abbandonata a casaccio, senza pensare alla fatica che sarebbe poi occorsa per trovarla.
Sen Dunsidan guardò il suo accompagnatore. «Allora, ingegnere Orek?»
«Mio signore» rispose l’ometto, chinandosi fino a sfiorare Dunsidan, un po’ troppo vicino per i gusti del Primo ministro. «Sarebbe consigliabile che lo vedessi soltanto tu» gli sussurrò.
Dunsidan si chinò leggermente verso di lui. «Mandare via le mie guardie, intendi dire? Non ti pare di chiedere più del lecito?»
L’ometto annuì. «Te lo giuro, Primo ministro, sa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Tanequil
  4. Capitolo 1
  5. Capitolo 2
  6. Capitolo 3
  7. Capitolo 4
  8. Capitolo 5
  9. Capitolo 6
  10. Capitolo 7
  11. Capitolo 8
  12. Capitolo 9
  13. Capitolo 10
  14. Capitolo 11
  15. Capitolo 12
  16. Capitolo 13
  17. Capitolo 14
  18. Capitolo 15
  19. Capitolo 16
  20. Capitolo 17
  21. Capitolo 18
  22. Capitolo 19
  23. Capitolo 20
  24. Capitolo 21
  25. Capitolo 22
  26. Capitolo 23
  27. Capitolo 24
  28. Capitolo 25
  29. Capitolo 26
  30. Capitolo 27
  31. Capitolo 28
  32. Capitolo 29
  33. Capitolo 30
  34. Copyright