Storia della tortura
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Storia della tortura

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Quasi tutte le società umane, per quanto civilizzate, hanno praticato la tortura. Per gli Aztechi era parte del rituale religioso, per l'inquisizione dell'Europa cristiana una forma di punizione con cui l'uomo si sostituiva a Dio. Ovunque poi si È ricorso alla violenza per estorcere confessioni o per intimorire gli avversari. Con una ricerca a vastissimo raggio, senza omissioni o tabù, George Riley Scott ricostruisce la storia di questa pratica abominevole, dall'antichità greca e romana fino agli orrori dei moderni regimi. Un libro che non può mancare di far riflettere.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
ISBN
9788852053498
Argomento
History
Categoria
World History
Parte terza

LA TECNICA DELLA TORTURA

17

Metodi di “messa al palo”

La crocifissione

Uno dei metodi più antichi di tortura è la crocifissione. La sua antichità è testimoniata dall’ampio uso che ne fecero i fenici. Fu adoperata anche dagli sciti, dai greci, dai romani, dai persiani e dai cartaginesi. È probabile che presso molti di questi popoli l’uso della croce sia stato preceduto dall’utilizzo di un tronco d’albero come palo.
La croce di legno assunse varie forme a seconda del popolo e dell’e­po­ca. Quella che è stata immortalata dalla crocifissione di Gesù era forse la più comune a quel tempo. Si trattava di uno strumento piuttosto primitivo che consisteva in un palo di legno unito orizzontalmente a uno verticale più lungo, che veniva conficcato a terra. Questo non lo si preparava di volta in volta, ma di solito aveva una sistemazione permanente.
Era normale che il criminale, dopo essere stato fustigato, portasse personalmente il palo orizzontale nel luogo dell’esecuzione.1 L’idea comune che Gesù avrebbe trascinato la croce intera, ovvero sia il palo verticale che quello orizzontale, probabilmente è erronea, dal momento che una simile procedura contrastava con i metodi dell’epoca. Quando si raggiungeva il luogo dell’esecuzione, la vittima veniva denudata e costretta a stendersi a terra, di schiena, con la testa appoggiata all’asta orizzontale, su cui venivano fatte allungare le braccia. In alcuni casi vi veniva legata con una corda, mentre in altri casi si faceva a meno di questa procedura, perché l’unico fissaggio era per mezzo di lunghi chiodi conficcati nel palmo di ciascuna mano. L’asta orizzontale, con il corpo così sistemato, veniva poi issata sul palo verticale, al quale veniva inchiodata o legata. Perché l’intero peso dell’uomo non gravasse sulle mani, col rischio che la carne cedesse, il corpo veniva sostenuto da un grosso paletto fissato su quello verticale. I piedi, che stavano a una certa distanza da terra, venivano inchiodati al palo verticale cui, a volte, venivano legate anche le gambe. Il chiodo, che era grosso e lungo, veniva fatto passare attraverso il collo e la pianta del piede.
La morte era lenta, dopo un’agonia indescrivibile. Si trattava di una tortura che durava dei giorni e che poteva essere prolungata con la somministrazione di cibo e di acqua alla vittima. Si poteva aggravare la sofferenza in cento modi, a seconda della natura vendicatrice e maligna dei persecutori o dei boia. A volte, si fratturavano le gambe con dei forti colpi, si laceravano il volto e i seni con strumenti uncinati o si punzecchiava il corpo con bastoni o pertiche appuntite. A volte, si infilavano a forza nell’ano o nel condotto uretrale delle stecche che, poi, venivano estratte. Una variante, era quella di spalmare sul viso del miele per attirare gli insetti.
I romani e molti altri popoli lasciavano il corpo a marcire sulla croce fino a quando non restavano che le ossa nude. Gli ebrei invece lo toglievano subito dopo la morte e lo seppellivano secondo le istruzioni di Mosè: «Il suo cadavere non rimanga appeso al palo tutta la notte, ma seppelliscilo lo stesso giorno».
Vari tipi di torture: marchiatura a fuoco, scorticamento, amputazione, frattura degli arti (da: De SS. Martyrum Cruciatibus, Gallonio, 1688)
Vari tipi di torture: marchiatura a fuoco, scorticamento, amputazione, frattura degli arti
(da: De SS. Martyrum Cruciatibus, Gallonio, 1688)
Anche se non molto praticata, la crocifissione continuò a esistere per secoli. Uno degli ultimi casi documentati si verificò in Francia nel 1127, quando Bertholde, l’assassino di Carlo il Buono, fu crocifisso per ordine di re Luigi.

I “dadi”

In questa tortura, che era una di quelle considerate più lievi dall’Inqui­sizione, il prigioniero veniva fatto stendere a terra, dove veniva legato o tenuto fermo. Due pezzi di ferro o di un altro metallo dalla forma di dado, ma con un lato concavo, venivano sistemati sul calcagno del piede destro al quale venivano legati stretti con una corda. Per mezzo di una vite si faceva poi pressione sino a far entrare il metallo nella carne.

La peine forte et dure, ovvero schiacciamento a morte

Abbiamo già indicato gli usi di questa particolare tortura (cfr. cap. 11). Stow descrive così la sua messa in opera (Survey of London, 1720):
Il criminale viene ricondotto in prigione e fatto stendere sul pavimento di una stanza buia e bassa, di schiena, tutto nudo meno che per le parti intime, con le braccia e le gambe legate per mezzo di funi fissate a diversi punti della stanza; e poi sul suo corpo vengono collocati dei pezzi di ferro, di piombo o delle pietre, tanti quanti ne può sostenere; il giorno dopo gli verranno dati tre tozzi di pane d’orzo senza acqua e il terzo giorno dovrà bere un po’ d’acqua dello scolo e mangiare del pane. Questo metodo deve essere ripetuto rigorosamente fino a che sopraggiunge la morte.
In Inghilterra, secondo Pike, per accelerarla si metteva un pezzo di legno tagliente sotto la schiena della vittima.2 Quando, nel 1658, il maggiore Strangeways fu condannato alla tortura della peine forte et dure non si adottò questa tecnica, che fu sostituita con l’applicazione di un pezzo di ferro «appuntito sul cuore», su cui i sorveglianti fecero pressione col loro stesso peso. Il maggiore morì nell’arco di otto o dieci minuti. In molti casi il prigioniero acconsentiva a rispondere alle accuse, come per esempio nel 1726 fece a Kingston l’assassino Burnworth che, dopo aver sostenuto il carico di una massa di circa quattrocento pesi per un’ora e tre quarti, implorò pietà. Fu processato, trovato colpevole e impiccato.3
Sembra che questo terribile castigo venisse qualche volta inflitto perfino a coloro che tacevano perché muti. Così, nel 1735, alle Assise di Nottingham, un presunto assassino, sordomuto dalla nascita, per non avere risposto alle accuse fu schiacciato a morte. Evidentemente, le affermazioni dei testimoni relative all’autenticità della loro infermità, non servivano a discolpare i sospettati che ne erano colpiti, perché i giudici temevano di venire imbrogliati. Che un simile timore non fosse del tutto infondato è dimostrato da un caso che si verificò in Irlanda. Nel 1740, Matthew Ryan fu processato per brigantaggio alle Assise di Kilkenny. Non lo si poté costringere a parlare essendo evidentemente muto, ma la giuria decise che la sua invalidità era solo simulata:
I giudici desiderarono che su questo punto il prigioniero rispondesse, ma questi continuò a fingere di essere insensibile a tutto ciò che gli veniva detto. Allora gli fu comminata la peine forte et dure; ma i giudici ebbero pietà e ne sospesero l’esecuzione, con la speranza che nel frattempo egli si rendesse meglio conto della sua situazione. Tuttavia, quando l’imputato fu di nuovo portato al loro cospetto, continuò a rifiutarsi di rispondere. Infine la corte pronunciò la terribile sentenza: doveva morire schiacciato. Essa fu eseguita come previsto due giorni dopo, nella piazza del mercato di Kilkenny. Mentre su quel disgraziato venivano ammucchiati i pesi, egli supplicò ardentemente di venire impiccato, ma poiché lo sceriffo non aveva il potere di modificare la pena prescritta, neppure questo gesto di clemenza poté più essergli concesso.4
Sembra che in America questa forma particolare di tortura fosse poco conosciuta e poco usata. L’unico caso documentato è quello di Giles Cory che, accusato di stregoneria nel 1692, si rifiutò tenacemente di parlare e fu schiacciato a morte.5
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Rogo, marchiatura a fuoco, olio bollente

Il rogo

La prova dell’antichità di questo tipo di esecuzione ci viene dalla Bibbia: «Chi non mantiene fede a me si allontana come un ramo e si secca e gli uomini lo raccoglieranno e lo metteranno a bruciare nel fuoco». I babilonesi, non diversamente dagli ebrei, usavano il rogo come forma di esecuzione capitale per alcuni reati. Vi fa riferimento anche Eusebio quando racconta la morte di Appiano, una vittima della terribile crudeltà di Massimino. I piedi dell’uomo furono avvolti nel cotone che era stato imbevuto di olio, e poi fu dato loro fuoco:
Il martire fu appeso molto in alto in modo che al suo orribile spettacolo tutti gli astanti venissero colpiti dal terrore, e nel frattempo gli straziarono i fianchi e le costole con dei pettini sino a renderlo un’unica massa enfiata e a trasformarne completamente l’aspetto. E a lungo i piedi bruciarono in un fuoco vivo, sicché la pelle, nel consumarsi, cadde a terra come cera fusa e il fuoco gli fece scoppiare le ossa come se fossero state dei ramoscelli secchi.1
Se tra le prime popolazioni civili o tra i primitivi c’è stato qualcuno che non ha praticato il rogo in nessuna sua forma, si tratta senz’altro di un fatto eccezionale.
Molti popoli selvaggi avevano l’abitudine di bruciare le loro vittime. In linea generale, si può dire che veniva considerato un metodo adatto per giustiziare i nemici che appartenevano a classi inferiori, o chi era colpevole di reati infami o disgustosi. Così Geova scelse questo castigo per l’incesto e per la prostituzione: «Se uno prende in moglie tanto la figlia che la madre, è incesto: siano bruciati lui e loro, affinché non ci sia tale incesto fra voi». E ancora: «Se la figlia di un sacerdote si disonora prostituendosi, disonora anche suo padre: sia arsa col fuoco». Costantino ordinò che uno schiavo che aveva una relazione con una donna libera venisse bruciato vivo.
Era una delle condanne preferite da infliggere a chi era giudicato colpevole di eresia. L’Inquisizione ne condannò a migliaia alle fiamme. Vi si ricorreva normalmente per sbarazzarsi degli stregoni e delle streghe in tutti i paesi europei, sia protestanti che cattolici. Lo dimostrano i casi di Gilles de Rais e di Giovanna d’Arco, entrambi bruciati vivi. Nell’anno 1415 Jan Hus, rettore dell’Università di Praga, e Gerolamo, un suo discepolo che viveva nella stessa città, furono entrambi messi al rogo per eresia.
Per secoli in Gran Bretagna il rogo fu considerato il metodo di esecuzione tipico per certi reati e, come anche nell’Europa continentale, soprattutto per quello di eresia. Molte di queste esecuzioni ebbero luogo nel XV e nel XVI secolo, stando alle varie cronache di martirii compilate da Fox2 e da altri. Le modalità che assunsero sono bene illustrate dal seguente resoconto dell’esecuzione dell’eretico dottor John Hooper, vescovo di Gloucester, avvenuta nel 1555 in questa città, di fronte a settemila spettatori:
L’esecuzione ebbe luogo di fronte al collegio dei sacerdoti dove egli era solito predicare, vicino a un grande olmo; intorno c’era una folla di spettatori. Il vescovo Hooper si inginocchiò e pregò. Conclusi i suoi esercizi spirituali, il vescovo si preparò per il rogo. Si tolse l’abito talare e lo consegnò allo sceriffo, poi si tolse il farsetto, i calzoni stretti al ginocchio e il panciotto. Rimasto in camicia, se la legò tra le gambe, dove era stata sistemata una libbra di polvere da sparo in una borsa, la stessa quantità che gli era stata posta sotto le ascelle. Poi salì sul palo del rogo, dove vennero portati tre fili di ferro, uno da stringere intorno alla cintura, uno intorno al collo e un altro intorno alle gambe; ma si rifiutò di venire legato, dicendo: «Non c’è bisogno che vi diate da fare; non ho dubbi che Dio mi darà abbastanza forza per sopportare l’ardore del fuoco senza bisogno di cinghie; tuttavia, poiché temo la debolezza della carne, ma avendo una salda fede nella forza di Dio, fate pure come meglio credete». Così gli misero il fil di ferro intorno alla vita, ma essendo troppo corto, lui cercò di farsi più piccolo e tirò indietro la pancia premendola con la mano; ma quando si offrirono di legargli il collo e le gambe, si rifiutò dicendo: «Sono proprio sicuro che non vi creerò problemi». Fissato al palo del rogo, levò al Cielo gli occhi e le mani e pregò in silenzio. L’uomo che aveva il compito di appiccare il fuoco gli chiese di essere perdonato, ma il prelato gli domandò perché mai avrebbe dovuto perdonarlo, dal momento che non aveva fatto niente di male contro di lui. «Oh eccellenza,» disse l’uomo «ho il compito di appiccare il fuoco.» «Con ciò» disse il vescovo Hooper «non mi rechi alcuna offesa: che Dio perdoni i tuoi peccati, e fa’ ciò che devi fare, ti prego.»
Poi fu costretto a sistemarsi sotto le ascelle due fascine. Fu quindi dato ordine di appiccare il fuoco, ma, dato il grande numero di rami verdi, ci volle del tempo prima che le fiamme li raggiungessero. Il vento avverso e il freddo della mattina tennero lontane le fiamme, sicché il fuoco lo sfiorò appena. Venne allora alimentato un altro fuoco più forte: le borse piene di polvere da sparo esplosero, ma non servirono a porre termine alle pene del sofferente prelato. Egli prese a pregare a voce alta: «Signore Gesù, abbi pietà di me; Signore Gesù, abbi pietà di me; Signore Gesù, ricevi il mio spirito»; queste furono le ultime parole che gli sentirono pronunciare. Ma persino quando le fiamme gli annerirono completamente il volto, le sue labbra continuarono a muoversi, fino a che si rimpicciolirono mettendo a nudo le gengive; si colpì il petto con le mani fino a che un braccio gli cadde, e allora continuò a percuotersi con l’altro mentre il grasso, l’acqua e il sangue gli colavano dalle punte delle dita. Dopo un po’, il fuoco, che era stato rinnovato, gli tolse le forze e la mano si attaccò al ferro che gli er...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Storia della tortura
  4. Prefazione
  5. Parte prima. ASPETTI PSICOLOGICI DELLA TORTURA
  6. Parte seconda. STORIA DELLA TORTURA
  7. Parte terza. LA TECNICA DELLA TORTURA
  8. Parte quarta. PROCESSO ALLA TORTURA
  9. Note
  10. Bibliografia
  11. Copyright