Un sorriso tra due silenzi
eBook - ePub

Un sorriso tra due silenzi

  1. 492 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Un sorriso tra due silenzi

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Cosa passa per la testa di un uomo abituato a trionfare quando una sera di settembre si concretizzano i suoi peggiori timori?

Mauro Larrea è un uomo che si è fatto da solo: emigrato dalla Spagna in Messico insieme alla sua famiglia, è partito dal basso, facendo il minatore, e piano piano, attraverso tante difficoltà, si è arricchito, diventando proprietario di diverse miniere. Dopo la morte della moglie ha scelto di non risposarsi e di continuare a dedicarsi con impegno al lavoro e alla famiglia, riuscendo a inserire i figli nell'alta società. Ma un passo falso segna la sua vita fino a quel momento fatta di scelte ponderate: Larrea investe tutti i suoi averi nell'acquisto di nuovi macchinari per le miniere, però l'affare non va in porto. Strozzato dai debiti, decide di tentare la sorte a Cuba e, in seguito a una scommessa, si ritrova inaspettatamente proprietario di un'azienda vinicola in Andalusia. Al termine del viaggio che lo porterà nuovamente dall'altra parte dell'oceano, conoscerà Soledad Montalvo, una donna affascinante e determinata...

Dalla giovane repubblica messicana alla raggiante Havana coloniale; dalle Antille alla Jerez della seconda metà del XIX secolo, colta nel momento in cui il commercio dei vini con l'Inghilterra aveva trasformato la città andalusa in un'enclave cosmopolita e leggendaria. Questi sono gli affascinanti scenari del nuovo romanzo di María Dueñas, un'avventura epica che racconta di ascese e cadute, intrighi di famiglia, vigneti, cantine e città superbe, il cui splendore è svanito nel tempo. Una storia di coraggio, nonostante le avversità, e il racconto di un destino capovolto per sempre dalla forza della passione.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Un sorriso tra due silenzi di Maria Duenas in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Letteratura storica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852069536
III

JEREZ

25

Le maniglie delle imposte faticavano ad aprirsi, a forza di non essere usate né oliate. Facendo leva con quattro mani, finalmente cedettero e, con il sottofondo dei cigolii dei cardini, la stanza si riempì di luce. Le sagome dei mobili smisero di sembrare fantasmi e diventarono nitide.
Mauro Larrea sollevò un lenzuolo e sotto comparve un divano foderato di sbiadito satin color carminio; ne sollevò un altro, scoprendo un tavolo di palissandro un po’ sbilenco. In fondo vide un grandioso camino con gli scheletri dell’ultimo fuoco. Lì vicino, sul pavimento, un colombo morto.
Si sentivano solo i suoi passi mentre attraversava l’imponente salone; l’impiegato dello studio del notaio, dopo averlo aiutato ad aprire la portafinestra del balcone centrale, si era rifugiato sotto l’architrave della porta. In attesa.
«Allora, nessuno si è preso cura di questa casa negli ultimi tempi?» gli chiese senza guardarlo. Subito dopo, strappò via un altro lenzuolo sotto cui dormiva il sonno dei giusti una poltrona sfondata con i braccioli di noce.
«Nessuno che io sappia, signore. Da quando don Luis se n’è andato, nessuno ci ha più messo piede. Comunque, il degrado viene da lontano.»
L’uomo parlava in tono mellifluo, con aria apparentemente sottomessa: senza fare domande esplicite, ma senza per questo nascondere la morbosa curiosità che gli suscitava il compito che il notaio gli aveva affidato. Angulo, accompagnate il signor Larrea a casa di don Luis Montalvo in calle de la Tornería. E poi, se vi avanza tempo, alla cantina in calle del Muro. Io nel frattempo ho due appuntamenti, vi aspetto di ritorno all’una e mezza.
Mentre il nuovo proprietario esaminava l’imponente edificio con grandi falcate e aria severa, il suddetto Angulo non vedeva l’ora di finire la visita per precipitarsi all’osteria in cui andava sempre all’ora di pranzo e spifferare la notizia. Di fatto, in quel preciso momento stava già rimuginando su come formulare le frasi per ottenere un effetto più prorompente. Un indiano è il nuovo proprietario della casa di Mezzacalzetta, sembrava una buona formula. O forse avrebbe dovuto dire prima Mezzacalzetta è morto, e poi un indiano si è preso la sua casa?
Ma qualunque fosse l’ordine dei termini, le parole chiave erano Mezzacalzetta e indiano. Mezzacalzetta perché finalmente tutta Jerez avrebbe saputo che fine aveva fatto Luis Montalvo, il proprietario del soprannome e del palazzo: morto sepolto a Cuba, ecco che fine aveva fatto. E indiano perché era l’etichetta che aveva immediatamente appioppato a quel forestiero dal fisico imponente che quella mattina era entrato a passo deciso nello studio del notaio, presentandosi con il nome di Mauro Larrea e strappando ai presenti un mormorio di curiosità.
Mentre Angulo, gracile ed emaciato, si leccava metaforicamente i baffi al pensiero degli echi della cannonata che stava per sparare, entrambi continuarono a visitare una stanza dopo l’altra, sotto gli archi del piano superiore: altri due saloni con pochi mobili, una grande sala da pranzo con un tavolo per diciotto commensali e sedie per meno della metà, un piccolo oratorio privo di qualunque arredo e un discreto numero di camere con letti dai materassi sfondati. Dalle fessure filtrava ogni tanto qualche tenue raggio di sole, ma la sensazione generale era quella di una penombra in cui aleggiava uno sgradevole odore rancido misto a urina di animale.
«In solaio immagino che ci saranno le stanze della servitù e i ripostigli, come di consueto.»
«Scusi?»
«Il solaio» ripeté Angulo indicando con un dito il soffitto. «Le soffitte, le mansarde. Sottotetti, li chiamano in altre terre.»
Le piastrelle in pietra di Tarifa e marmo di Genova erano coperte di sporcizia; alcune porte erano mezzo sgangherate, diverse finestre avevano i vetri rotti e il color ocra alle pareti aveva cominciato a scrostarsi da tempo. Una gatta che aveva appena partorito li sfidò da un angolo della grande cucina, sentendosi minacciata nel ruolo di imperatrice di quella triste stanza di focolari senza traccia di calore, soffitti anneriti e orci vuoti.
Decadenza, pensò tornando nel cortile circondato da colonne intorno a cui i rampicanti si attorcigliavano a piacimento. Era quella la parola che stava cercando da un bel po’. Decadenza era la sensazione che emanava da quella casa, lunghi anni di abbandono.
«Volete che andiamo adesso a vedere la cantina?» chiese l’impiegato di malavoglia.
Mauro Larrea tirò fuori di tasca l’orologio mentre finiva di ispezionare la sua nuova proprietà. Due palme slanciate, una miriade di vasi di aspidistre inselvatichite, una fontana senz’acqua e due decrepite poltrone di vimini testimoniavano le piacevoli ore di frescura che quello splendido cortile, in tempi remoti, aveva regalato ai residenti. Adesso, sotto gli archi di pietra scolpita, i suoi piedi calpestavano solo fango secco, foglie avvizzite e sterco di animali. Se fosse stato più malinconico, si sarebbe chiesto che fine avevano fatto i remoti abitanti di quella dimora: i bambini che scorrazzavano in giro, gli adulti che riposavano e si amavano e discutevano e chiacchieravano in ogni stanza di quella magione. Siccome le questioni sentimentali non lo attiravano, si limitò a notare che mancava mezz’ora al suo appuntamento.
«Preferisco rimandare a più tardi, se non vi dispiace. Tornerò a piedi allo studio del notaio, non è necessario che mi accompagniate. Tornate ai vostri impegni, io mi arrangio.»
La sua voce stentorea con accento d’altre terre dissuase Angulo dall’insistere. Si salutarono davanti al cancello, entrambi impazienti di recuperare la propria libertà: lui per digerire quanto aveva appena visto e il segaligno impiegato per correre all’osteria dove ogni giorno strombazzava le novità e i pettegolezzi di cui veniva a conoscenza grazie al suo lavoro.
Quello che Angulo, con il suo respiro flemmatico e lo sguardo malizioso, non poteva nemmeno sospettare era che quel Mauro Larrea, nonostante l’atteggiamento sicuro da ricco delle colonie, l’aspetto e il vocione, in fondo era sconcertato quanto lui. Mille dubbi frullavano nella testa dell’imprenditore minerario quando si ritrovò all’aperto nell’atmosfera autunnale di calle de la Tornería, ma ne borbottò soltanto uno: una domanda rivolta a se stesso che sintetizzava l’essenza di tutte le altre. Che cazzo ci fai tu qui, compare?
Tutto gli apparteneva legalmente, lo sapeva. L’aveva vinto al marito di Carola Gorostiza di fronte a testimoni affidabili quando quest’ultimo aveva deciso, di sua volontà e nel pieno delle sue facoltà mentali, di giocarselo. Le oscure ragioni che l’avevano spinto a farlo non riguardavano Larrea, ma il risultato sì. Eccome. Proprio in questo consisteva il gioco d’azzardo in Spagna, nelle Antille e nel Messico indipendente; nel salotto più elegante e nel bordello più squallido. Si scommetteva, si giocava, a volte si vinceva e a volte si perdeva. E questa volta la fortuna gli aveva sorriso. Nondimeno, dopo aver visitato quella casona abbandonata, l’angoscia tornò ad assillarlo sotto forma di figure rimaste sull’altra sponda dell’oceano. Perché sei stato così sventato, Gustavo Zayas? Perché ti sei giocato la possibilità di tornare?
Orientandosi a istinto, attraversò una piazza fiancheggiata da quattro splendidi palazzi; poi varcò la porta di Siviglia e imboccò calle Larga dirigendosi verso il cuore della città. Smettila con le cazzate, pensò nel frattempo. Sei il legittimo proprietario, e gli intrallazzi di chi ti ha preceduto non ti riguardano. Concentrati su quello che hai appena visto: anche considerando lo stato deplorevole in cui è ridotta, di sicuro quella casa vale un capitale. Adesso non devi fare altro che disfartene il prima possibile insieme al resto del patrimonio, per questo sei qui. Per vendere tutto al più presto, infilarti i soldi in tasca e attraversare di nuovo l’Atlantico. Per tornare a casa.
Continuò a camminare verso lo studio del notaio, in mezzo a due filari di aranci. Circolavano poche carrozze: grazie a Dio, pensò ricordando il traffico minaccioso dei calessi nelle strade dell’Avana. Assorto nei propri pensieri, mentre percorreva calle Larga non prestò quasi attenzione alla placida e fiorente vita locale. Due sale da tè e tre sartorie, cinque barbieri, numerose facciate di palazzi signorili, un paio di farmacie, un sellaio e una manciata di tranquilli negozi di scarpe, cappelli e alimentari. Per strada, signore eleganti e signori vestiti all’inglese, ragazzini e servette, scolari, passanti variopinti e gente comune che tornava a casa per pranzo. In confronto all’atmosfera frenetica delle città d’oltremare da cui proveniva, Jerez era come un cuscino di piume, ma lui non se ne accorse nemmeno.
Quello che notò, invece, fu l’odore: un odore penetrante che sorvolava i tetti e restava impigliato nelle inferriate. Qualcosa che non era umano né animalesco. Niente a che vedere con l’eterno aroma di mais tostato delle strade messicane né con il profumo di mare dell’Avana. Semplicemente strano, a suo modo gradevole, diverso. Avvolto da quella fragranza arrivò in calle de la Lancería, dove fu accolto di nuovo da una moderata attività umana; sembrava una zona di uffici e affari, burocrazia e transito costante. Il notaio, don Senén Blanco, lo aspettava ormai libero dai suoi impegni.
«Permettetemi, signor Larrea, di invitarvi a pranzo alla trattoria della Victoria. Non è più ora di sedersi a parlare di cose serie a stomaco vuoto.»
Una decina d’anni più di lui e un palmo più basso, calcolò mentre si avviavano verso la Corredera. Con una marsina di buon taglio, folti basettoni bianchi squadrati e il modo di parlare della gente del sud, che non era poi così distante dalle voci del Nuovo Mondo.
Don Senén non sembrava un ficcanaso come il suo impiegato Angulo, ma dentro gli ribolliva la stessa curiosità, come una pentola sul fuoco. Anche lui era rimasto impressionato nel sapere che, per una serie di insolite transazioni, l’antica eredità della famiglia Montalvo adesso apparteneva del tutto legalmente a quell’indiano. Non era la prima e non sarebbe stata l’ultima operazione imprevista che gli arrivava d’oltremare affinché la certificasse in veste di notaio; fin lì, tutto a posto. A rodergli dentro erano ben altre domande e per questo era impaziente che il forestiero gli raccontasse come diavolo erano finite nelle sue mani quelle proprietà, come era morto alle Antille l’ultimo erede del cognome di quella famiglia, e qualunque altro dettaglio che il nuovo arrivato avesse voglia di condividere.
Si sedettero a un tavolo davanti a una vetrata che dava sulla pubblica via e sul traffico di carri, bestie ed esseri umani, con una tendina bianca nella parte inferiore dei vetri a tutelare la loro intimità. Uno di fronte all’altro, separati da tavolo e tovaglia. Si erano appena accomodati quando un ragazzino sui dodici o tredici anni, con il panciotto da cameriere e i capelli lisciati e opachi a forza di acqua mista a sapone scadente, mise davanti a loro due bicchierini. Piccoli, più alti che larghi, con l’imboccatura stretta. E, per il momento, vuoti. Lì accanto posò una bottiglia senza etichetta e un piattino di porcellana traboccante di olive.
Mauro Larrea dispiegò il tovagliolo e annusò l’aria. Come se fosse di nuovo consapevole di qualcosa che lo aveva accompagnato fino a quel momento, ma che non era ancora riuscito a identificare.
«Cos’è questo profumo, don Senén?»
«Vino, signor Larrea» rispose il notaio indicando le botti scure in fondo alla sala da pranzo. «Mosto, cantine, soleras, botti. Jerez profuma sempre così.»
Poi versò da bere.
«Di questo viveva la famiglia di cui adesso possedete le proprietà. I Montalvo erano produttori di vino, sissignore.»
Lui annuì, osservando attentamente il liquido dorato mentre allungava la mano verso il bicchiere. Il notaio vide la grossa cicatrice che gli arrivava fino al polso e le due dita schiacciate nella miniera Las Tres Lunas, ma non fece domande.
«E come mai è andato tutto in malora, se mi permettete l’indiscrezione?»
«Per quelle cose sgradevoli che spesso succedono nelle famiglie, mio caro signore. Nella bassa Andalusia, nella Spagna intera, e immagino anche nelle Americhe. Il trisavolo, il bisnon...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. UN SORRISO TRA DUE SILENZI
  4. I. CITTÀ DEL MESSICO
  5. II. L’AVANA
  6. III. JEREZ
  7. RINGRAZIAMENTI
  8. Copyright