Sugar Man
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Sugar Man

Vita, morte e resurrezione di Sixto Rodriguez

  1. 324 pagine
  2. Italian
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Vita, morte e resurrezione di Sixto Rodriguez

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Alla fine l'arte, quando è davvero tale, vince. Lo dimostra, fra le altre, la strabiliante storia di Sixto Rodriguez, per i musicofili Sugar Man, una vicenda che a raccontarla non sembra vera.

Nei primissimi anni Settanta, Sixto Rodriguez di Detroit, USA, incide due dischi che ricevono grandi plausi dalla critica ma pochissimi dal pubblico. L'insuccesso commerciale costringe Sixto Rodriguez ad abbandonare la musica intesa come professione e a tornare a lavori ben più umili: il manovale e il demolitore.

Nel frattempo – e a sua totale insaputa – succede l'impensabile: alcune sue audiocassette arrivano in Sudafrica e le sue canzoni conoscono un successo senza precedenti in un paese ancora attanagliato dalla morsa dell'apartheid. Solo che Sixto Rodriguez di questo successo non sa nulla (come non sa nulla delle royalties che qualcuno negli USA si intasca a nome suo). Lui continua a far parte della working class americana, mentre in Sudafrica la sua fama cresce ulteriormente, così come le leggende su di lui, la più accreditata delle quali lo vuole morto suicida sul palco durante un concerto.

Sono proprio le scarse e bizzarre notizie biografiche a intrigare due appassionati musicofili – Craig Bartholomew Strydom e Stephen "Sugar" Segerman – che si mettono a cercare attivamente notizie su di lui, fino al giorno in cui Strydom riesce a entrare in contatto con il primo produttore di Rodriguez scoprendo che Sixto non è affatto morto. Anzi, è vivo e vegeto e abita, da sempre, a Detroit.

Da questo punto in poi, il resto della storia sembra il lieto fine di una favola. Nel 1998 Sixto viene invitato in Sudafrica per tenere una serie di concerti e per scoprire di essere una star con migliaia di persone che acclamano il suo nome. Il suo lavoro artistico viene finalmente capito e apprezzato in tutto il mondo e Sixto diventa un personaggio di culto anche grazie a uno straordinario documentario, incentrato su di lui, che ha conquistato i premi dei festival cinematografici più importanti del pianeta.

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Informazioni

Parte quarta

IL FILM

15

Il ragazzo che verniciava la seggiola

(1977-2007)
Non ho mai conosciuto una persona più trascinante.
MARTIN VÅRDSTEDT, produttore di “Kobra”
Nella miniserie televisiva svedese “Ebba och Didrik” del 1990 c’è una scena con un ragazzino di nome Philip Clavelle che vernicia una seggiola dentro un capanno nel bosco. La seggiola era rotta in una scena precedente, ma poi è stata reincollata, e il ragazzo la sta dipingendo di rosso. A un certo punto arriva Ebba, l’altra protagonista, e i due cominciano una lunga conversazione. Interpretata dalla dodicenne Lisen Arnell, Ebba è vivace e ha la lingua sciolta, mentre il suo migliore amico Philip è un tipo silenzioso: per gran parte della scena non fa che ascoltare e dipingere. Impossibile non notare le analogie tra la laboriosa verniciatura e riverniciatura della seggiola e il processo solitario e arduo in cui si sarebbe trasformata la realizzazione di Searching for Sugar Man: il montaggio sul tavolo della cucina, l’arte dell’animazione imparata in prima persona perché mancavano i soldi per assumere degli animatori professionisti, la musica scritta e registrata sullo stesso tavolo perché nemmeno per quella c’erano fondi e in seguito, non essendo rimasto un centesimo per pagare una troupe, l’assunzione dei ruoli di direttore della fotografia e tecnico del suono. Philip Clavelle, il ragazzo che vernicia la seggiola, altri non è che il dodicenne Malik Bendjelloul al suo debutto, diciotto anni prima di iniziare a lavorare a un film “artigianale” nel senso più letterale del termine, Searching for Sugar Man, il documentario premio Oscar che avrebbe dato a Rodriguez la spinta che gli serviva per sfondare finalmente negli Stati Uniti, con quarantré anni di ritardo.
Malik era nato a Ystad, in Svezia, dal medico algerino Hacène Bendjelloul e dalla traduttrice e pittrice svedese Veronica Schildt Bendjelloul. Sin dalla più tenera età, aveva mostrato una fervida immaginazione che lo portava a parlare vivacemente, nel suo melodico “svenglese”, degli antenati stile Alì Babà nel paese natale del padre. Gli piaceva raccontare che il padre aveva corteggiato la madre scrivendole lunghe e arzigogolate lettere d’amore in una grafia minuta e quasi illeggibile. Nata a Stoccolma, Veronica traduceva fumetti come Isabelle e Lucky Luke e libri di Agatha Christie. Era stata lei a scegliere il nome Ratata (Ran Tan Plan in francese e Rin Tin Can in inglese) per il cane poliziotto fesso nell’edizione svedese della serie animata Lucky Luke. Hacène e Veronica avevano due figli: Johar e Malik, nati rispettivamente nel 1975 e nel 1977.
Televisione, teatro e cinema erano il pane quotidiano a casa Bendjelloul. Henrik Schildt, il nonno materno di Malik, era un grande attore, e suo fratello Jurgen, lo zio di Veronica morto nel 1990, un prestigioso critico cinematografico che scriveva per “Aftonbladet” e per la radio svedese. Anche i due zii materni di Malik, Peter e Johan Schildt, erano veterani del cinema e della televisione: Johan attore, Peter attore e regista. Tra i primi film nei quali aveva recitato Peter c’era Ådalen 31, candidato all’Oscar e vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes nel 1969. Nel 1982 era stato aiuto regista di Ingmar Bergman per il dramma Fanny e Alexander, destinato a conquistare quattro Oscar. Malik doveva proprio allo zio Peter il ruolo in “Ebba och Didrik” del 1990. Del cast faceva parte anche nonno Henrik: “Per ridere lo chiamavamo nepotismo e favoritismo” dirà Peter a Emelie Henricson di “Expressen”, uno dei due tabloid serali svedesi “ma in realtà prima di decidere gli avevamo fatto un provino vero [...] e scoprimmo che era bravo. Per lui era la prima volta”. Diretta da Peter, la serie ebbe tanto successo che venne replicata quattro volte. Gli occhioni castani assorti di Malik erano già un tratto distintivo del personaggio.
Malik frequentò il Rönne Gymnasium di Ängelholm, un’area rinomata per i cuculi d’argilla (un particolare tipo di ocarina) e per il monumento all’atterraggio degli UFO che si diceva vi fosse avvenuto nel 1946. Dopo il liceo, studiò giornalismo e produzione dei media all’Università di Kalmar, poi ribattezzata Università di Linneo in onore del grande naturalista. Fu in quel periodo che gli venne l’idea di realizzare documentari. Ecco cosa scriverà sul sito dei laureati dell’ateneo: “Capii molto presto che il lavoro dei miei sogni era raccontare storie in un qualche modo. Durante lo stage decisi di fare un documentario musicale. A quel punto mi resi conto che non era necessariamente difficile quanto si potrebbe immaginare. Con una grande idea e una telecamera puoi fare molta strada”. Un giorno a Kalmar vide un annuncio sulla bacheca: la Barracuda Films di Stoccolma, una casa di produzione, stava assumendo. Malik fece domanda e ottenne il posto.
La sua carriera alla Barracuda Films iniziò dopo la laurea e durò tre anni, durante i quali lavorò a documentari su Elton John, Björk e Sting e a un lungo special sui Kraftwerk, la rivoluzionaria formazione elettronica tedesca. All’epoca Malik non sapeva che con il loro pionieristico The Man-Machine del 1978 (contenente il successo The Model) i Kraftwerk avevano stabilito un legame con Detroit: proprio dalla Città dei Motori arrivava Leanard Jackson, il fonico invitato a Düsseldorf per collaborare al mixaggio di un album così complesso. Per essere opera di un esordiente il documentario di Malik sui Kraftwerk è un lavoro maturo e ancora oggi convincente, nel quale già si intravedono le tecniche che definiranno il suo stile in “Kobra” e, più avanti, in Searching for Sugar Man.
Se alla Barracuda si era fatto le ossa, fu con il programma “Kobra” prodotto dalla SVT che Malik poté affinare le nuove doti e trasformare il suo istinto naturale per la narrazione, e in particolare per l’arte dell’intervista, in un talento raffinatissimo. La SVT (Sveriges Television) è al contempo il maggiore network svedese e l’emittente pubblica nazionale, modello BBC. Nato nel 2001, “Kobra” è un avanguardistico magazine settimanale di costume che ha ospitato personalità del calibro di Woody Allen, Madonna, Norman Mailer, Jeff Koons, Isabelle Huppert, Bruce Springsteen, Nick Cave e Ingmar Bergman. Il Malik reporter freelance per “Kobra” (non fu mai assunto ufficialmente) era un autentico vulcano. Osservandone l’energia contagiosa e l’approccio intrepido e pragmatico, è probabile che all’inizio i produttori di “Kobra” fossero rimasti perplessi. Il suo approccio olistico era evidente sin dal principio: una volta messi a fuoco idea e obiettivo, ci si dedicava anima e corpo e non si lasciava distrarre da nulla, men che meno da inezie come il budget. Il denaro non era che uno strumento, e nemmeno il tempo contava: Malik aveva l’abitudine di infilarsi in sala montaggio e restarci per giorni interi. Inoltre, a differenza dei giovani della sua generazione, non era affascinato dagli effetti speciali digitali, ma da quelli realizzabili con tecniche analogiche (impossibile non pensare agli esperimenti analogici di Mike Theodore in Sugar Man). Laddove molti giovani cineasti di oggi ricorrerebbero subito a Photoshop o ad AfterFX, Malik preferiva armarsi di carta e forbici e provare a ottenere lo stesso effetto “in camera”, senza rimescolare i pixel. Non sorprende che fosse affascinato dall’opera di registi quali il francese Michel Gondry (un altro ospite di “Kobra”), lo statunitense David Lynch e il tedesco Werner Herzog.
Tra le varie testimonianze dell’approccio non convenzionale di Malik ci sono i trenta secondi della sigla di “Kobra”, realizzata nel 2005. Ignorando la miriade di opzioni digitali disponibili, Malik decise di fare tutto “in camera”. Allo scopo, recuperò varie sagome di legno a forma di televisore e le sistemò nello studio su dei sostegni, quindi elaborò la coreografia di una serie di scene, ciascuna delle quali si sarebbe sviluppata dietro uno degli schermi: una partita a carte, un uomo e una donna che conversano, una donna in una cabina telefonica, tre persone in auto con un clip stradale retroproiettato alla vecchia maniera, una banda che suona, una coppia che litiga. A rendere il tutto così interessante, però, è il fatto che si tratta di un piano sequenza unico (il sogno di qualsiasi regista), senza tagli. Alla fine, la telecamera entra nell’ultimo schermo di legno per inquadrare la scritta KOBRA in caratteri al neon blu. L’incalzante colonna sonora della sigla è un brano di sapore indiano per tablas, sitar e voce.
Forse ancora più straordinaria del livello tecnico del prodotto era la capacità di persuasione di Malik, una dote che gli sarebbe tornata utile per Searching for Sugar Man. Senza alcun aiuto esterno, era riuscito a far recitare nella sigla di “Kobra” la crème della cultura svedese: nientemeno che Benny Andersson degli ABBA, il cantante Eagle-Eye Cherry, Michael Nyqvist (l’attore protagonista di Uomini che odiano le donne) e Horace Engdahl, storico della letteratura ed ex presidente dell’Accademia Svedese.
Via via che si sentiva più sicuro, Malik non esitava a imbarcarsi in grandi imprese per il programma. Un esempio è l’omaggio al video di Weapon of Choice di Fatboy Slim, copiato scena per scena con l’attore svedese Mikael Persbrandt nei panni di Christopher Walken. (Persbrandt avrebbe poi interpretato una piccola parte, quella del mutapelle Beorn, nel secondo e terzo episodio della trilogia dello Hobbit di Peter Jackson.) Un altro è il segmento del 2004 con l’artista danese Thomas Altheimer, che in un gesto di attivismo estremo quanto amatoriale era andato a Guantánamo per bombardare gli americani di musica classica con uno stereo portatile e pateticamente inadatto allo scopo. (Altheimer si era ispirato all’esercito degli Stati Uniti, che per piegare il dittatore panamense Manuel Noriega lo aveva sottoposto a dosi massicce di Guns N’ Roses.) In seguito, Malik realizzò un clip sui quasi vent’anni trascorsi dal rifugiato iraniano Mehran Karimi Nasseri nell’area transito dell’aeroporto Charles de Gaulle a Parigi, un mix di riprese e disegni a mano che raccontava la storia nei dettagli, fino al divano di plastica rossa sul quale l’uomo aveva vissuto. Un altro lavoro che combinava ingegnosamente tecniche diverse, comprese illustrazioni e sagome di cartone, si intitolava Paul Is Dead ed era dedicato alla leggenda metropolitana secondo la quale Paul McCartney sarebbe morto nel 1966 per essere sostituito segretamente da un sosia. Uno dei risultati creativi più straordinari di Malik, tuttavia, era forse il segmento sull’artista svedese-ungherese Gábor Palotai, un lavoro complesso che gioca con la prospettiva e le realtà mutevoli per mezzo di illusioni fotografiche analogiche (per esempio lo spostamento di schermi e specchi). Se consideriamo il limite dei sei-otto minuti imposto a tutti i segmenti di “Kobra”, quest’ultimo e Paul Is Dead sono due delle opere più complete, organiche e perfette di Malik. Ma l’elenco continua:
Un altro dei miei documentari parlava di quando il dipartimento della Difesa negli anni Ottanta voleva istruire i soldati a diventare invisibili e attraversare le pareti. Poi ne ho fatto uno su un uomo che insegnava una lingua a Oxford, una lingua inesistente, una lingua che si inventava sul momento. Mi ero reso conto che una buona storia è una delle cose più irresistibili che si possano immaginare. Ho passato mesi a leggere giornali e navigare sul web a caccia di una grande storia. La caccia è diventata una parte integrante del mio lavoro.
Molte delle tecniche cinematografiche adottate in Searching for Sugar Man sono già evidenti negli inserti e nelle storie create da Malik per “Kobra”. C’è chi direbbe che il suo lavoro per il programma era molto più sperimentale rispetto al documentario. Ognuno dei segmenti realizzati per “Kobra” appare stilisticamente compatto, quando invece si potrebbe dire il contrario di Searching for Sugar Man, dove per esempio le tecniche impiegate all’inizio del film non ritornano in seguito, rendendolo meno coeso. È un piccolo difetto dell’opera.
Al di là dell’innegabile talento, parecchi membri del team di “Kobra” ricordano Malik per le stravaganze. Per esempio, per mesi e mesi mangiava le stesse cose a colazione, e una volta invitò un amico a cena per festeggiare i suoi diecimila giorni di vita. Era così, sempre imprevedibile.
A conti fatti, quella di Malik a “Kobra” era una carriera totalizzante, alla quale lui si dedicava con entusiasmo scatenato. È indubbio che avesse trovato una tela per la sua sconfinata tavolozza creativa. E tuttavia nel 2006, dopo quasi dieci anni passati a creare un eccezionale corpus di lavori, Malik iniziò a provare una smania incontrollabile. Aveva bisogno di spiegare le ali. Dopo tutto, a meno di trent’anni aveva già ottenuto più di quanto altri riescono a fare in una vita. Decise allora di imbarcarsi in una grande avventura: girare l’Europa, il Sudamerica e l’Africa con lo zaino sulle spalle e la telecamera per “trovare la storia migliore del mondo”, come gli piaceva dire. Non c’era mai nulla di piccolo nelle aspirazioni di Malik. Individuate sei storie in altrettanti paesi diversi, sottopose l’idea al team di “Kobra”, che pur essendo dispiaciuto di perderlo acconsentì a sostenerlo pagandogli i biglietti aerei.
Malik non aveva mai sentito parlare di Rodriguez, ma gettando la rete trovò un articolo di Alexis Petridis sul quotidiano britannico “Guardian”. Intitolato The Singer Who Came Back from the Dead, era la storia di due fan sudafricani che indagando sul loro idolo morto l’avevano trovato vivo. Era il pezzo che Petridis aveva scritto per promuovere il tour londinese del 2005. Quando iniziò a progettare il suo giro del mondo, una delle sei storie che Malik aveva in mente era proprio la ricerca del cantante scomparso. Fu in questa fase che decise di rintracciare Craig Strydom e Sugar Segerman.
Craig, che ormai aveva smesso di occuparsi di Rodriguez, stava cercando di affermarsi nel mondo della pubblicità a Baltimora, nel Maryland, dove si era trasferito nel 2000. Dal canto suo, Sugar era impegnato a ingrandire Mabu Vinyl e a gestire Sugarman.org insieme a Brian Currin, ivi compresa l’incombenza di rispondere alla valanga di email quotidiane alla quale si dedicano gratuitamente sin dalla nascita dei loro vari siti web. Una mattina, Sugar rimase particolarmente colpito da un’email arrivata dalla Svezia. Era il 15 settembre 2006, sette mesi dopo la prima email di Matt Sullivan a Sugar.
Ciao,
sono un reporter di “Kobra”, il più grande programma culturale della TV svedese. Ci piacerebbe molto intervistarti riguardo all’incredibile riscoperta di Sixto Rodriguez. Saremo in Sudafrica in novembre e sarebbe un vero onore incontrarti.
“Kobra” è il princip...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Sugar Man
  4. Prologo. Sundance
  5. Parte prima. IL MISTERO
  6. Parte seconda. L’UOMO
  7. Parte terza. LA MUSICA
  8. Parte quarta. IL FILM
  9. Epilogo. It started out so nice
  10. Note
  11. Nota degli autori
  12. Fonti
  13. Crediti delle canzoni
  14. Inserto fotografico
  15. Copyright