Due anni, otto mesi e ventotto notti
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Due anni, otto mesi e ventotto notti

  1. 296 pagine
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Due anni, otto mesi e ventotto notti

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Esiste un tempo mitico che comprende il passato antichissimo e il futuro quasi prossimo, che investe tutti gli spazi, mette in comunicazione il cielo e la terra, il regno dei vivi e quello dei morti, gli umani e le divinità. È il tempo della tradizione millenaria dei raccontatori di storie. Due anni, otto mesi e ventotto notti. Il tempo in cui le regole del mondo si rovesciano e strani, inspiegabili fenomeni iniziano ad accadere sulla terra: un giardiniere dal passato tormentato si alza una mattina levitando, senza riuscire a toccare terra, un disegnatore di fumetti si trova obbligato allo scontro con il suo personaggio più riuscito, in una sala del municipio viene trovata una neonata dai poteri soprannaturali, un compositore lancia inquietanti profezie, e una giovane e seducente cacciatrice d'oro viene assoldata per una guerra al di là di ogni immaginazione. Cosa li accomuna? A loro insaputa sono tutti figli di quelle creature eccessive e capricciose che chiamiamo jinn, e come loro posseggono poteri straordinari di cui non sono del tutto consapevoli. Poteri che devono a ogni costo imparare a padroneggiare, ora che i jinn sono scesi sulla terra, ora che le forze oscure hanno dichiarato guerra agli spiriti benevoli e l'umanità rischia di farne le spese. Ispirandosi alla tradizione delle fiabe antiche dell'Est, Salman Rushdie intreccia i fili di un racconto mitico e satirico, dove gli scaltri si confondono con i folli, le rivalità sfociano in vendette sanguinarie, il destino e il karma governano il succedersi di battaglie e redenzioni. E la storia dei nostri antenati, così come noi decidiamo di raccontarla, può illuminare le pieghe oscure del nostro mondo, anticipare il futuro che ci attende.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852067907

LE ANOMALIE

Natraj Hero, nach nach, balla balla come Shiva, il Signore della danza, e tra un nach e un altro nach fa del mondo ciò che vuole. Natraj ce le ha tutte, è giovane&bello, disprezza i vecchiacci, ride in faccia ai bhaari-ciccioni-che-arrancano-zoppi. Le ragazze, be’, non si girano a guardarlo, non conoscono i suoi superpoteri, non sanno che è il Creatore & Distruttore dell’Universo. Ma va bene così, theek thaak, va bene così. È in incognito, si traveste. Ora è il contabile Jinendra che sta andando in drogheria al Subzi Mandi market, a Jackson Height, al Quveens. Jinendra Kapoor, alias Brown Clark Cunt. Aspettate che si strappi di dosso il soooprabito. Allora tutti gli occhi saranno su di lui e, dekho!, sapranno esattamente con chi hanno a che fare. Ma fino ad allooora tiene nascosta la sua poootenza, è un segreto suo, e cammina impettito per la 37th Avenue come se fosse il re dell’antica nazione d’Indiadesh, Natraj lo scià, il maharaja, il maharana. Natraj danza al ritmo del bulbul tarang, il banjo indiano sembra fatto per lui e lui è fatto cooosì, lui è Dil-ka-Shehzada, lui è il Fante di Cuori.
Natraj Hero non è mai esistito. Era l’alter ego immaginario di Jimmy Kapoor, un giovane aspirante fumettista che sognava di pubblicare i suoi graphic novel. Il superpotere di Natraj era la danza. Quando “si strappava di dosso il soooprabito” gli spuntavano altre due braccia e gli comparivano quattro volti, due laterali, uno dietro e uno davanti, con un terzo occhio in mezzo alla fronte. Quando poi cominciava a ballare il bhangra del Punjab o un po’ di musica techno – dopotutto, veniva dal Queens – era in grado di modificare letteralmente la realtà, di creare o distruggere. Poteva far crescere un albero in mezzo alla strada, diventare una Mercedes decappottabile oppure nutrire gli affamati, ma poteva anche buttar giù le case o fare a pezzi i supercattivi di turno. Jimmy non riusciva a spiegarsi perché Natraj non fosse accolto nel Pantheon di divinità quali Sandman, Watchmen, il Cavaliere Oscuro, Tank Girl, il Punitore, The Invisibles, Dredd e tutti gli altri grandi personaggi della Marvel, della Titan Books e della DC Comics. Purtroppo, Natraj quell’ascesa nell’Olimpo non l’aveva nemmeno cominciata, e per il giovane artista il provvisorio lavoro di contabile, che svolgeva nello studio fiscale del cugino in Roosevelt Avenue, iniziava a sembrare via via sempre più definitivo.
Si era messo a pubblicare online alcuni episodi della carriera di Natraj, ma i pezzi grossi si erano ben guardati dal fargli la fatidica chiamata. Poi, in una calda notte – per l’esattezza: cento e una notte dopo l’uragano, sebbene lui questo calcolo non l’avesse fatto – mentre dormiva nella sua camera al terzo piano e una luna rossa splendeva attraverso la finestra, si svegliò in preda al terrore. Nella stanza c’era qualcuno. Qualcuno di… molto grosso. Quando gli occhi si abituarono all’oscurità si accorse che al posto della parete davanti al letto ora c’era un vortice di fumo nero e al suo centro si apriva una specie di tunnel verso le profondità dell’ignoto. Era difficile vedere chiaramente quel varco, perché il passaggio era occupato da un gigantesco personaggio dalle molte teste e dalle molte braccia che cercava di ripiegare i suoi lunghi arti nello spazio angusto della camera rischiando di buttarne giù anche le altre pareti.
Quell’individuo – quel coso – non sembrava fatto di carne e ossa. Sembrava piuttosto un disegno, un’illustrazione, e Jimmy Kapoor vi riconobbe, sgomento, il suo tratto, il suo stile alla Frank Miller (nelle intenzioni), da epigono dell’universo immaginato da Stan Lee (ne conveniva), post-lichtensteiniano (questo solo quando era in compagnia di amici snob quanto lui). «Sei… vivo?» riuscì a balbettare, privo com’era in quel momento di ogni profondità o arguzia. Quando Natraj Hero rispose, la sua voce – un ringhio rimbombante nelle molte bocche, un fragore cupo di divina autorevolezza, una voce spietata, collerica – gli suonò familiare come se l’avesse già sentita altrove: era la perfetta antitesi della sua stessa voce, così piena di paure, insicurezze e indecisioni. La risposta esatta alla voce di chi – o cosa – gli si parava davanti era una soltanto: il terrore. E Jimmy Kapoor non diede la risposta sbagliata.
«Ma porca no spazio qui dentro, stanza troppo chhota, piccola e io graaande, fare me piccolo, piccolo come cazzo di formica, o spazzerò via tetto di questa tua stanza patetica. Okay, meglio. Vedi me? Riconosci me? Controlla. Uno, due, tre, quattro braccia, quattro, tre, due, una faccia, un terzo occhio che guarda te dritto in anima insignificante. No, no, prego scusa io che dico cose, portare rispetto a te devo perché tu mio creatore sei, vero? Muhahaha! Come se grande Natraj era stato inventato da contabile di Quveens e non ballava fin dall’Inizio dei Tempi, no, da quando, per precisione, io ho ballato Tempo e Spazio. Muhahaha! Tu pensi forse hai convocato me e io venuto? Oppure pensi che tu sei grande mago? Muhahaha! O pensi che questo è tutto sogno cattivo? No, campione, no, tu appena svegliato. E io anche. Torno da assenza di otto o novecento anni con tanti lunghi sonni.»
Jimmy Kapoor tremava terrorizzato. «Co-come hai fatto a ve-venire qui? Ne-nella mia ca-camera?» «Veduto film Ghostbusters hai?» replicò Natraj Hero. «Medesima cosa accade.» Ecco dove aveva già sentito quella voce, si disse allora Jimmy. Ghostbusters era uno dei suoi film preferiti e la voce di Natraj sembrava proprio quella di Gozer, il dio sumero della distruzione, mentre parlava per bocca di una posseduta Sigourney Weaver. Gozer, sì, ma con una specie di bizzarro accento indiano. «Spalancato è il pooortale. Il confine tra cosa immaginano gli immaginatooori e cosa loro desiderano è ora un colabrodo come frontiera Messico - Stati Uniti, e tutti noi prima intrappooolati in Zona Fantasma possiamo ora veloci passare in buco spaziotempooorale e atterrare qui come il generale Zod con i superpoteri. Tanti sono quelli che vogliono venire. Presto noi di tutto padroooni. Al centouno per cento sicuro.»
Natraj cominciò a sfarfallare e svanire come se fosse proiettato su uno schermo difettoso, e la cosa non fu di suo gradimento. «Il pooortale a pieno regime ancora non funziona. Sia. Questo è tuuutto, per ora. Ma sicuro resta, ritooornerò.» E in un attimo scomparve, lasciando Jimmy Kapoor solo nel suo letto a fissare con gli occhi sbarrati il tunnel scuro che si dissolveva in spirali di fumo nero. Dopo qualche istante riapparve la parete della sua stanza, tappezzata dalle immagini di Don Van Vliet, alias Captain Beefheart, di Scott Pilgrim, di Lou Reed, del gruppo hip-hop di Brooklyn Das Racist e del faustiano eroe dei fumetti Spawn, attaccate con le puntine al pannello di sughero come se non avessero appena fatto un viaggio di andata e ritorno per la quinta dimensione, e solo Rebecca Romijn, nel grande poster che la vedeva in posa da pin-up nei panni della mutaforma dalla pelle blu Raven Darkhölme alias Mystica, sembrava vagamente risentita, come se stesse dicendo: si può sapere chi è che ha avuto la faccia tosta di togliere la mia immagine di mezzo? Solo io posso decidere quando cambiare forma e scomparire.
«Eh, cara Mystica» disse Jimmy alla creatura blu nel poster, «d’ora in avanti cambia sabkuch, e intendo proprio ogni cosa. Il mondo intero muterà forma, non solo tu. E insomma… wow
Jimmy Kapoor fu il primo a scoprire l’esistenza del portale spaziotemporale. In seguito, come aveva giustamente intuito, tutto mutò forma. Ma in quegli ultimi giorni del vecchio mondo, il mondo che tutti conoscevamo, quello prima dell’avvento delle anomalie, la gente fece molta fatica ad ammettere che stessero realmente accadendo dei fenomeni di natura completamente nuova. La madre di Jimmy, per esempio, si prese gioco di ciò che le raccontò il figlio a proposito di quella fatidica notte. La signora Kapoor era affetta da lupus e si alzava solo per nutrire i suoi uccellini esotici, i pavoni, i tucani e le anatre che si ostinava ad allevare, nella speranza di riuscire a venderli, nello sporco spiazzo di cemento che aveva dietro casa, una terra di nessuno rimasta deserta da quando, molto tempo prima, era crollata una qualche costruzione e ancora niente vi era stato ricostruito. Aveva iniziato quell’attività da quattordici anni, e nessuno aveva mai trovato niente da ridire. Certo, nel corso del tempo qualche uccello era morto dal freddo e altri animali le erano stati rubati. Alcune razze pregiate di anatra erano finite per cena sulla tavola di qualche vicino, mentre un raro esemplare di emù si era accasciato tra i brividi ed era morto di freddo nel gelo invernale. Ma la signora Kapoor aveva accettato questi eventi senza lamentarsi, considerandoli manifestazioni dell’insita cattiveria del mondo e del suo personale karma sfavorevole. Tenendo in mano un uovo di struzzo appena deposto, rimproverò al figlio di confondere come al solito i sogni con la realtà.
«Quando imparerai che se una cosa suona troppo strana vuol dire che non è vera?» gli disse mentre un tucano appoggiato sulla sua spalla le strofinava il collo con il becco. «Prendi i dischi volanti: è sempre venuto fuori che erano delle bufale, o semmai dei normali bagliori scambiati per chissà cosa. Ma se anche fosse stato ET, com’è che dopo aver viaggiato dall’altro capo dell’universo tutto quello che gli viene in mente di fare è mostrarsi a qualche sbarellato che abita nel deserto? Perché non atterrare al JFK come tutti gli altri? E tu, pensi forse che un dio con tutte quelle braccia, gambe e quant’altro si manifesterebbe nella tua stanza prima di andare a fare una visitina al presidente nello Studio ovale? Suvvia, non essere stupido.» Nel sentirsi così rimbrottato Jimmy cominciò a dubitare della propria memoria. Forse era davvero stato soltanto un incubo. Forse era talmente un buono a nulla che si era messo a credere alle sue stesse stronzate. D’altronde la mattina non aveva trovato nessuna traccia di Natraj Hero, giusto? Nessun mobile fuori posto, nessuna tazza per terra, nessuna fotografia sgualcita. La parete della stanza era al solito posto, solida, reale. Doveva arrendersi: come sempre aveva ragione quella piaga di sua madre.
Il padre aveva abbandonato il pollaio qualche anno prima, svolazzandosene altrove con uno scricciolo di segretaria, e con quello che guadagnava Jimmy non poteva certo permettersi di andare a vivere da solo. La fidanzata non l’aveva ancora. Quella malatina di sua madre voleva che si sposasse con una ragazza secca secca dal nasone sempre ficcato tra le pagine di un libro, una secchiona che, come tutte quelle della sua specie, in apparenza sembrava tanto gentile e educata ma sotto sotto aveva un carattere tremendo. No grazie, pensava lui, meglio starmene per conto mio finché non svolto: devo solo aspettare di fare il colpaccio, poi sì che potrò permettermi di scegliere una supertop. Quelle alte vivevano a New York, quelle basse a Los Angeles, e Jimmy era ben felice di vivere sulla costa più glamour del Paese. Agognava il momento in cui si sarebbe trovato una superfashion tutta per sé. Ma per il momento niente ragazza, né alta, né bassa, né fashion, né glam, porco d’un cane. Fa niente, arriverà, si disse mentre si trovava in ufficio a bisticciare, come sempre, con il cugino Normal, il titolare dello studio commerciale.
Una cosa che detestava di suo cugino Nirmal era che voleva a tal punto essere un tipo nella norma che si era persino cambiato una vocale del nome. E ancora di più detestava quanto Nirmal (Normal) parlasse male l’“amreekano”, con un accento indiano fortissimo, e lo capisse in modo così approssimativo da essere convinto che il termine moniker, ossia soprannome, nomignolo, si pronunciasse “Monica”. Jimmy gli aveva anche spiegato che ormai con moniker si indicava perlopiù un graffitaro che taggava i treni merci, ma Normal non gli aveva dato retta. «Guarda Gautama Chopra, figlio del famoso Deepak» gli disse Normal, «ha scelto Gotham come suo monica perché vuole sembrare un autentico newyorkese. E i giocatori di basket: mister Johnson voleva essere Magic, vero o sbagliato? E quel mister Ron Artist… Wrong Artist… non correggermi, mister Ron Artest, va bene, è diventato Metta World Peace, sbaglio? E poi quelle attrici di Bollywood, le sorelle Kapadia tanto famose nei tempi lontani, una era Dimple e l’altra era Simple. Se questi monica vanno bene a te, allora che cosa vuoi da me? Io voglio essere Normal, cosa c’è male in questo, Normal di nome e normale di fatto, così si dice. Gotham Chopra, Simple Kapadia, Magic Johnson, Normal Kapoor. Stessa cosa identica. Tu, piuttosto, concentrati sui libri di contabilità invece di sognare sempre. Tua buona mamma mi ha raccontato di tuo brutto sogno. Shiva Natraj in camera come fumetto di grande Jinendra K. Ma sì, continua pure così, perché no? Tue cose andranno di male in peggio, se tu vuoi questo. Ma se vuoi fare una vita tutta per te, avere moglie, qualcuno, qualcosa, allora metti concentrazione su contabilità. E prendi cura di tua buona mamma. Basta di sognare, sveglia gli occhi e guarda: questo è ufficio di me. Segui esempio di Normal.»
Quando uscì dal lavoro trovò la città immersa nei festeggiamenti di Halloween. C’erano bambini, bande, sfilate. A lui Halloween non era mai piaciuto, non si era mai mascherato da Baron-Samedi, o chissà cos’altro, ma era quasi pronto ad ammettere che quel suo fare da guastafeste aveva una qualche relazione con la mancanza di una fidanzata, e che in parte non aveva la fidanzata proprio perché era un musone. Rimuginando sulle immagini della notte precedente, si era completamente dimenticato di Halloween. Attraversò le strade affollate di zombi e di prostitute con le tette di fuori, preparandosi ad affrontare la madre inferma e la sua eterna geremiade da vittima sacrificale. Come ogni sera lui si sarebbe proposto di aiutarla a dare il mangime agli uccelli e lei avrebbe scosso debolmente la testa. «No, figliolo, non servo più a niente ormai se non a nutrire i miei uccellini mentre aspetto di morire.» La solita solfa, insomma, resa ancora più tetra da quell’atmosfera popolata di morti che risorgevano dalle tombe per ballare le loro “danze macabre” e di scheletri incappucciati che brandivano la falce della Grande Mietitrice scolandosi una bottiglia di vodka via l’altra. Passò accanto a una donna dal volto truccato in maniera raccapricciante, con una cerniera lampo che le scendeva in mezzo alla faccia e che si “apriva” attorno alla bocca per rivelare uno strato di carne viva e sanguinante lungo tutto il mento, giù giù fino al collo. “Ci sei andata giù dura, cara mia” pensò, “mi sa tanto che stasera non ti vorrà baciare nessuno.” Non che ci fosse qualcuno che avesse intenzione di baciare lui, ma quella notte non gli importava. Jimmy era certo di avere un appuntamento con un dio barra supereroe. “Lo vedremo” si disse con un misto di timore ed esaltazione. “Stanotte vedremo chi è sveglio e chi sta sognando.”
E puntualmente, a mezzanotte, le immagini di Captain Beefheart, di Rebecca alias Mystica e di tutto il resto della compagnia furono ingoiate dalla nebulosa spirale nera che si aprì vorticando a rivelare quel profondo tunnel verso luoghi ignoti e infinitamente strani. Per una qualche ragione – ma di certo non quella degli umani: Jimmy supponeva che gli esseri soprannaturali non dovessero sottostare alle leggi della ragione, e credeva anzi che la disprezzassero e volessero rovesciarla – quella volta Natraj Hero non si diede il disturbo di far visita alla sua stanza nel Queens. E per qualche altra ragione – sebbene lo stesso Jimmy avrebbe poi ammesso che il pensiero razionale c’entrava ben poco con la sua decisione – il giovane aspirante fumettista avanzò lentamente verso la nuvola che vorticava scura, e con cautela, come quando si prova la temperatura dell’acqua nella vasca da bagno, infilò il braccio nel cuore del buco nero.
Noi che conosciamo il seguito della storia, che sappiamo che il tempo delle anomalie fu solo il prologo di un evento assai più importante, ossia l’assurdo cataclisma della Guerra dei Mondi alla quale molti dei nostri avi non sopravvissero, non possiamo non ammirare il coraggio dimostrato dal giovane Jinendra Kapoor nell’affrontare le terribili incertezze dell’ignoto. Quando Alice precipitò nella tana del coniglio si trattò di un semplice incidente; ma quando decise deliberatamente di attraversare lo specchio la sua fu un’impresa ben più audace. Lo stesso vale per Jimmy K. Non ebbe alcuna responsabilità quando il portale spaziotemporale si aprì in camera sua per la prima volta, né fu lui a decidere che il gigante Ifrit, l’oscuro jinni travestito da Natraj Hero, gli si parasse davanti. Ma la seconda notte compì una scelta. Nella guerra che ne seguì c’era davvero bisogno di uomini come lui.
Jimmy Kapoor infilò dunque il braccio nel portale, e come raccontò in seguito sua madre e il cugino Normal accaddero una serie di strabilianti avvenimenti a una velocità pazzesca. In primo luogo fu istantaneamente risucchiato in una dimensione spaziale in cui le leggi fisiche dell’universo non avevano più nessuna validità, e in secondo luogo perse la cognizione di dove si trovasse il mondo da cui proveniva poiché capitò in un posto in cui l’idea stessa di “spazio” non aveva più nessun significato, rimpiazzata in toto da quella della “velocità”. Un universo di velocità pura non richiedeva un’origine determinata nello spazio, né un Big Bang, né un mito di creazione. L’unica energia operante era la cosiddetta forza G sotto la cui influenza l’accelerazione viene percepita come peso. Se il tempo fosse esistito sarebbe stato annichilito in un nanosecondo. In quel tempo senza tempo ebbe il tempo di rendersi conto di essere entrato nel sistema di trasporto che conduce oltre il velo che copre la realtà, il groviglio reticolare sottocutaneo che opera dietro la superficie del mondo conosciuto, permettendo agli oscuri jinn e a chissà quali altre creature di muoversi a una velocità superiore a quella della luce, in una terra senza leggi per la quale il termine stesso di Terra non poteva che risultare inappropriato. Ebbe anche il tempo di ipotizzare che per qualche irragionevole ragione, la ferrovia sotterranea di questo regno incantato di Fairyland doveva essere stata inaccessibile per un lungo periodo, e che soltanto ora era tornata a irrompere nelle dimensioni del reale per generare prodigi o scompiglio tra gli esseri umani.
O forse non ebbe il tempo per formulare tutti questi pensieri, e gli vennero in mente soltanto dopo essere stato portato in salvo. Ciò che percepì in quel tunnel vorticoso di neri miasmi fu qualcuno, o qualcosa che a un certo punto si precipitò verso di lui, qualcosa o qualcuno che non riuscì a vedere, a sentire o tantomeno a nominare; subito dopo era già ripiombato in camera sua, con il pigiama strappato, aperto sul davanti, costretto a nascondere con le mani le pudenda alla vista della donna che trovò ad attenderlo. Era una bellissima giovane, vestita alla maniera informale di tutte le ragazze della sua età, jeans scuri attillati, canottierina nera e stivaletti alti, persino più magra, ma con un nasino ben più attraente di quello della secchiona che sua madre voleva fargli sposare. Non era certo il tipo superglamour che piaceva a lui, ma quel modello ideale non gli interessava più, con una come lei ci sarebbe uscito volentieri, altroché, eppure proprio quel suo essere così magra e così bella gli rese subito evidente che quella creatura giocava in un campionato diverso dal suo. “Non ci pensare neanche Jimmy, questa non ti degna di uno sguardo, non ti illudere. Ora respira e giocatela bene.” Era stata lei a salvarlo dal vortice di velocità in cui era precipitato: un essere di un altro mondo, una fata, una peri del Peristan! E adesso era in camera sua, a parlare proprio con lui! Tutte quelle cose pazzesche che gli stavano capitando gli facevano scoppiare la testa. Wow, insomma… wow!
I jinn non sono noti per fare vita di famiglia. (Però fanno sesso. Lo fanno tutto il tempo.) Tra di loro vi sono madri e padri, ma queste creature vivono talmente a lungo che i legami tra generazioni spesso si deteriorano. Come vedremo, è raro che un padre e una figlia jinn siano in buoni rapporti. Nel loro mondo, l’amore è merce rara. (Al contrario del sesso, che è moneta corrente.) Stando a ciò che si sa di loro, i jinn sono in grado di provare i sentimenti più bassi – rabbia, rancore, sete di vendetta, di possesso, lussuria (lussuria in particolare) – e forse anche una ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Due anni, otto mesi e ventotto notti
  4. I figli di Ibn Rushd
  5. Mister Geronimo
  6. L’incoerenza dei filosofi
  7. Le anomalie
  8. Zumurrud il Grande e i suoi tre compari
  9. Quando Dunia si innamorò di nuovo
  10. Dentro la Scatola cinese
  11. Quando il vento cominciò a cambiare
  12. La Regina delle Fate
  13. Epilogo
  14. Copyright