I misteri di Praga
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I misteri di Praga

  1. 288 pagine
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I misteri di Praga

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Praga, impero austro-ungarico, inizio giugno 1914. Solomon Meisl è un medico ebreo che esercita a Josefstadt, il cuore storico, magico ed esoterico della città. Tenace, intuitivo, paziente, il dottor Meisl affianca alla sua professione quella di detective privato. Così, un giorno d'estate, ecco bussare alla porta del suo studio Karel Heida, un giovane ufficiale dei Lancieri incaricato di fare luce sull'omicidio di una principessa russa. Un caso inspiegabile, a cui fanno seguito altri efferati delitti, dai contorni quasi sovrannaturali. Deciso ad affiancare il tenente Heida nelle sue indagini (e avvalendosi dei consigli di un amico scrittore di nome Franz Kakfa…), Meisl si butta a capofitto nella Praga più occulta e incantata, memore del ghetto ebraico e del Golem, tra nobildonne seducenti, rabbini-alchimisti, cantanti d'opera, cabarettisti yiddish, assassini seriali e terroristi nell'ombra. Alla fine ogni delitto avrà la sua spiegazione, il suo movente, il suo colpevole. Ma intanto, a Sarajevo, il 28 giugno 1914…

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852065828
Parte prima

UNA MORTE IN BOEMIA

Quello che si ha, non interessa; quello che si vuole, non si ha.
Proverbio yiddish

Karlsbad (Karlovy Vary, Boemia centrale)
25 giugno 1914

«È ovvio che le abbiamo fatto fare le valigie il più in fretta possibile, Heida.»
«È ovvio.» Il tenente Karel Heida ripeté le parole.
«Ha una sorella a Budweis; anche lei lavora come cameriera d’albergo, quindi l’abbiamo messa sul primo treno per la Boemia meridionale. Dato che viene originariamente dalla Serbia, mi sono accertato che avesse abbastanza denaro per arrivare fin laggiù. Entro giovedì avrà lasciato il paese per sempre.»
Heida aveva ascoltato con attenzione. Trovò che non ci fosse nulla di meglio da fare che annuire al suo comandante, la cui figura burbera e massiccia, in giubba azzurra e pantaloni rosso porpora dei Lancieri, occupava la maggior parte dello spazio nel piccolo ascensore.
Tanto per cominciare, non era un segreto che il colonnello Johann Leopold von Trott non volesse venire a Karlsbad fin dal principio. E una settimana dopo il loro arrivo dalle manovre intorno a Praga, Heida aveva capito che quella visita alla stazione climatica c’entrava ben poco con le cure termali. Il sospetto gli era venuto per la presenza di uomini arcigni e impettiti che ogni giorno affollavano la stanza del colonnello. Nonostante gli abiti civili che indossavano, Heida aveva riconosciuto in loro lo stato maggiore prussiano – per il modo di parlare che li caratterizzava, i movimenti lenti e rigidi, e il caratteristico disprezzo per le persone come lui, un ufficiale subalterno dell’Imperialregio Esercito austro-ungarico con un cognome ceco.
Eppure, quella mattina non era la vacanza forzata a irritare Trott.
Quando l’ascensore si fermò al quarto piano, un ragazzetto in giacca gallonata venne ad aprire l’ornata gabbia esterna. Trott uscì a fatica, sgargiante nei suoi colori come un pappagallo troppo cresciuto che sfugge alla voliera. Heida lo seguì per il corridoio pavimentato in marmo, attento a rimanere sempre un passo dietro di lui.
«Così, colonnello,» disse rispettosamente «sappiamo che è stata la cameriera a trovare il cadavere. Avrà avuto tempo di parlarne ad altri, prima che la spedissimo via?»
Trott gli lanciò un’occhiata, con un sobbalzo della sciabola che gli dondolava dai fianchi pesanti. «Solo al proprietario dell’albergo, che io sappia.»
«Com’è successo, esattamente?»
«La ragazza ha scoperto il crimine intorno alle undici di sera. Era terrorizzata, naturalmente. Comunque ha avuto il buonsenso di correre dritta all’ufficio del direttore e chiedere di parlare con il proprietario dell’albergo. Il proprietario l’ha ascoltata, si è reso conto che c’era di mezzo un morto ed è venuto subito a bussare alla mia porta. Io stavo facendo una fumata prima di andare a letto. Lei, Heida, si era appena ritirato per la notte; di conseguenza mi sono dovuto alzare così com’ero, senza nemmeno le scarpe, e andare ad aprire di persona.»
Il volto giovane di Heida era teso per l’attenzione. «Cosa le ha raccontato?»
«E cosa poteva raccontarmi? Era nel panico, come tutti i codardi in borghese che non hanno mai assistito a una morte violenta. Tutto qui. Mi ha detto che la principessa Rodomanavskaya giaceva esanime sul tappeto della sua suite. Sono andato a vedere con i miei occhi. Solo perché sapevo che era morta, sa, mi sono recato negli alloggi della principessa in maniche di camicia. Era morta stecchita, non c’è dubbio.» Trott svoltò un angolo acuto nel corridoio. «Da questa parte.»
Il proprietario dell’albergo si chiamava Wiskemann. Era un tedesco piccolo e grasso, con un colletto rigido e occhialini tondi, che indugiava davanti alla porta chiusa della suite tormentando con entrambe le mani un fazzoletto inamidato. Vedendo che il colonnello non era da solo, aprì bocca per commentare qualcosa.
Trott lo anticipò bruscamente, indicando con un cenno il suo accompagnatore. «Uno dei miei ufficiali, il tenente conte von Heida.»
Wiskemann fece un inchino profondo e poi aprì la porta.
«Entri» disse Trott.
Heida eseguì. All’interno lo accolse un acro odore stagnante di fumo di sigaretta. Nella prima stanza della suite – un salottino dalla tappezzeria color ambra e dalle tende pesanti – era ancora accesa una lampada elettrica. Sul pavimento, intorno a una poltrona imbottita con un coprischienale di pizzo, giacevano diverse riviste illustrate; accanto, sul tavolino tondo, c’erano un pacchetto di sigarette vuoto e un posacenere. A forma di graziose mani intrecciate, il posacenere era colmo di mozziconi spenti, in parte fumati solo a metà. Attraverso una porta interna appena dischiusa, Heida intravide l’orlo rosso scuro di una gonna sui disegni del tappeto. La camera da letto. Il suo battito cardiaco accelerò leggermente. Era stata uccisa nella sua camera da letto. In poche falcate attraversò il salottino e varcò la soglia.
La penombra della camera da letto era carica di un profumo intenso, un’inebriante fragranza di cipria che contrastava con l’odore stantio del salottino. Il corpo della donna era accasciato a faccia in giù, ad angolo con la costa del letto. Da principio Heida credette di vedere sangue intorno alla testa, ma era solo la manica rossa dell’abito, poiché il braccio sinistro era ripiegato sotto la guancia. I lunghi capelli scuri, mollemente raccolti, si erano districati in piccole ciocche setose che piovevano in avanti, coprendole in parte la fronte. Il braccio destro appariva semioccultato sotto il corpo.
A destra della toeletta, sul pavimento accanto al letto e quasi sotto di esso, c’era un candeliere d’ottone – o placcato d’ottone – a forma di giglio, oltre a un pacchetto sigillato di quelle che sembravano essere sigarette inglesi. Più vicino al corpo, il luccichio di un orecchino di diamanti rifletteva il bagliore sottile che riusciva a filtrare nella stanza dalle tende tirate. Sulla toeletta c’erano altri gioielli, una manciata di bracciali barbari e anelli tempestati di gemme che traboccavano da una scatola di legno dal profilo tondeggiante.
Heida attese fino a che Trott e Wiskemann non l’ebbero raggiunto, prima di chiedere: «Sappiamo se manca qualcosa?».
A quel punto Wiskemann stava usando il fazzoletto per tamponarsi la fronte madida, una fronte tonda e rosa come il didietro di un maialino.
«Non siamo ancora in grado di stabilirlo» rispose. «Subito dopo essere arrivata in albergo, la principessa aveva consegnato al concierge una lista dettagliata dei suoi gioielli, dato che non desiderava riporre nulla in cassaforte. Appena voi signori avrete finito qui, controllerò la lista di persona.»
Heida abbassò di nuovo lo sguardo sul cadavere della donna. Aveva la mente piena delle domande che, stando a quanto aveva letto, bisognerebbe porsi in questi casi. «È stato chiamato un medico?»
Non rivolse la domanda a qualcuno in particolare, tenendo gli occhi bassi e pensando che in effetti, come i civili che ispiravano lo scherno del colonnello, non aveva mai visto la vittima di un assassinio prima di allora. Lo spettacolo, peraltro, non gli evocava alcuna reazione, forse perché non aveva mai conosciuto di persona la morta. L’aveva vista solo due volte per strada, e giudicata molto bella.
«Sì.» Il tono querulo di Wiskemann gli arrivò da dietro le spalle. «Il dottor Meisl, che ha uno studio in città. Possiamo essere certi della sua discrezione.»
«Un ebreo?» La voce di Trott che rimproverava Wiskemann lasciò trapelare quell’intolleranza antiquata che Heida aveva imparato a conoscere come una caratteristica del suo superiore.
«Il dottor Meisl è un uomo estremamente discreto, signore.»
«Sì, sì. Ho sentito parlare di lui.»
Heida si chinò a esaminare il candeliere. Senza toccarlo, disse: «Dunque, avremo bisogno di un elenco di tutti coloro che hanno visto la vittima ieri sera tardi».
«Gliene procuri uno» intimò Trott a Wiskemann.
Un colpo sulla porta esterna fu subito seguito dall’ingresso di un uomo impeccabilmente vestito, con una valigetta di cuoio nero.
«Ah, dottor Meisl» lo accolse Wiskemann. Avvicinandoglisi, gli presentò gli ufficiali e poi conferì per qualche istante con lui, in un mormorio preoccupato. Meisl diede un’occhiata al cadavere, fece un cenno d’assenso e chiese a Wiskemann di lasciare la stanza.
«Dottore, mi auguro si renda conto della delicatezza della situazione» disse Trott dopo aver chiuso la porta.
Meisl annuì di nuovo. Era un uomo aitante, sulla cinquantina, con una barba ben curata, talmente nera da sembrare addirittura blu in quella penombra. Appoggiò la sua valigetta sul letto, ne estrasse uno stetoscopio e rapidamente si inginocchiò accanto al corpo per auscultarne i segni vitali.
Heida si era fatto da parte dall’arrivo di Meisl. Da una tasca di cuoio alla cintura aveva silenziosamente preso un taccuino e una matita per disegnare uno schizzo del cadavere in relazione alla stanza – letto, comodini, sedie, guardaroba, finestra e porte.
«Non dimentichi il candeliere» suggerì Meisl, senza guardare Heida. Non ricevendo alcuna risposta, sollevò sul giovane un paio di occhi da falco. Nella sua voce e nei suoi modi c’erano umorismo e pazienza, una combinazione alla quale il tenente non era abituato. «Ha finito?»
Confuso, Heida ripose il taccuino. «Sì.»
«Mi dia una mano, prego: voglio adagiarla sul letto.»
«Sì» rimarcò Trott. «Gli dia una mano, Heida.»
Il tenente fu sorpreso del peso del corpo, visto che la giovane donna appariva minuta e di costituzione esile. Quando la sollevò per le spalle, la testa di lei si rovesciò all’indietro, mostrando il rigonfiamento sul collo; quel candore tondeggiante gli diede un breve fremito, di cui si vergognò subito. Allorché Meisl prese a sbottonare il corpetto della principessa, scoprendo una leggera stoffa increspata e un’abbondanza di pelle tenera, Heida voltò le spalle al letto.
Trott lo richiamò: «Dove diavolo sta andando?».
«Non immaginavo di dover restare, colonnello...»
«Ma certo che deve restare.»
Serrando la mascella, Heida restò dove si trovava.
L’esplorazione del cadavere non prese molto tempo. Meisl girò la donna su un fianco e si mise a scioglierle i capelli, riponendo le lustre mollette nere sul comodino. «Il trauma è localizzato sul cranio» spiegò mentre passava le dita nell’intricata massa setosa. «Un colpo secco ha fratturato l’osso parietale destro in prossimità delle suture sagittale e lambdoidea; lo sento chiaramente...» Ritirando la mano, esaminò una piccola quantità di sangue coagulato sulla punta delle dita, quindi fissò con calma il colonnello. «Chi è la signora?»
«Era la figlia del principe Rodomanavsky, Irina Alexandrovna Rodomanavskaya.»
«Sposata all’arciduca principe Andrassi?»
«Esatto. Non la conosceva, dottore? Mi hanno detto che lei ha in cura tutte le aristocratiche più alla moda di Karlsbad.»
«Solo quelle affette da sifilide.» Meisl sorrise appena. «Suppongo che anche questo sia di moda.»
Heida distolse lo sguardo dal corpo di Irina. La scollatura sbottonata dell’abito, ora che era adagiata su un fianco, lasciava scoperta una porzione più generosa di soffice carne, e gli sembrava di non doverla fissare. Si chiedeva come facesse Trott a continuare a guardare, come se di fronte a lui ci fosse un quarto di bue, e come Meisl riuscisse a toccare un seno di donna con mano tanto ferma.
Trott diede un colpetto alla sua sciabola. «È superfluo osservare che, data la posizione di Andrassi come aiutante di campo del principe ereditario, nulla di tutto questo deve diventare di dominio pubblico.»
Meisl aveva versato dell’acqua nel catino del lavabo e si stava lavando le mani. «A proposito, lui dove si trova?»
Trott lanciò uno sguardo arcigno a Heida, come se il tenente dovesse avere l’informazione. Poi, irrigidendo le spalle carnose, disse: «Se n’è andato la notte scorsa».
Meisl si asciugò le mani con gesti lenti. «Capisco» fu il suo unico commento. Nel giro di pochi istanti si preparò a lasciare la stanza. In un borbottio basso e continuo, il colonnello prese a enumerare circostanze politiche e questioni di sicurezza nazionale, per informarlo infine che era necessario divulgare un’altra causa della morte.
«A...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I misteri di Praga
  4. Nota dell’autrice
  5. Parte prima - UNA MORTE IN BOEMIA
  6. Parte seconda - IL MISTERO DEL MERCANTE
  7. Parte terza - IL MISTERO DI NOVÝ SVĚT
  8. Parte quarta - IL MISTERO DEL MAHARAL
  9. Parte quinta - UNA MORTE IN MORAVIA
  10. Glossario
  11. Ringraziamenti
  12. Copyright