I Romanov
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I Romanov

1613 - 1918

  1. 972 pagine
  2. Italian
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I Romanov hanno governato per oltre tre secoli un sesto della superficie terrestre e sono stati la dinastia di maggior successo dell'era moderna. Come ha potuto una sola famiglia trasformare un piccolo e oscuro principato nel più grande impero del mondo? Quale prezzo di sofferenze e di sangue hanno dovuto pagare i loro sudditi? E perché e come il loro dominio ha di colpo iniziato a franare all'inizio del XX secolo?

Simon Sebag Montefiore, profondo conoscitore dell'universo russo, è riuscito a rispondere a queste domande racchiudendo in un'unica, appassionante narrazione la vertiginosa avventura di una ventina di zar e zarine, valutati e descritti non solo negli scenari della storia maggiore - incoronazioni, complotti, avvicendamenti dinastici -, ma, con il supporto di documenti e carteggi recentemente emersi, anche in quelli meno noti della vita privata e familiare.

Per realizzare il suo titanico progetto, Sebag Montefiore ha suddiviso la trama del racconto in 3 atti e 17 scene, i cui cast sono gremiti dei personaggi più disparati: ministri e boiari, impostori e avventurieri, arrampicatori sociali e cortigiane, rivoluzionari e poeti. Dopo Pietro il Grande, visionario e spietato modernizzatore, spiccano su tutte le figure delle due volitive e innovatrici zarine Elisabetta e Caterina, con le loro corti di amanti e favoriti, e dei grandi zar dell'Ottocento: Alessandro I, che respinse e incalzò fino a Parigi l'esercito invasore di Napoleone Bonaparte, e Alessandro II il Liberatore, ripagato per l'abolizione della servitù della gleba con sei attentati, di cui l'ultimo mortale, tragica premonizione degli orrori del XX secolo. È infatti sotto il segno sanguinoso del massacro della famiglia di Nicola II e Alessandra, gli ultimi regnanti, che si conclude nel 1918 la parabola dell'autocrazia zarista e si apre una nuova epoca, quella del bolscevismo.

Benché anche quest'ultima sia ormai storia di ieri, l'autore sembra presagire per il sogno imperiale dei Romanov e del popolo russo un possibile futuro nel mondo contemporaneo: per i suoi spazi immensi, per la sua singolare collocazione geopolitica che le assegna un ruolo di inevitabile protagonista delle vicende di due continenti, per la sua memoria storica e culturale, per l'indole stessa della sua gente, la Russia potrebbe essere spinta a ripercorrere, prima di quanto si immagini e con esiti oggi imprevedibili, sentieri già battuti.

Simon Sebag Montefiore, storico e scrittore, è uno dei massimi esperti di storia russa e sovietica, alla quale ha dedicato numerosi saggi e biografie. I suoi libri, vincitori di numerosi premi letterari, sono stati tradotti in 48 lingue, imponendosi come bestseller internazionali, e hanno ispirato film e sceneggiati televisivi. È autore, fra gli altri, di Gli uomini di Stalin. Un tiranno, i suoi complici e le sue vittime (2005), Il giovane Stalin (2010), Jerusalem (2011), e i romanzi Sa š enka (2009) e L'amore ai tempi della neve (2013).

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
ISBN
9788852080838
Atto III

IL DECLINO

IL DECLINO
Scena 1

Giove a Pietroburgo

CAST

Maria Fëdorovna, vedova di Paolo I, imperatrice madre
NICOLA I, figlio di Paolo I e Maria, imperatore 1825-55
Alessandra Fëdorovna (nata principessa Carlotta di Prussia), moglie di Nicola, detta «Mouffy», imperatrice
ALESSANDRO II, il figlio maggiore, caesarevič, sposato con la principessa Maria d’Assia-Darmstadt, imperatore 1855-81
Maria, la figlia maggiore, sposata con Massimiliano di Beauharnais, duca di Leuchtenberg
Olga, la seconda figlia, detta «Ollie», sposata con Carlo I, re di Württemberg
Alessandra, la terza figlia, detta «Adini», sposata con il principe Federico d’Assia-Kassel
Costantino, il secondo figlio, detto «Kostja» o «Esopo», sposato con la principessa Alessandra di Sassonia-Altenburg, detta «Sanny»
Nicola Nikolaevič, il terzo figlio, sposato con la principessa Alessandra di Oldenburg
Michele, il quarto figlio, sposato con Olga, nata principessa Cecilia di Baden
COSTANTINO I, secondo figlio di Paolo I e Maria, fratello maggiore di Nicola I, caesarevič, sposato con la principessa di Łowicz, imperatore, 1825
Anna, detta «Annette», sesta figlia di Paolo e Maria, sposata con re Guglielmo II d’Olanda
Michele, il figlio minore di Paolo e Maria, sposato con «l’intellettuale di famiglia» Elena Pavlovna (nata principessa Carlotta di Württemberg)

Cortigiani: ministri, ecc.

Michail Miloradovič, conte, generale, governatore-generale di Pietroburgo, detto «il Baiardo»
Aleksandr Benckendorff, conte, capo della Terza Sezione
Pietro Volkonskij, ministro di corte, principe
Vladimir Adlerberg, ministro di corte, conte
Ivan Paskevič, generale, conte di Erevan, principe di Varsavia, feldmaresciallo
Karl Nessel’rode, ministro degli Esteri, cancelliere, conte
Aleksandr Černyšëv, ministro della Guerra, conte, principe, detto «Dongiovanni del Nord»
Hans Karl Diebitsch, generale tedesco, conte, capo di stato maggiore, detto «Samovar»
Aleksej Orlov, soldato-diplomatico, capo della Terza Sezione, conte, principe
Vasilij Dolgorukij, ministro della Guerra, capo della Terza Sezione, principe
Michail Voroncov, governatore-generale della Nuova Russia e del Caucaso, conte, principe, detto «Milord»
Aleksandr Menšikov, capo dell’Ammiragliato, governatore della Finlandia, comandante in Crimea, principe
Varvara Nelidova, l’amante di Nicola, detta «Varen’ka»
Vasilij Žukovskij, poeta, precettore di Mouffy e poi di Alessandro II
Aleksandr Puškin, poeta
Non appena Diebitsch inviò la comunicazione della morte dello zar sia a Pietroburgo sia a Varsavia e mentre organizzava il rientro della salma nella capitale, la vedova di Alessandro e tutti i cortigiani giurarono fedeltà all’imperatore Costantino I. Nel frattempo, però, il capo di stato maggiore accelerò anche le indagini sulle cospirazioni.
I corrieri ci misero sei giorni a raggiungere Varsavia, ma otto per coprire di gran carriera i duemiladuecentoquaranta chilometri fino a Pietroburgo. A Varsavia, il 25 novembre 1825, l’entourage di Costantino non era al corrente del fatto che egli avesse rinunciato al trono. Tutti naturalmente volevano prestare giuramento, ma Costantino si adoperò in maniera frenetica per impedire quegli atti di sottomissione. Quando Novosil’cev, il delegato polacco di Alessandro, si inginocchiò davanti a lui acclamandolo «Vostra Maestà Imperiale», il caesarevič gli rivelò di aver rinunciato al trono. Novosil’cev, confuso, ci riprovò, spingendolo a tuonare: «Smettetela, e ricordatevi che il vostro solo e unico imperatore è Nicola!». Alcuni istanti dopo, si buttò in ginocchio anche il suo aiutante, al che Costantino montò su tutte le furie, e prese a scuoterlo per il bavero della giacca: «Silenzio! Come osate parlare in questo modo? Vi rendete conto che potreste finire in catene ed essere spedito in Siberia?».
Il 27 novembre, mentre Nicola e la madre Maria, nella cappella del Palazzo d’Inverno, stavano rendendo grazie per la guarigione di Alessandro, il valletto dell’imperatrice madre consegnò loro la lettera di Diebitsch. «L’ho visto con i miei occhi, tutto è perduto. Il nostro angelo non è più di questa terra.» La donna svenne. Nicola pregò dinanzi all’altare, poi lasciò Maria tra le braccia di sua moglie, dichiarando: «Vado a fare il mio dovere». Ma qual era il suo dovere?
Prestò immediatamente il giuramento di lealtà all’imperatore Costantino e si assicurò che lo facessero anche tutti gli altri. Quando tornò a vedere come stava la madre, la trovò inorridita: «Nicola, cos’hai fatto? Non sapevi che esiste un altro documento in cui si fa il tuo nome come erede legittimo?».
«Se esiste un documento del genere,» ribatté Nicola «io non ne sono a conoscenza … ma sappiamo tutti che il nostro signore, il nostro legittimo sovrano, è mio fratello Costantino, accada quel che accada!»
Scrisse al fratello per informarlo: «Ho prestato giuramento a voi. Possa io scordare che il mio onore e la mia coscienza hanno messo la nostra amata madrepatria in una posizione tanto difficile … È tutto a posto [ma] per l’amor di Dio, sbrigatevi a venire».
«La mia decisione è irremovibile» rispose Costantino. «Non posso accettare il vostro invito a recarmi da voi il più velocemente possibile e anzi, se non verrà tutto sistemato secondo le volontà del nostro imperatore defunto me ne andrò ancora più lontano.»
I due fratelli si rimbalzarono lettere per più di una settimana, con Costantino a Varsavia che insisteva di non essere lo zar, e Nicola a Pietroburgo che si rifiutava di accettare di esserlo lui. La cavalleria e il sentimento di fratellanza, che erano tratti distintivi della famiglia, facevano sì che Nicola non se la sentisse di impadronirsi della corona, che il fratello avrebbe dovuto cedergli per sua libera scelta, ma Costantino, sconvolto, non riusciva a farlo.
L’unico a Pietroburgo che sapeva del documento segreto di Alessandro, il mistico Aleksandr Golicyn, si recò di gran carriera dal principe Lopuchin, anziano presidente del Consiglio di Stato (e padre dell’amante di Paolo), spronandolo a convocare i consiglieri.a Molti insistevano che l’erede dovesse essere Costantino, soprattutto ne era convinto colui che poteva essere l’ago della bilancia in quello strano frangente: Michail Miloradovič, governatore-generale di Pietroburgo, il migliore amico di Costantino secondo cui era lui lo zar di diritto, a prescindere da quel che avesse decretato Alessandro. Miloradovič, uno degli eroi di Borodino, era un eccentrico dongiovanni, soprannominato «il Baiardo», dalla figura romantica del cavaliere francese, per il suo correre dietro alle gonnelle nei teatri della città, che trattava come fossero un suo harem personale. All’epoca continuò a sedurre ballerine e nel frattempo assicurava a Nicola: «È tutto tranquillo».
Per Nicola, c’era un’unica soluzione: Costantino doveva far ritorno nella capitale, o quantomeno rinunciare pubblicamente al trono. Così il 3 dicembre, lo implorò di fare una delle due cose o entrambe. «Erano passati otto o nove giorni» avrebbe ricordato. «Come avremmo spiegato alla società il nostro silenzio? L’impazienza e il malcontento ormai dilagavano ovunque.»
«Se diventerete sovrano, contate pure sul mio affetto nei vostri confronti» scrisse al fratello Costantino Annette, che all’epoca si trovava all’Aja ed era sposata con Guglielmo, principe d’Orange. «Credo sia un caso unico al mondo» commentava «vedere due fratelli in lotta per stabilire a chi dei due non debba toccare il trono.» L’imperatrice Maria, invece, era dilaniata tra i due figli. «Oh bambini miei, in che posizione terribile mi trovo» scrisse ad Annette, raccontandole che quel giorno stesso il figlio minore, Michele, era in partenza «per raggiungere il nostro caro imperatore Costantino … Speriamo che presto possa essere qui con noi.» Michele corse avanti e indietro con le lettere, ma anche di fronte alle suppliche dell’imperatrice madre, Costantino si rifiutò di lasciare Varsavia, terrorizzato all’idea che recarsi a Pietroburgo significasse dirigersi inesorabilmente verso l’assunzione del potere. La Iena Arrabbiata lo spiegò a Nicola, ma ancora mancava la pubblica rinuncia di cui c’era bisogno.
Tutt’a un tratto, il 12 dicembre, arrivarono dal Sud alcuni dispacci di Diebitsch e Černyšëv, che riportavano l’intestazione «consegnare con la massima urgenza solo nelle mani dell’imperatore in persona!»: vi si avvertiva di «un nuovo complotto che aveva ramificazioni in tutto l’impero».
«Solo allora mi resi davvero conto del peso del fato che incombeva su di me» scrisse Nicola «e di quanto orribile fosse la situazione in cui mi trovavo.» Convocò Miloradovič e Golicyn, e insieme aprirono la nota di Černyšëv con all’interno i nomi dei cospiratori della Società Settentrionale. Capì «di dover agire senza perdere nemmeno un secondo». Ordinò a Miloradovič di arrestarli, ma il governatore-generale fece ben poco, a parte gingillarsi a letto con la sua ultima conquista, una ballerina. Nicola incaricò inoltre il ministro di suo fratello, Speranskij, coadiuvato dallo storico Karamzin che aveva fatto visita all’imperatrice madre ogni giorno dalla morte di Alessandro, di stilare il manifesto di ascesa al trono. Poi fece ritorno nei suoi appartamenti privati dove, scrisse la moglie, «arrivò il mio Nikolaj e si inginocchiò davanti a me per essere il primo a tributarmi il saluto da imperatrice» malgrado «Costantino non volesse rilasciare un manifesto e si attenesse fermamente alla sua vecchia decisione».
Quella sera stessa, un giovane luogotenente della Guardia, Jakov Rostovcev, si recò da Nicola per avvertirlo che il colpo era fissato per il 14 dicembre: il «giorno fatidico».
La mattina dopo, il 13, Nicola firmò il suo manifesto di imperatore e ordinò a Lopuchin e al ministro degli Esteri Nessel’rode di convocare il Consiglio di Stato per quella stessa notte. Il granduca Michele, di ritorno da Varsavia, avrebbe testimoniato che Costantino aveva rinunciato al trono. Alle otto di sera, i ventitré membri del Consiglio si radunarono al Palazzo d’Inverno, ma Michele non arrivò mai. Finalmente, dopo mezzanotte, comparve Nicola da solo: tutti si alzarono in piedi mentre dava lettura del manifesto. «Vi chiedo oggi di prestare giuramento» proclamò nello stile di straordinaria magniloquenza che lo avrebbe contraddistinto. «Domani comanderò su di voi.» Essi si inchinarono e giurarono.
Nicola raggiunse quindi la madre e la moglie, intente ad accogliere le riverenze dei cortigiani. I cospiratori trascorsero la notte a organizzare la rivolta, ed elessero «dittatore» il più altolocato tra loro, il principe Sergej Trubeckoj. Solo pochi reparti, però, accettarono di ribellarsi. Il «dittatore» iniziò a entrare in agitazione, temendo si trattasse di «un’impresa disperata». Quanto a Nicola, disse ad Aleksandr Benckendorff: «Forse entro stanotte nessuno di noi due farà più parte del mondo dei vivi, ma almeno saremo morti compiendo il nostro dovere». «Dormì sereno, con la coscienza immacolata.»
Il «giorno fatidico», il 14, l’imperatore si alzò alle quattro di mattina e alle cinque parlò ai colonnelli della Guardia: «Risponderete della tranquillità della capitale con le vostre teste. Se anche dovessi rimanere imperatore un’ora soltanto, mi dimostrerò comunque degno di ogni onore». Gli ufficiali si affrettarono quindi al comando delle loro unità. Alle sette, Miloradovič, il Senato e il Sinodo si riunirono al Palazzo d’Inverno mentre i soldati prestavano giuramento al secondo imperatore nell’arco di due settimane. Alle undici, Miloradovič riferì di nuovo che la città era «perfettamente tranquilla» e, a quanto si presume, tornò dalla sua amante. Pochi istanti dopo, però, proprio mentre finalmente arrivava Michele da Varsavia, alcuni ufficiali irruppero comunicando: «Sire, il reggimento di Mosca è in piena rivolta» e i comandanti sono gravemente feriti. «I ribelli si stanno dirigendo al Senato. Ordinate al Preobraženskij e alla Cavalleria della Guardia Reale di muovere contro di loro.»
Nicola era «attonito».
Il nuovo imperatore si ritirò in preghiera, poi disse alla madre e alla moglie: «C’è qualche problema al Reggimento di Mosca, vado lì» e «decise di puntare laddove più incombeva il pericolo». Aleksej Orlov, il comandante delle Guardie a Cavallo, fu il primo a venire a rapporto per entrare in azione.b Nicola gli ordinò di accerchiare le postazioni dei ribelli. Orlov partì al galoppo. Quando lo zar si affacciò sulla piazza del Palazzo, gremita di spettatori, trovò le Guardie Preobraženskij sull’attenti, in tutta la loro magnificenza. «Formazione a colonne d’attacco!» ordinò. Come quelli si mossero, arrivò Miloradovič a cavallo: «Brutte notizie. Sono diretti al Senato. Ma ci parlerò io». Nicola marciò con le Guardie Preobraženskij alla volta del Senato: «un momento senza paragoni in tutta la mia vita» lo definì. Diede ordine di caricare i fucili, e mandò un aiutante a trasferire i suoi figli da Palazzo Aničkov al ben sorvegliato Palazzo d’Inverno. Scorse il principe Sergej Trubeckoj che osservava la scena dal quartier generale dello stato maggiore, senza sapere che era lui il «dittatore» dei ribelli. Miloradovič raggiunse al galoppo i rivoltosi per arringarli, ma uno di loro gli sparò al petto, un altro lo trafisse con la baionetta. Morì quella stessa notte. A quel punto Nicola, accompagnato dai suoi più intimi gregari Aleksandr Benckendorff e Vladimir Adlerberg (figlio della sua governante) si incontrò con Orlov e mise le truppe a lui fedeli ad accerchiare gli insorti nella piazza del Senato. Rimandò Adlerberg al Palazzo d’Inverno perché scortasse la sua famiglia al sicuro a Carskoe Selo, appena in tempo. Le imperatrici si rifiutarono di lasciare Pietroburgo, ma mentre le guardie lealiste prendevano posizione, un’unità di granatieri ribelli raggiunse il palazzo. Con loro grande disappunto, andarono quasi a sbattere contro Nicola in persona, che intimò: «Alt!».
«Siamo per Costantino!» gridarono quelli, senza riconoscerlo. Avrebbero potuto ucciderlo in quello stesso istante e cambiare la storia per sempre.
«Benissimo» ribatté l’imperatore, indicando il Senato. «Allora dovete andare da quella parte.»
Mentre Nicola e Benckendorff passavano in rassegna le posizioni, i tremila ribelli, accerchiati da novemila soldati lealisti, fecero fuoco contro di loro. Il granduca Michele marciò a chiederne la resa, ma per poco non gli spararono. Gli insorti – notò lo zar – ora non gridavano più «Urrà per Costantino», ma piuttosto «Urrà per Konstitucija [Costituzione]»: erano soldati-contadini che ripetevano uno slogan e, come sottolineò Nicola, «credevano che Konstitucija fosse la moglie di Costantino».
Erano le tre del pomeriggio, presto si sarebbe fatto buio. Gli operai sul tetto della cattedrale di Sant’Isacco bombardavano le sue truppe di detriti. Quanto ai ribelli, «mi spararono una raffica di pallottole», ma Nicola voleva che il confronto si chiudesse senza spargimento di sangue. Ordinò di caricare alle Guardie a Cavallo di Orlov, nelle loro uniformi bianche con bavero scarlatto ed elmetti d’ottone, e poi anche alle Chevaliers-Gardes, con le loro corazze, ma non appena i rivoltosi fecero fuoco su di loro entrambi gli squadroni di uomini e cavalieri sfarzosamente equipaggiati sdrucciolarono sul ghiaccio. «Sire, non c’è un minuto da perdere, non abbiamo alternative. Dobbiamo mitragliare!» disse il principe Vasil’čikov.
«Volete che versi del sangue nel mio primo giorno di regno?»
«Sì, sire» rispose Vasil’čikov. «Per salvare il vostro impero.»
«Pronti a far fuoco a partire dal fianco destro!» tuonò Nicola. Gli insorti si sparpagliarono. I lo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I ROMANOV
  4. Introduzione
  5. Nota sul testo
  6. Prologo. Due ragazzi in tempi tumultuosi
  7. Atto I. L’ASCESA
  8. Atto II. L’APOGEO
  9. Atto III. IL DECLINO
  10. Epilogo. Zar rossi e zar bianchi
  11. Note
  12. Bibliografia
  13. Ringraziamenti e fonti
  14. Referenze iconografiche
  15. Inserto fotografico
  16. LE RESIDENZE IMPERIALI
  17. Copyright