Il coraggio di essere idiota
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Il coraggio di essere idiota

La felicità secondo Dostoevskij

  1. 196 pagine
  2. Italian
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Il coraggio di essere idiota

La felicità secondo Dostoevskij

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I grandi autori sono, da sempre, esperti della felicità: ogni romanzo memorabile racconta di qualcuno che prova a essere felice e che perciò comincia a vivere una storia straordinaria.

Per i cercatori di felicità le convenzioni sociali, i doveri morali, le ambizioni di cui tanti si accontentano diventano limiti da superare: il mondo intero diventa troppo stretto.

Così è per il protagonista de L'idiota di Dostoevskij: un giovane principe che a tutti appare ingenuo, ma che in realtà vuole soltanto insegnare a non opporsi ai propri desideri più luminosi. Nulla è più rivoluzionario della felicità, secondo Dostoevskij. E nulla è più tenace della paura di conquistarla. Di questa paura, Dostoevskij indaga le cause più profonde e mostra come vincerla, scoprendo un nuovo modo di intendere l'evoluzione dell'umanità.

Igor Sibaldi, ne Il coraggio di essere idiota, narra come avvenne questa scoperta, fin dove giunse e cosa occorre per proseguirla oggi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
ISBN
9788852079948
Argomento
Psychology

L’EROE

Idiòt

La copertina de L’idiota
Θ M. ДOCTOEBCKIЙ
Идіотъ
è un raro esempio di dissonanza editoriale, fieramente autolesionista. Dostoevskij accosta il proprio nome a un insulto. Immagina quel titolo accanto a un qualsiasi altro altrettanto conciso: per esempio
JAMES JOYCE
Ulysses
oppure
GUY DE MAUPASSANT
Bel-ami
e non riuscirai a trattenere un movimento ironico del sopracciglio. Se poi lo immagini accanto a Guerra e pace (che usciva lo stesso anno de L’idiota, il 1869), entrambe le tue sopracciglia si alzeranno a esprimere perplessità: a differenza di Tolstòj, che sulla copertina appare come colui che sa tutto della guerra e della pace, Dostoevskij in quel suo titolo sembra dire: “Pensate pure male di me”. Ma è fierezza, dicevo. È una sfida. Idiòt, in russo, nella seconda metà dell’Ottocento, non era parola d’uso comune, suonava straniera (di pronuncia non facile: idi-iòt) e dunque snob: ti saresti aspettato di udirla da chi teneva a sembrare aggiornato – per esempio da un qualche junior che ci tenesse a fare la sua bella figura nel mondo così com’è. Sicché il messaggio della copertina si può esplicitare così: “Pensate pure male di me, voialtri che nel mondo vi sentite a vostro agio”. E questo intento provocatorio prosegue anche nel ridicolo cognome del protagonista, Myškin, ovvero “Topoletti” (da mšy., “topo”), in un’ideale parentela con l’“io” del Sottosuolo, a cui piaceva tanto denigrarsi mentre cercava di esprimere concetti audaci.
Ne L’idiota Dostoevskij era ben deciso a esprimere addirittura quanto di più audace si potesse pensare. L’aveva confidato all’editore, durante la stesura definitiva, nel dicembre 1867:
Da tempo mi tormentava un’idea, ma avevo paura di trarne un romanzo, perché era un’idea troppo ardua e non mi ci sentivo pronto, benché tale idea fosse di per sé assai seducente e io l’amassi. Era l’idea di raffigurare un uomo totalmente sublime. Nulla, a mio avviso, potrebbe essere più difficile, in particolar modo ai nostri tempi.
E gli pareva necessario che, così come in altri tempi un “uomo totalmente sublime” era stato “messo tra i malfattori” (Luca 22,37), anche Myškin-Topoletti apparisse un idiòt, ai tempi della po.lost’ trionfante. Voleva insomma puntare non su Cristo, ma su un altro Cristo, nuovo, attuale, che ricominciasse proprio da dove il primo aveva terminato la sua esistenza terrena: dall’umiliazione. Nel dicembre 1867, Dostoevskij si sentiva abbastanza forte per un simile tentativo – affrontando ovviamente il rischio di passare da idiota lui stesso.

Arriva l’Idiota

All’inizio del romanzo Myškin è in treno, di mattina presto. Sta arrivando a Pietroburgo dall’estero, in terza classe, vestito da viandante e con un fagottino come suo unico bagaglio. Ventisei anni, folti capelli biondi, barba rada a punta, occhi celesti, viso magro e illividito dal freddo autunnale: la descrizione che Dostoevskij ne dà è più che mai quella di un’icona – una versione ottocentesca del Cristo salvatore di Rublëv.
Dopo averlo accuratamente descritto, gli insuffla il movimento e la parola: Myškin è dolce nei modi, gli piace sorridere, risponde premurosamente a chi attacca conversazione; ma da certe lentezze del suo sguardo si nota che soffre di epilessia – e da qui l’epiteto di “idiota” che molti gli attribuiranno, chi con disgusto, intendendolo nel senso di deficiente, chi con tenerezza, intendendolo nel senso di persona fragile.
Fragile come un’immagine antica che ha appena preso vita – e davvero, per tutto il romanzo, tanti personaggi temeranno per lui come per un capolavoro, che un nonnulla può scalfire, guastare. Eppure, nella prima pagina, arriva portato da una qualche forza gigantesca, simboleggiata dal treno – che qui, per la prima volta nella letteratura russa, diventa immagine dell’ineluttabilità; poi rimarrà sempre tale, da Anna Karenina alla Sonata a Kreutzer, e via via, fino al Dottor Živago.
Di lì a poco, il lettore riconoscerà che quella forza c’è davvero: Myškin turberà tutti, nella Pietroburgo dostoevskiana, in tutti desterà qualcosa, cambierà il corso di molte vite.
«È come se l’avesse mandato Dio!»
dirà di Myškin un meravigliato generale, subito dopo averlo incontrato. In russo questa frase è convenzionale, non mistica, e il motivo per cui quel generale la usa è banale: spera che Myškin gli torni utile in un suo piccolo intrigo. Ma per Dostoevskij valeva alla lettera, tanto quanto quel treno valeva come simbolo. Myškin irrompeva a Pietroburgo come l’idea della “Fusione” aveva fatto irruzione nella mente del suo autore: l’Idiota portava la fine della “legge dell’io”, era l’eroe del nuovo stadio evolutivo.
«Seduto in treno, pensavo: “Ora vado verso gli uomini; non so nulla, ma forse è cominciata una nuova vita”»
dirà poi Myškin, ricordando quel viaggio. E Dostoevskij vuole credere, e vuole che i lettori credano, che esista e possa agire nel mondo la strana forza da cui Myškin è portato, totalmente diversa da quella del Duke-Tarantola, finora incoercibile.

Come ci si innamora dell’Idiota

Dostoevskij vuole che ti innamori di Myškin, così come ne era innamorato lui. E sa come fare. Conosce le condizioni indispensabili all’innamoramento assoluto.
Innanzitutto: ci si innamora veramente di qualcuno – in un’opera d’arte come nella vita quotidiana – quando ci si sente portati ad abbellirlo, perdonandogli qualche suo difetto. Nessuno amerebbe Amleto, se non fosse irascibile, nessuno amerebbe Don Chisciotte, se non fosse testardo.
In secondo luogo: ci si innamora illimitatamente di qualcuno, quando qualche suo tratto impedisce di identificarsi in lui; quelli in cui ti identifichi, infatti, finiscono prima o poi per annoiarti, così come ti vieni a noia tu stesso.
Per ottemperare alla prima di queste due condizioni, Dostoevskij fa risaltare tutta una serie di piccoli difetti del suo “uomo totalmente sublime”, perché tu, perdonandoglieli, ti senta magnanimo e incline alla tenerezza; per ottemperare alla seconda condizione, gli attribuisce difetti e doti più considerevoli, che lo fanno apparire comunque diverso da te, così che tu, già innamoratone, lo possa soltanto amare, mai imitare.
Tra i piccoli difetti c’è innanzitutto l’aspetto poco attraente di Myškin – con quella barbetta bionda, rada e appuntita (e Dostoevskij, tra parentesi, era biondo e di barba rada).
Poi, Myškin è goffo, incapace di eleganza, sia all’inizio, quando non ha ancora un soldo, sia poi, quando eredita un grosso capitale.
Ed è egocentrico, verboso: parla bene, melodiosamente a volte, ma troppo.
Ed è franco con tutti, ma la sua franchezza è spesso indelicata – e non tanto per esigenza di verità, quanto piuttosto per egocentrismo. Lo ammette lui stesso:
Ed ecco, ora che vado verso gli uomini, mi sono proposto di fare il mio dovere con onestà e fermezza. E penso: ecco, mi ritengono un idiota, invece sono intelligente, e loro nemmeno lo sospettano…
Fin qui, specie se sei ancora adolescente in qualche modo (indipendentemente dall’età anagrafica), avresti ancora, ogni tanto, la sensazione di potergli assomigliare.
Ma in più – e qui i difetti diventano consistenti – Myškin non si intende di nulla, se non di un’attività quantomai superflua, di cui è bizzarramente appassionato: la calligrafia ornata! Anche per questa sua incompetenza in tutto il resto, non sa fare buon uso del denaro ereditato: richiederà sempre che ci si prenda cura di lui.
Al contempo, si vanta un po’ troppo delle sue origini aristocratiche – è un principe, d’antica famiglia decaduta. In mezzo ai nobili si sente “in un cerchio incantato” di amici devoti e compagni d’idee:
I modi squisiti, la semplicità, l’apparente cordialità di quelle persone esercitavano su di lui un’attrazione quasi magica. Non poteva passargli per il capo che la maggioranza degli invitati, nonostante l’apparenza imponente, fossero persone piuttosto vuote, che d’altronde ignoravano esse stesse, nella loro presunzione soddisfatta, come molto di quel che avevano di buono fosse prodotto d’artificiosità, del quale per giunta non potevano vantare merito alcuno, perché l’avevano ereditato, senza averne coscienza.
Dunque Myškin è anche socialmente uno sciocchino.
Risultato: si rivela, all’atto pratico, ancor più fragile di quanto si sarebbe potuto supporre al­l’inizio. E così malmesso si avventura, con aria dolce, nel brutale mondo dostoevskiano, come obbedendo al precetto: “Io vi mando come agnelli tra i lupi” (Matteo 10,16). E non solo tu, ma anche i lupi dostoevskiani ne sono tutti affascinati.

La sua malattia

Quanto al suo difetto maggiore, l’epilessia (altro tratto in comune con l’autore), non si tratta neppure di perdonarglielo: è infatti la manifestazione del suo immenso bisogno di felicità. Durante i suoi accessi di mal caduco, Myškin percepisce una
luce straordinaria, una calma suprema, piena di gioia, speranza, intelligenza … Che importa se questa tensione è anormale, quando il suo risultato, in quegli istanti, è in sommo grado armonia e bellezza, e dà un senso inaudito di pienezza, di equilibrio, di pace e di trepidante fusione con la sintesi suprema della vita?
Ovvero: l’Idiota è inadeguato al mondo normale, proprio perché la “bellezza” gli è anormalmente accessibile. È una inadeguatezza da mutante, da esponente di una nuova specie non ancora ambientatasi. Anche per questo gli si ritrova spesso sulle labbra quell’espressione: “Vado verso gli uomini”.
Ma qui ti fermi a riflettere.
È diverso da te, sì. Ma da quale “te”?
In fondo è capitato a tutti, da bambini, di “andare verso gli uomini”, solo che non tutti hanno continuato con onestà e fermezza a fare il loro dovere di bambini, cioè di portatori di futuro. Si sono trasformati, abbastanza rapidamente, in adulti: hanno fatto bene, e tu, hai fatto bene a crescere come loro? Forse il tuo non poterti identificare nella sua qualità di mutante è una tua – e non una sua – carenza.
A Myškin, l’accesso all’età adulta è stato impedito dalla malattia – da quel suo essere “malato di felicità”. Ma Dostoevskij vuole farti sospettare che la natura, alterando il funzionamento del suo cervello, avesse scopi che le persone normalmente sane, te compreso, non sono ancora in grado di comprendere. Questo sospetto è rafforzato dal lungo elenco delle qualità eroiche di Myškin, tutte travolgenti.

Il candore

Ha innanzitutto l’eroismo del non venire a noia a nessuno, nonostante il suo egocentrismo e i suoi tic: e non perché sia particolarmente spiritoso (lo è solo di rado), ma perché ha il dono di sorprendere chiunque parli con lui. Siano aristocratici o impiegatucci, maggiordomi o milionari, ragazzini o intriganti, e persino radicali della peggior specie: a tutti, Myškin sa dire qualcosa che non si aspettano e che in qualche modo li illumina. E il modo in cui ci riesce è semplicissimo: non fa altro che notare ciò che gli altri non notano – sentimenti, aspettative, delusioni, paure, debolezze, tratti di bontà – e dire candidamente quello che ha notato.
Riesce a notare quello che altri non notano perché ha una sorta di “congenita inesperienza” del mondo, per la quale tutto lo incuriosisce.
E riesce a non ferire, perché non vuole contrapporsi a nessuno.
Preferisce avere fede in chiunque, nella parte migliore di chiunque, magari ignota anche a chi la possiede – il che fa sì che anche gli altri si sentano portati ad avere fede in lui. Una volta una donna che lo ama, Aglaja (una RAGAZZA RICCA) gli rimprovera seccamente questa arrendevolezza:
«Voi siete più onesto di tutti, migliore di tutti, più intelligente di tutti! Perché dunque vi umiliate e vi mettete al di sotto di tutti? Perché non avete orgoglio?»
Ma Myškin non può farci nulla. Vive la “Fusione”: è un “io che si apre a tutti”, così come Dostoevskij l’aveva sognato nel ’64. Ed essendo arrivato così in alto sulla scala evolutiva dell’umanità, perché dovrebbe ridiscenderne?
Tu, al posto suo, lo faresti?
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Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il coraggio di essere idiota
  4. GRANDI AUTORI E GRANDI LETTORI
  5. CHI FINGE E CHI NO
  6. ALCUNE SOLUZIONI CHE BASTANO AD ALTRI
  7. ALTRE GIOCATE
  8. L’EROE
  9. EPILOGO. GLI ETERNI
  10. Note
  11. Copyright