Tre giorni e una vita
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Tre giorni e una vita

  1. 228 pagine
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Tre giorni e una vita

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Informazioni sul libro

Natale 1999. A Beauval, una piccola cittadina della provincia francese, Antoine, dodici anni, figlio unico di genitori separati, vive con la madre Blanche, una donna rigida e opprimente, conducendo una vita piuttosto solitaria. Il padre da anni si è trasferito in Germania e ha pochi contatti con lui.

Antoine non lega molto con i coetanei e il suo migliore amico è Ulisse, il cane di Roger Desmedt, il suo vicino di casa. Il giorno in cui Desmedt, un uomo rozzo e brutale, uccide Ulisse, Antoine, sconvolto e disperato, in un accesso di rabbia cieca compie un gesto che in pochi secondi segnerà per sempre la sua esistenza.

Terrorizzato all'idea di essere scoperto, Antoine passa giorni di angoscia indescrivibile, immaginando scenari futuri cupi e ineluttabili. Ma, proprio quando sembra che per lui non ci sia più scampo, un evento imprevisto sopraggiunge rimettendo tutto in gioco.

In Tre giorni e una vita Pierre Lemaitre ricostruisce perfettamente l'atmosfera di una piccola comunità scossa da un evento tragico, scandagliando con precisione chirurgica le pieghe dell'animo umano di fronte a un caso di coscienza talmente reale che è impossibile non chiedersi "e se fosse successo a me?".

L'intera vicenda è attraversata dal dramma e dalla menzogna, da circostanze impreviste, da scherzi del destino, da ribaltamenti delle situazioni, elementi sempre presenti nella prosa magistrale dell'autore.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
ISBN
9788852073977

1999

1

Alla fine di dicembre del 1999, una serie singolare di fatti tragici si abbatté su Beauval, il più terribile dei quali fu sicuramente la scomparsa del piccolo Rémi Desmedt. In questa regione fitta di foreste, soggetta a ritmi lenti, l’improvvisa sparizione di quel bambino fece scalpore e venne persino considerata da molte persone del posto come il segno premonitore di catastrofi future.
Per Antoine, che fu al centro di questo dramma, tutto cominciò con la morte del cane, Ulisse. Inutile cercare la ragione per cui il suo proprietario, il signor Desmedt, aveva dato a quel bastardino bianco e fulvo, magro come un chiodo e ben ritto sulle zampe, il nome di un eroe greco: sarà un mistero in più in questa storia.
I Desmedt erano i suoi vicini e Antoine, che all’epoca aveva dodici anni, era molto legato a quel cane proprio perché sua madre non aveva mai voluto animali in casa: niente gatti, niente cani, neanche criceti, niente che sporcasse in giro.
Ulisse correva volentieri allo steccato del giardino quando Antoine lo chiamava, seguiva spesso il gruppo di ragazzini fino allo stagno o nei boschi dei dintorni, e quando Antoine ci andava da solo lo portava sempre con sé. Si sorprendeva a parlare con lui come con un amico. Il cane chinava la testa, serio e concentrato, poi all’improvviso scappava, segno che il momento delle confidenze era terminato.
La fine dell’estate era stata occupata in gran parte dalla costruzione di una capanna nel bosco con i compagni di classe, sulle alture di Saint-Eustache. Era un’idea di Antoine di cui, come al solito, Théo si era appropriato, arrogandosi così il comando delle operazioni. L’autorità di quel ragazzo sulla piccola banda era dovuta al fatto che lui era sia il più grande di tutti sia il figlio del sindaco. Sono cose che contano in una cittadina come Beauval (la gente odia chi viene rieletto automaticamente, ma il sindaco è considerato il santo patrono e suo figlio il delfino, in nome di quella gerarchia sociale che, nata tra i commercianti, si è estesa alle associazioni e, in modo capillare, fin dentro le aule della scuola). Théo Weiser era anche l’alunno peggiore della sua classe, il che, agli occhi dei compagni, sembrava una prova di carattere. Quando il padre gli mollava un ceffone – cosa non rara –, Théo sfoggiava i lividi con fierezza, come il tributo pagato dagli esseri superiori al conformismo locale. Faceva anche abbastanza colpo sulle ragazze, mentre tra i maschi era temuto e ammirato, ma non amato. Lui, Antoine, non chiedeva né era invidioso di nulla. La costruzione della capanna bastava a renderlo felice, non era necessario essere il capo.
Tutto era cambiato quando Kevin aveva ricevuto una PlayStation per il suo compleanno. Il bosco di Saint-Eustache era stato rapidamente disertato, si ritrovavano tutti a giocare da lui per la gioia di sua madre, che preferiva la PlayStation ai boschi e allo stagno, ritenuti da sempre pericolosi. La madre di Antoine, al contrario, disapprovava quei “mercoledì videogames”, quella roba lì rincretinisce, e finì per proibirglieli. Antoine protestò contro la sua decisione, non per una reale passione per i videogames, ma perché non poteva stare con i suoi compagni. Il mercoledì e il sabato si sentiva solo.
Passava molto tempo da Émilie, la figlia dei Mouchotte, anche lei dodicenne, bionda come un pulcino, riccia, due occhi vispi, una viperetta, di quelle a cui nessuno osava rifiutare niente, persino Théo ne era come stregato, ma giocare con una femmina non era la stessa cosa.
Antoine riprese quindi ad andare nel bosco di Saint-Eustache e cominciò a costruire una capanna sull’albero, tra i rami di un faggio, a tre metri da terra. Tenne il progetto segreto, pregustando la vittoria quando gli amici, stanchi della PlayStation, sarebbero tornati nel bosco e avrebbero scoperto la sua opera.
Quel lavoro gli prese molto tempo. Raccolse alla segheria degli scarti di telone per proteggere le aperture dalla pioggia, lembi di guaina impermeabilizzante per il tetto, scampoli di stoffa come ornamento, creò alcune nicchie per allineare i suoi tesori, insomma, non la finiva mai, tanto più che la mancanza di un progetto d’insieme lo costrinse a numerose modifiche. Per settimane, quella capanna occupò tutto il suo tempo e la sua mente, e il segreto era sempre più difficile da tenere. A scuola, finì per alludere a una sorpresa che avrebbe fatto morire d’invidia parecchi di loro, ma non riscosse molto successo. All’epoca gli amici erano letteralmente elettrizzati per l’uscita imminente della nuova versione di Tomb Raider, non si parlava d’altro.
Per tutto il tempo che Antoine dedicò all’impresa, ebbe come compagno il cane Ulisse. Non che gli fosse di particolare utilità, ma stava lì. La sua presenza gli suggerì l’idea di un ascensore per cani che avrebbe permesso a Ulisse di tenergli compagnia salendo da lui. Ritornò alla segheria per prendere una carrucola, qualche metro di corda e il necessario per costruire una piattaforma. Quel montacarichi, che rappresentava il tocco finale dell’opera e ne esaltava l’ambizione, necessitò di numerose ore di messa a punto, impiegate perlopiù a correre dietro al cane che, alla prospettiva del decollo, andò nel panico fin dal primo tentativo. La piattaforma rimaneva orizzontale solo grazie a un bastone che serviva a mantenerla stabile. Non era del tutto soddisfacente, ma Ulisse riusciva comunque ad arrivare di sopra. Lanciava guaiti patetici per tutta la salita e, una volta che Antoine lo aveva raggiunto, si rannicchiava tremante contro di lui. Antoine ne approfittava per respirare il suo odore e accarezzarlo, chiudendo gli occhi per il benessere che ne traeva. La discesa era sempre più facile: Ulisse saltava regolarmente a terra prima di raggiungere il livello del suolo.
Antoine portò sul posto alcuni oggetti presi in soffitta: una torcia, una coperta, di che leggere e scrivere, pressappoco tutto il necessario per vivere in autonomia o quasi.
Ma questo non deve far pensare che lui fosse un tipo solitario. Lo era in quel momento per forza di cose, perché sua madre odiava i videogames. Sulla sua vita incombeva tutta una serie di leggi e regole che la signora Courtin istituiva con la stessa dose di costanza e creatività. Tutta d’un pezzo, dopo il divorzio era diventata ancora più inflessibile, come spesso capita alle madri sole.
Sei anni prima, il padre di Antoine aveva approfittato di un cambiamento della sua situazione professionale per cambiare anche donna. Insieme alla domanda di trasferimento per la Germania, aveva inoltrato un’istanza di divorzio che Blanche Courtin aveva vissuto come una tragedia, cosa tanto più sorprendente se si pensa che la coppia era tutt’altro che affiatata e che, dopo la nascita di Antoine, i rapporti intimi tra i coniugi si erano drammaticamente diradati. Dopo essersene andato, Courtin non era mai più tornato a Beauval. Mandava con puntualità dei regali regolarmente sfalsati rispetto ai desideri del figlio: giochi adatti ai sedici anni quando lui ne aveva otto, ai sei quando ne aveva undici. Una volta Antoine era andato a trovarlo a Stoccarda, si erano guardati in cagnesco per tre lunghe giornate e di comune accordo avevano deciso di non ripetere più l’esperienza. Courtin era poco tagliato per avere un figlio tanto quanto sua moglie per avere un marito.
Quell’episodio avvilente avvicinò Antoine alla madre. Al ritorno dalla Germania, considerò il ritmo lento e pesante della vita di quella donna come una conseguenza della sua solitudine, del suo dolore, e la guardò in un’ottica diversa, vagamente drammatica. E ovviamente, come avrebbe fatto qualsiasi ragazzino della sua età, finì per sentirsi in dovere di proteggerla. Per quanto fosse una donna irritante (e a volte decisamente insopportabile), credette di vedere in lei certe attenuanti che trascendevano tutto, la quotidianità e i difetti, il carattere e le circostanze... Per Antoine era inconcepibile rendere sua madre ancora più infelice di quanto già la immaginava. Questa certezza non lo abbandonò mai.
Tutto ciò, sommato alla sua natura poco espansiva, faceva di lui un ragazzino in fin dei conti un po’ depresso, a cui la comparsa della PlayStation di Kevin non aveva certo giovato. Nel triangolo padre assente, madre rigida, amici lontani, il cane Ulisse occupava chiaramente un posto centrale.
La sua morte e il modo in cui sopraggiunse furono per Antoine un episodio di particolare violenza.
Il padrone di Ulisse, il signor Desmedt, era un uomo taciturno, irascibile, solido come una quercia, con folte sopracciglia e un viso da samurai furioso, sempre sicuro di trovarsi dalla parte della ragione, il tipo che non cambia opinione facilmente. E attaccabrighe. Aveva lavorato sempre e solo come operaio alla Weiser, “giocattoli di legno dal 1921”, la principale azienda di Beauval, in una carriera costellata di scontri e diverbi. Era stato sospeso due anni prima per avere dato uno schiaffo al signor Mouchotte, il suo caporeparto, davanti a tutti i colleghi.
Aveva una figlia di una quindicina d’anni, Valentine, che faceva pratica come parrucchiera a Saint-Hilaire, e un figlio, Rémi, di sei anni, che nutriva per Antoine un’ammirazione sconfinata e lo seguiva tutte le volte che poteva.
In fondo, il piccolo Rémi non era un peso. Della stessa corporatura del padre, aveva già la stazza di un futuro spaccalegna, riusciva con facilità a salire con Antoine fino a Saint-Eustache e persino a raggiungere lo stagno. La signora Desmedt considerava Antoine, e non a torto, un ragazzo responsabile a cui si poteva affidare Rémi quando si presentava l’occasione. In ogni caso, il bambino godeva di ampia libertà di movimento. Beauval è una cittadina di modeste dimensioni, nello stesso quartiere si conoscono tutti o quasi. I bambini, che giochino nei pressi della segheria o si spingano fino alla foresta, che scorrazzino dalle parti di Marmont o di Fuzelières, sono sempre sotto lo sguardo di un adulto che lavora o passa nei paraggi.
Antoine, che stentava a tenere per sé il suo segreto, un giorno aveva portato Rémi a vedere la sua capanna sull’albero. Il bambino non aveva nascosto la sua ammirazione per quella prodezza tecnica, aveva fatto parecchi giri sull’ascensore con un entusiasmo totale. Dopodiché, il grande discorso: Rémi, ascoltami bene, è un segreto, nessuno deve sapere niente di questa capanna finché non è completamente finita, capito? Posso contare su di te? Acqua in bocca, eh? Rémi aveva giurato solennemente e, per quanto Antoine sapesse, aveva mantenuto la parola. Condividere un segreto con Antoine significava, per Rémi, far parte del mondo dei grandi, essere grande. Si era mostrato degno della sua fiducia.
Il 22 dicembre fu una giornata abbastanza mite, alcuni gradi sopra la media stagionale.
Antoine era visibilmente euforico per l’arrivo del Natale (sperava proprio che questa volta suo padre avrebbe letto con attenzione la sua lettera e gli avrebbe mandato una PlayStation), ma si sentiva un po’ più solo del solito.
Non resistendo più, si era lanciato: aveva parlato della capanna con Émilie.
Da un anno Antoine aveva scoperto la masturbazione e quest’attività era diventata più che quotidiana. Spesso, nel bosco, si appoggiava con una mano a un albero e, i jeans alle caviglie, si sfogava pensando a Émilie. Aveva preso coscienza che, in realtà, era per lei che aveva realizzato tutto quell...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Tre giorni e una vita
  4. 1999
  5. 2011
  6. 2015
  7. Gratitudine
  8. Copyright