1 Vedendo dunque le folle, salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli.2 Aperta la bocca, insegnava loro dicendo:
3 Beati i poveri nello spirito, perché di essi è il Regno dei cieli.
4 Beati i sofferenti, perché essi saranno consolati.
5 Beati i miti, perché essi erediteranno la terra.
6 Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché essi saranno saziati.
7 Beati i misericordiosi, perché a loro sarà usata misericordia.
8 Beati i puri nel cuore, perché essi vedranno Dio.
9 Beati gli artefici di pace, perché essi saranno chiamati figli di Dio.
10 Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei cieli.
11 Beati voi, quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così, infatti, hanno perseguitato i profeti prima di voi.
17 E disceso con loro, stette in un luogo pianeggiante, e c’era una gran folla di suoi discepoli, e una gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone …
20 Alzati gli occhi sui suoi discepoli, diceva: Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio.
21 Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete.
22 Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi proscriveranno e insulteranno e metteranno al bando il vostro nome come infame a causa del Figlio dell’uomo.
23 Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo, infatti, agivano i loro padri coi profeti.
24 Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.
25 Guai a voi che ora siete colmi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché soffrirete e piangerete.
26 Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo, infatti, agivano i loro padri con i falsi profeti.
Molti hanno nella memoria le immagini sobrie ma incisive del film Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, apparso sugli schermi nel 1964. Forse ricordano anche l’asciutta ed essenziale proclamazione delle Beatitudini e di brani del Discorso della montagna da parte di un Gesù severo eppur emozionante. Certo è che la figura di Cristo tratteggiata dall’evangelista «scriba», che aveva alle spalle una carriera di funzionario delle imposte, infrange con la sua parola gli orizzonti ristretti e gli stereotipi. Cristo apre una via ardua e radicale che ha nei cinque discorsi disseminati nel testo evangelico di Matteo – composto di 18.278 parole greche distribuite in 1070 versetti e 28 capitoli, con un lessico di 1691 vocaboli diversi – una netta e potente formulazione del suo messaggio. L’apice non solo spaziale ma anche tematico è, comunque, nel primo di quei cinque discorsi e, in particolare, nel portale d’ingresso a questa sorta di cattedrale, cioè nella pagina delle Beatitudini che commenteremo riga per riga.
Il portale del Discorso della montagna
Il monte sul quale ora idealmente siamo invitati a salire non è specificato, anche se – come abbiamo già indicato – la tradizione successiva cercherà di identificarlo in quel delizioso poggio che s’affaccia sul lago di Tiberiade, scenario del primo ministero pubblico di Gesù in Galilea. Dicevamo anche che è più spontaneo pensare che quel monte sia frutto di una scelta simbolica, per cui non contrasterebbe con la notazione topografica del testo parallelo di Luca che introduce, invece, un luogo pianeggiante (6,17). In quel monte ideale, facile evocazione di un’altra vetta fondamentale nella Bibbia, quella del Sinai, culla di Israele come popolo dell’alleanza con Dio e sede della rivelazione della parola divina, Matteo convoglia materiali differenti, pronunziati da Gesù in contesti diversi, ordinandoli, secondo un impianto strutturale vario e complesso, in un unico discorso (capp. 5-7).
Esso ha il suo portale solenne nelle Beatitudini, il suo centro nella preghiera del Padre nostro (6,9-13) e la conclusione nella suggestiva scenografia delle parabole gemelle dei due costruttori e dei loro progetti edilizi antitetici (Mt 7,24-27). Attorno a questi nuclei portanti si disseminano vari insegnamenti spesso coagulati tra loro. Così, dopo le Beatitudini, prende avvio un primo movimento tematico con due ritratti dei discepoli di Cristo («voi siete», Mt 5,13-16) e con le famose sei antitesi che incarnano il rapporto tra la Tôrah biblica e la halakah o «cammino» religioso e morale (dall’ebraico halak, «andare») proposto da Cristo (Mt 5,17-48). Il Padre nostro, cuore del Discorso, è incastonato in un trittico dedicato alle tre pratiche giudaiche capitali: l’elemosina, la preghiera, il digiuno (Mt 6,1-18).
Dopo quella trilogia, si apre il secondo movimento con un appello alla fiducia in Dio e nella sua provvidenza e con una sequenza variegata di insegnamenti sui rapporti coi fratelli, coi pagani e con Dio (Mt 6,19-34 e 7,1-12) per approdare a una piccola galleria binaria di detti tematicamente antitetici tra loro (Mt 7,13-27). Essa comprende due vie (7,13-14), due generi di profeti (7,15-20), due specie di discepoli (7,21-23), per finire con la conclusione dei due costruttori e delle due case (7,24-27).
Il perno centrale del Padre nostro, come osserva un commentatore canadese del Discorso della montagna, Marcel Dumais, fa sì che «il suo insegnamento sia un appello a una vita morale (cioè a un modo di essere e di agire) che acquista il suo senso e la sua origine solo in una relazione vissuta col Padre celeste». Non siamo, dunque, in presenza di un codice etico ma di una Magna Charta – come spesso è stato definito questo Discorso – di indole teologica, religiosa, spirituale.
In cattedra sul monte
Per approfondire meglio questa qualità teologica è significativo l’avvio solenne del Discorso della montagna basato su sei verbi che hanno per soggetto Gesù: «Vedendo dunque le folle, salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Aperta la bocca, insegnava loro dicendo…» (Mt 5,1-2). Ci sono due atti di movimento, l’ascendere (anébê) sulla cima del monte e l’assidersi (kathísantos). La prossemica, ossia la disciplina che studia l’organizzazione dello spazio come sistema di comunicazione, tra le varie coordinate interpretative che adotta (vicinanza-lontananza, contatto-distanza, ordine informale-ordine formale e così via) ne ha una che ben s’adatta alla nostra scena: la verticalità e l’orizzontalità.
Da un lato, infatti, c’è la verticalità del monte che parla già di altezza e trascendenza: siamo quindi in un contesto ben differente rispetto al Discorso in parabole che Gesù pronuncia stando in una barca, sullo specchio orizzontale del lago di Tiberiade (Mt 13,1-2). D’altro lato, però, anche nel Discorso della montagna c’è una sorta di orizzontalità nello stare seduto di Gesù, circondato dai discepoli (e non più dalla folla, come nel caso delle parabole): tra l’altro, essi «si avvicinarono» (prosélthon) a lui. Si ha, così, una scena magisteriale perché Cristo è nella postura del maestro in cattedra. A questo punto passiamo ai verbi «fisiologici» che coinvolgono occhi e bocca, vista e loquela: «vedendo (idôn) … aperta la bocca (anoíxas to stóma) … insegnava (edídasken) … dicendo (légôn) …».
Merita attenzione la formula «grafica» (così è definito dagli studiosi questo particolare participio) dell’«aprire la bocca», usata anche per il Discorso in parabole (Mt 13,35), ove è però frutto di una citazione del Salmo 78,2 applicata a Gesù. La locuzione era già usata anche nel Salmo 119,131: «Apro anelante la bocca, perché desidero i tuoi comandamenti» (si veda Gb 29,23 ove si descrive, invece, l’ascolto «a bocca aperta» delle parole di un sapiente). Ebbene, nella tarda tradizione giudaica l’espressione designava l’accoglienza della Tôrah, della Legge divina, spasmodicamente desiderata come nutrimento dell’anima (così i rabbini medievali Ibn ‘Ezra di Toledo e Kimchi-Radaq di Narbonne). Anzi, la formula «sulla bocca» era divenuta nell’antico ebraismo una sorta di definizione della Tôrah orale donata da Mosè sul Sinai al popolo assieme a quella scritta da lui tramandata a Giosuè e agli anziani e successivamente affidata ai profeti e così via (Mishnah Ἀvôt 1,1).
Gesù nuovo Mosè o voce divina?
Con questa solenne evocazione della bocca di Gesù si presenta al lettore attento una domanda: qual è la figura di Cristo che Matteo sta dipingendo, mentre lo colloca simbolicamente assiso come maestro sul nuovo Sinai? Si confrontano due soluzioni entrambe suggestive. La prima è quella più comune: Gesù è il «nuovo Mosè» (così Dale C. Allison e così anche papa Francesco nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù del 2014). Con una curiosa e un po’ maccheronica espressione latina, Lutero parlava di Gesù come di un Mosissimus Moses, un Mosè all’ennesima potenza che non è «venuto ad abolire la Legge o i Profeti ma per condurli alla loro pienezza» (Mt 5,17). Effettivamente la cornice ambientale sopra citata, come si è detto, raffigura quasi un Cristo in cattedra, circondato dai suoi discepoli, alonato in basso da una folla, un po’ come Mosè coi settanta anziani sulla vetta del Sinai e il popolo di Israele nella valle. Da lassù egli dona la Tôrah reinterpretata e portata alla sua pienezza.
C’è, però, un’altra e sorprendente interpretazione avanzata da alcuni esegeti, in particolare da John P. Meier e Ulrich Luz: Cristo non è tratteggiato da Matteo come Mosè ma è la stessa voce e la presenza di Dio, che consegna ai d...