I grandi personaggi della Storia
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I grandi personaggi della Storia

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I grandi personaggi della Storia

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Pensatori, condottieri, artisti, scienziati, regnanti e statisti: quali sono stati i grandi protagonisti che hanno cambiato la storia, dando il proprio nome e volto a intere epoche? E quali i personaggi più influenti sulla società, la politica, l'arte, il costume, il sapere? In questo volume gli storici e documentaristi di History, il canale tematico più famoso e conosciuto, ripercorrono oltre trenta secoli di storia raccontando le vicende di quaranta personaggi di ogni epoca e paese: da Ramses a Bill Gates, passando per Aristotele, Cleopatra, Marco Polo, Michelangelo, Napoleone e Gandhi. I trionfi e le sconfitte, le virtù e le passioni degli uomini e delle donne che hanno segnato il percorso dell'umanità vengono raccontati in ogni sfumatura: una lettura ricca di aneddoti sconosciuti e di interessanti riflessioni.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
ISBN
9788852071126
Argomento
History
Categoria
World History
1

RAMSES II

Il grande faraone
Se si dovesse indicare un solo personaggio che rappresenti la grandezza dell’antica civiltà egizia, la scelta ricadrebbe sicuramente sul faraone Ramses II. Regnò per più di sessant’anni e fu promotore della maggiore espansione territoriale e culturale dell’Egitto, protagonista della mitica battaglia di Qadesh, costruttore senza precedenti di templi e monumenti, sposo della bella Nefertari, padre di più di novanta figli... Nelle quattro statue colossali che lo raffigurano all’ingresso del tempio di Abu Simbel sembra contemplare l’eternità, certo d’essere riconosciuto. E non si sbaglia, dal momento che l’eco della sua voce risuona ancora dopo tremila anni. La vicenda di Ramses II è la storia dello splendore della civiltà egizia, quella che tutti, senza parole di fronte alla magnificenza del suo spettacolo, evochiamo nel contemplare i resti di una delle culture più affascinanti nella storia dell’umanità.
Ramses II (“nato da Ra, amato da Amon”) è stato il più importante faraone del cosiddetto Nuovo Regno. È difficile stabilire con certezza in quale momento il suo regno ebbe inizio, perché le fonti che abbiamo a disposizione (sostanzialmente gli elenchi dei faraoni che venivano collocati nei templi) sono imprecise. Nonostante gli egizi misurassero il tempo basandosi su un calendario solare quasi perfetto, di trecentosessantacinque giorni, integrato da un calendario lunare e da un terzo che prendeva come riferimento il ciclo della stella Sirio, il loro modo di concepire il tempo, e in particolare la storia, non era come il nostro. Gli elenchi dei faraoni sono serie di nomi accanto ai quali venivano indicati il numero degli anni di regno e alcune informazioni considerate importanti. Dunque gli egizi non sentivano il bisogno di scrivere la loro storia nei termini in cui lo facciamo noi. Nella loro cultura era essenziale il concetto di continuità e perciò non c’era ragione di raccontare gli avvenimenti a partire da un’origine, ma di proseguire la sequenza aggiungendo via via gli accadimenti nuovi. La prima storia scritta dell’antico Egitto a partire dalle sue origini fu compilata dal sacerdote Manetone nel III secolo a.C., su incarico del secondo successore di Alessandro Magno, Tolomeo II Filadelfo. A lui si deve la suddivisione della storia dell’Egitto in dinastie, quella a cui ci riferiamo ancora oggi. Già nel XIX secolo, con l’inizio dell’egittologia, la storia dell’antica civiltà egizia sarebbe stata ripartita in tre grandi periodi – Antico, Medio e Nuovo Regno –, separati da varie fasi d’instabilità denominate “periodi intermedi”. Ognuno comprende varie dinastie. Ramses II salì al trono tra il 1304 a.C. e il 1279 a.C. (è questo l’intervallo d’incertezza stabilito dagli studiosi), vale a dire durante il Nuovo Regno, quando la civiltà egizia aveva già quasi duemila anni.
Tutta la storia dell’Egitto è segnata dalla posizione geografica in cui si è dipanata: la pianura alluvionale del Nilo, compresa nel deserto su entrambi i lati occidentale e orientale. I luoghi determinarono due caratteristiche essenziali nella formazione della cultura egizia: da una parte l’isolamento dagli altri popoli e dall’altra la dipendenza dalle piene annuali del fiume. La principale zona di contatto con altre genti, soprattutto con quelle che abitavano le odierne Palestina e Siria, era il delta del Nilo, a nord, nel cosiddetto Basso Egitto. Durante il Nuovo Regno il paese dei faraoni si aprì come mai prima d’allora a rapporti con culture straniere, per ragioni tanto belliche quanto commerciali. Il regno di Ramses II in questo senso è paradigmatico e in una certa misura il benessere materiale che lo caratterizzò si spiega con queste relazioni.
Le piene del Nilo permisero il fiorire della cultura egizia, che altrimenti sarebbe stata condannata a svilupparsi in condizioni simili a quelle dei beduini. Lo straripamento annuale del fiume significava il deposito di limo sulle terre disposte lungo le rive, e questo fertilizzava un suolo che altrimenti non avrebbe potuto essere coltivato. L’importanza delle piene era tale che negli elenchi dei re per ogni anno si segnava il livello raggiunto dalle acque. Questo legame tra i faraoni e le piene era alla base del modo d’intendere la società. Gli antichi egizi non conobbero mai forma di governo diversa dalla monarchia, poiché nella loro concezione del mondo solo la monarchia poteva garantire il mantenimento dell’ordine costituito durante la creazione. Nel periodo predinastico fu attribuita ai signori locali la condizione di regalità, legittimandoli attraverso il vincolo tra tale condizione e l’origine mitica degli dei Osiride, Horus e Seth. In questo modo la regalità era “contenuta” nella creazione e diventava parte essenziale della religione. Gli dei avevano stabilito che creare i faraoni fosse un mezzo imprescindibile per preservare l’ordine dato al mondo. Il faraone creava ordine con la sua sola presenza e parte essenziale dell’ordine del mondo era la regolarità delle piene del Nilo.
D’altra parte solo i faraoni potevano fare da mediatori tra gli uomini e le molteplici divinità del pantheon egizio. Solo loro, o i sacerdoti a cui delegavano le funzioni religiose, potevano venerare gli dei all’interno dei templi, dal momento che solo loro avevano la facoltà di comunicare con il mondo divino. I faraoni erano quindi il vertice di una società che concepiva se stessa in termini religiosi. Come scrive l’egittologo Antonio Pérez Lagacha, «per sentirsi sicuri, gli egizi avevano bisogno di qualcosa che stesse al di sopra delle loro forze e della loro conoscenza: divinità che si prendessero cura dei loro interessi attraverso un intermediario, il re». Dai faraoni dipendeva la protezione del popolo da tutto ciò che rappresentava il caos e il disordine, ossia tutto quello che poteva mettere in pericolo l’ordine conosciuto, come l’assenza di piene del Nilo o gli attacchi di altri popoli. Pochi faraoni tennero a bada il caos come Ramses II nei suoi quasi sessantasette anni di regno.

Una nuova dinastia

A differenza di molti suoi predecessori, Ramses II proveniva da una famiglia che non aveva origini regali. Horemheb, l’ultimo faraone della XVIII dinastia, essendo privo di discendenza, verso la fine del suo regno (1323-1295 a.C.) decise di nominare principe reggente un uomo di sua fiducia che apparteneva alla casta militare: Pramesisu, nonno di Ramses II. Quando Horemheb morì, Pramesisu gli successe al trono con il nome di Ramses I, dando inizio alla XIX dinastia, quella che s’identifica con il periodo aureo della cultura egizia. Ramses I non sarebbe riuscito a regnare nemmeno due anni; gli successe suo figlio Seti I, che prima di morire – seguendo l’esempio di Horemheb – aveva associato al trono nominandolo coreggente. Le fonti non consentono di stabilirlo con certezza, ma tutto sembra indicare che al momento della salita al trono di Ramses I il nipote fosse già nato: perciò è possibile immaginare che il futuro faraone subì un forte influsso da parte dei suoi predecessori, il padre e il nonno.
Seti I fu soprattutto il faraone “restauratore”. Tra i numerosi sconvolgimenti subiti dall’Egitto nel corso della sua storia, quello che rappresentò la maggiore rottura con l’ordine tradizionale ebbe luogo verso la fine della XVIII dinastia, sotto il regno di Amenofi IV (noto anche come Amenhotep IV), a causa della cosiddetta eresia amarniana. Nel suo quinto anno di regno Amenofi IV decise di spezzare la tradizione religiosa egizia che faceva di Amon il centro del culto e di conseguenza conferiva ai suoi sacerdoti un ruolo predominante nella vita politica. Al posto di Amon mise il dio Aton (il disco solare). Gli dei del vecchio pantheon furono messi al bando in favore di Aton e si intrapresero molti cambiamenti radicali. Tanto per cominciare, lo stesso Amenofi IV mutò il nome in Akhenaton (“colui che agisce per il bene di Aton”) e trasferì la capitale da Menfi a una nuova città, che chiamò Akhet-Aton (“orizzonte di Aton”). Furono chiusi gli antichi templi, confiscate le loro ricchezze, soppressa la classe sacerdotale; il potere fu tolto alla vecchia oligarchia e trasferito ai seguaci del dio Aton. In quanto unico dio, Aton era inoltre considerato universale, creatore di tutti gli uomini e di tutti gli esseri viventi, che illuminava allo stesso modo e che, di conseguenza, davanti a lui erano uguali. Che tali straordinari cambiamenti fossero accompagnati da una politica pacifista non appare quindi così strano, e neppure che tale politica fosse sfruttata dagli eterni nemici ittiti, che avanzarono nel Nord dell’Egitto. Le conseguenze politiche, economiche e dinastiche del periodo amarniano divennero sempre più insostenibili con la fine della XVIII dinastia. Quando Seti I salì al trono, aveva ben chiaro che il recupero della tradizione sarebbe stato la principale fonte di legittimazione del suo potere e perciò del rafforzamento della sua autorità.
Così, durante l’infanzia di Ramses, Seti I portò a termine un’intensa politica di ricostruzione degli antichi templi, per la quale si spinse varie volte in Nubia, a sud dell’Egitto, con lo scopo di recuperare materiali – oro soprattutto – e manodopera a basso prezzo. La mancanza delle risorse che in precedenza provenivano dal Nord, a causa della perdita dei possedimenti in Siria e in Palestina, era un altro degli aspetti che il faraone, nel suo ruolo di restauratore dell’ordine, doveva affrontare. Bisognava riaffermare l’autorità egizia su quei paesi e il faraone, consapevole di ciò che questo significasse, condusse una campagna nel Sud della Palestina già durante il suo primo anno di regno. A questa campagna sarebbero seguite altre imprese di riconquista, in cui le truppe di Seti I sconfissero i libici, nella parte occidentale del delta del Nilo, e gli ittiti a nord, riprendendo addirittura la città di Qadesh, sul fiume Oronte, oggi nella Siria occidentale vicino al confine con il Libano. Il significato simbolico di queste campagne era enorme per la società egizia, tanto che, come sottolinea il professor Pérez Lagacha, durante il Nuovo Regno tutti i faraoni vi avrebbero fatto riferimento: «Nel Nuovo Regno una delle prime azioni di governo era di condurre una campagna militare all’estero per far vedere che niente era cambiato, che l’ordine era intatto e che i nemici dell’Egitto venivano sempre sconfitti».
Ramses crebbe nella consapevolezza che sarebbe stato faraone d’Egitto e ricevette un’educazione consona al ruolo di erede al trono. Venne istruito scrupolosamente nella lettura, nella scrittura, nella religione e, naturalmente, in tutto ciò che riguardava la disciplina e le tattiche militari, specialmente nell’utilizzo dei due strumenti di guerra più avanzati del momento, l’arco e il carro, di cui gli ittiti erano veri maestri. L’esperienza acquisita vivendo accanto al nonno e al padre gli avrebbe insegnato inoltre l’importanza che per la stabilità interna dell’Egitto avevano il mantenimento di un prudente equilibrio con il clero di Amon, la custodia della tradizione, l’attenzione a ogni mossa degli ittiti. Il ruolo delle discipline militari nella sua formazione di futuro regnante si mostra direttamente legato alla nomina, appena ragazzo, di comandante in capo dell’esercito, anche se probabilmente la carica aveva soprattutto carattere onorifico, dal momento che è difficile immaginare che un ragazzino potesse prendere parte a uno scontro armato con guerrieri adulti e ben addestrati. In ogni caso la partecipazione del principe ereditario ad azioni militari cominciò molto presto, dato che l’abilità in guerra era considerata determinante per il faraone, parte essenziale della sua missione di garante dell’ordine. Verso i quindici anni Ramses II accompagnò il padre in una delle campagne contro i libici nel delta occidentale e un anno più tardi poté assistere agli scontri armati sui confini dei possedimenti ittiti in Siria. Intorno ai vent’anni condusse la sua prima campagna militare come effettivo comandante, con lo scopo di soffocare una ribellione in Nubia. Fece ritorno vittorioso e sembra quindi logico, come fa notare l’egittologo Ian Shaw, che «salvo pochissime eccezioni ogni principe ereditario ramesside ostentò il titolo, onorifico o effettivo, di “comandante in capo dell’esercito”, come vediamo per la prima volta in Horemheb, il fondatore della dinastia».
Ogni passo, ogni decisione presa da Seti I in relazione al figlio teneva conto del fatto che prima o poi Ramses sarebbe dovuto succedergli. Anche la designazione a principe coreggente, quando era ancora ragazzo – esattamente come Ramses I aveva fatto con Seti –, era parte del programma d’istruzione. D’altro canto la dinastia era nuova ed era quindi naturale che cercasse di rafforzare il vincolo successorio, tanto più conoscendo i gravi problemi che a tal proposito si erano presentati durante la fase finale della XVIII dinastia. La nomina di Ramses a principe coreggente era un modo per assicurare agli egizi che la successione al trono tornava di nuovo ereditaria. La questione successoria era della massima rilevanza per il consolidamento del potere reale: ecco perché veniva data tanta importanza al fatto che il faraone potesse assicurarsi un erede di sangue. Il gran numero di spose reali non ne era che una conseguenza. Quante più donne in età fertile passavano dal letto del faraone, tante più possibilità questi aveva di garantirsi una successione, specialmente in un mondo in cui la mortalità infantile era alta, si pensa intorno a un terzo. Per tale ragione Seti I regalò al figlio coreggente un nutrito harem. Avere un erede faceva parte degli obblighi del re e, a quanto pare, Ramses II s’impegnò a svolgere diligentemente il proprio compito.
Già con Seti I ancora in vita è documentata l’esistenza di almeno dieci figli maschi e parecchie figlie femmine. Ramses II ebbe sei spose reali, varie minori e innumerevoli concubine: questo gli permise di arrivare all’incredibile cifra di più di novanta figli. La preoccupazione per la successione ebbe effetto anche nelle espressioni artistiche dell’epoca, come testimoniano, fra l’altro, le decorazioni del tempio di Beit el-Wali, che rappresentano la prima campagna militare di Ramses. I rilievi mostrano il futuro faraone nell’atto di combattere i nemici, che cadono uccisi da una pioggia di frecce sotto le ruote del suo carro, su cui due suoi figli (Amon-her-wenemef, l’erede al trono, e Khaemwaset) si godono lo spettacolo. Come sottolinea il professor Shaw, «durante tutto il periodo ramesside i principi ereditari, che durante la XVIII dinastia vengono rappresentati solo occasionalmente nelle tombe dei loro precettori e delle loro bambinaie, che non appartenevano alla famiglia reale, compaiono spesso nei monumenti dei loro genitori, forse con l’intenzione di enfatizzare il fatto che le prerogative reali della nuova dinastia erano di nuovo completamente ereditarie». In modo conforme a quanto previsto, alla morte di Seti I, intorno all’anno 1279 a.C., Ramses II diventò faraone. Aveva poco più di vent’anni ed era stato preparato a svolgere il suo ruolo sin da bambino. Era un giovane colto, dotato d’intelligenza politica, di abilità guerriere e di tutto il necessario per affrontare il rilevante compito di assicurare l’ordine dell’universo egizio.

Combattere il caos: la battaglia di Qadesh

Durante i primi tre anni di regno Ramses II non condusse alcuna campagna militare e concentrò tutti i suoi sforzi nel consolidamento della posizione appena raggiunta, attraverso l’avvio di un’intensa politica di ricostruzione di templi e monumenti, che sarebbe diventata il segno distintivo del suo regno. Una delle misure prese, però, rivelava già le sue mire espansionistiche: il trasferimento della sua residenza da Tebe, nella media valle del Nilo, ad Avaris, ai limiti orientali del delta, che da quel momento si chiamò Pi-Ramses (“casa di Ramses”). È vero che da lì provenivano i suoi antenati, ma le ragioni fondamentali per le quali il faraone decise di trasferire la residenza erano di ordine politico e tattico. Dalla zona orientale del delta Ramses II poteva controllare più da vicino la problematica frontiera asiatica; in caso di necessità le campagne militari avrebbero raggiunto gli obiettivi molto più velocemente, dato che Pi-Ramses era strategicamente situata nei pressi della strada che conduceva alla Palestina e alla Siria.
Lasciando Tebe, inoltre, Ramses II faceva un’intelligente scommessa economica, perché stabilire la capitale così a nordest del paese poteva favorire gli scambi commerciali e culturali con le ricche popolazioni dell’area mediorientale. Tutto questo fece del regno del terzo faraone della XIX dinastia una delle epoche più prospere e culturalmente cosmopolite della storia dell’Egitto antico. Come afferma l’egittologo Ian Shaw, «non ci volle molto perché Pi-Ramses diventasse il centro commerciale e la base militare più importante del paese». La città stessa era l’immagine della ricchezza indotta dal mutamento, perché – spiega lo storico Joaquín Muñiz – «era divisa in due grandi quartieri, uno consacrato alla grande dea madre dell’Asia Anteriore, Ishtar, e l’altro all’antica dea madre del delta, Uadjet, che ne era protettrice».
Una volta che si fu sistemato a Pi-Ramses, il nuovo faraone non tardò a mettere in chiaro con il re ittita Muwatalli quali fossero i suoi obiettivi. Nel quarto anno di regno organizzò una prima campagna allo scopo di recuperare il vassallaggio del paese degli amorrei, in quel momento sotto il dominio ittita, che era essenziale ad assicurare il controllo della costa della Siria e di conseguenza delle comunicazioni marittime dell’Egitto. Non si fece in tempo a festeggiare il ritorno vittorioso delle truppe egizie, che Muwatalli rispose con un’offensiva che gli permise di riappropriarsi delle posizioni perdute. La prospettiva di una risposta che prendesse la forma di un’avanzata egizia verso nord spinse Muwatalli a stabilire i contatti necessari a costituire una grande coalizione antiegizia, che raccolse una ventina di tribù e di piccoli Stati di Anatolia e Siria. Le due potenze più importanti del momento erano pronte ad affrontarsi per il dominio del Mediterraneo orientale. Lo scontro definitivo ebbe luogo nella battaglia di Qadesh.
All’inizio del quinto anno di regno Ramses II cominciò a organizzare un potente esercito con cui combattere contro Muwatalli e i suoi alleati. Quattro grandi Corpi d’Armata formati da soldati egizi – quello di Amon proveniente da Tebe, con in testa lo stesso Ramses II, e quelli di Ra, Ptah e Seth, rispettivamente da Heliopolis, Menfi e Pi-Ramses – e le truppe dei mercenari shardana e amorrei si fecero incontro al re ittita. Si trattava di quasi ventimila uomini, ma la coalizione comandata da Muwatalli non era da meno. Come ha sottolineato il professor José María Santero, «si calcola che ci fosse un equilibrio numerico di forze e un equilibrio di tecniche belliche, perché l’arma più decisiva del momento, il carro da guerra, era conosciuta e utilizzata da entrambe le parti. L’unica differenza era che il carro egizio portava due uomini, un conducente e un guerriero, mentre quello ittita tre, un conducente e due guerrieri».
Quel che accadde nella battaglia di Qadesh costituisce uno dei passaggi meglio conosciuti e documentati dell’antichità, in parte per l’incredibile lavoro di propaganda intrapreso da Ramses II successivamente ai fatti, con iscrizioni e raffigurazioni in templi e monumenti, e in parte perché è stato conservato un racconto ufficiale dell’avvenimento, il Poema di Pentaur. Naturalmente si tratta di fonti che trasmettono la versione egizia dei fatti, più conveniente per il faraone, e quindi presentano come una grande vittoria di Ramses II quello che in realtà fu uno scontro senza un vero vincitore.
Verso la fine del mese di aprile del quinto anno di regno, Ramses II lasciò la fortezza di Tharu alla testa del Corpo di Amon. Lo seguivano nell’ordine quello di Ra, di Ptah e di Seth. L’esercito attraversò la Palestina fino ad Amurru e, dopo un mese, giunse nella valle del fiume Oronte, da cui si scorgeva la città di Qadesh, in cui il faraone credeva fosse riunito l’esercito di Muwatalli. In base alle fonti, che forse in questo modo giustificano il successivo errore tattico di Ramses II, due spie del re ittita arrivarono all’accampamento egizio facendosi passare per disertori e diedero al faraone informazioni false sulla posizione e la situazione delle truppe nemiche. Assicurarono che Muwatalli, impressionato dall’imponenza dell’esercito egizio, aveva deciso di ripiegare verso nord, in direzione di Aleppo, per evitare lo scontro. La realtà, però, era ben diversa. Le truppe della coalizione aspettavano che gli egizi cadessero nel tranello, rimanendo nascoste dietro la fortezza di Qadesh, al riparo da occhi nemici.
La notizia della ritirata di Muwatalli impaurito esaltò l’animo guerriero del giovane Ramses II. Senza pensarci due volte il faraone prese il comando del Corpo di Amon, dopo aver concordato con gli altri un punto d’incontro vicino a Qadesh, e attraversò l’Oronte per dare la caccia all’esercito ittita. Mentre si spostava verso il luogo prestabilito, senza avvedersi di nessun pericolo, il Corpo di Ra subì l’assalto devastante dei carri ittiti. Non riuscendo a reagire per la sorpresa, le file dei reparti egizi sbandarono e finirono per soccombere sotto le frecce nemiche. I soldati sopravvissuti fuggirono verso la zona in cui si trovava il Corpo ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I grandi personaggi della storia
  4. Premessa
  5. 1. RAMSES II. Il grande faraone
  6. 2. CONFUCIO. Il saggio che voleva governare
  7. 3. ARISTOTELE. Il maestro dei filosofi
  8. 4. ALESSANDRO MAGNO. Il conquistatore
  9. 5. GIULIO CESARE. Il dittatore di Roma
  10. 6. CLEOPATRA. L’ultima regina d’Egitto
  11. 7. GESÙ DI NAZARET. Il profeta delle tre culture
  12. 8. ATTILA. Il flagello di Dio
  13. 9. MAOMETTO. Il padre dell’islam
  14. 10. CARLO MAGNO. L’imperatore europeo
  15. 11. ELEONORA D’AQUITANIA. La donna che governò in un mondo di uomini
  16. 12. RICCARDO CUOR DI LEONE. Il re delle crociate
  17. 13. MARCO POLO. Il viaggiatore delle meraviglie
  18. 14. GIOVANNA D’ARCO. La guerriera santa
  19. 15. CRISTOFORO COLOMBO. L’intrepido navigatore
  20. 16. LEONARDO DA VINCI. Il genio oltre l’arte
  21. 17. MICHELANGELO. L’artista eterno
  22. 18. MARTIN LUTERO. Il riformatore della cristianità
  23. 19. FILIPPO II. Il monarca dell’egemonia spagnola
  24. 20. ELISABETTA I. La Regina Vergine
  25. 21. MIGUEL DE CERVANTES. Il soldato scrittore
  26. 22. ISAAC NEWTON. L’esploratore dell’universo
  27. 23. VOLTAIRE. Lo spirito dell’Illuminismo
  28. 24. GEORGE WASHINGTON. Il soldato della libertà
  29. 25. NAPOLEONE BONAPARTE. Il corso che dominò l’Europa
  30. 26. BEETHOVEN. Il musicista della passione
  31. 27. SIMÓN BOLÍVAR. Il liberatore dell’America Latina
  32. 28. CHARLES DARWIN. Il padre della biologia moderna
  33. 29. KARL MARX. Il filosofo rivoluzionario
  34. 30. MARIE CURIE. La scienziata altruista
  35. 31. MAHATMA GANDHI. Il pacifista ribelle
  36. 32. WINSTON CHURCHILL. L’uomo che affrontò il nazismo
  37. 33. ALBERT EINSTEIN. Il genio etico
  38. 34. PABLO PICASSO. Lo sguardo del XX secolo
  39. 35. ADOLF HITLER. Il carnefice dell’Europa
  40. 36. NELSON MANDELA. Il liberatore di un popolo
  41. 37. GIOVANNI PAOLO II. Il papa della Cortina di Ferro
  42. 38. MARGARET THATCHER. La Lady di Ferro
  43. 39. MICHAIL GORBAČËV. L’architetto della «perestrojka»
  44. 40. BILL GATES. Il pioniere del futuro
  45. Bibliografia
  46. Copyright