La voce del mistero
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La voce del mistero

  1. 224 pagine
  2. Italian
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La voce del mistero

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Con La voce del mistero Osho, una delle più grandi figure della spiritualità del XX secolo, pone l'accento su una delle differenze di fondo fra la cultura occidentale e quella orientale. L'Occidente ha una scienza del pensiero che si basa sulla ricerca, sulla logica, sull'analisi razionale. L'Oriente ha invece sperimentato che esistono realtà di cui nulla può essere conosciuto tramite il pensiero. Perché il pensiero non è mai originale. Solo Darshan, la "visione", può esserlo. Di conseguenza, a eccezione dei veggenti, non esistono pensatori originali. Occorre dunque imparare a mettere da parte il pensiero: soltanto così il mistero celato negli oggetti potrà penetrare nel nostro essere, e noi li potremo conoscere dal loro interno. E la realtà potrà essere vissuta, nel profondo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
ISBN
9788852073038

La scelta è sempre nelle tue mani

In passato hai affermato che tutte le discipline spirituali sono false, perché noi non siamo mai stati separati da Dio. Significa dunque che lo stato di inconsapevolezza è falso? Che l’evoluzione del corpo e della mente è falsa? Che anche la fine dei condizionamenti è falsa? Che il passaggio dal livello materiale a quello sottile non esiste? Che la preparazione per il viaggio dal primo al settimo corpo non serve a nulla? Che il lungo processo di crescita della kundalini è solo un’illusione? Per favore spiega.
Prima di tutto, quando io definisco una cosa falsa, quando dico che non è vera, non vuol dire che non esista. Anche una bugia ha una sua esistenza. Non sarebbe possibile definirla una bugia se non esistesse. Una bugia possiede una sua esistenza, e lo stesso vale per il sogno. Quando diciamo che un sogno è falso, non vuol dire che non esista. Vuol dire solo che l’esistenza di un sogno è psicologica, non reale. È una fantasia della mente, non una realtà.
Quando diciamo che il mondo è maya, illusione, non vuol dire che sia inesistente. Infatti, se il mondo non esistesse, a chi staresti parlando? E chi sarebbe a parlare? E perché? Quando qualcuno dice che questo mondo è un’illusione, quanto meno dà per scontato che chi parla esiste, e così chi ascolta. Dà anche per scontato che qualcuno ha bisogno di spiegare e qualcun altro di capire. Almeno questa verità è data per certa. Quindi, quando definiamo questo mondo un’illusione, non vuol dire che non esiste, ma che sembra avere un’esistenza. Definire maya questo mondo vuole dire semplicemente che non è quello che sembra, ma è solo un’apparenza. Non sembra ciò che realmente è, ma ciò che non è.
Per esempio, un uomo cammina lungo una strada, al buio. Vede un pezzo di corda e, scambiandolo per un serpente, scappa per salvarsi la vita. Qualcuno gli dice che non era un serpente, che quello che ha visto è falso, che sta scappando senza motivo. Ebbene, cosa significa tutto questo? Dire che il serpente era falso non vuol dire che quell’uomo non lo abbia visto, altrimenti non sarebbe scappato; egli ha visto il serpente. Per ciò che riguardava i suoi occhi, il serpente stava là.
Dato che lui aveva visto… E se la corda non ci fosse stata, non avrebbe potuto vedere un serpente nel nulla. Per cui la corda ha senza dubbio rafforzato la sua illusione. Ciò che lui ha visto interiormente, è diverso da ciò che esisteva all’esterno: c’era una corda e lui l’ha scambiata per un serpente. Non ha visto la corda come tale, cioè per quello che era: gli è sembrata un serpente, cosa che non era. Pertanto egli non ha visto ciò che era, ma ciò che non era. Di fatto, ciò che non esisteva è stato sovrapposto a ciò che esisteva.
Pertanto, quando usi parole come falsità, bugia, illusione, apparenza, tieni bene in mente una cosa: esse non implicano la non esistenza. Prendi, per esempio, quest’uomo che è scappato credendo che la corda fosse un serpente. Se provi a convincerlo che per strada non c’è alcun serpente, rifiuterà di crederti: insisterà di averlo visto. Puoi persuaderlo a tornare indietro a controllare, ma lo farà solo se gli dai un bastone per sua sicurezza. Tu sai benissimo che il serpente non c’è e che quindi il bastone è inutile, ma per lui che è convinto del contrario, quel bastone è molto importante. Ebbene, se acconsenti a dargli un bastone, per sua sicurezza, qualcuno potrebbe chiederti: «Se il serpente non esiste, perché gli dai un bastone? Questo dimostra che anche tu credi al serpente». Ma tu puoi replicare: «Il serpente non esiste, è falso, ma lui lo ha visto e ha paura di tornare là. Per lui il serpente è reale». Per questo gli dai il bastone e gli dici: «Se c’è un serpente, uccidilo». E se non c’è, il problema è risolto.
Quello che l’uomo vede nella vita non è la verità della vita. Solo quando si è completamente consapevoli si può conoscere la verità della vita. La verità viene inquinata dalla menzogna nella misura in cui si è inconsapevoli; le cose appaiono distorte e adulterate in proporzione a quanto si è inconsapevoli. Da un lato, ciò che ci appare non è la realtà. Perciò, quando si fa presente a una persona inconsapevole che ogni cosa è falsa e illusoria, essa rifiuta di crederci. Dice: «Come posso pensare che tutto sia un’illusione? Mio figlio è malato: come può essere un’illusione? Io ho fame: come posso considerarla un’illusione? Ho bisogno di una casa: come posso credere che tutte queste cose siano un’illusione? Ho un corpo: quando qualcuno mi colpisce con una pietra sento male, il corpo sanguina e provo dolore».
Ebbene, cosa potrai mai fare? Bisognerà trovare qualche stratagemma per risvegliare quest’uomo. E tutti questi stratagemmi sono di natura simile a quella del bastone. Il giorno in cui si risveglierà, farà di questi stratagemmi ciò che di certo avrà fatto quell’uomo con il bastone che gli hai dato: è tornato dove aveva visto il serpente, ha trovato una corda, ha riso di sé e ha buttato via il bastone, dicendo: «Il serpente non esiste. Non serve che porti con me un bastone». E potrebbe tornare da te e stupirsi perché gli hai fatto portare inutilmente un bastone, visto che non c’era alcun serpente.
Ciò che io chiamo meditazione, kundalini e tecniche di disciplina spirituale, sono essenzialmente metodi per cercare ciò che non esiste. Il giorno in cui scoprirai senza ombra di dubbio che ciò che hai visto non esiste, tutte le tecniche e i metodi si riveleranno inutili e senza senso. Quel giorno comprenderai che la malattia era falsa, e altrettanto lo era la cura. In realtà, non può esservi alcuna cura per una falsa malattia, o pensi il contrario? Se la malattia è falsa, la cura non può mai essere vera. Una falsa malattia richiede una falsa cura: è l’unica guarigione possibile. Due bugie si negano tra loro. Ecco perché quando dico che tutte le tecniche di disciplina spirituale sono false, intendo dire questo: di fondo, quello che stiamo cercando non è mai andato perduto.
La corda, nel nostro esempio, è sempre stata una corda; nemmeno per un secondo si è tramutata in un serpente. È sempre rimasta lì come corda. È solo successo che quell’uomo ha perso di vista la corda. Nemmeno per un istante essa si è tramutata in un serpente, ma per lui lo era diventata: un serpente che non è esistito nemmeno per un secondo.
Ebbene, questo crea ovviamente una paralisi, una situazione piuttosto complicata. Nella realtà quella è una corda, ma sembra un serpente. Il serpente dev’essere ucciso per trovare la corda, altrimenti non la si può trovare, e senza trovare la corda non si può uccidere il serpente. Dunque, bisogna fare qualcosa.
D’altra parte, cosa pensi che accadrebbe facendo qualcosa in un caso come questo? Al massimo, arriveremo a vedere che ciò che non è mai stato, non è; e ciò che è, sarà visibile davanti ai nostri occhi. E il giorno in cui questa comprensione affiorerà in noi, avremo forse raggiunto qualcosa? Potremo forse dire di aver perso il serpente e trovato la corda? No, perché non è mai stato possibile perdere il serpente, dal momento che è sempre esistita solo una corda. Il fatto di trovarla era fuori discussione, poiché essa è sempre stata là.
Quando il Buddha raggiunse l’illuminazione, la gente venne e gli chiese: «Cos’hai raggiunto?».
Il Buddha rispose: «La domanda è senza senso, io non ho raggiunto nulla».
«Vuoi dire che per tutto questo tempo hai lavorato invano?» chiesero. «I tuoi anni di ricerca e sacrifici non hanno portato ad alcun risultato?»
«Se mi fate domande in termini di risultati, i miei sforzi sono certamente stati vani, perché io non ho raggiunto nulla. E tuttavia vi dico: seguite la stessa strada che ho percorso io, fate quello che ho fatto io.»
«Sei uscito di senno?» dissero. «Perché dovremmo fare qualcosa che si è rivelata così infruttuosa?»
Il Buddha rispose: «Io non ho raggiunto nulla, questo è vero, ma ho senz’altro perso qualcosa che non è mai esistito; e che tuttavia io pensavo esistesse. Ciò che ho scoperto è qualcosa che già possedevo, che avevo già scoperto e che non aveva alcun bisogno di essere ritrovato. Essendo circondato da menzogne, ho trovato quello che apparentemente non esisteva».
Cosa significa? Come fare a comunicare che il già presente è stato ritrovato, il già acquisito riscoperto, e che il mai conquistato era stato smarrito?
Dunque, quando ti dico che tutti i metodi di disciplina spirituale sono falsi, non vuol dire che non li devi praticare. Sto semplicemente dicendo che sei così immerso nelle menzogne da non avere altre alternative che l’uso di mezzi altrettanto falsi per neutralizzale. Ti sei addentrato così tanto nella falsità che anche per tornare indietro devi coprire quella stessa distanza, vale a dire la strada che hai percorso seguendo quelle menzogne.
Per esempio, io faccio dieci passi in questa stanza; per uscirne dovrò fare dieci passi indietro, sempre in questa stanza. Se qualcuno dovesse persuadermi a fare dieci passi avanti per uscire, io sarei confuso, perché sono stati proprio quei dieci passi che mi hanno fatto entrare nella stanza. Ebbene, se ne facessi altri dieci, ne avrei fatti venti dentro la stanza. In realtà, quello che qualcuno mi deve mostrare è il modo per uscire dalla stanza senza addentrarmi ulteriormente. Sia come sia, dovrò sicuramente fare dieci passi, anche se ora il mio atteggiamento sarà diverso, la mia direzione non sarà la stessa e non sarò più rivolto nello stesso senso; anzi, darò le spalle a ciò che prima guardavo, e viceversa.
Noi viviamo nella menzogna. Seguendo una disciplina spirituale, cambiamo solo direzione. Dovremo vivere nelle bugie, è inevitabile. Le spalle saranno dove prima volgevi la testa, e la testa sarà dove prima volgevi le spalle. Resta il fatto che dovremo percorrere a ritroso la stessa strada fatta per entrare nelle menzogne. Il giorno in cui rifaremo quella stessa strada, la situazione si rivelerà molto divertente.
È come dare un antidoto a chi ha preso una medicina sbagliata. L’antidoto non era necessario in sé, è stato usato solo perché quella persona ha preso la medicina sbagliata. Poiché il veleno, la medicina sbagliata, era già entrato nel corpo, è stato necessario introdurre un altro veleno per contrastare il primo. Ricorda, comunque, che anche l’antidoto è un veleno. Solo un veleno può agire contro un altro veleno. Anche la seconda pozione è un veleno, con la differenza che funziona in direzione opposta. Saresti terrorizzato se un dottore ti dicesse che il tuo corpo è avvelenato, e lui ti somministrasse un ulteriore veleno. Potresti urlare: «Sto morendo avvelenato e tu mi dai dell’altro veleno!». Il dottore spiegherebbe: «Questo è un antidoto. Certo, è un veleno, ma in funzione antitetica al primo».
Per cui, quando dico che questo mondo è una menzogna, allora anche una sadhana, una disciplina spirituale, non può essere vera. Come può essere autentica una disciplina applicata a un mondo falso? Non puoi usare una spada vera per uccidere un fantasma immaginario, ti faresti male. Accertati di avere una spada falsa, per uccidere un fantasma immaginario. Se tu volessi uccidere un fantasma inesistente con un fucile autentico, ovviamente ti creeresti dei problemi: un fucile vero può ferirti. Quindi, se avessi bisogno di allontanare un fantasma, sarebbe meglio indossare un talismano invece che una spada o un fucile. È una cura falsa, un altro antidoto. È perfetto, una menzogna completamente antitetica a un’altra.
Tutte le discipline spirituali non sono altro che mezzi per uscire dal samsara, il mondo terreno. E poiché io definisco questo mondo terreno un’illusione, illusione nel senso che non è ciò che noi intendiamo sia…
Pertanto la domanda è: cosa possiamo fare per rimuovere questa illusione? Dobbiamo ripercorrere gli stessi passi che ci hanno fatto entrare in essa. Perché voglio ricordarvelo? Perché un ricercatore si trova sempre di fronte a un pericolo: egli usa un talismano per allontanare un fantasma; pertanto, quando funziona, si afferra saldamente a quell’amuleto, pensando che gli abbia salvato la vita. Adesso ha tanta paura di perdere l’amuleto quanta prima ne aveva del fantasma. È ovvio, come può permettersi di perdere qualcosa che gli ha salvato la vita? Dunque si è liberato dal fantasma, ma è diventato prigioniero del talismano. Ecco perché è necessario ricordargli che il talismano è altrettanto irreale di quanto lo era il fantasma. Adesso che il fantasma non c’è più, farebbe meglio a gettar via anche il talismano.
Io insisto nel ricordare a ogni ricercatore che, qualunque sadhana, qualsiasi sentiero spirituale stia seguendo, è fondamentalmente un antidoto alle menzogne. E un antidoto alle menzogne dovrà inevitabilmente essere una menzogna. Solo un veleno può sconfiggere un altro veleno, poiché funziona in direzione opposta. È essenziale aprire gli occhi al ricercatore su questo punto, altrimenti potrebbe abbandonare il samsara e aggrapparsi al sannyas, alla rinuncia, uscire dal mondo degli affari ma chiudersi nel tempio, rinunciare ai soldi ma legarsi alla meditazione. È pericoloso aggrapparsi a qualsiasi cosa, perché si trasforma in una schiavitù, sia essa il denaro o la meditazione. Il giorno in cui la meditazione non sarà più necessaria e sarà inutile, la sadhana diventerà reale.
Ovviamente, chi è arrivato sul tetto pensa che la scala non gli serva più. Se insiste a ritenerla utile e vi si aggrappa, non ha ancora raggiunto il tetto, ma deve trovarsi da qualche parte a metà strada. È possibile che qualcuno raggiunga l’ultimo gradino e si fermi lì, ma in quel caso, ricorda: quella persona è ancora tanto lontana dal tetto quanto lo era sul primo scalino. Non è ancora arrivata; in entrambi i casi ne è ancora lontana.
Puoi salire tutta la scala, ma se ti fermi all’ultimo gradino non vuol dire che hai raggiunto il tetto, bensì che sei ancora sulla scala. E questo fa la differenza. All’inizio eri sul primo gradino, adesso sul centesimo, ma sei ancora sulla scala. E chi è ancora sulla scala, certo non è sul tetto. Se vuoi stare sul tetto, dovrai fare due cose: salire la scala e, dopo aver raggiunto il tetto, liberarti di essa.
Ecco perché da una parte dico che la meditazione è utile, e allo stesso tempo sostengo che non è nulla più che un antidoto. Per questo sostengo: segui una disciplina e poi abbandonala. Quando dico queste due cose contemporaneamente, si crea ovviamente una difficoltà. È naturale che tu abbia la sensazione che da una parte io dica di agire in un certo modo, e dall’altra dichiari che tutte le sadhana sono false.
Tu chiedi, naturalmente: «Se è così, allora perché dovremmo seguirle?». La tua logica afferma: «Se alla fine bisogna abbandonare la scala, perché salirvi?».
Ricorda questo: sia chi non sale sulla scala, sia chi vi sale e arriva sul tetto, sono entrambi staccati dalla scala ma la loro esistenza avviene a livelli totalmente diversi. Uno sarà sul tetto, l’altro sarà giù a terra. Anche se nessuno di loro è sulla scala, c’è una differenza fondamentale. Uno non è sulla scala perché non vi è salito, l’altro perché vi è salito e poi l’ha abbandonata.
La vita è un grande mistero, all’interno del quale bisogna scalare alcune cose e discenderne altre, essere ben saldi in alcune cose e lasciarne perdere altre. Ma la mente umana dice: «Se vuoi aggrapparti a qualcosa, aggrappati totalmente, mentre se vuoi abbandonarla, abbandonala fino in fondo».
Questo tipo di ragionamento è pericoloso, non può portare alcun dinamismo nella vita. Io sono consapevole di entrambe le cose, e posso vedere il problema. Alcuni si aggrappano alle loro ricchezze, altri alla religione; alcuni al samsara, altri all’idea di moksha, ma fondamentalmente resta l’attaccamento.
Solo colui che non si aggrappa a nulla è liberato; solo chi è libero da ogni attaccamento, presa, richiesta o blocco, conosce la verità, e solo chi non pone condizioni. Perfino una condizione come questa, preferire di essere al tempio a pregare piuttosto che badare al negozio, può impedirti di conoscere la verità. In un caso del genere, finiresti con il conoscere solo la verità che nasce da una menzogna, come il tempio stesso. Anche porre questa condizione – voler vivere in un modo particolare, voler essere un sannyasin, un ricercatore – se anche questo diventa una condizione, non conoscerai mai la verità. Equivarrebbe a restare legati alla scala dopo aver fatto l’ultimo gradino.
Forse, ti sei chiesto spesso: «Come si può buttare via di colpo quella stessa scala che mi è stata così utile per salire?». Ti vuoi tenere ben stretto a essa. È quello che vediamo accadere tutt’intorno a noi. Per esempio, un uomo comincia a guadagnare soldi in modo da garantirsi una vita agiata in futuro; gli occorrono molti anni per ammassare il denaro, e intanto trascura di riposarsi e divertirsi. Come potrebbe riuscirci, altrimenti? Ha stabilito ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La voce del mistero
  4. L’amore è pericoloso
  5. Io insegno la morte
  6. L’ignoranza della vita è morte
  7. L’ultima libertà
  8. La religione è una ricerca della meditazione
  9. La scelta è sempre nelle tue mani
  10. Nota biografica
  11. Copyright