I trentasei stratagemmi - Le regole segrete della guerra
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I trentasei stratagemmi - Le regole segrete della guerra

  1. 168 pagine
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I trentasei stratagemmi - Le regole segrete della guerra

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Composto in Cina probabilmente durante la dinastia Ming, tra XIV e XVII secolo, il libro dei Trentasei stratagemmi contiene una serie di astuzie e trucchi da usarsi in guerra, ma anche nella vita politica e sociale, esemplificati da altrettanti aforismi, qui scelti e commentati puntualmente da Gastone Breccia, noto studioso di storia militare. Il punto di partenza, come per tutta la tradizione strategica cinese, è la compenetrazione degli opposti: yin e yang, femminile e maschile, acqua e fuoco, debolezza e forza, difesa e attacco, ombra e luce, quiete e moto, in un perpetuo, delicatissimo equilibrio, continuamente turbato e continuamente ristabilito. Che si giochi in attacco o in difesa, quindi, le doti fondamentali sono flessibilità, pazienza, capacità di sfruttare ogni minimo vantaggio offerto dal caso e dall'evoluzione degli eventi; ma anche dedizione alla causa e fermezza nel perseguire i propri obiettivi. Con la consapevolezza che nessuno riuscirà mai a vedere la fine della guerra e che non ci si può illudere di aver conquistato un risultato definitivo; ogni successo è transitorio e qualsiasi forma di irrigidimento, qualsiasi tentativo di aggrapparsi con troppa forza all'esistente è una sicura strada verso la rovina.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
ISBN
9788852072635

Introduzione

Un testo misterioso

Come si può sconfiggere chi è più forte? Come si riesce a sorprendere un invasore che ha superato gli ostacoli predisposti sul suo cammino? Se non è possibile attaccare direttamente, come trovare un’altra via verso la vittoria? Come sopravvivere in una situazione che sembra senza uscita e addirittura trarre vantaggio dall’eccessiva sicurezza dell’avversario?
Innumerevoli comandanti, in tutte le guerre, si sono trovati di fronte a interrogativi simili. Quando non si può fare conto sulla propria superiorità materiale o quando si decide comunque di non privilegiare l’uso diretto della forza, è necessario ricorrere all’intelligenza: sorprendere il nemico, disorientarlo, approfittare delle sue debolezze occultando le proprie, ingannarlo con false informazioni, indurlo a commettere errori, trascinarlo lontano dal terreno che predilige. In molte circostanze l’arte della guerra diventa un gioco sottile di ombre, finte, sorprese, inganni, stratagemmi.1
Un gioco in cui la prima regola è che non ci sono regole fisse; in cui coglie il successo chi è capace di adattarsi e chi sa essere flessibile finisce per mostrare maggiore capacità di resistenza di chi è possente, ma rigido, e si illude d’essere invincibile. L’acqua penetra ovunque, supera ogni barriera e ha più forza della roccia; soltanto chi è davvero capace di leggere la complessa trama degli eventi, mai univoca, può sfruttare ogni minimo vantaggio gli venga offerto dal destino o dagli errori del nemico.
Non ci sono regole fisse, dunque, ma solo la possibilità di adattarsi alle situazioni sempre differenti che s’incontrano lungo quella che i maestri cinesi fin dall’antichità hanno chiamato Wu Tao, la “via della guerra”. E proprio la tradizione militare del Celeste Impero ha prodotto uno dei testi più suggestivi sull’arte di guidare gli eserciti alla vittoria nelle situazioni più difficili, facendo uso più dell’astuzia che della forza. Un testo vecchio di molti secoli, ma riscoperto soltanto nel 1962, quando
l’archivio dell’Istituto politico dell’Esercito di liberazione popolare cinese fece ristampare per la circolazione interna e senza illustrazioni un trattato di origini sconosciute sui trentasei stratagemmi. Questo trattato era stato scoperto per caso nel 1941 da un certo Shu He in un negozio di Chengdu, la capitale della provincia del Sichuan. Edito dalla tipografia Xinghua di Chengdu, sulla copertina portava scritto a grossi caratteri I trentasei stratagemmi (Sanshiliu ji) e accanto, a caratteri più piccoli, Libro segreto dell’arte della guerra. [...] Una nota spiegava che il testo era l’edizione di un manoscritto a sua volta scoperto nel 1941 in un negozio di libri a Binzhou, nella provincia dello Shaanxi. Il trattato acquistato da Shu He, attualmente unico esemplare originale esistente, contiene un breve testo introduttivo, una conclusione e una parte centrale composta da trentasei paragrafi intitolati «Il primo stratagemma», «Il secondo stratagemma» e così via. In ciascuno dei trentasei paragrafi il titolo è seguito dalla formula dello stratagemma, composta a seconda dei casi da tre o quattro ideogrammi; segue un commento piuttosto astratto, spesso riferito al Libro dei mutamenti (I Ching). Ogni paragrafo è poi completato da una spiegazione nella quale viene descritta l’applicazione concreta dello stratagemma in questione sulla base di esempi, tratti esclusivamente da episodi di storia cinese.2
I trentasei stratagemmi sono dunque un testo breve e misterioso, le cui radici storiche affondano nella violenta età formativa della civiltà cinese nota come periodo degli Stati Combattenti (450 ca - 221 a.C.). Il nome della raccolta è legato a un aneddoto della Biografia di Wang Jingtze, composta all’inizio del VI secolo e compresa nel monumentale Libro di Qi. Wang, generale al servizio dell’imperatore Gaodi (479-482), fondatore dell’effimera dinastia dei Qi Meridionali, si ribellò al secondo successore, Mingdi (494-498); quando era sul punto di ottenere la vittoria, gli giunse notizia che Xiao Baojuan aveva consigliato a suo padre Mingdi la fuga. Wang commentò allora che «dei trentasei stratagemmi del signore Tan, la fuga è senz’altro il migliore»: il riferimento, che tutti allora potevano cogliere senza difficoltà, era alle ruses de guerre utilizzate da Tan Daoji, un generale dei Liu Song (420-478) celebre per la sua astuzia.
Si potrebbe pensare, quindi, che I trentasei stratagemmi circolassero già nel V secolo; ma il numero viene utilizzato dall’autore della Biografia di Wang Jingtze come sinonimo di una gran quantità e non in senso letterale. Per chiarirne il significato bisogna fare riferimento all’antica raccolta di responsi oracolari nota come I Ching, il Libro dei mutamenti:3 in essa il sei è simbolo dello yin, il principio femminile legato alla terra, a tutto ciò che è morbido e oscuro, a sua volta elemento costitutivo dei piani segreti tipici di molte strategie militari; trentasei è il quadrato di sei e l’espressione usata da Wang Jingtze ha perciò il significato metaforico di «numerosissime strategie segrete».
È dunque probabile che la codificazione della raccolta di trentasei stratagemmi sia avvenuta soltanto nel VI secolo, quando cominciò a circolare il Libro di Qi, che attingeva liberamente a un ricchissimo repertorio tradizionale di astuzie, trasmesse di generazione in generazione nella forma concisa, efficace e facilmente memorizzabile dei quattro ideogrammi. Il titolo dell’antologia sembra fare esplicito riferimento alle parole attribuite a Wang Jingtze; ma come si è detto il numero trentasei – yin al quadrato – era comunque perfetto per simboleggiare e racchiudere l’intera «saggezza stratagematica».
Un’indicazione più precisa sull’epoca della composizione della raccolta si può ricavare dai suoi numerosissimi riferimenti a I Ching: fu infatti Zhao Benxue, teorico di epoca Ming (1368-1644),4 a descrivere per primo l’essenza della guerra facendo riferimento agli oracoli del Libro dei mutamenti, usando la chiave della costante interdipendenza di yin e yang per comprendere e analizzare le tattiche di combattimento e le strategie necessarie a pianificare una campagna militare. La sua riflessione, condotta attraverso coppie di opposti, come sembrare/essere, forza/debolezza, quiete/movimento, attacco frontale/imboscata, straordinario/convenzionale, ha senza dubbio influenzato in modo decisivo l’anonimo autore dei Trentasei stratagemmi. La raccolta potrebbe essersi dunque cristallizzata nella forma che oggi conosciamo proprio nel tardo periodo Ming, ma ha comunque radici profonde nella teoria militare cinese di età classica, che ne costituisce al tempo stesso il presupposto e il quadro di riferimento, ne spiega l’origine ed è necessaria alla sua comprensione.

Il «Tao» della vittoria

La storia del pensiero militare cinese è sorprendentemente lineare: esiste una singola opera considerata come la fonte più pura della scienza strategica, ovvero I tredici capitoli (Bingfa) di Sun Tzu, il Maestro Sun,5 meglio noti in Occidente come L’arte della guerra, che risale al V o IV secolo a.C. Possediamo poi un piccolo corpus, compilato all’inizio del secondo millennio, che raccoglie altri sei testi in buona parte ispirati al capolavoro di Sun Tzu, conosciuti – assieme a Bingfa, che ne fa parte – con il titolo di Sette classici militari; infine, al di fuori di questa antologia, ma simile per carattere e impostazione, il trattato noto come Metodi militari, attribuito a Sun Pin (380-310 a.C.), scoperto nel 1972 tra i reperti del corredo funerario di un alto ufficiale della dinastia Han, al potere dal 208 a.C.6
La teoria strategica formalizzata in queste opere scorre come un fiume carsico al di sotto della storia del Celeste Impero, dall’età degli Stati Combattenti in poi. Il profondo rispetto per la tradizione del pensiero militare classico non costituisce soltanto un omaggio convenzionale ed esteriore, ma uno stimolo costante alla riflessione sul problema di come condurre la guerra in modo efficace.7 Nonostante il prolungato isolamento avesse finito per indebolire gli eserciti cinesi, limitandone la capacità di affrontare la sfida europea nel XIX secolo, l’eccezionale vitalità della teoria militare antica è testimoniata dal suo riaffiorare in un’epoca a noi molto vicina: Mao Zedong cita spesso nelle sue opere le massime di Sun Tzu, attualizzate e adattate alle condizioni di un conflitto moderno, e la strategia del Viet Minh durante la guerra d’Indocina s’ispira chiaramente a principi ricavabili da Bingfa e dagli altri testi compresi nei Sette classici.
Questi sono soltanto i casi più noti; numerosi altri comandanti, nel corso del tempo, hanno fatto tesoro degli insegnamenti contenuti nel breve trattato di Sun Tzu e nelle altre opere classiche, oltre che delle idee fondamentali che ritroviamo in ognuno dei trentasei stratagemmi. Proprio l’ininterrotta attualizzazione del Wu Tao offre una chiave di lettura per interpretare il pensiero militare cinese: l’ambizione comune ai diversi autori, infatti, non è fornire consigli tecnici specifici, legati a una particolare tipologia di armi o di organizzazione dell’esercito, ma elaborare una filosofia della guerra che possa servire sempre e comunque a chi, nel corso del tempo, si trovi nella necessità di combattere. Se la fucina in cui prende forma il Wu Tao è l’epoca degli Stati Combattenti, le conquiste concettuali che lo caratterizzano sono a tal punto avanzate e universali da poter essere oggetto di analisi e applicazione ancora oggi, più di due millenni dopo; e non c’è motivo perché non possano costituire una valida guida strategica anche per le guerre future.
Passato e presente si uniscono e si completano a vicenda come elementi vitali della stessa filosofia. Per questo I trentasei stratagemmi, come il capolavoro di Sun Tzu, possono essere letti ancora oggi con un interesse che non è stato scalfito dallo scorrere del tempo e applicati anche al di fuori dell’ambito strettamente militare. È comunque utile considerare la situazione storica di partenza: dietro le riflessioni e gli insegnamenti di Sun Tzu e degli altri autori classici, infatti, si distinguono le ombre delle grandi armate che si diedero battaglia senza sosta per quasi due secoli, plasmando le sorti della Cina antica. Nelle cronache superstiti del periodo degli Stati Combattenti – un’epoca ferrea di lotte continue, ma anche di sviluppo economico, sociale, culturale e tecnologico d’intensità forse ineguagliata8 in tutta la storia della Cina – vengono descritti eserciti di centinaia di migliaia di uomini, ben organizzati e disciplinati, in grado di sostenere scontri prolungati in campo aperto; regni capaci di mobilitare risorse sufficienti ad affrontare conflitti durissimi, che finirono per cancellare i meno potenti tra loro, soggiogati uno a uno da Cheng, signore di Ch’in, che dopo una serie di campagne vittoriose riuscì a unificare l’immensa regione che ancora porta il nome del suo paese d’origine, assumendo poi il titolo di Shih-huang-ti, il “primo onorevole imperatore” (221 a.C.).
Si compì un salto di qualità davvero impressionante. Grazie alla potenza messa in campo da regni rivali vasti e popolosi la guerra abbandonò per sempre la dimensione arcaica della razzia, per diventare
il terreno su cui si giocano vita e morte; il Tao del permanere e del perire.9
Di fronte alle immense possibilità di espansione militare, e agli altrettanto gravi pericoli, gli intellettuali e gli uomini di governo degli Stati Combattenti furono stimolati a elaborare un sistema teorico in grado di essere compreso e assimilato dai comandanti dei loro eserciti. Gli insegnamenti attribuiti ai vari maestri dell’arte della guerra venivano dunque studiati, messi in pratica, custoditi e tramandati in segreto come fonti d’ispirazione per percorrere il Wu Tao fino al successo; solo alcuni secoli dopo – all’epoca della dinastia Song (960-1279) – ne fu permessa una limitata diffusione attraverso l’antologia dei Sette classici militari.
Se le radici storiche della teoria militare cinese affondano nel turbolento periodo degli Stati Combattenti, il sistema di riferimento concettuale è invece quello delle su...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I trentasei stratagemmi
  4. Introduzione
  5. Bibliografia
  6. I trentasei stratagemmi ovvero Le regole segrete della guerra
  7. GLI STRATAGEMMI DELLA GUERRA PER VINCERE
  8. GLI STRATAGEMMI DELLA GUERRA PER RESISTERE
  9. GLI STRATAGEMMI DELLA GUERRA PER ATTACCARE
  10. GLI STRATAGEMMI DELLA GUERRA CONFUSA
  11. GLI STRATAGEMMI DELLA GUERRA TRA CONTENDENTI ALLA PARI
  12. GLI STRATAGEMMI DELLA GUERRA CHE SI PERDE
  13. Epilogo
  14. Copyright