Stalin
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Biografia di un dittatore

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Biografia di un dittatore

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Per un quarto di secolo (1929-1953) Iosif Stalin è stato il padrone assoluto dell'Unione Sovietica. Dall'ufficio al Cremlino, o dalle dacie fuori Mosca dove spesso risiedeva, il dittatore gestiva con pugno di ferro ogni aspetto della vita sociale, sulla base di un'interpretazione estremistica e ultrasemplificata del marxismo. Ossessionato dall'idea di «nemici interni» pronti a tradirlo, Stalin instaurò un regime di terrore che non permise mai a nessuno dei suoi sudditi di sentirsi al sicuro. Si calcola che ben 60 milioni di persone incolpevoli abbiano subìto i tragici effetti della discriminazione e repressione, fino alla pena capitale. Eppure, oggi in Russia sembra rifiorire il mito di Stalin quale figura storicamente «necessaria», che ha avuto quantomeno il merito di trasformare un paese arretrato in una superpotenza industriale in grado di affrontare e sconfiggere Hitler.

Oleg Chlevnjuk, considerato il maggior esperto mondiale di Stalin e del suo tempo, si oppone a tale tendenza «giustificazionista» sfatando vari miti sul despota sovietico, da quelli celebrativi che lo dipingono come «amministratore eccelso», «stratega militare lungimirante», «vittima di ambiziosi e avidi collaboratori» agli altri, opposti, che lo vorrebbero «traditore del lascito di Lenin», o addirittura, e unicamente, «belva assetata di sangue» e «criminale sadico e paranoico». Basandosi solo su fatti documentati da testimonianze «incrociate» e da scrupolose ricerche d'archivio, l'autore ricostruisce in dettaglio la vita di Ioseb Džugašvili (questo il vero nome di Stalin), con particolare attenzione al cammino che lo vide, oscuro combattente antizarista georgiano, al fianco di Lenin durante la Rivoluzione d'Ottobre, quindi suo unico erede al vertice del Comitato centrale del partito e, infine, alla guida dello Stato sovietico, passando per alleanze tattiche destinate a capovolgersi in feroci contese, con esiti quasi sempre cruenti.

Ma sotto la lente d'ingrandimento di Chlevnjuk assumono speciale rilievo le scelte del leader politico e statista: in particolare la collettivizzazione coatta della campagna e l'industrializzazione a tappe forzate, che hanno costituito il «punto di non ritorno» di un regime destinato a restare segnato nei secoli come Grande Terrore.

Attraverso un originale schema narrativo, che sullo sfondo degli ultimi giorni di vita del dittatore alterna al racconto dei fatti storici squarci significativi della sua psicologia, Chlevnjuk compone un ritratto equilibrato e per molti versi inedito dell'uomo che non dimenticò mai una frase attribuita a Gengis Khan e da lui sottolineata in un libro della propria biblioteca personale: «La tranquillità del conquistatore richiede la morte dei conquistati».

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
ISBN
9788852072512

PAZIENTE NUMERO 1

Convocazione dei medici nella dacia «vicina». Mattina del 2 marzo 1953

Berija, Chruščëv, Bulganin e Malenkov tornarono a casa, lasciando Stalin sul divano senza cure mediche. Forse per paura, o forse per una tacita ambivalenza di sentimenti riguardo a una sua guarigione, i collaboratori del vožd’ respinsero l’ipotesi di essere di fronte a un’emergenza. Dopo averlo trovato addormentato, Malenkov e Berija si affrettarono a dichiarare privo di fondamento l’allarme lanciato dagli addetti alla sorveglianza. Aveva avuto davvero una specie di attacco? Le guardie del corpo non erano dottori. Può darsi che l’immaginazione avesse giocato loro un brutto scherzo. I suoi colleghi, probabilmente, ricordavano anche che non molto tempo prima Stalin aveva accusato i propri medici di essere degli assassini. Chi si sarebbe mai assunto la responsabilità di chiamarne uno, a meno di non essere assolutamente certo della sua necessità? Un semplice bisogno di cure mediche urgenti si trasformava in uno sfaccettato problema politico.
Le guardie del corpo passarono il resto della notte in uno stato di apprensione. Sicuramente preoccupate all’idea di essere ritenute responsabili se Stalin fosse morto, chiesero nuovamente qualche indicazione dall’alto e riferirono che, dal capo, le cose non sembravano andare bene. Questa volta i quattro decisero di inviare alla dacia un’équipe di medici. Prima, però, convocarono il Presidium del Comitato centrale,1 dimodoché il ricorso al consulto di luminari si presentasse come la decisione collettiva della direzione del partito. Se Stalin si fosse ripreso, la sua ira sarebbe ricaduta su tutti in ugual misura. La mattina del 2 marzo i medici giunsero al capezzale del paziente.
Il rinomato cardiologo Aleksandr Mjasnikov, uno degli esperti chiamati alla dacia, fornisce nelle sue memorie un dettagliato resoconto di quella visita. «La diagnosi» scrisse «per noi fu chiara, grazie a Dio: emorragia nell’emisfero cerebrale sinistro causata da ipertonia e aterosclerosi».2 I medici somministrarono a Stalin vari eccitanti in dose generosa, ma senza nutrire speranze concrete di scongiurarne la morte. Da un punto di vista clinico, le sue condizioni non erano un mistero. L’autopsia confermò la diagnosi iniziale, rivelando una vasta emorragia cerebrale e gravi danni alle arterie del cervello dovuti al loro indurimento.3 Stalin era ormai un vecchio di salute malferma. Avrebbe compiuto settantacinque anni alla fine dell’anno.
Nei regimi totalitari, troppe cose dipendono dalla personalità del dittatore. Dall’epoca della sua ascesa al potere, la salute di Stalin era sempre stata al centro dell’interesse mondiale. Durante la sua vita, la stampa occidentale aveva periodicamente avanzato l’ipotesi che fosse malato o addirittura vicino alla morte. Voci analoghe circolavano in Unione Sovietica. Nelle sue condizioni fisiche e mentali, studiosi e commentatori hanno cercato possibili chiavi di interpretazione della personalità dell’uomo e della sua feroce dittatura. A lungo, le congetture sulla salute di Stalin si sono basate su presupposti infondati. Solo ultimamente si è avuto accesso ad alcune cartelle cliniche e alla testimonianza dei medici che lo ebbero in cura e che ne esaminarono il corpo dopo la morte.
Unico di tre fratelli a raggiungere l’età adulta, il futuro dittatore sopravvisse a varie malattie durante gli anni della crescita. Da bambino prese il vaiolo, che gli lasciò il viso permanentemente butterato. Ebbe anche un attacco di malaria.4 Più tardi, in un incidente i cui dettagli non sono mai stati chiariti (secondo alcuni, sarebbe stato investito da un calesse), si ferì gravemente il braccio sinistro, con una conseguente atrofia che lo afflisse per il resto della vita. Nel 1898 il giovane Ioseb scrisse al rettore del seminario teologico di Tbilisi chiedendo di essere esonerato da nuovi esami «in ragione di una malattia di petto da cui sono afflitto da tempo e che si è aggravata nel corso delle prove d’esame».5 Nell’ottobre-novembre 1902 chiese il rilascio dal fermo di polizia a causa di «una predisposizione alla tubercolosi polmonare» e al peggiorare della tosse.6 A quanto pare, la sua tubercolosi giovanile finì per placarsi, e in seguito egli non ne manifestò più i sintomi.
Da rivoluzionario di professione, Stalin conobbe inevitabilmente parecchie tribolazioni: carcere, esilio e un’esistenza randagia anche nei periodi di libertà. Scontando uno dei suoi periodi di esilio contrasse il tifo.7 Il suo calvario peggiore furono i tre anni trascorsi nel Turuchan, suo ultimo domicilio coatto. Stentava a adattarsi ai rigori del clima, alle dure condizioni di vita, all’isolamento «dal resto del mondo», all’inattività forzata, e nelle lettere agli amici si lamentava di una «tosse sospetta» provocata dal «brusco calo delle temperature (37 sotto zero)» e da uno «stato di debilitazione generale».8 Nel complesso, tuttavia, il governo zarista mostrò verso i detenuti un atteggiamento infinitamente più mite di quel che avrebbe fatto la dittatura staliniana. Se il giovane Ioseb avesse dovuto scontare i suoi periodi di reclusione e di esilio sotto un sistema analogo a quello del Gulag – cui in seguito egli avrebbe dato vita –, difficilmente sarebbe sopravvissuto.
Oltre a provocare la morte di milioni di persone, rivoluzione e guerra civile scossero profondamente il Partito bolscevico e intaccarono la salute dei suoi capi. Nel marzo 1921 Stalin fu sottoposto ad appendicectomia.9 Il 23 aprile 1921 un voto del Politburo accordò a Stalin, Kamenev, Rykov e Trockij un prolungamento delle ferie per ragioni di salute.10 Alla fine di maggio dello stesso anno Stalin partì per il Caucaso settentrionale per non fare ritorno a Mosca che l’8 agosto, quasi due mesi e mezzo dopo. Nel 1922 saltò le vacanze, ma a luglio il Politburo lo costrinse a trascorrere tre giorni la settimana fuori città.11 Terminata la guerra civile, trascorrere del tempo nella cornice amena e salubre delle dacie nei dintorni di Mosca divenne un’abitudine consolidata per i massimi dirigenti del partito. Stalin fece requisire per la sua famiglia la residenza di campagna di un ex industriale del petrolio. In seguito, dopo la morte della moglie, si fece costruire una nuova dacia, più vicina a Mosca. Questa celebre casa di campagna (la dacia «vicina» di Volynskoe) fu la principale residenza del vožd’ per quasi due decenni, e resterà sempre associata al suo nome. Fu qui che morì.
Vi passava il tempo con familiari e parenti e si incontrava con i colleghi. Oltre ai già menzionati banchetti innaffiati di alcolici, la vita alla dacia prevedeva anche giochi di vario tipo, come il biliardo o i gorodki (gioco russo simile a quello dei birilli), per quanto il dittatore non fosse un grande amante dell’attività fisica. «Preferiva starsene sulla sdraio con un libro, con le sue carte di lavoro o con i giornali; per ore poteva stare seduto a tavola con gli amici» ricordava la figlia Svetlana.12 L’inclinazione alla vita sedentaria non fece che aumentare con l’età.
Un’altra porzione rilevante della sua vita era rappresentata dai periodi di vacanza nelle stazioni climatiche della Russia meridionale. Ogni anno, dal 1923 al 1936 e dal 1945 al 1951, soggiornò a più riprese nel Sud.13 Questi viaggi erano di fatto vacanze lavorative. Anche qui riceveva un flusso costante di documenti, e teneva una fitta corrispondenza con i colleghi rimasti a Mosca: abitudine, questa, fonte di inestimabili testimonianze per gli storici. Ma c’era anche tempo per il riposo e il relax. Nel Sud, Stalin curava le sue numerose malattie: artrite reumatoide, tonsilliti, disturbi intestinali cronici e nevrastenia.14 Per alleviare i suoi malesseri ricorreva anche ai bagni termali. «Mi sento meglio» scrisse a Molotov il 1° agosto 1925. «Le terme di Macesta [nei pressi di Soči] sono ottime per curare la sclerosi, rigenerare i nervi, dilatare il cuore, e trattare sciatica, gotta e reumatismi.»15
In compenso, non era un paziente scrupoloso. I suoi disturbi cronici erano acuiti dallo stile di vita e dalle cattive abitudini: fumo, alcol, cibi grassi e superlavoro. Come la maggior parte della gente, Stalin alternava cura per il proprio corpo a nocive trascuratezze. Nel maggio 1926 andò in vacanza nel Caucaso. Dopo un breve soggiorno a Soči, partì insieme a Mikojan per la Georgia, dove si recò nella natia Gori prima di andare a trovare Ordžonikidze a Tbilisi. Le lettere del capo della squadra di sicurezza di Stalin di stanza a Soči, M. Gorbačëv, lasciano intendere che fosse stato un viaggio burrascoso. Preso da un «ghiribizzo», stando alle parole di Gorbačëv, Stalin lo convocò improvvisamente da Soči a Tbilisi, salvo poi dimenticarsi di averlo fatto. Quando Gorbačëv si presentò, Stalin fu sorpreso di vederlo lì. Chiarito l’accaduto, tutti «si fecero una bella risata», e Gorbačëv dovette rifarsi a rotta di collo tutta la strada fino a Soči.16 Sempre in preda alla frenesia, Stalin girò a lungo in macchina per il Caucaso per poi fare nuovamente ritorno a Soči in cattive condizioni. «Sono tornato a Soči oggi, 15 giugno» riferì a Molotov e a Bucharin. «A Tbilisi devo aver mangiato del pesce avariato perché mi è preso un forte mal di stomaco da cui ancora non riesco a guarire.»17 «Nel complesso» scrisse Gorbačëv all’assistente di Stalin, Ivan Tovstucha, «il capo ha finito per pagar caro, in termini di salute, il suo viaggio per il Caucaso. Mikojan e Sergo [Ordžonikidze] lo hanno dovuto tenere a testa in giù.»18 Stalin chiamò un medico, si mise a dieta e cominciò ad assumere regolarmente le acque termali.19 Il medico che lo aveva in cura a Soči, I.A. Valedinskij, ricordava che il paziente lamentava dolori ai muscoli delle braccia e delle gambe. Quando gli fu imposto il divieto di bere, Stalin domandò: «Ma neanche un po’ di cognac?». Al che Valedinskij replicò che «il sabato può lasciarsi andare, deve riposare la domenica, così il lunedì potrà andare al lavoro con la mente lucida». «La risposta piacque a Stalin, e la volta successiva organizzò un subbotnik [termine solitamente impiegato per i servizi di “volontariato” obbligatorio del sabato] per me assolutamente memorabile» scrisse Valedinskij, pur non spiegando cosa avesse reso l’occasione così indimenticabile.20
Riferimenti alle cattive condizioni di salute di Stalin si trovano sparse diffusamente anche nella sua corrispondenza successiva. «Sto male, sono a letto, per cui sarò breve» scrisse a Molotov durante una vacanza nel luglio 1927.21 Stando a Valedinskij, anche quell’anno soffrì di dolori alle braccia e alle gambe. Ai bagni terapeutici seguivano i consueti subbotnik. Stalin invitava i medici a cenare con lui «ed era talmente prodigo di cognac» scrisse in seguito Valedinskij «che potei fare ritorno a casa soltanto la domenica mattina».22 Nel 1928, prima di intraprendere un ciclo di cure termali a Soči, Stalin lamentava nuovamente dolori a braccia e gambe. L’artrite reumatoide al braccio sinistro si stava aggravando.23 Durante una vacanza nell’agosto 1929, scrisse a Molotov di essere «in via di guarigione a Soči dopo i disturbi sofferti a Nal’čik».24 Nel 1930, mentre si trovava in cura nella cittadina sul mar Nero, aveva avuto un altro attacco di angina. E ci si era messo anche il mal di denti. Il dentista, scriveva alla moglie a settembre, gli aveva «arrotato» otto denti in un colpo solo, per cui non si sentiva «troppo bene».25 A un nuovo ciclo di bagni terapeutici si sottopose nel 1931. «Ho passato una decina di giorni a Cchaltubo» fece sapere a Enukidze. «Ci ho fatto venti bagni. Lì l’acqua era meravigliosa, un vero toccasana.»26 A settembre scrisse alla moglie di trovarsi in villeggiatura a Soči in compagnia di Kirov. «Sono andato al mare una volta (una sola!). E ho fatto il bagno. Bellissimo! Penso che ci tornerò.»27 Con il che doveva intendere una semplice immersione a scopo igienico, dato che non sapeva nuotare.
Le vacanze del 1932 furono per lui tra le più lunghe della sua vita. Il registro dei visitatori del suo ufficio al Cremlino non presenta alcun ospite per quasi tre mesi, dal 29 maggio al 27 agosto. Una pausa così lunga era palesemente da imputare a motivi di salute. La primavera seguente la stampa estera avanzava ancora congetture in merito a una grave malattia del vožd’. Il 3 aprile la «Pravda» pubblicò – circostanza assolutamente inedita – una replica del segretario generale a un’inchiesta della Associated Press: «Non è la prima volta che sulla stampa borghese circolano false voci in merito a una mia presunta malattia. Naturalmente, ci sono persone che sarebbero ben felici di sapermi gravemente malato e a lungo, se non peggio. Mancherò di tatto, ma sfortunatamente non dispongo di informazioni tali da confortare questi signori. Per quanto triste possa essere, la realtà è che godo di ottima salute».28 Dietro questa risposta tipicamente beffarda si scorgeva un’irritazione autentica. I sintomi denunciati da Stalin erano tutt’altro che banali e, a quanto pare, riposo e svago nei salubri climi della Russia meridionale non valevano ad ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. STALIN
  4. Prefazione
  5. Le sedi del potere staliniano
  6. I. Prima della rivoluzione
  7. I baluardi del potere staliniano
  8. II. Nell’ombra di Lenin
  9. Un mondo di lettura e di contemplazione
  10. III. La sua rivoluzione
  11. Ansia nella cerchia ristretta
  12. IV. Terrore e venti di guerra
  13. Paziente numero 1
  14. V. Stalin in guerra
  15. Famiglia
  16. VI. Il generalissimo
  17. Crolla la dittatura
  18. Il funerale
  19. Note
  20. Ringraziamenti
  21. Inserto fotografico
  22. Copyright