La canzone della vita
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La canzone della vita

  1. 196 pagine
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La canzone della vita

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Come essere felici? Come entrare in sintonia con il vero scopo della vita? Quale atteggiamento avere di fronte alla morte? Cosa significa volgersi verso la dimensione interiore? Cos'è l'illuminazione? In questo libro Osho risponde agli eterni interrogativi dell'uomo mentre ci accompagna a comprendere la totalità in cui siamo immersi e ci aiuta a eliminare le barriere e i filtri che ci impediscono di entrare in contatto con la nostra sorgente di vita. La canzone della vita è un altro sentiero che, quietamene, ci conduce nelle profondità dell'essere, in quella dimensione che più di ogni altra ci appartiene e nella quale, tuttavia, difficilmente ci arrischiamo. Le intuizioni profonde che il grande maestro ci trasmette in queste pagine sciolgono i veli e le ombre che ci circondano, permettendoci così di conoscere e comprendere la vera natura della vita: una luce immensa.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
ISBN
9788852072819

1

Qualcuno ha chiesto: Arriverà mai un momento in cui riusciremo a sapere perché le cose sono come sono?
No, quel momento non arriverà mai. Non può arrivare, saperlo è impossibile. La vita è un mistero: più ti ci addentri e più si infittisce. Non puoi ridurlo a una formula, non puoi ridurlo a una teoria. Non diventerà mai una dottrina. Più scendi in profondità in quel mistero e più ti senti ignorante; ma quell’ignoranza ha una bellezza assoluta, è una benedizione, perché in quel non-sapere il tuo ego muore. Quell’assenza di sapere è la tomba per il tuo ego. Allora nasce la meraviglia, lo stupore, un: “Oh!”… E una grande gioia.
Il sapere uccide la gioia. Le persone colte non sono gioiose, le persone colte diventano serie. Sono gravate da un peso, il loro cuore non danza più, solo la loro mente continua a crescere a dismisura. È una crescita simile a un cancro; i corpi scompaiono e le membra si rattrappiscono: in loro esiste solo la mente. Diventano persone dalla testa pesante.
Quando il sapere scompare, ti senti assolutamente in pace con la vita e con l’esistenza. Il sapere divide. Lasciamelo ripetere: il sapere ti separa dall’esistenza. Poiché il soggetto che conosce non può essere l’oggetto conosciuto, colui che conosce è separato dall’oggetto conosciuto. Questa separazione è la causa di una continua angoscia, di un’ansia perenne, di una sensazione costante che ti manchi qualcosa. Solo colui che non sa può sentirsi tutt’uno con la vita. Dunque, l’assenza di sapere unisce, il sapere divide.
In uno stato di assenza di sapere, cominci a sentirti unito agli alberi, alle montagne e alle stelle. Non sai dove finisci tu e dove cominciano loro; non sai niente. Sei di nuovo il bambino che raccoglie conchiglie sulla spiaggia. Sei di nuovo il bambino che coglie i fiori, fiori selvatici. Sei di nuovo un bambino con gli occhi colmi di meraviglia. Attraverso quella meraviglia, cominci a sentire che cos’è l’esistenza: non un sapere, ma un sentire. Cominci ad amare tutto ciò che esiste: non ad avere nozioni, ma ad amare. E attraverso il sentire e l’amare, cominci a vivere per la prima volta. Chi si cura più, chi si preoccupa più del sapere?
Mi chiedi: Arriverà mai un momento in cui riusciremo a sapere perché le cose sono come sono?
No, le cose sono come sono e non potrebbero essere differenti. Questo è il loro unico modo di essere. E non esiste alcun “perché sono così”, altrimenti sarebbe possibile conoscere quel perché. Non c’è una causa che determina il loro essere come sono, altrimenti sarebbe possibile decodificarla. La vita non ha alcun motivo per esistere. È totalmente assurda, non dovrebbe esistere, non ha alcun motivo per esistere. Per quale motivo dovrebbero esistere alberi e stelle e uomini e donne; perché mai? Per quale motivo dovrebbero esistere l’amore e la consapevolezza? Perché tutto questo? Il perché comincia a scivolare via da te. Più diventi silenzioso, più ti addentri nello stato di assenza di sapere e più i perché scivolano via da te. Un giorno, all’improvviso non cerchi più le cause, le ragioni, i perché. Cominci semplicemente a danzare. Non puoi rispondere alla domanda: «Perché stai danzando?». Non esiste risposta. E tutte le risposte che sono state date sono false.
Perché ami? Perché la musica ti emoziona? Perché guardando un fiore al mattino, ti senti improvvisamente attratto, come fosse un magnete? Perché alla sera sei tanto attratto dalla Luna? Perché? Un bambino ridacchia e tu per un istante ti fermi, guardi il bambino e ti senti felice: perché ti senti felice? Perché hai voglia di celebrare? Perché esiste la vita? Perché l’esistenza esiste? Non c’è alcun motivo. Se tu trovassi un motivo qualsiasi, sentiresti di nuovo l’urgenza di chiedere: perché?
Se tu affermassi che Dio ha creato il mondo, ecco la domanda: «Perché Dio ha creato il mondo?». Ma non risolveresti niente, semplicemente spingeresti più in profondità in quella domanda: «Perché Dio ha creato il mondo?».
Pochi giorni fa, stavo leggendo un libro di teologia in cui veniva posto questo interrogativo: «Che cosa faceva Dio prima di creare il mondo?». Ebbene, la questione non è mai stata risolta dalla risposta, per cui ecco che si pone questo interrogativo alquanto strano: «Che cosa faceva Dio?». Perché Dio doveva esistere da sempre, anche prima di creare il mondo. I cristiani credono che Dio abbia creato il mondo solo qualche migliaio di anni orsono: quattromilaquattro anni prima di Cristo. Quindi: «Che cosa faceva Dio prima di creare il mondo?». Doveva annoiarsi tantissimo; doveva sentirsi impazzire oppure avrebbe potuto suicidarsi. «Che cosa faceva Dio?» Oppure era semplicemente addormentato, immerso nei sogni. E che cosa ha fatto Dio, dalla creazione del mondo in poi? Dopo aver creato il mondo, dov’è scomparso? E quando avrà distrutto questo mondo, che cosa farà da lì in poi? Si annoierà di nuovo? Di certo deve sentirsi molto solo.
Ebbene, tutte queste domande inutili sono sorte perché si è risposto a una domanda. Lo capisci? Ti sentivi a disagio in questo mondo, perciò hai affermato che Dio ha creato il mondo. Volevi sentirti più a tuo agio, volevi essere confortato: sapere che non è stato solo il caso, sapere che esiste un Dio-padre che bada alle cose del mondo e che tu non sei solo. Volevi avere una sorta di sicurezza.
Tuttavia, quest’unica domanda non ha avuto alcuna risposta e ne sono scaturite mille e una domanda. Innanzitutto, perché Dio ha creato il mondo? Aveva bisogno del mondo? Se ne aveva bisogno, allora Dio ha dei bisogni come gli uomini; in questo caso non è perfetto, gli manca qualcosa.
Dio era avido? Era un espansionista? Perché? E perché questo mondo? Con tanta infelicità e con tanta sofferenza, con tante malattie e tanti disturbi e la morte: perché questo mondo? Se Dio ha creato il mondo avrebbe potuto creare un mondo migliore. Non mi sembra che sia stato un grande creatore!
Ho sentito questo aneddoto:
Un uomo andò da un sarto, un sarto famoso, e gli chiese di confezionargli un abito nel più breve tempo possibile, poiché stava per intraprendere un giro del mondo.
Il sarto gli rispose: «Guardi che per confezionare il suo abito impiegherò almeno sei settimane; è il tempo minimo, sono troppo occupato. E sono un perfezionista: quando faccio una cosa, la faccio in modo perfetto. Deve aspettare almeno sei settimane, prima è impossibile».
L’uomo rispose: «Sei settimane? Ma si rende conto che Dio ha creato il mondo intero in sei giorni?».
E il sarto: «Lo so. E osservi il mondo e guardi che pasticcio ha fatto! Ecco che cosa accade quando si fanno le cose in sei giorni. Io non posso fare una cosa simile, impiegherò sei settimane».
Perché Dio ha creato questo mondo orribile e tanto infelice? Perché ha creato questo inferno? Non mi sembra sia stato un Maestro creatore, sembra piuttosto un ben misero artigiano. Nel mondo ci sono un’infinità di errori.
Non risolvi niente rispondendo a quel perché. Il Buddha è molto più veritiero: afferma che nessuno ha mai creato il mondo. In questo modo si sbarazza della tua domanda. Egli afferma che il mondo c’è sempre stato e sempre ci sarà; senza alcuna ragione, senza alcun motivo. Esiste, senza una causa. Per la mente razionale è un concetto difficile da recepire, perché noi cerchiamo la causa di ogni cosa. Una volta che abbiamo stabilito una causa, ci sentiamo a nostro agio. È uno spasimo incontrollato, per la ragione: una volta che abbiamo trovato una spiegazione, la causa e il motivo, ci tranquillizziamo poiché a quel punto “sappiamo”. Ma che cosa sapete?
Nei secoli tutta la teologia non ha fornito neppure una risposta. L’intera filosofia di cinquemila anni si è rivelata assolutamente inutile.
Se mi comprendi, vorrei dirti che non arriverà mai un momento in cui saprai perché il mondo è così com’è, e perché non è fatto in un altro modo. Più scenderai in profondità nel tuo essere e più in te diminuiranno le domande. Un giorno tutte le tue domande scompariranno. Non voglio dire che avrai ricevuto delle risposte, dico solo che le tue domande scompariranno. Colui che definiamo “illuminato” non è qualcuno che conosce le risposte, ma qualcuno che ha visto scomparire le proprie domande. In quello stato di assenza di domande si ha un grande silenzio: un silenzio totale, un silenzio assoluto. E uno stato bellissimo di non-sapere.
Quel non-sapere arriverà e quel non-sapere è l’illuminazione. Il Buddha non aveva raggiunto alcun sapere. A un certo punto, aveva visto scomparire le proprie domande. Nella sua mente non risuonavano più domande: tutto quel frastuono era finito. Era rimasto solo nel silenzio. Non era più colui che sapeva, non doveva più proclamare di sapere questo o quello. Ormai conosceva solo il Nulla. Lo stato che il Buddha chiama nirvana: non sapere niente o conoscere solo il Nulla.
Essere nello stato di non-sapere è samadhi.

2

Nella vita, l’unico scopo è la realizzazione del Sé?
Nossignore, neppure quello. Lo scopo non è neppure la realizzazione del Sé. In un certo senso, non puoi vivere senza uno scopo. Sei ossessionato dallo scopo: deve esserci uno scopo. Ebbene, se non ci sono altri scopi, che ci sia almeno quello della realizzazione del Sé. Così ti senti bene, ti senti a meraviglia: quanto meno hai lo scopo della realizzazione del Sé. Ti sei di nuovo tranquillizzato, hai ripreso a pensare in termini di mezzi e di fini. Il desiderio rifiorisce: devi raggiungere la realizzazione del tuo Sé. Il futuro entra in te di nuovo e puoi ancora sognare.
Prima, i tuoi scopi potevano essere il denaro, il potere, il prestigio. Oppure potevano essere Dio, moksha, il nirvana, il regno dei Cieli. Ora il tuo scopo è la realizzazione del tuo Sé. In ogni caso, devi avere una meta; e i Buddha affermano che tutto è qui. Tu vorresti avere qualcosa sull’altra sponda; e i Buddha affermano che questa è l’unica sponda. L’altra sponda è nascosta in questa sponda. Non devi andare da nessuna parte, non devi indagare e ricercare, tutto è già qui. Tu devi solo essere qui, sii qui per un solo istante e… Proprio in questo corpo c’è il Buddha.
Ebbene così stai creando un altro problema: non riesci a vivere senza problemi? Non riesci ad abbandonare l’atteggiamento orientato verso una meta? Non riesci a essere nel presente? Riesci a essere solo nel futuro? Essere solo nel futuro significa vivere in una finzione, perché il futuro non è ancora arrivato. Le persone conoscono solo due modi di essere: o nel passato o nel futuro. La loro identità proviene o dal passato o dal futuro. Nel presente si sentono veramente a disagio, perché nel presente scompare l’identità e scompare il Sé. Nel presente non esiste l’ego.
Osservalo, proprio in questo momento. Tu sei totalmente qui, neppure un pensiero ti turba, sei circondato dal silenzio: dov’è il tuo io? Come potrebbe esistere in questo silenzio? Questo silenzio ti cancella, diventi una tabula rasa, ridiventi bambino.
Per mantenere un’identità, o devi guardare al passato… esso ti fornisce l’identità. Hai ottenuto una laurea all’università, sei un medico, un ingegnere, uno scienziato o un poeta, hai scritto molti libri. Oppure hai sangue reale, una cosa o quell’altra. Hai fatto queste cose o quelle: l’accumulo di tutte quelle azioni costituisce la somma totale del tuo essere.
Ma tu non sei la somma totale delle tue azioni. C’è un altro essere nascosto dietro le tue azioni: l’essere reale, l’essere essenziale. L’essere essenziale non ha mai fatto niente. Esiste semplicemente, non agisce.
Ma tu ti aggrappi alla tua identità. Sei stato apprezzato, ti aggrappi a quell’apprezzamento. Anche se sei stato condannato, ti aggrappi a quel biasimo. I santi si aggrappano al loro passato, così come vi si aggrappano i peccatori. L’uomo buono si aggrappa al proprio passato, così come vi si aggrappa l’uomo malvagio; perché entrambi hanno bisogno di una identità. E la gente preferisce avere un’identità negativa piuttosto che non averne alcuna. Quanto meno sai chi sei: «Sono un carcerato, sono stato in carcere per vent’anni, sono un ladro o un assassino. Almeno so qualcosa di me».
Viceversa, qualcun altro è un santo e ha rinunciato al mondo e digiuna ogni mese e consuma un solo pasto al giorno. Dorme solo per tre ore ogni notte, migliaia di persone lo venerano e in paradiso ha un posto assicurato, le sue virtù sono infinite! Entrambi questi tipi di uomini si aggrappano alla loro identità. Sono entrambi nella stessa barca: sia il peccatore sia il santo.
Oppure cominci a formarti un’identità prendendola dal futuro. Tu farai questo, tu sarai quello: diventerai presidente di una nazione oppure diventerai famosissimo oppure presto scriverai un libro e vincerai il premio Nobel. Pensi continuamente al futuro e questo ti dà la sensazione di avere un’identità.
Entrambi gli atteggiamenti sono falsi. Solo il presente è vero. Il tempo non conosce né il passato né il futuro: il passato e il futuro sono realtà della mente. Il tempo conosce solo il presente; ma essere nel presente significa distruggere tutte le mete, non essere coinvolto nel futuro. Altrimenti la tua energia fluisce in quella direzione.
Mi chiedi: Nella vita, l’unico scopo è la realizzazione del Sé?
Io continuo a ripetere ogni giorno che nella vita non c’è alcuno scopo: la vita non ha scopi. Per questo è bella. Uno scopo darebbe a ogni cosa una parvenza affaristica. La vita è poesia, non è un affare. Ebbene, tu hai trovato un’espressione – devi aver pensato che l’avrei apprezzata – la realizzazione del Sé. È un’assurdità bella e buona: non esiste alcun Sé da realizzare. Non c’è niente da realizzare. Il reale è già reale, che cosa realizzerai? Il reale è già reale e l’irreale è irreale. “Realizzazione” significa che qualcosa non è ancora reale e tu lo renderai tale. Come potresti rendere reale qualcosa che è irreale in un futuro imprecisato? Come potresti trasformare una menzogna in una verità? Una menzogna rimarrà una menzogna e la verità sarà sempre la verità. No, non c’è niente da realizzare!
Allora che cosa si deve fare? Questa domanda sorge nella tua mente di continuo. Di fatto, non devi fare niente, devi solo vedere la futilità del fare. In questa percezione, smetterai di agire e la tua mente si fermerà. E comincerai a sentire, a conoscere, ciò che c’è in te da sempre. Quando lo vedrai, lo riconoscerai semplicemente: non realizzerai alcunché! Ricorderai una cosa che avevi dimenticato, questo è tutto.

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 1
  4. 2
  5. 3
  6. 4
  7. 5
  8. 6
  9. 7
  10. 8
  11. 9
  12. 10
  13. 11
  14. 12
  15. 13
  16. 14
  17. 15
  18. 16
  19. 17
  20. 18
  21. 19
  22. 20
  23. 21
  24. 22
  25. 23
  26. 24
  27. 25
  28. 26
  29. 27
  30. 28
  31. 29
  32. Nota biografica
  33. Copyright