Il romanzo di Ramses - 4. La regina di Abu Simbel
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Il romanzo di Ramses - 4. La regina di Abu Simbel

  1. 348 pagine
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Il romanzo di Ramses - 4. La regina di Abu Simbel

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Nere nubi minacciano la pace appena raggiunta: gli ittiti continuano a premere ai confini del regno; Ofir e Shenar, i nemici di sempre, tramano ancora nell'ombra; gli ebrei guidati da Mosè, l'amico fraterno di un tempo, si sollevano contro il faraone. Circondato da mille pericoli, Ramses sa di poter contare sulla magica protezione di Nefertari e le offre il più favoloso dei regali: un monumento al loro amore eterno, che consegni alle future generazioni l'immagine della grande sposa reale.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
ISBN
9788852071829
Ornamento di separazione

1

Massacratore, il leone di Ramses, lanciò un ruggito che inchiodò per la paura gli egiziani al pari dei rivoltosi. L’enorme belva che il faraone aveva decorato di una sottile collana d’oro per i buoni e leali servigi resi durante la battaglia di Qadesh contro gli ittiti pesava più di trecento chili. Era lunga quattro metri e aveva una criniera folta e fiammeggiante, rigogliosa al punto da coprirle la zona superiore della testa, le gote, il collo, in parte le spalle e il petto. Il pelo, liscio e corto, era di un bruno chiaro e lucente.
In un raggio di oltre venti chilometri restava traccia della collera di Massacratore, e non c’era chi non comprendesse che era anche quella di Ramses che, dopo la battaglia di Qadesh, era divenuto Ramses il grande.
Ma era proprio reale quella grandezza, dal momento che il faraone d’Egitto, nonostante il suo prestigio e il suo valore, non riusciva a imporre la propria legge ai barbari dell’Anatolia?
L’esercito egiziano si era rivelato assai deludente durante lo scontro. I generali, vili o incompetenti, avevano abbandonato Ramses lasciandolo solo di fronte a milioni di avversari sicuri della propria vittoria. Ma il dio Amon, nascosto nella luce, aveva udito la preghiera di suo figlio e conferito al braccio del faraone una forza soprannaturale.
Dopo cinque anni di tempestoso regno, Ramses aveva creduto che la vittoria da lui riportata a Qadesh avrebbe impedito a lungo agli ittiti di rialzare la testa e che per il Medio Oriente si sarebbe aperta un’era di relativa pace.
Si era gravemente sbagliato, lui, il toro possente, l’amato della Regola divina, il protettore dell’Egitto, il Figlio della Luce. Meritava codesti nomi d’incoronazione di fronte alla sedizione che rumoreggiava nei suoi protettorati tradizionali, Canaan e la Siria del Sud? Non soltanto gli ittiti non rinunciavano alla lotta, ma avevano anzi scatenato una vasta offensiva alleandosi con i beduini, saccheggiatori e assassini che da sempre bramavano le ricche terre del Delta.
Il generale dell’armata di Ra si accostò al re.
«Maestà… La situazione è peggiore del previsto. Non è una rivolta qualsiasi: a quel che dicono i nostri esploratori l’intero paese di Canaan insorge contro di noi. Superato questo primo ostacolo, ce ne sarà un secondo, poi un terzo, poi…»
«E tu temi di non riuscire a farcela?»
«Le nostre perdite rischiano di essere pesanti, Maestà, e gli uomini non hanno voglia di farsi ammazzare per niente.»
«La sopravvivenza dell’Egitto non è un motivo sufficiente?»
«Non intendevo dire…»
«Tuttavia è proprio quello che hai pensato, generale! La lezione di Qadesh è stata dunque inutile. Possibile che io sia condannato a essere circondato da vili che perdono la propria vita perché vogliono salvarsela?»
«La mia obbedienza e quella degli altri generali sono senza pecca, Maestà; noi volevamo semplicemente metterti in guardia.»
«Il nostro servizio di spionaggio non ha ottenuto informazioni sul conto di Asha?»
«Purtroppo no, Maestà.»
Asha, amico d’infanzia e ministro degli Affari esteri di Ramses, era caduto in una trappola nel corso di una sua visita al principe dell’Amurru.a Era stato torturato, era ancora in vita, i suoi carcerieri ritenevano che il diplomatico avesse un valore di scambio?
Da quando aveva ricevuto la notizia, Ramses aveva mobilitato le sue truppe, che si erano appena riprese dal trauma di Qadesh. Per salvare Asha, doveva attraversare regioni divenute ostili. Una volta ancora i principi locali non avevano tenuto fede al loro giuramento di fedeltà all’Egitto e si erano venduti agli ittiti in cambio di un pugno di metallo prezioso e di fallaci promesse. Chi non sognava di invadere la terra dei faraoni e godere delle sue ricchezze ritenute inesauribili?
Ramses il grande aveva tante opere da continuare: la sua dimora millenaria a Tebe, il Ramesseo, Karnak, Luxor, Abido, la sua dimora di eternità nella Valle dei Re e Abu Simbel, il sogno di pietra che voleva offrire alla sua sposa adorata, Nefertari… Ed ecco che si ritrovava lì, al limitare del paese di Canaan, sulla cima di un colle, intento a osservare una fortezza nemica.
«Maestà, se osassi…»
«Coraggio, generale!»
«La tua dimostrazione di forza è assai impressionante… Sono persuaso che l’imperatore Muwattali avrà afferrato il messaggio e farà liberare Asha.»
Muwattali, l’imperatore ittita, era un uomo accanito e astuto, consapevole che la sua tirannide aveva come unico fondamento la forza. Alla testa di una vasta coalizione, aveva tuttavia visto fallire il suo tentativo di conquista dell’Egitto, ma adesso lanciava un nuovo assalto tramite beduini e rivoltosi.
Soltanto la morte di Muwattali o quella di Ramses avrebbero messo fine a un conflitto il cui esito sarebbe stato decisivo per l’avvenire di numerosi popoli. Se l’Egitto fosse stato vinto, la potenza militare ittita avrebbe imposto una crudele dittatura che avrebbe distrutto una civiltà millenaria plasmata fin dal regno di Menes, il primo faraone.
Per un istante, il pensiero di Ramses andò a Mosè. Dove si celava l’altro amico d’infanzia che era fuggito dall’Egitto dopo aver commesso un assassinio? Le ricerche erano state vane. C’era chi sosteneva che l’ebreo che con tanta efficienza aveva collaborato alla costruzione di Pi-Ramses, la nuova capitale edificata nel Delta, fosse stato inghiottito dalle sabbie del deserto. Che Mosè si fosse unito ai rivoltosi? No, mai sarebbe divenuto un nemico.
«Maestà… Maestà, mi presti ascolto?»
Guardando il volto ben pasciuto e impaurito di quell’ufficiale superiore che aveva di mira soltanto i propri comodi, a Ramses parve di vedere quello dell’uomo che lo detestava più di ogni altro al mondo: Shenar, suo fratello maggiore. Il miserabile si era alleato con gli ittiti nella speranza di impadronirsi del trono d’Egitto, ed era poi scomparso durante il trasferimento dalla grande prigione di Menfi al penitenziario delle oasi, approfittando di una tempesta di sabbia. Ramses era convinto che fosse ancora in vita, e fermamente deciso a nuocergli.
«Prepara le truppe al combattimento, generale.»
Abbattuto, l’ufficiale superiore se ne andò.
Quanto sarebbe piaciuto a Ramses godersi la dolcezza di un giardino accanto a Nefertari, suo figlio e sua figlia, come avrebbe assaporato la felicità di ogni giorno, lontano dal frastuono delle armi! Ma doveva salvare il suo paese dall’irrompere di orde sanguinarie che non avrebbero esitato a distruggere i templi e a calpestare le leggi. La posta in gioco trascendeva la sua persona. Il faraone non aveva il diritto di pensare alla propria tranquillità e alla famiglia, ma doveva scongiurare il male anche a costo della sua vita.
Ramses scrutò la fortezza che bloccava la strada di accesso al cuore del protettorato di Canaan. Alte sei metri, le mura a doppia pendenza ospitavano una cospicua guarnigione. Ai merli, gli arcieri. I fossati erano pieni di cocci di terracotta che avrebbero ferito i piedi dei fanti incaricati di drizzare le scale.
Una brezza marina rinfrescava i soldati egiziani ammassati tra due colline sprofondate nel sole. Erano arrivati là a marce forzate, godendo solo di brevi soste e di accampamenti di fortuna. Soltanto i mercenari ben pagati erano disposti ad affrontare lo scontro; le giovani reclute, già sgomente all’idea di lasciare il loro paese per chissà quanto tempo, temevano di morire in orribili combattimenti. Ciascuno sperava che il faraone si accontentasse di rafforzare la frontiera nordorientale, anziché gettarsi in un’avventura che rischiava di concludersi con un disastro.
Poco tempo prima, il governatore di Gaza, la capitale di Canaan, aveva offerto uno splendido banchetto allo stato maggiore egiziano, giurando che mai sarebbe stato alleato degli ittiti, quei barbari dell’Asia di leggendaria crudeltà. La sua troppo palese ipocrisia aveva nauseato Ramses; adesso, il suo tradimento non era una sorpresa per il giovane monarca ventisettenne che cominciava a saper penetrare il segreto degli esseri umani.
Impaziente, il leone tornò a fare udire il proprio ruggito.
Massacratore era assai cambiato dal giorno in cui Ramses lo aveva scoperto, morente, nella savana nubiana. Morso da un serpente, il leoncino non aveva nessuna probabilità di sopravvivenza. Tra la belva e l’uomo era nata immediatamente una simpatia profonda e misteriosa. Per fortuna, Setau, il guaritore, anch’egli amico d’infanzia e condiscepolo di Ramses, aveva saputo trovare i rimedi giusti. La formidabile resistenza dell’animale gli aveva dato modo di superare la prova e di divenire un adulto di terrificante potenza. Il re non poteva desiderare guardia del corpo migliore.
Ramses passò la mano nella criniera di Massacratore: una carezza che non bastò a calmare la belva.
Coperto da una tunica di pelle d’antilope con molte tasche piene di droghe, pillole e fiale, Setau stava salendo il pendio della collina. Tarchiato, statura media, testa quadrata, capelli neri, mal rasato, nutriva una vera passione per i serpenti e gli scorpioni. Con il loro veleno preparava medicamenti efficaci e, in compagnia di sua moglie Loto, splendida nubiana la cui semplice vista rallegrava i soldati, continuava instancabilmente le sue ricerche.
Ramses aveva affidato alla coppia la gestione dei servizi sanitari dell’esercito. Setau e Loto avevano partecipato a tutte le campagne militari del re, non per amore della guerra ma per catturare nuovi rettili e curare i feriti. E Setau riteneva che nessuno fosse più adatto di lui per accorrere in aiuto al suo amico Ramses, in caso di pericolo.
«Il morale delle truppe è a terra» commentò.
«I generali sono per la ritirata» ammise Ramses.
«Alla luce del comportamento tenuto dai tuoi soldati a Qadesh, cosa puoi sperare? Sono senza pari quanto a fughe e sbandamenti. Dovrai prendere una decisione da solo, come al solito.»
«No, Setau, non da solo. Con il consiglio del sole, dei venti, dell’anima del mio leone, dello spirito di questa terra… Loro non mentono. Spetta a me coglierne il messaggio.»
«Non c’è miglior consiglio di guerra.»
«Hai parlato con i tuoi serpenti?»
«Anche loro sono messaggeri dell’invisibile. Sì, li ho interrogati e mi hanno risposto senza esitazioni: non arretrare. Perché Massacratore è tanto nervoso?»
«Per via del bosco di querce a sinistra della fortezza, là a metà strada.»
Setau volse lo sguardo in quella direzione, masticando uno stelo di canna.
«Puzza, hai ragione. Una trappola come a Qadesh?»
«Aveva funzionato così bene che gli strateghi ittiti ne hanno concepita un’altra e sperano sia altrettanto efficace. Quando attaccheremo, il nostro slancio verrà infranto, mentre gli arcieri della piazzaforte ci decimeranno a loro piacimento.»
Menna, lo scudiero di Ramses, si inchinò davanti al re.
«Il tuo carro è pronto, Maestà.»
Il monarca coccolò a lungo i suoi due cavalli che si chiamavano “Vittoria a Tebe” e “La dea Mut è soddisfatta”: con il leone, erano stati i soli a non tradirlo a Qadesh, quando la battaglia era sembrata perduta.
Ramses diede di piglio alle redini, sotto lo sguardo incredulo dello scudiero, dei generali e del reggimento scelto dei carristi.
«Mae...

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  1. Copertina
  2. Frontespizio
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