Profugopoli
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Profugopoli

Quelli che si riempiono le tasche con il business degli immigrati

  1. 176 pagine
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Profugopoli

Quelli che si riempiono le tasche con il business degli immigrati

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La società che organizza corsi per buttafuori e addetti alle pompe funebri ed è controllata dal noto paradiso fiscale dell'isola di Jersey. L'ex consulente campano che con gli immigrati incassa 24.000 euro al giorno e gira in Ferrari. La multinazionale francese dell'energia. E l'Arcipesca di Vibo Valentia. Ecco alcuni dei soggetti che si muovono dietro il Grande Business dei Profughi: milioni e milioni di euro (denaro dei contribuenti) gestiti dallo Stato in situazione d'emergenza. E proprio per questo sfuggiti a ogni tipo di controllo. Dunque finiti in ogni tipo di tasca, più o meno raccomandabile.

Si parla spesso di accoglienza e solidarietà, ma è sufficiente sollevare il velo dell'emergenza immigrazione per scoprire che dietro il paravento del buonismo si nascondono soprattutto gli affari. Non sempre leciti, per altro. Fra quelli che accolgono gli stranieri, infatti, ci sono avventurieri improvvisati, faccendieri dell'ultima ora, speculatori di ogni tipo. E poi vere e proprie industrie, che sulla disperazione altrui hanno costruito degli imperi economici: basti pensare che, mentre il 95 per cento delle aziende italiane fattura meno di 2 milioni di euro l'anno, ci sono cooperative che arrivano anche a 100 milioni e altre che in dodici mesi hanno aumentato il fatturato del 178 per cento.

Profugopoli è un fiume di denaro che significa potere, migliaia di posti di lavoro, tanti voti. E che fa gola a molti perché, come è noto, «gli immigrati rendono più della droga». Però l'impressione è che Mafia Capitale, che tanto ci ha indignato, sia solo l'inizio: c'è un pentolone da scoperchiare che non riguarda solo Roma, ma tutta Italia. Lo ha detto anche il capo dell'Anticorruzione Raffaele Cantone: «Temo abusi di un sistema diffuso». Diffuso sì, ma quanto? Leggendo queste pagine ne avrete un'idea. Profugopoli, infatti, vi anticipa gli scandali che stanno per scoppiare, e vi svela ciò che nessuno ha ancora svelato: le coop sospette che continuano inspiegabilmente a vincere appalti, i personaggi oscuri, gli affidamenti dubbi, i comportamenti incomprensibili di alcune Prefetture. Come si giustifica, per esempio, che nel Nordest si aggiudichi bandi di gara a ripetizione una coop modenese, guidata da uno studente ventiduenne, già segnalata per «gravi inadempienze, poca trasparenza e false comunicazioni»?

Tutti gli scandali sono insopportabili. Ma quelli che si fanno scudo della generosità sono i peggiori. E vanno denunciati, in primo luogo per rispetto ai tantissimi volontari perbene: questo libro è dedicato proprio a loro, che ogni giorno tendono la mano al prossimo senza ritirarla piena di quattrini. E che, perciò, non possono essere infangati da chi ha trasformato l'accoglienza in una grande mangiatoia. Perché se i volontari aiutano gli altri è per cercare di guadagnarsi il paradiso. Quello vero, non quello fiscale.

Domande frequenti

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Informazioni

VI

Sospetti, farabutti&sfruttatori

Tangenti, mafia e altro malaffare all’ombra della solidarietà
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Ma non ci sono solo avventurieri, affaristi, opportunisti. Non ci sono solo i colossi che diventano industria sotto il paravento della solidarietà. Non ci sono solo multinazionali, situazioni sconvenienti o moralmente discutibili. Ci sono anche i veri e propri farabutti. Gli sfruttatori conclamati. E ci sono coloro che sono sospettati di essere tali in diverse inchieste della magistratura. Mafia Capitale, purtroppo, non è soltanto Roma: sul centro di Mineo in Sicilia, per dire, di indagini ne sono state aperte ben cinque. Poi c’è l’indagine sulla Onlus Un’Ala di Riserva, in provincia di Napoli, che ha coinvolto anche la Caritas. Quella sulla maxicooperativa di Favara, in Sicilia. Quella sul centro di Gradisca d’Isonzo, in Friuli-Venezia Giulia, finito sotto il controllo di un consorzio di Trapani. Ci sono i preti che usano l’accoglienza per compiere abusi sessuali. Ci sono i centri lager, le truffe sui pocket money. E poi ci sono gli affari sporchi della criminalità organizzata. Perché, si sa, laddove c’è un business così fiorente non arrivano solo le multinazionali e gli imprenditori spregiudicati. Arrivano anche i boss. «Per gli investigatori in Calabria la torta degli immigrati è affare della ’ndrangheta» scrive il «Corriere della Sera». E il Prefetto di Trapani, Leopoldo Falco, ha parlato di «interessamento ai centri di accoglienza di alcuni soggetti individuati come prestanome di mafiosi». Canne mozze e braccia aperte: anche la Cupola, evidentemente, sguazza nei soldi all’ombra della finta solidarietà.
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Se volevano magna’ Roma.
E continuano a vincere appalti / Domus Caritatis

La Domus Caritatis è una delle cooperative cattoliche coinvolte in Mafia Capitale. Il suo leader storico, vicepresidente e fondatore, Tiziano Zuccolo, viene arrestato nel giugno 2015: era uno di quelli che al telefono con i boss della solidarietà malata stabiliva come «magnarsi Roma». In un’altra intercettazione, con Salvatore Buzzi parlava della spartizione dei profughi siriani: «Trentacinque a voi e trentacinque a noi, che stai a di’? A Salvato’ eh, non facciamo scherzi. L’accordo è al 50 per cento, dividiamo da buoni fratelli». Da buoni fratelli, capito? Del resto loro sono molto pii. Parlano con i cardinali e si spartiscono i profughi, recitano i salmi e fanno affari con gli immigrati, che come è noto «rendono più della droga». «La mucca dev’essere munta» è la loro litania preferita. Ora pro nobis, Santa Immigrazione. Anzi, lucra pro nobis.
Domus Caritatis è stata fondata nel 1995, ha 559 dipendenti e nel 2014 ha fatturato 40,4 milioni di euro (4 milioni in più rispetto al 2013). «L’incremento dell’attività» spiegano gli amministratori nella relazione di bilancio «si è realizzato soprattutto con l’ampliamento dei contratti relativi ai progetti denominati Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).» Anche il personale è stato incrementato: 75 unità in più. Da notare per altro che, godendo delle agevolazioni fiscali per le cooperative, le tasse sono piuttosto ridotte: su 40,4 milioni di fatturato paga 363.000 euro di Irap e 37.000 euro di Ires, sommando le due tasse appena 400.000 euro, cioè l’1 per cento degli introiti. Una benedizione quasi divina nel Paese dell’inferno fiscale.
La Domus Caritatis fa parte dell’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Trifone, potentissima associazione cattolica, fondata da Pio V nel 1571 e rilanciata dal cardinal Ruini negli anni Novanta. Zuccolo è stato per alcuni anni Camerlengo dell’arciconfraternita e poi ha continuato a essere l’uomo di fiducia del prelato che la guida. La sede della coop è in via Antolisei dove c’è il quartier generale della Cascina, il colosso di Comunione e Liberazione (7600 dipendenti) che di fatto la controlla. Siamo dunque in pieno ambiente curiale e ciellino, con protezioni molto forti oltre le mura del Vaticano. «Abbiamo fatto un passaggio in alto» dice infatti Zuccolo al telefono con Luca Odevaine. «Ma più alto quanto?» chiede l’altro. «Più alto che si può.» Più alto che si può? E cioè? «La Trinità.»
I dialoghi con la Trinità, però, non devono aver portato i responsabili della Domus Caritatis sulla retta via. Almeno stando a quello che emerge dalle carte di Mafia Capitale. E dire che la coop era già parecchio chiacchierata: nel 2012 era stata toccata da una bufera per i suoi metodi piuttosto spregiudicati. In pratica venne sospettata di far passare alcuni immigrati adulti come minori per incassare di più. Lo scandalo fu portato alla luce dall’inchiesta del settimanale «L’Espresso», intervenne il Garante per l’infanzia, ci fu un po’ di polemica. Ma nessuno pensò di intervenire davvero. E così la Domus Caritatis ha continuato a fare il bello e il cattivo tempo: a Roma è arrivata a gestire 1000 profughi, il suo fatturato è cresciuto quasi del 300 per cento fra il 2011 e il 2013. Forse troppo. La prima ondata di Mafia Capitale (dicembre 2014) l’ha soltanto sfiorata. La seconda (giugno 2015) l’ha travolta in pieno. Uno dei suoi massimi dirigenti è stato arrestato, come si diceva. E un mese dopo la coop è stata commissariata, insieme a tutte quelle del gruppo La Cascina.
A questo punto tutti penseranno: game over, the end, rien ne va plus. E invece no. Siamo spiacenti di rivelarvi che Domus Caritatis, sopravvissuta alle polemiche del 2012, miracolata nei bilanci e coinvolta nello scandalo di quelli che «se volevano magna’ Roma», ebbene continua a gestire i profughi vincendo appalti in tutta Italia. A luglio 2015, un mese dopo l’arresto del suo fondatore, risulta ancora incaricata della gestione di 17 centri di accoglienza a Roma (12 Sprar, 2 per minori, 3 straordinari); 5 centri interculturali sempre a Roma; un centro a Velletri e uno a Como. Per conquistare quest’ultimo, il Sacco e Vanzetti, appalto del valore di 2.148.000 euro per tre anni, ha battuto una cooperativa locale che gestiva quel servizio da tempo e che pure aveva fatto un’offerta economicamente più vantaggiosa. Inoltre, alla Domus Caritatis sono stati affidati, dopo l’esplosione dello scandalo Mafia Capitale, 50 immigrati dalla Prefettura di Teramo (ha partecipato alla gara ed è arrivata prima) e 118 immigrati dalla Prefettura di Lecco. Questi ultimi sono stati collocati a Maggio di Cremeno, in una frazione di 500 abitanti appena, suscitando la sollevazione generale dei cittadini.
Ora la domanda, figlia del buon senso, è piuttosto semplice: ma se una cooperativa è sospettata di gestire profughi in modo non trasparente, come fa a continuare a vincere gare d’appalto in tutta Italia? Non dovrebbe essere esclusa? Temporaneamente sospesa? Se poi dimostrerà di essere innocente, per l’amor del cielo: porte spalancate dappertutto. Ma nel frattempo non si potrebbe soprassedere? Visto che stiamo parlando di azioni sociali, di solidarietà: non sarebbe meglio lasciare l’incombenza a qualcun altro? Le Prefetture, in effetti, avevano emesso dei «provvedimenti interdittivi», ma questi ultimi sono stati subito sospesi (luglio 2015) e quindi revocati (settembre 2015). «Il Tribunale ha confermato», dicono alla cooperativa, che non esiste «alcuna preclusione alla partecipazione/aggiudicazione alle gare d’appalto» e dunque che essa può continuare «a intraprendere nuove attività nell’interesse dei soci e delle diverse migliaia di lavoratori impegnati nei servizi affidati». Nell’interesse dei soci e dei lavoratori, si capisce. Ma pure nell’interesse del Paese?
A noi resta qualche dubbio. Davvero la proposta Domus Caritatis, con il suo fondatore agli arresti per Mafia Capitale, è la migliore in assoluto per la Prefettura di Teramo? E che cos’avrà di così meraviglioso il progetto presentato a Como da passare sopra a tutto il resto, anche alle offerte più vantaggiose delle coop locali? Perché Roma affida a Domus Caritatis, anche dopo l’arresto di uno dei suoi capi (4 giugno), quattro appalti (uno il 12 giugno, uno il 15 giugno, uno il 19 giugno e uno il 25 giugno)? E perché si accettano, da una cooperativa simile, anche follie come quella di mettere 118 immigrati in una frazione di 500 abitanti, dimostrazione evidente di scarsa sensibilità e gestione scriteriata?
C’è solo una Prefettura che ha escluso la Domus Caritatis dall’appalto, dopo averla collocata al primo posto della graduatoria: quella di Brescia. Ma esclusivamente perché, grazie alla ribellione di un sindaco, è stato dimostrato che la coop voleva mettere i 100 immigrati in locali assolutamente inadatti. In un edificio, cioè, che non rispettava banali norme di igiene e di sicurezza. Un’altra perla nella carriera della Domus Caritatis, che però, nonostante tutto, continua inarrestabile e nel dicembre 2015 si candida pure a gestire i profughi della ex caserma Serena di Trento. Nessuno riesce a fermarla, in effetti. In nessun modo. Forse bisognerebbe provare con la Trinità.

Se volevano magna’ Roma.
E continuano a vincere appalti / Tre Fontane

Sono sospetti, ma continuano a vincere. E quello della Domus Caritatis non è l’unico caso. Anzi. Nel maggio 2015, per esempio, si è inalberato il sindaco di Valledoria, in provincia di Sassari. Ha saputo, quasi incidentalmente, che qualcuno si stava informando sulla ex casa di riposo del suo Comune, una struttura chiusa da anni e inutilizzata. «Chi può interessarsi a quel rudere?» si è domandato. Ha chiamato il vigile urbano ed è andato a vedere. Ci ha trovato dentro due imbianchini. «Che state facendo?» «Stiamo imbiancando perché qui devono arrivare 100 profughi.» Cento profughi sono sembrati subito un po’ troppi al sindaco, anche perché la casa di riposo era stata chiusa in quanto ritenuta inadatta a ospitare 34 anziani. Ma tant’è: il proprietario dell’immobile, senza dire nulla al Comune, aveva davvero stipulato il contratto d’affitto con una cooperativa che in Prefettura si era aggiudicata il malloppo dei 100 profughi. E il sindaco non ha potuto fare nulla per opporsi.
Il bello, però, comincia ora. Qual è infatti la cooperativa che gestisce i profughi a Sassari? Un gruppo di volontari locali? Generosi sardi dal cuore d’oro? Sassaresi pronti ad aprire le porte delle loro case? Macché: si tratta di una cooperativa di Roma. E mica una cooperativa qualsiasi: la Tre Fontane, che fa capo al gruppo della famosa Cascina, lo stesso della Domus Caritatis, invischiato fino al collo in Mafia Capitale. Anche la sede delle Tre Fontane è nello stesso palazzo della Cascina, che poi è lo stesso della Domus Caritatis: Roma, via Francesco Antolisei 25. E per un po’ di tempo ai vertici della Tre Fontane c’è stato proprio quel Tiziano Zuccolo, già fondatore e vicepresidente della Domus Caritatis, finito agli arresti nel giugno 2015. Attualmente, invece, il presidente risulta essere Marco D’Offizi Lulli, un trentottenne romano che per non sbagliare indica come suo domicilio sempre il palazzone di via Antolisei 25. Casa e bottega, nel vero senso della parola.
La Tre Fontane è stata fondata nel 1997 e ha come sua ragione sociale proprio la gestione accoglienza immigrati. Un’attività che non rende male: al 31 marzo 2015 la cooperativa poteva vantare 43 addetti, il fatturato 2014 ha superato i 2 milioni di euro (2.327.000 per l’esattezza), con bilancio in utile. Si tratta di «volontari», evidentemente, molto bravi. Oltre che la gara alla Prefettura di Sassari, infatti, nel maggio 2015 si sono aggiudicati anche (con un’altra cooperativa) le gare per la gestione di diversi centri di Roma (via Staderini, via Porrino e via Empolitana), oltre a quelli di Guidonia, Tivoli, Colleferro, Nettuno, San Vito, Pomezia e Anzio. Avevano vinto anche una gara a Santa Croce sull’Arno (Pisa), per la verità. Ma lì c’è stata una sollevazione popolare che li ha costretti a ritirarsi. «Qui da noi non possono continuare a vincere le coop sfiorate da Mafia Capitale» hanno strillato i toscani. A Roma, invece sì, possono continuare. A Guidonia, Tivoli, Colleferro, Nettuno, San Vito, Pomezia e Anzio pure. E perfino a Sassari, anche se stipano 100 profughi dentro un ex ospizio in cui non riuscivano a stare 34 anziani. Scoppiano le risse? Gli immigrati si barricano? Devono intervenire i carabinieri? L’importante è che continuino a vincere sempre gli stessi. A vincere e a fatturare, ovviamente.

Il centro di Mineo: maxiscandalo da 100 milioni di euro

Per capire davvero come si muovono quelli del gruppo La Cascina, però, bisogna per forza passare per Mineo, il centro siciliano, il più grande d’Europa e il più contestato d’Italia, il buco nero di Profugopoli, la dimostrazione evidente del fallimento della nostra politica di accoglienza. Questo mostro costa ai contribuenti italiani circa 35 milioni di euro l’anno ed è arrivato a ospitare fino a 4000 immigrati. Su di esso sono state aperte ben cinque inchieste da quattro diverse Procure: una sulla Parentopoli nelle assunzioni (Catania), una sulla tratta di migranti (Palermo), una sulla compravendita di consiglieri comunali (Caltagirone), una sulla truffa dei badge (Caltagirone), che ha comportato l’incasso di diarie per «profughi fantasma», e, infine, la più importante di tutte sul maxiappalto da 100 milioni per il periodo 2014-2016 (Roma). Quello per cui prese la mazzetta Luca Odevaine, ex collaboratore di Walter Veltroni e uomo chiave dell’inchiesta Mafia Capitale.
Il bubbone dei bubboni sorge su un terreno a circa 50 chilometri da Catania, nel cosiddetto «Residence degli Aranci», un tempo abitato dagli americani della base di Sigonella e proprietà della famiglia di costruttori parmensi Pizzarotti. Quando nel 2011 fu trasformato in centro di accoglienza, per i Pizzarotti fu una bella fortuna: incassarono 12 milioni di euro per due anni di requisizione, e poi stipularono un contratto d’affitto da 4 milioni l’anno. Sono stati loro i primi a guadagnare da questa operazione. Ma non certo i soli. A gestire il Cara di Mineo infatti, caso unico in Italia, non è direttamente la Prefettura ma un consorzio territoriale, formato da enti locali, il Calatino Terra d’Accoglienza, che soltanto per il fatto di esistere ha così avuto la possibilità di gestire un fiume di denaro pubblico. E i soldi, oltre che per l’attività del campo, sono stati distribuiti sul territorio in mille rivoli finanziando un po’ di tutto, dalla tombolata multietnica all’aperitivo multietnico, dal seminario sull’Open Space Technology ai Babbi Natale neri che portano regali a Mirabella, dalle parate di carnevale al gruppo musicale Cara’s Free Spirit, dai corsi per nails art (ricostruzione unghie) alle sfilate di moda di Licodia Eubea, dalla Festa del grano all’imperdibile Festa del pecorino pepato di Castel di Iudica.
Ci si potrebbe chiedere: che bisogno c’era di dare vita a un simile consorzio? Perché i soldi non sono stati gestiti direttamente dalle Prefetture? Perché si è creato un intermediario? Si sentiva proprio il bisogno di un ulteriore carrozzone capace solo di rendere più complessa (e più dispendiosa) l’accoglienza profughi? Domande più che legittime. Anche perché affidare al consorzio Calatino Terra d’Accoglienza tutte le scelte non si è dimostrato né vincente né trasparente: il vero scandalo, infatti, al di là delle spese pazze, è nato proprio attorno al maxiappalto da 100 milioni di euro con cui nel 2014 il consorzio ha scelto la cooperativa per la gestione del campo. Secondo la Procura di Roma, il gruppo La Cascina avrebbe pagato una tangente per avere l’appalto disegnato a propria misura. Nelle carte si parla di «finta gara» o di «gara blindata». Truccata, insomma. A incassare la mazzetta sarebbe stato il maxiconsulente dell’operazione, nonché componente delle commissioni di gara, Luca Odevaine, che riceveva dalla galassia cattolica una retribuzione fissa (prima 10.000 euro al mese, poi aumentati a 20.000). «Sì, ho preso quel denaro» ha confessato Odevaine ai magistrati nell’agosto 2015. «E il bando era scritto in modo da rendere certa la vittoria della Cascina…» Con il suo commercialista al telefono scherzava: che bisogno c’è di lavorare ancora? «Con quei soldi me ne posso andare al mare…»
Dunque ricapitoliamo. Con il maxicentro di Mineo ci guadagnano un po’ tutti: i proprietari del Residence degli Aranci (Pizzarotti), che riescono ad affittare una struttura che altrimenti sarebbe rimasta vuota; i sindaci della zona, che hanno denaro a sufficienza per foraggiare qualsiasi iniziativa folkloristica alla faccia dei patti di stabilità; la grande cooperativa bianca, che si aggiudica un maxiappalto da 100 milioni di euro in tre anni, e i consulenti del consorzio che, per quella gara, si guadagnano uno stipendio in tangenti da 20.000 euro al mese. Non male per un unico affare, no? Ma c’è anche un a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione
  4. PROFUGOPOLI
  5. Premessa
  6. I. Improvvisati e avventurieri. L’accoglienza? Pompe funebri, tarantella e pesca sportiva
  7. II. Affaristi. Quando la solidarietà porta al paradiso. Fiscale
  8. III. Specialisti&colossi. Le coop Re Mida: toccano le tragedie e le fanno diventare oro
  9. IV. Hotel Immigrati Spa. Prendi i profughi e scappa
  10. V. Multinazionali&opportunisti. Avanti c’è business: mille modi diversi per far soldi con l’emergenza
  11. VI. Sospetti, farabutti&sfruttatori. Tangenti, mafia e altro malaffare all’ombra della solidarietà
  12. Ai lettori
  13. Grazie
  14. Bibliografia
  15. Copyright