Francesca
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Francesca

  1. 360 pagine
  2. Italian
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Francesca

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Informazioni sul libro

Francesca da Polenta è una donna fuori dal comune. Lettrice appassionata, dotata di forte intuito anche per argomenti solitamente maschili, fin da giovanissima viene citata dai menestrelli di corte come una delle fanciulle più belle della penisola. Per suo padre Guido, è l'unica donna che valga quanto un uomo, l'unica in grado di tener testa ai suoi discorsi, l'unica il cui destino gli stia a cuore. Ma un uomo di potere sa che il bene del casato vale più dei propri sentimenti. Per questo, quando Giovanni Malatesta gli chiede la sua mano, Guido non riesce a negargliela.
È così che, a sedici anni, Francesca da Polenta cede il posto a Francesca da Rimini. Mai avrebbe pensato a un matrimonio senza amore, con un uomo brutto e privo di cultura, ma, contrariamente alle aspettative del padre, accetta la decisione senza ribellarsi. Una vita lontana dal mondo cavalleresco che ama, questo è ciò che si aspetta da quell'unione. Fino al giorno in cui conosce Paolo, il fratello di suo marito. Paolo non solo è affascinante, ma è curioso, colto, pieno di premure e di considerazione per le sue idee. È l'uomo che avrebbe voluto accanto. È l'uomo che amerà, per tutta la vita. E a causa del quale perderà quella stessa vita.
La storia di Paolo e Francesca, relegati nell'Inferno dantesco tra i lussuriosi, ha riempito la bocca degli innamorati nel corso dei secoli. Ma delle due persone nascoste dietro alla fama immortale, si è sempre saputo poco. Manuela Raffa ricostruisce la vita di una donna, le sue passioni, le sue ambizioni, le sue inclinazioni, fino all'ultimo tragico evento; e la trasforma da simbolo dell'amore eterno e peccaminoso a donna in carne e ossa.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858516935

XII

«[...] Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».
E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.
Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse [...]»
DANTE, Inferno, Canto V

1

1304, Rimini
Ho provato rabbia per anni. Per lei, per lui, per me.
Ho combattuto contro i miei nemici per lungo tempo pensando al viso di mio fratello, ponderando di ucciderlo ogni volta che la mia spada si abbatteva per togliere la vita. Ero furioso, incapace di lasciarmi alle spalle quel tradimento. Così profondo, così doloroso.
Il tempo ha sfumato la mia ira, fino a trasformarla in amarezza. Non mi sono fidato più di nessuno, non ho permesso che si accostassero a me per conoscermi. Nessuno sa più chi è Giovanni Malatesta, Gianciotto.
Francesca, oh, Francesca. Mi tormenti per le mie azioni, torni e punti il dito per condannarmi.
Un rumore. Fuori dalla porta. Bussano.
Sanno dove trovarmi, ma anche che non dovrebbero disturbarmi, fino a quando non uscirò di nuovo per tornare alla vita di tutti i giorni.
Adesso non posso.
Esco e ascolto sulla porta cosa hanno da comunicarmi, la rabbia per l’interruzione che mi stravolge i lineamenti.
Rido. Vedo negli occhi il ballo dei pensieri repressi, che non trovano concretizzazione nelle parole: mi credono pazzo. Provano a inculcarmi l’idea che vogliano uccidermi, che tuo figlio, Paolo, stia tramando per assassinarmi, per vendicarsi. Che vengano. Non ho mai avuto paura, non inizierò a provarla adesso.
L’ho detto ad alta voce, chiamando il tuo nome, fratello traditore? Non riesco a comprendere cosa sia realtà e finzione, ombra di fantasmi del passato che irrompe nel presente per distruggermi.
Chiudo la porta e non mi curo delle facce spaventate e incredule che lascio oltre il legno.
Perché non mi lasciano in pace? Non sanno che quando sono qui dentro non voglio essere disturbato? Non si importunano i morti. Quando vogliono parlarti, devi ascoltarli.
Rimarrò ancora un po’. Mi siedo, sistemo il mantello, fisso la finestra. Non siete ancora andati via. E questo è l’unico luogo dove posso affrontarvi.

2

1283, Rimini
Francesca era contrariata e delusa. Erano tre mesi che non riceveva notizie di Paolo e se all’inizio era rimasta sconcertata, alla fine si era risentita.
Si era dimenticato di lei.
Firenze lo aveva irretito con la sua bellezza, la sua corte, la sua cultura. Probabilmente aveva trovato interessante la compagnia di un’altra donna, la cui frequentazione non lo trascinava nel peccato, se non in quello di fornicazione al di fuori del matrimonio. Non rischiava l’ira di un fratello che covava nei suoi confronti un risentimento che si andava stemperando a livello politico, né il disprezzo dell’intera famiglia.
Quante persone avrebbero deluso se li avessero scoperti?
Da quando la loro relazione era ripresa, Francesca era tornata a tormentarsi, soprattutto quando il comportamento di Paolo la feriva.
L’anno precedente, quando l’uomo era a Rimini, prima della partenza erano riusciti a incontrarsi e a perdersi l’uno nell’altra. Era stato un momento appassionato, dolce e tormentato. Sembravano posseduti, incapaci di lasciarsi. Poi Paolo era partito per assumere la carica di Capitano del Popolo, promettendole lettere frequenti e racconti particolareggiati del suo soggiorno a Firenze. All’inizio aveva mantenuto fede alla parola data, ma ora era trascorso troppo tempo dall’ultima missiva.
E Francesca era nervosa e irritabile.
Dopo la ripresa del loro rapporto, il suo comportamento si era leggermente aperto, ma non era più tornata la giovane di un tempo. La sofferenza l’aveva segnata, lasciandole la sensazione che non era ancora giunto l’epilogo. E in fondo, come poteva finire la loro storia, se non con lacrime e dolore? Non sarebbero mai potuti stare insieme, nemmeno se Giovanni fosse morto, se non nell’ombra e nell’inganno. Si sarebbero incontrati sporadicamente, temendo di essere scoperti, mentendo alle persone che amavano. Non era vita. Era logorante e con il passare del tempo il peso della colpa e del peccato gravava sulla coscienza di Francesca. Era una prigione: non poteva smettere di amare Paolo, come non poteva evitare di sentirsi in errore.
In quei giorni Giovanni non era presente e neppure Malatesta. L’uomo, infatti, aveva intenzione di estendere la propria influenza nella Marca e Gradara stava passando dalla famiglia del Griffo a quella dei Malatesta. Giovanni se ne sarebbe occupato personalmente.
Francesca ne era felice. Il marito era occupato, sempre in viaggio, e il dover sottostare agli innumerevoli compiti che il padre gli affidava lo portava lontano da lei.
Il loro matrimonio si era deteriorato senza possibilità di recupero. L’uomo, che ancora l’amava, non riusciva più a sopportare la sua freddezza. La giovane, ormai, non tentava nemmeno di essere gentile e di trovare tenerezza nel marito. Il contrasto con il sentimento che nutriva per Paolo era troppo stridente, profondo.
Giovanni, che era stato cieco a lungo, sembrava aver aperto gli occhi sulla realtà. Non era più spensierato quando erano insieme, la fissava a lungo come se cercasse una risposta sul suo viso e serrava le labbra di fronte alle parole spente della moglie. In presenza di altri uomini era divenuto insopportabile. Le rimaneva accanto anche quando non era necessario, si infilava nelle conversazioni che la moglie instaurava con gli ospiti, a volte anche in modo sgarbato. Francesca provava a rimediare alle intrusioni indesiderate, a volte senza particolare successo. Non che le importasse, ma era irritante.
Quando erano soli nella loro camera, Giovanni la possedeva spesso, come se con quel gesto volesse rivendicare ciò che era suo. Era quasi violento, furibondo. Francesca subiva, pensando al suo Paolo, ai momenti rubati che avevano trascorso insieme.
La mancanza di notizie rese le notti più difficili da sopportare. Francesca era invasa dal timore: come avrebbe sopportato Giovanni, se Paolo non la cercava? Come avrebbe reagito, se avesse deciso di nuovo di lasciarla?
Aveva paura, di lui, di se stessa, del vuoto che la vita le proponeva senza quell’amore assoluto, proibito, accecante.
Subiva e sperava, ricordando a se stessa che Paolo era una persona nobile, onesta e che non l’avrebbe lasciata in sospeso senza un buon motivo.
Ornamento di separazione
Quando l’uomo di Paolo giunse, la sorprese nel buio del corridoio che conduceva alle stanze superiori della domus, mentre si dirigeva nella stanza di Costanza. In quel momento Francesca era distratta, avvolta nelle spire della disperazione.
Giovanni era tornato per qualche giorno a Rimini e la sera prima l’aveva posseduta come se fosse ossessionato, lasciandola spossata e poi preda dei sogni. Non erano stati piacevoli: si era svegliata nel cuore della notte, madida di sudore, con nel cuore una disperazione che la inondava ogni giorno di più. Traboccò, lasciandola scossa da singhiozzi e lacrime, che dovette soffocare nel cuscino per non svegliare il marito. La mattina aveva abbandonato il letto con le occhiaie ben visibili e l’umore tetro.
Aveva sognato la morte di Paolo, in battaglia, e l’angoscia l’aveva invasa come un fiume in piena. Aveva scacciato quel pensiero con forza, dandosi della sciocca: se Paolo fosse morto, la notizia li avrebbe raggiunti.
Quando venne strattonata al braccio, sussultò per il timore.
«Non abbiate paura, mia signora.»
Riconobbe la voce del servitore fedele di Paolo e si girò di scatto. Nel corridoio non c’era nessuno.
«Prendete» disse l’uomo, consapevole quanto lei che quella condizione favorevole poteva frantumarsi da un momento all’altro, con la comparsa di un servitore o un membro della famiglia.
Afferrò la lettera e la nascose tra le vesti, guardandosi intorno per capire se era stata veduta. L’uomo si dileguò. Francesca quasi non sentì i suoi passi e per un istante pensò di aver sognato l’intero accaduto.
Doveva far visita a sua figlia e comportarsi in modo normale. In seguito si sarebbe recata nella sua stanza, per leggere la missiva di Paolo.
Quando finalmente riuscì a rimanere sola, si appoggiò al legno della porta della sua camera e trasse un sospiro di sollievo. La stanza era fredda, poiché il camino spandeva un debole chiarore nel grigiore di quel giorno di gennaio.
Afferrò la lettera con dita tremanti e la aprì, scorrendo gli occhi in modo frenetico.
Mia diletta, sono in torto nei vostri confronti e vi chiedo di perdonarmi. Gravi avvenimenti mi hanno tenuto impegnato e la segretezza delle nostre lettere mi ha spinto, in un momento così delicato, a essere prudente e a non commettere errori che aggravassero la situazione. Quando vi racconterò gli eventi, di cui forse siete già informata, capirete le mie azioni e non proverete rancore per avervi ingiustamente trascurata.
La mia carica di Capitano del Popolo sta per scadere. Rassegnerò le dimissioni, dopo aver compiuto un ultimo incarico per questa città meravigliosa e implacabile.
Un urlo soffocato uscì dalle labbra della donna. Paolo che si arrendeva? Era impossibile. Cosa era accaduto di così grave?
Proseguì.
Alla fine dello scorso anno è stata istituita la carica di Difensore delle Arti. È una nuova magistratura, voluta da chi non accetta la mia presenza in città e da chi non sopporta la carica di Capitano del Popolo in generale. Ha avocato a sé larga parte delle competenze spettanti al mio incarico. Per destabilizzare la mia posizione, sono state anche annullate alcune sentenze pronunciate da me. Ben più grave la condanna di Buonaccorso degli Alisei, reo di aver protestato contro le ingerenze dei priori sulla costituzione del cardinale Latino Malabranca, che regolamentava la pacifica convivenza tra guelfi e ghibellini: è stata avallata, nonostante le mie proteste.
Ho cercato di portare avanti la nostra causa, ma le spinte centrifughe sono troppo forti. Potrei lottare, ma non ho più il tempo necessario e nemmeno l’influenza per raggiungere gli obiettivi. E con voi, mio amore, posso essere sincero. Non ne ho nemmeno voglia. Vorrei essere a Rimini, anche solo per potermi beare della vista della vostra persona, che per troppo tempo mi sono negato. Sono stato uno sciocco e ho fatto soffrire entrambi. Vi desidero, come mai prima. Vorrei conversare con voi, leggere un libro, chiacchierare di politica. Mi mancate. Come sta la bambina? Fatemi avere notizie.
Arriviamo all’ultima questione: sono in viaggio per Castiglione della Pescaia. Sono stato designato comandante delle milizie fiorentine, per conquistarne la rocca e toglierne il predominio a Pisa. Da quando sono in viaggio sono più libero di pensare a voi. Presto non sarà più così.
Pregate per me e ricordate che vi amo più della mia stessa vita. Finirà anche questa battaglia, rassegnerò le dimissioni e tornerò da voi.
Vostro per sempre
Paolo
Francesca era allibita. Sistemò la lettera e si lasciò andare sul letto, pallida e tremante. Il sogno. Paolo era davvero in battaglia, forse proprio in quel momento. Scacciò l’orribile sensazione e si diede della sciocca. Pregare. Sì, era una buona idea e Paolo le aveva domandato di farlo. Non lo avrebbe deluso.
Inoltre, presto Malatesta si sarebbe infuriato contro il secondogenito, non appena avesse saputo cosa era accaduto a Firenze. Paolo sarebbe tornato per rendere conto al genitore delle proprie azioni e lei finalmente lo avrebbe abbracciato.
Francesca non si era sbagliata. Due giorni dopo, tutta la casa sapeva ciò che Paolo le aveva anticipato via lettera. A quanto pareva, Malatesta era...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. FRANCESCA
  4. I
  5. II
  6. III
  7. IV
  8. V
  9. VI
  10. VII
  11. VIII
  12. IX
  13. X
  14. XI
  15. XII
  16. XIII
  17. Bibliografia
  18. Nota dell’autrice
  19. Ringraziamenti
  20. Copyright