I nemici di Francesco
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I nemici di Francesco

Chi vuole screditare il papa. Chi vuole farlo tacere. Chi lo vuole morto

  1. 312 pagine
  2. Italian
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I nemici di Francesco

Chi vuole screditare il papa. Chi vuole farlo tacere. Chi lo vuole morto

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Bergoglio lo sa. Alcune volte ne ha parlato in privato. Altre volte lo ha lasciato intendere in pubblico. Dentro e fuori la Chiesa ci sono ostacoli, resistenze, lotte. I serpenti si annidano negli ambienti curiali come nei centri di potere internazionali. Sugli oppositori interni già si scrivono pagine di cronaca e interi tomi, ma è anche la trincea esterna al perimetro del Vaticano a essere foriera di pericoli imprevedibili.
Francesco non lo ha mai negato. Alla vigilia del viaggio in America Latina ha parlato senza ipocrisia: "Quante forze, lungo la storia, hanno cercato e cercano di annientare la Chiesa!".
In un'inchiesta giornalistica rischiosa e senza precedenti, Nello Scavo ha cercato i nemici del papa "venuto dalla fine del mondo". Alcuni li ha incontrati di persona, anche a loro insaputa. In qualche sacrestia, lungo le rotte dei profughi scacciati, in un paradiso fiscale o nell'inferno di una bidonville. Molti continuano a nascondersi. Indossano il copricapo da vescovo o il turbante da mujaheddin, le cravatte alla moda di certi banchieri d'assalto o le camicie di lino di petrolieri famelici. Altri, infine, portano gli scarponi sporchi di fango dei trafficanti di uomini e di armi. Sono mercenari della maldicenza e capi di stato che razzolano male. "Se subissi un attentato", ha confidato il papa mentre si recava nelle Filippine, "chiedo solo la grazia che non mi faccia male. Non sono coraggioso. Ho paura del dolore fisico, ma ho il difetto di avere una bella dose di incoscienza."

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858514450
Prima Parte

POTERI FORTI

1

CHI HA PAURA DI BERGOGLIO?

Un regalo di Natale avvelenato. Squali della finanza e falchi neoconservatori. La nuova tirannia invisibile. Il re è nudo. L’economia che uccide. Un papa leninista? «La bandiera dei poveri è cristiana!»
Il regalo di Natale per Bergoglio il «Financial Times» lo infiocchetta con due giorni d’anticipo. Il 23 dicembre 2013 il quotidiano economico-finanziario più letto al mondo sferra un attacco al “pensiero economico” di papa Francesco, colpevole di non capire i benefici della “ricaduta favorevole”. A ruota seguono altri interventi dello stesso tipo lungo tutto il 2014, da «Foreign Policy» ai principali think tank foraggiati da rilevanti istituzioni finanziarie. Ma cosa c’è dietro? Chi ha innescato questi attacchi? Perché certi ambienti hanno così paura della “dottrina Bergoglio”?
Dovendo stare addosso a multinazionali e potentati economici, una cosa che si impara presto è guardare nelle pieghe dei bilanci. Nei rivoli della contabilità corrono gli interessi reconditi, gli scopi indicibili. A volte solo gli azionisti più attenti o gli osservatori più scafati riescono a venire a capo di voci apparentemente innocue. Lo stesso accade nella psicologia di molti grandi finanzieri. Non bisogna prestare orecchio solo a quello che dicono. Per anni le grandi banche avevano fatto il gioco delle tre scimmiette con un truffatore come Bernard Madoff, l’autore della più grande frode dell’era capitalista. Possibile che siano così distratte con un banchiere furfante e così sensibili alle osservazioni di un papa?
Anche quel Natale, ovunque si tira la cinghia. Dai regali al cenone non c’è famiglia che non stia a fare i conti. La credibilità delle istituzioni finanziarie è ai minimi. L’autorevolezza dei banchieri viene messa in discussione da più parti, in un fuoco di fila di critiche trasversali. Ci mancava solo un papa che, anziché discettare di teologia, si mette a piantar grane, riuscendo a coalizzare no-global e movimenti ecclesiali, ex comunisti e neosocialdemocratici. Una specie di grande alleanza dei poveri e dei gabbati dal capitalismo, che minaccia la sostenibilità di sistemi di potere fondati sull’opacità della supremazia economica.
Quella della “ricaduta favorevole” è una teoria economica in voga dai tempi di Ronald Reagan, il presidente americano campione del neoliberismo. Bergoglio ne aveva già parlato a novembre nell’Evangelii Gaudium, ma il 16 dicembre 2013, otto giorni prima dell’attacco sferrato dal «Financial Times», il papa torna sull’argomento conversando con Andrea Tornielli. Al celebre vaticanista de «La Stampa» e coordinatore del portale Vatican Insider, uno dei più seguiti al mondo, Francesco spiega che per i fautori di questa dottrina «ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo». Un automatismo, niente di più che un automatismo: «C’era la promessa che quando il bicchiere fosse stato pieno sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade invece che, quando è colmo, il bicchiere magicamente s’ingrandisce, e così non esce mai niente per i poveri».
John Allen, fra l’altro è vaticanista di «Vatican affair» per la CNN e la radio pubblica NPR, sostiene che Bergoglio ha toccato un nervo scoperto. «Questa è roba incendiaria, soprattutto in un paese come gli Stati Uniti, dove le aggressioni di tipo etico all’attuale economia di mercato sono rare nel dibattito pubblico. Neanche i manifestanti di Occupy Wall Street hanno avuto il coraggio di spingersi fin dove sono arrivate le parole del papa.»
I privilegiati del “bicchiere magico”, infatti, non la mandano giù. E allora accade proprio come nella favola di Andersen, I vestiti nuovi dell’imperatore. Al cospetto del re, che sfila di fronte ai suoi sudditi con un abito inesistente, nessun ciambellano osa fiatare. Poi un bambino, “la voce dell’innocenza”, esclama: «Ma se non ha niente indosso!». E allora, davanti alla folla che ormai ha aperto gli occhi, anziché filarsela per la vergogna, il re nudo si impone di procedere comunque: «“Ormai devo condurre questa parata fino alla fine!”, e così si drizzò ancora più fiero, mentre i ciambellani lo seguivano reggendo una coda che non c’era per niente».
Nel suo memorandum del dicembre 2013, l’economista James Glassman di J.P. Morgan ricorda uno di quei ciambellani: «I sistemi economici orientati al mercato stanno facendo di più per curare la povertà globale rispetto a quanto sia mai accaduto in passato». Come tutte le difese d’ufficio, è un’uscita poco convincente. «Chi è preoccupato per la povertà globale deve avere un atteggiamento più grato, oggigiorno, che non lamentarsi.»
È un rimprovero indirizzato direttamente a papa Francesco, che pure non viene mai nominato esplicitamente. Una risposta alle accuse precise e reiterate che il pontefice ha messo nero su bianco, innescando la bomba del pacifico dissenso che i grandi poteri temono. Perché i sistemi democratici, per quanto manipolabili, si basano sul consenso, e le parole del papa possono avere effetti diretti sulla politica.
Il “manifesto” di Francesco è riassunto nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, promulgata il 24 novembre 2013 a chiusura dell’Anno della fede. Dovendo parlare della “Gioia del Vangelo”, il pontefice non poteva non denunciare i dolori della quotidianità.
Scrive Bergoglio: «Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della iniquità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa».
Affermare «Questa economia uccide» significa pronunciare un prodigioso atto d’accusa. Perché vuol dire che ci sono delle vittime e dei carnefici. Che i campioni del capitalismo selvaggio sono essi stessi degli assassini. Che avranno anche le mani pulite, ma le loro coscienze sono sporche del sangue dei poveri. Migranti, profughi, lavoratori sfruttati, imprenditori che si uccidono, bambini in schiavitù: non è che una parte di un elenco sterminato di crimini contro l’umanità commessi con il falso pretesto della “ricaduta favorevole”.
«Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita» scrive Francesco. Pur senza armamenti, quella del papa è una dichiarazione di guerra. «Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.»
Quella di un mercato capace da solo di ridistribuire le ricchezze, facendole “ricadere” dai ricchi verso i meno abbienti, è un’illusione. Anzi una truffa. Secondo i sostenitori di queste teorie, che andavano particolarmente di moda durante l’era Reagan-Thatcher e che hanno dato una copertura ideologica alle loro “riforme” economiche, l’arricchimento di pochi è a beneficio di tutti.
«Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime» si legge ancora nell’enciclica «una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante.» Bergoglio lo pensava e lo ha detto. Non ci si può fidare «di coloro che detengono il potere economico», i liturgisti dei «meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante».
Adesso è più chiaro perché le lobby finanziarie stiano prendendo di mira papa Francesco. Non sarà solo una battaglia ideologica. Di teorici contro teorici. Nei giorni successivi arriva il momento in cui le banche passano alle vie di fatto, tentando di isolare il Vaticano, ostracizzando lo IOR, come vedremo, e servendo all’entourage del pontefice qualche polpetta avvelenata. Prima, però, serve radunare le forze. E, come scriveva Andersen, «condurre questa parata fino alla fine!».
L’analisi dell’economista di J.P. Morgan va in questa direzione: «Le rimostranze che si sentono spesso sull’incapacità dei sistemi economici di far fronte alla piaga della povertà ignorano alcuni fatti fondamentali». A questo punto le iperboli di James Glassman prendono una traiettoria tragicomica. Innanzitutto, «la povertà non è un fenomeno moderno. Seconda cosa, le economie dei paesi avanzati si stanno ancora riprendendo da profonde recessioni e presto torneranno al loro pieno potenziale. Questo è il motivo per cui le politiche adottate dalle banche centrali rimangono così accomodanti. Chi è stato colpito dalla recessione riuscirà a riprendersi grazie al recupero continuo dei paesi avanzati. Terzo fattore, nonostante i ciclici problemi delle economie più avanzate, in media il tenore di vita globale viaggia sui massimi assoluti».
Probabilmente il buon James, oltre al privilegio di uno stipendio di J.P. Morgan, non è un assiduo frequentatore degli hard discount e, per sua fortuna, delle mense dei poveri. Insomma, non dev’essere quel tipo d’uomo in confidenza con i benefattori dell’Esercito della salvezza. Oppure è uno di quei ciambellani che, pur di non perdere il posto, vedevano il monarca privo di indumenti ma non avevano il coraggio di far dire alla bocca quello che gli occhi osservavano. Altrimenti non si spiega come faccia a ribadire che «i sistemi economici che si basano sui mercati stanno facendo molto di più per curare la povertà rispetto a qualsiasi sforzo del passato».
La sensibilità e la consapevolezza dell’opinione pubblica mondiale sono cresciute. Ma la sfida di papa Francesco al capitalismo globale parte da alcuni dati che conosce a memoria per averli studiati personalmente già prima del pontificato. Sono informazioni che anche i timonieri delle banche conoscono bene, ma per essere stati complici di chi ha scatenato la tempesta.
La grande crisi finanziaria ha prodotto cinquanta milioni di disoccupati tra USA e UE; il valore di titoli e immobili evaporati nei primissimi anni della crisi si aggira tra i cinquanta e i sessanta trilioni di dollari, una cifra a diciotto zeri che si avvicina ai settanta trilioni del prodotto interno lordo del mondo intero; il prezzo sociale pagato è stato altissimo (la Grecia è un caso da manuale). D’altro canto, per pochissimi eletti la crisi si è rivelata l’ennesima vantaggiosa occasione di arricchimento: secondo le stime della Banca mondiale, la classe più benestante del pianeta è costituita da ventinove milioni di adulti, cioè lo 0,6 per cento della popolazione, e detiene il 39 per cento della ricchezza (quasi ottantottomila miliardi di dollari).
Alcune centinaia di migliaia di persone hanno peggiorato, quando non distrutto, la vita di decine di milioni di cittadini. Grazie a un sistema in cui, a eccezione di pochi, i colpevoli non hanno pagato e i bonus dei grandi manager anziché ridimensionarsi si sono moltiplicati.
A questo si è aggiunta una truffa sui valori comuni, perpetrata instillando un diffuso senso di colpa, come se la crisi fosse soprattutto l’esito di una vita vissuta al di sopra delle proprie reali possibilità, e propalando l’idea che persino lo stato sociale sia un lusso che ci ha fatti finire in bolletta.
Negli stessi mesi in cui dal Vaticano partono orazioni mattutine dai contenuti che talvolta spiazzano perfino i no-global di lungo corso, proprio J.P. Morgan ha dovuto staccare un assegno da 1,7 miliardi di dollari alle vittime di Bernard Madoff, il banchiere truffatore, impegnandosi a pagare alle autorità una multa da 893 milioni di dollari. Un conto salato, arrivato complessivamente a 2,6 miliardi di dollari, portando l’ammontare totale dei patteggiamenti raggiunti con il governo statunitense a più di 20 miliardi di dollari. Perché tutti sapevano ma fingevano di non vedere, pur di non fermare la bolla speculativa che fagocitava un bilione di dollari dopo l’altro. Per il governo americano, J.P. Morgan ha consentito a Madoff di riciclare denaro per anni: «Ha fallito, e fallito miseramente» ha affermato il procuratore generale di Manhattan, Preet Bharara.
Insomma, sarebbero questi i censori di papa Francesco.
Il termometro del conflitto sale di grado ogni giorno. Il potere finanziario globale si sente in pericolo. Fino a quel momento solo qualcuno, come “Bernie” Madoff, ha pagato con il carcere. Altri sono rimasti a piede libero e continuano a insegnare il mestiere ai giovani squali della finanza predatoria.
L’atteggiamento del Vaticano non cambia. Gli attacchi del pontefice ai sistemi economici globali sono pressoché quotidiani. E il 12 novembre 2014, a sorpresa, viene annunciato che due multinazionali, Unilever e Vodafone, finanzieranno nella City londinese una serie di convegni promossi dalla Chiesa sulla dottrina sociale cattolica. Il primate d’Inghilterra, cardinale Vincent Nichols, non si fa illusioni: «Ci vorrà un po’ di tempo prima che la dottrina sociale della Chiesa prenda il posto del neoliberalismo, ma siamo sulla strada giusta». Lo scopo è quello di “formare” i nuovi banchieri. Una ingerenza che la comunità finanziaria mal sopporta. La Chiesa è anche coinvolta nel Banking Standards Review Council, la commissione internazionale che sta promuovendo nuovi criteri di trasparenza e onestà nel mondo finanziario. A guidarla è Colette Bowe, cattolica, tra gli amministratori del settimanale «The Tablet», autorevole periodico cattolico internazionale. La commissione che l’ha scelta era presieduta da Mark Carney, governatore della Banca di Inghilterra.
Meno di un mese dopo, accade un fatto che alcune fonti vaticane sostengono di «non sapere come interpretare». Sul momento sembrava una notizia come tante, a cui non dare troppo peso, considerata la volatilità dei mercati finanziari. Ma dopo averlo annunciato alla fine del 2014, a metà febbraio 2015 J.P. Morgan conferma una valutazione negativa per Unilever e Vodafone.
Il rating di Unilever viene declassato per underweight. Nel linguaggio delle borse significa che il gestore è pessimista su quel titolo. Il termine underweight (letteralmente “sottopeso”), usato dagli analisti delle società di consulenza, è sinonimo di underperform, una sorta di indicazione a vendere un determinato titolo. Al contrario, su Vodafone scatta un’allerta per l’esatto opposto: overweight, “sovrappeso”. In altre parole, secondo i consulenti di J.P. Morgan la multinazionale delle telecomunicazioni potrebbe avere eccessivamente investito su altri titoli la cui sorte (se negativa) potrebbe far deprezzare il suo valore.
Bastano parole prese in prestito dai dietologi, termini come “sovrappeso” o “sottopeso”, per costringere governi, aziende e istituzioni mondiali a prendere decisioni indotte dall’esterno. «Una nuova tirannia invisibile» per usare altre parole del papa «che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole.»
Forse Bergoglio ci sta dicendo che si deve eliminare il mercato e tornare a un’economia arcaica?
«Non mi sembra che il pontefice neghi o condanni il mercato, anzi riconosce che il mercato favorisce la crescita economica» risponde Flavio Felice, professore ordinario di Dottrine economiche e politiche alla Pontificia università lateranense, oltre che presidente del centro studi Tocqueville-Acton. Secondo l’economista, «opportunamente e correttamente, il papa ci dice una cosa molto semplice e di buon senso che solo chi legge il documento in modo ideologico sembrerebbe non cogliere: la crescita, trainata dal mercato, non è immediatamente sinonimo di sviluppo; e come negarlo? Il mercato, dinamico e aperto, è lo strumento migliore per incrementare la crescita, ma tale crescita (elemento quantitativo) non si traduce necessariamente in sviluppo umano integrale (elemento qualitativo), che poi è ciò che interessa alla dottrina sociale della Chiesa e che dovrebbe interessare ciascun cristiano».
Basta leggere le notizie sul caporalato nei campi agricoli europei e sulle rivolte dei nuovi schiavi in Sudamerica per farsi un’idea. Ma allora, di chi è la colpa delle diseguaglianze? Chi bisogna tenere fuori dalle...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I NEMICI DI FRANCESCO
  4. Prologo. Bergoglio doveva morire
  5. Prima Parte. POTERI FORTI
  6. Seconda Parte. BATTAGLIE DIPLOMATICHE
  7. Terza Parte. POTERI SPORCHI
  8. Quarta Parte. I NEMICI IN CASA
  9. Epilogo. Quanti sono i nemici di Francesco
  10. Appendice
  11. Copyright