Vivete con delle persone e avete difficoltà nelle relazioni umane? I rapporti umani non sono mai difficili, è la vostra programmazione che lo è. Perché vi arrabbiate? Chiedete: «Com’è possibile vivere con qualcuno che non si arrabbia mai?». Sì, proprio così, è possibile non essere mai turbati. Domandate: «Quando qualcuno ti insulta, non stai male?». No. «Perché no? Perché non soffri quando qualcuno ti offende?»
Sentite bene: quando una lettera non è ricevuta viene rispedita alla persona che l’ha scritta. Se non la ricevete, torna indietro. Sapete perché siete stati insultati o perché siete stati toccati da quelle offese? Perché le avete prese. Stupidi, perché lo avete fatto?
Vuoi dire che è possibile non riceverle?
E per te vivere come una scimmietta significa comportarsi da essere umano? Basta qualcuno che tira la cordicella e tu salti?
Vi dirò io che cosa vuol dire essere umani. Sapete che cosa vuol dire? È qualcosa di questo tipo: tutti i giorni un tale compra un giornale da un edicolante, che è sempre sgarbato con lui. Così un amico gli chiede: «Perché compri il giornale da lui? È sempre maleducato con te. Perché non vai da un altro negoziante?».
Lui risponde: «Perché dovrebbe decidere lui dove devo comprare il giornale? Perché mai dovrebbe avere questo potere?». Questo è un essere umano. Diversamente, si tratta di scimmie i cui movimenti si possono controllare: basta far girare un po’ la coda e loro si comportano in modo prevedibile. Programmazione. Programmazione.
Quindi non è la persona che ti ha turbato, non sei tu, ma la tua programmazione. Tutto ciò che dovete fare è capirlo e allontanarvene. Volete fare qualcosa riguardo a questa programmazione? Se ci riuscite, bene. È necessario? No. Se avete capito, sapete che deriva dalla vostra programmazione, non da voi, non dagli altri. La faccenda non vi riguarda.
Vi stupirete quando, tra qualche mese, le cose che prima vi avrebbero fatto stare male, provocandovi ansia e sofferenza o altro, le affronterete tranquillamente, in pace. Sarete completamente rilassati.
Questa è la vita spirituale. Questo significa morire a se stessi, lasciando andare la programmazione. La abbandonate comprendendola per quello che è. Chiamatela con il suo nome.
Nel mondo che lei descrive è possibile peccare? Siamo noi a liberare noi stessi o la grazia di Cristo? Potrei non agire, anche se non soffro, quando vedo un’ingiustizia? Se qualcuno mi passa avanti mentre sono in fila non ne sarò turbato, ma posso fare qualcosa?
Partiamo dall’ultima cosa. Sì, se qualcuno ti supera mentre sei in coda reagisci pure. Agisci in tutti i modi che vuoi. Sì, va bene. L’importante è entrare in azione per riparare un’ingiustizia, non per rimediare a un sentimento di sofferenza. Capisci la differenza? C’è una grande differenza.
Mi dispiace dirlo, ma spesso agiamo non solo per ristabilire la giustizia, ma anche per ovviare a un dolore. Così non va bene.
Secondo: è possibile peccare nel mondo di cui stiamo parlando? Certo. C’è così tanto peccato intorno a noi, così tanto male. Tuttavia, più si capisce la natura umana, meno ci si sente inclini a giudicare le persone. C’è talmente tanta stupidità, ignoranza, paura e programmazione dietro quello che chiamiamo peccato, che giustamente siamo stati invitati a non giudicare nessuno. Nessuno, nemmeno noi stessi.
Lo dice Paolo, che non osa giudicare nemmeno se stesso.
Terza cosa: siamo noi a liberare noi stessi o la grazia di Cristo? La sua grazia è disponibile per tutti, ma questo non significa necessariamente che la possiamo ottenere comunque. Dobbiamo fare qualcosa.
Ricordate la storia di quel tipo che accese la pipa e si bruciò la barba? Lo avvertirono di quello che stava succedendo e lui rispose: «Lo so, ma non vedete che sto pregando perché piova?». Ecco che cosa intendo: la pioggia è disponibile, ma è meglio prestare attenzione a quello che si sta facendo.
Così, purtroppo, c’è l’idea che la grazia di Dio sia alla portata di tutti. La tragedia della razza umana non è la carenza di questa grazia, ma la mancanza di una comprensione adeguata.
Abbiamo ricevuto idee sbagliate che devono essere corrette.
Padre de Mello, lei ha una grande cultura e ha viaggiato molto e sebbene questi due elementi non siano necessari per ottenere l’illuminazione come la intende lei, vorrei che ci dicesse se secondo lei preparano alla crescita e spingono ad accettare la verità di cui parla.
Un bagaglio culturale può essere utile per questo tipo di cose? No. C’è bisogno di buon senso e intelligenza, che non hanno niente a che fare con l’erudizione, l’istruzione o il sapere in generale. Punto e basta. Non pensate che un laureato sia più dotato di un semplice contadino analfabeta che vive nelle Ande. Non è questo. Sareste sorpresi nel vedere quanta poca intelligenza possiedono le persone istruite. Davvero.
Ieri un mio amico della Fordham University mi raccontava di aver letto un libro straordinario sugli scienziati che hanno mandato alcune di quelle astronavi sulla luna. Diceva: «Sai, è tragico che siamo stati capaci di collaborare per produrre quei mezzi e non siamo capaci di fare altrettanto con le nostre famiglie. Non sappiamo come fare, non sappiamo come comportarci con le nostre mogli o i nostri mariti».
Capite che cosa intendo dire? Mi sono imbattuto in contadini che sapevano come collaborare con tutti. Che cosa ne pensate? È questa l’intelligenza. Quindi la cultura non è affatto la stessa cosa dell’intelligenza. Potreste essere molto istruiti e non essere per niente consapevoli di voi stessi. Potreste sapere come funziona un’astronave e non sapere come funzionate voi. L’educazione non rappresenta un grande aiuto.
Perciò, quello che serve non è il bagaglio culturale, ma il buon senso e la comprensione, che si acquisiscono sezionando, raschiando, fondendo, facendo domande, dubitando.
Se non ponete mai domande, se non dubitate di quello che vi hanno insegnato e di quello che vi ha dato la vostra cultura, come potete capire tutto questo?
Qual è il suo concetto di felicità e che cosa significa essere umano per Dio? Poi vorrei che chiarisse la nozione di distacco. Per prima cosa, ha detto che è il desiderio che ci imprigiona. E per quanto riguarda il desiderio di Dio? Il Signore dev’essere trovato nella mancanza di desiderio? E inoltre, potremmo mettere sullo stesso piano Lui e la mancanza di desiderio? Infine, che cosa dire di una persona che è stata vittima di abusi? Come può non essere turbata e soffrire per una cosa del genere?
Comincerò dall’ultima domanda, che è più difficile. Ovviamente, una persona che ha subito una cosa del genere troverà molto più complicato non soffrire rispetto a qualcuno che contempla il mondo dalla finestra. Guardate che non sto dicendo che è facile, ma che è possibile. E insisto che se pensate che sia impossibile non ce la farete mai. È possibile che un individuo venga torturato e sia comunque in pace? Sì, ho visto molti esempi.
Ho letto la lettera straordinaria di un prigioniero nella Germania nazista, che veniva torturato tutti i giorni e sapeva che sarebbe stato giustiziato. Ha scritto alla sua famiglia le parole più amorevoli e sublimi che io abbia mai visto. Mi dicevo: «Com’è possibile?». Le ho lette quasi vent’anni fa e ora so che è possibile, però bisogna cominciare. Un viaggio di mille miglia inizia con il primo passo.
Affrontiamo quel tale che ci passa davanti mentre siamo in fila. Affrontiamo quella donna che ci infastidisce continuamente o quell’uomo che ci offende sempre. Cominciamo da lì.
E, come ho detto, non sono loro che ci fanno stare male, ma la nostra programmazione.
Questo non significa non riconoscere un’ingiustizia quando la vediamo. Non sto dicendo che non dobbiamo fare niente, anzi. Tuttavia, ora capite da dove arriva quella sofferenza.
La vera felicità deriva dal nostro desiderio e controllo umano della felicità o dal desiderio dell’anima di conoscere Dio e Gesù Cristo?
Il desiderio di Dio: san Tommaso d’Aquino, nell’introduzione alla sua grande opera Summa Theologiae, dice: «Riguardo a Dio, possiamo dire una cosa con grande certezza: che non sappiamo che cosa sia». Egli è al di là dell’intelligenza umana, ed è per questo che lo chiamiamo Mistero.
Come mai desideriamo qualcosa che non possiamo e non siamo nemmeno in grado di concepire? Di che cosa parliamo in termini simbolici e analogici? Quindi, vedete, quando parliamo del desiderio di Dio non intendiamo l’Eterno come un oggetto esterno, come una persona che possiamo comprendere completamente. Non riguarda l’argomento che sto trattando. Questo perché non sapete che cosa state desiderando.
Spesso, perciò, quando la gente parla del desiderio di Dio si costruisce una specie di immagine per poi cominciare a desiderarla. Ma che cosa significa desiderare l’ignoto, l’inconoscibile, ciò che supera le nostre facoltà umane, il Mistero? Non ne abbiamo nessuna idea. Potremmo metterlo sullo stesso piano della mancanza di desideri? Forse sì, forse no.
Per favore, però, non distraetevi con questi discorsi, ora. Continuiamo con il nostro compito. Potremmo proseguire con ogni tipo di discussione teologica su questo argomento, ma nel frattempo procediamo sulla via iniziata. Insistiamo con l’osservazione, la consapevolezza, la comprensione e la liberazione di noi stessi. Dopo capiremo meglio, al di là dell’intelligenza, che cos’è Dio.
Come possiamo ottenere la maturità se incolpiamo la programmazione? Non è forse essere immaturi, accusarla? Questo atteggiamento non porta a dire cose tipo: «Il diavolo me l’ha fatto fare», oppure: «Sono una vittima della società»? In altre parole, a sottrarsi alla responsabilità?
Accusare la vostra programmazione? No, non fatelo: dovete comprenderla. È come dire: «Incolpi il demonio». Poverino, lo stiamo accusando! Prendetevi le vostre responsabilità, ma fatelo giudiziosamente.
Ricordatevi che vi ho detto che la sofferenza non è nella realtà, ma in voi: rammentate, vero? Smettete di accusare la realtà – è in voi. Ma allora dovete accusare voi stessi?
Non è maturo incolpare voi stessi se non siete da incolpare; non lo state facendo deliberatamente. Tutto deriva dalla vostra programmazione. È questo che intendo. Non incolpate la vostra programmazione, ma comprendetela. È da lì che arriva tutto.
Quando sbattete un ginocchio contro un tavolo, dovete capire che il dolore non è in quell’oggetto. La sofferenza è causata da qualcosa che sta succedendo al vostro ginocchio. Qualcosa sta accadendo al ginocchio, e quella cosa provoca dolore. Il dolore, però, non è nel tavolo.
Ora, quando vi scontrate con la realtà, c’è un dolore dentro di voi che non è provocato dalla realtà, ma da qualcosa che sta accadendo in voi. Non state creando deliberatamente quel dolore. Chi si procurerebbe una sofferenza volontariamente?
Adesso dovete capire che cos’è quel “qualcosa”. Perché succede che con alcune persone questo meccanismo si interrompe, o se ne sono liberate, mentre con altre funziona ancora? Questa è responsabilità: capire. E il risultato della comprensione è essere liberi.
Riguardo alle vittime di crimini violenti, mi sembra che situazioni di quel tipo determinino emozioni dolorose, confusione e isolamento. L’idea che non dobbiamo soffrire in circostanze come quelle mi pare poco compassionevole. Mi piacerebbe sapere come riuscirebbe a relazionarsi con chi non è al suo stesso livello e quale sarebbe il modo migliore per avvicinarsi a persone come queste e mostrare un atteggiamento di empatia.
Alle vittime di un crimine o a chi ha subito la morte della madre ed è angosciato e sofferente, non dovete parlare in questo modo: «Oh, stai soffrendo, sei turbato, c’è qualcosa che non va...», no! Cercate di capire. Quel poveretto non ha nessuna colpa, anche se il suo dolore deriva da un attaccamento e la sua pena e il suo isolamento da qualcosa di esterno. Avete capito bene quello che dico? Non è lui la causa di quel dolore.
Potremmo mostrare comprensione e solidarietà. Possiamo essere compassionevoli con lui. E poi, gentilmente, quando è pronto, spiegare da dove arriva tutto ciò.
Perché, in fondo, non siamo compassionevoli se una volta o l’altra non sveliamo alla gente quel segreto. Sono stato abbastanza chiaro?
Per esempio, venite da me e state davvero male perché qualcuno vi ha offeso. Io vi capirò, capirò che cosa vi è successo e sarò compassionevole nei vostri confronti. Un giorno, però, prima o poi, in qualche luogo, se sarete pronti, vi suggerirò il segreto. Questa, per me, è vera compassione.
Non dovete essere così. C’è un altro modo.
Lei dice che non è la gente intorno a noi che ci fa soffrire, che non siamo noi, ma la nostra programmazione. Ma non sono le persone intorno a noi che ci hanno programmato quando eravamo giovani?
Sì, è vero, ma le loro intenzioni non erano cattive. Sono loro stesse vittime di altri.
Molto spesso vengono da me persone arrabbiate con i genitori. Non riescono a perdonarli e li odiano. Sì, posso capire. Non sto dicendo che i vostri genitori si sono comportati bene o male. Forse hanno sbagliato. E tuttavia, sareste capaci di capirli? Perché l’amore è questo, prima ...