A un passo dal baratro
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A un passo dal baratro

Perché Medjugorje ha cambiato la mia vita

  1. 266 pagine
  2. Italian
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A un passo dal baratro

Perché Medjugorje ha cambiato la mia vita

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Informazioni sul libro

Paolo Brosio è lontano dalla fede e dalla preghiera negli anni in cui acquisisce la notorietà di personaggio televisivo, prima come giornalista del Tg4, con Emilio Fede nei giorni di Tangentopoli, poi con la partecipazione a programmi importanti: "Quelli che il calcio", "Sanremo Notte", "Domenica In", "L'Isola dei Famosi", "Stranamore", "Linea Verde", le telecronache della Juventus su Mediaset e un programma di successo sul Giro d'Italia. La fama, i soldi, la carriera si intrecciano a una vicenda umana inquieta e travagliata che lo porterà nel baratro più profondo del lutto, della delusione affettiva, della depressione; un baratro in cui ricchezza e popolarità non bastano più. Nasce nel cuore una preghiera alla Madonna e il desiderio d'incontrarla a Medjugorje, il villaggio della Bosnia-Erzegovina dove, dal 24 giugno 1981, sei ragazzi hanno apparizioni e dove si recano in pellegrinaggio milioni di persone. Per Brosio è una svolta. L'incontro con i veggenti e con tante persone di fede, ma soprattutto il desiderio di fare del bene e la decisione di raccogliere fondi per finanziare una casa di accoglienza per i bambini orfani a causa della guerra nei Balcani. Con la semplicità e la simpatia che lo contraddistinguono, il giornalista racconta la sua vicenda umana e i passi di un ritorno a Dio che gli ha restituito forza, ottimismo e amore per la vita.

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Informazioni

Anno
2010
ISBN
9788858501023

Capitolo 9
DESTINAZIONE MEDJUGORJE:
SUOR KORNELYA E LA PROMESSA
A GESÙ RISORTO

L’aereo per i Balcani, destinazione Spalato, è prenotato per il 2 febbraio 2009 nel tardo pomeriggio dall’aeroporto di Fiumicino. La compagnia è la Croatia Airlines.
Avevo una prelazione a partire dal 4 gennaio, giorno successivo alla confessione retroattiva con don Ferruccio nella basilica della Consolata.
Incontro i dirigenti di Rete 4 e la redazione di Stranamore, che mi consentono di onorare il contratto, spostando il calendario degli impegni col programma. Una circostanza, questa, davvero inusuale in tv.
La cosa più difficile è stata organizzare il tour per un paese di cui sapevo poco o nulla e la cui lingua, il croato, è incomprensibile per gli italiani mentre, per esempio, per i tedeschi è già più accessibile.
Questi gli aiuti concreti che mi hanno permesso di arrivare in Erzegovina e cercare di capirne i significati profondi: Milenko Vasilj (in italiano Michele), sua cugina Silvana Vasilj e Mirela Sego Tortoricci, tre delle guide laiche spirituali segnalate dai frati della parrocchia di San Giacomo.
Cari lettori, ricorrete sempre a persone come queste, che sono autorizzate dai religiosi, i quali sono i veri custodi del tesoro mariano di Medjugorje.
Questi contatti vi risolveranno tutti i problemi pratici prima ancora di partire.
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Ma, al di là di tutto, per l’approccio diretto a Dio, come dice suor Kornelya, la madre superiora della Congregazione delle Sorelle della Famiglia Ferita, c’è una sola strada, fatta di poche cose, ma molto precise: «Cuore aperto, consuma rosario, piega ginocchia, fax sempre aperto con Dio, tesoruccio mio».
Il primo aiuto – Michele e Silvana Vasilj – viene dalle conoscenze di mamma Brosio, molto legata a padre Jozo, il parroco più famoso del mondo, che ha vissuto in prima persona il fenomeno mariano dal 24 giugno 1981. A quel tempo padre Jozo – cioè padre Giuseppe – era il frate di un’umile e sconosciuta chiesa sperduta sui monti sassosi e impervi dei Balcani.
Il sacerdote si è messo in contatto con Matteo Rossi, uno dei suoi collaboratori, e grazie a lui ho conosciuto Mariangela, di Monza, una delle segretarie del frate nel monastero di Siroki Brijeg, situato a venti chilometri a ovest di Mostar. Mariangela, a sua volta, mi ha fatto arrivare a Milenko.
Padre Jozo ha accettato, oggi, dai suoi superiori francescani un ritiro spirituale di un anno in un isolotto, poco più che uno scoglio di fronte all’isola di Badja, nell’arcipelago vicino alle coste di Spalato. Qui sorge un monastero che era stato requisito dai militari di Tito e che da pochi anni è rientrato nella disponibilità dei frati di Bosnia e padre Jozo ne sta curando la ristrutturazione per farne un centro spirituale per i giovani di tutta Europa.
Comunque sia, nel mio cuore, c’è il desiderio di riabbracciare presto un grandissimo frate che, per non rinnegare la fede in Cristo e la veridicità delle apparizioni mariane, ha dovuto sopportare due anni di carcere duro e di torture atroci, sotto il regime della ex Jugoslavia.
Altri, per non incappare nelle sentenze dei tribunali della dittatura comunista di Tito, hanno, nel giro di poche ore, cambiato opinione, rinnegato fede e apparizioni, davanti alla poco invitante prospettiva di andare in galera.
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Quando padre Jozo veniva a trovare i miei genitori in Versilia, uno dei suoi desideri più grandi era quello di andare a pregare per ore nel monastero di clausura di Lucca dove sono custodite le spoglie di santa Gemma Galgani. Conservo oggi, con grande gioia, una bella foto che ritrae mio padre Domenico e mia madre Anna insieme al frate bosniaco, sul lungomare di Forte dei Marmi, davanti alle cabine color celeste pastello di un noto stabilimento balneare.
Ma torniamo ai miei amici di Medjugorje, che non sono delle semplici guide, ma veri e propri maestri di questa nuova vita e persone di grande umanità.
Da padre Jozo alla sua segretaria Mariangela, il passo è breve per giungere a Michele Vasilj, che ha cinque figli e una bella moglie.
Dopo alcune disavventure legate alla crisi economica negli anni difficili del post comunismo, oggi, grazie alla Chiesa, ai frati e alle apparizioni mariane, Michele è uno dei più autorevoli accompagnatori dei gruppi italiani. Un lavoro questo che gli ha consentito di risollevare le sorti della sua famiglia dopo la caduta di Tito. Parla perfettamente italiano ed è profondo conoscitore della storia e dei luoghi sacri di Medjugorje.
Michele ha dovuto, con grande difficoltà, ripianare i debiti della ditta di famiglia che era fallita nel periodo in cui la moglie aveva partorito il quarto e il quinto figlio.
«Caro Paolo» mi disse la guida dopo che avevamo stretto amicizia «ti dico la verità. Per mesi ho taciuto i problemi finanziari a mia moglie e ai miei figli. Dovevo restituire i soldi alle banche e non ne avevo la possibilità. Non vivevo più. La notte avevo gli incubi. Mi tormentavo continuamente e fumavo dalla mattina alla sera, non riuscivo più a smettere, finché, con l’angoscia nel cuore, mi sono affidato alla Madonna: pregando e salendo il monte della croce, lasciai un pacchetto di sigarette fra le rocce alla sommità del Krizevac. Smisi di fumare. Pregai tantissimo chiedendo alla Vergine Santa di aiutare la mia famiglia ad avere un futuro sereno.»
Da quel momento, pian piano, Michele sistemò il passato e, con grande dignità, trovò il lavoro di guida per i gruppi di pellegrini italiani, grazie alla facilità con la quale parla la nostra lingua. Oggi è felice e la famiglia è unita nella preghiera del rosario.
Michele è molto legato all’associazione onlus Fratello Sole che ha sede a Cimitile, in provincia di Napoli. Il presidente è Renato Nuzzolo, medico e manager sanitario, di 56 anni. Per Michele rappresenta una figura familiare, indispensabile, che l’ha aiutato nei momenti critici. «Mi è stato vicino» dice «e mi ha sostenuto come se fosse un padre.»
La fede che Renato oggi può vantare è frutto di una vicenda incredibile. Nasce in una famiglia di cultura cattolica. Addirittura per lui si preconizzava un futuro da sacerdote. Poi, gli studi liceali, con la scoperta di Marx, Bakunin e la negazione dell’esistenza di Dio in omaggio alla ragione. Tanto impegno nella solidarietà e nella vita politica e sociale, schierato decisamente a sinistra, con una militanza che non lascia spazio alla fede. Poi, un incontro imprevisto a Medjugorje con padre Jozo, con suor Kornelya e con Vicka. Un incontro del tutto casuale poiché Renato avrebbe dovuto proseguire con un convoglio umanitario verso un’altra zona della Bosnia. Una frana sull’unica strada per Sarajevo impedisce al suo gruppo di partire e li trattiene a Medjugorje, controvoglia e per diversi giorni.
Da quel momento inizia per lui un lento e inesorabile avvicinamento alla parola di Dio e infine la sua strada si incrocia con la mia.
Il 2 febbraio 2009 anche lui arriva in Erzegovina e, dopo quarant’anni, si confessa. La sera ci troviamo a cena insieme con Michele e lui, sconvolto, rosso in viso, ma felice come un bambino, mi racconta questa storia incredibile di una conversione davvero inaspettata, considerando la totale e cieca fiducia nella ragione e nel materialismo.
Per compiere un percorso di fede e conoscenza, a Medjugorje le guide sono fondamentali. Chi chiama Michele, Silvana o Mirela si ricordi sempre che questo è un lavoro e che quindi ognuno di loro deve percepire una retribuzione equa, prevista dai frati, fonte di sostentamento per le loro famiglie.
L’altro riferimento prende il nome di Mirela Sego Tortoricci.
È un sentiero, quello che mi porta a Mirela, tracciato dal più grande cantante del mondo: Bocelli. Infatti, il primo significativo aiuto arriva proprio dal mio caro amico Andrea e dalla sua dolce e bella compagna Veronica.
Nell’estate 2008, Andrea Bocelli va per un solo giorno a Medjugorje e si esibisce gratuitamente per un concerto a favore dei frati francescani della parrocchia di San Giacomo e delle opere di carità che essi sostengono.
Andrea abita a Forte dei Marmi, a poco meno di duecento metri da casa mia. È un uomo dal cuore grande e ha un senso profondo di spiritualità. Lo conosco da più di 15 anni, sin da quando era sposato in prime nozze con Enrica, da cui ha avuto due figli: Matteo e Amos. Un matrimonio consacrato in chiesa ma che, dopo un periodo in cui le cose non andavano più bene come prima, finì con la separazione e poi col divorzio.
Veronica, la sua attuale compagna, era molto amica di Gretel e, dopo la difficile situazione che si era creata nella mia famiglia, è rimasta molto vicina ai miei problemi.
Anche Andrea ha voluto parlarmi più volte per suggerimenti e consigli di vita vissuta. Bocelli, infatti, ha passato un vero e proprio calvario durante la separazione e, come tutti, ha dovuto poi sistemare definitivamente il divorzio passando attraverso momenti molto critici. Insomma, ne sapeva più di me e da buon amico mi stava vicino.
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Con Andrea abbiamo iniziato – insieme a Marcello Lippi, Panariello, Carlo Conti, Columbro, Panatta, Bertolucci, Bedy Moratti e tanti altri personaggi dello sport e dello spettacolo – l’avventura della mia fondazione Black Spruts, poi diventata Olimpiadi del cuore.
Tutti hanno dato una mano concreta per riuscire a raccogliere tantissimi fondi in meno di sette anni di attività. Una grande soddisfazione per un’opera dedicata ai bambini più bisognosi provenienti dal Maghreb e dai Paesi del Terzo Mondo, i quali necessitano di cure negli ospedali pediatrici della Toscana come il Meyer e come l’OPA, Ospedale Pediatrico Apuano del CNR. Quest’ultimo è specializzato nella cura delle cardiopatie e degli interventi di cardiochirurgia infantile.
Quando arriva la notte decisiva di Torino e la confessione al santuario della Consolata, corro da Andrea per annunciargli la grande notizia: il mio avvicinamento alla fede. È una confessione accorata, entusiasta di questo cammino che ho intrapreso e del quale voglio renderlo partecipe perché so quanto sia importante nel suo cuore il riferimento a Dio.
Andrea mi dice sempre: «Ai miei figli Amos e Matteo voglio sempre ricordare quanto sia importante ringraziare Iddio ogni giorno attraverso la preghiera per il solo fatto di esistere. Perché ci possiamo svegliare sani e vivere una vita serena e felice».
Parliamo tantissimo e a ruota libera della vita della Chiesa, dei problemi di noi separati, problemi che, mai come in questo momento, coinvolgono una massa infinita e crescente di persone che hanno l’esistenza spezzata dal conflitto fra coniugi.
Io e Andrea ci interroghiamo a lungo, ci confrontiamo e, con una grande amarezza, spesso ci sentiamo come emarginati dalla Chiesa per avere violato un vincolo indissolubile. In realtà la Chiesa non ha molto spazio per potersi muovere, poiché il matrimonio è uno dei sacramenti stabiliti così da Cristo. Dunque, la religione «non può essere uno spezzatino che si cucina in tutte le salse», come mi sono sentito dire giustamente da alcuni preti. I quali, devo tuttavia riconoscere, dopo una bella lavata di testa non si sono poi rifiutati di confessarmi.
Il problema in effetti è per chi convive con una relazione stabile dopo che si è separato con un matrimonio celebrato in chiesa. Per il momento questo caso non mi riguarda, perché sono single. Un domani le cose si potrebbero complicare se mi fidanzassi, non avendo ancora ottenuto l’annullamento dalla Sacra Rota.
Ma l’amore per la Madonna, che mi aveva salvato, ha finito per contagiare anche Andrea, nonostante la sua fede avesse radici ben più profonde della mia. E così, tra una serata e l’altra, tra un suo concerto all’estero e un mio programma televisivo, ci siamo confrontati, incontrati e Dio è diventato un argomento centrale delle nostre conversazioni. Mai successo prima, in quindici anni di amicizia.
La storia di Mirela
Quando finalmente gli ho comunicato la mia intenzione di partire per Medjugorje il 2 febbraio, Andrea mi ha suggerito di chiamare la guida laica che gli era stata affidata dal Vicario provinciale dei frati francescani di Medjugorje: Mirela, appunto. E qui devo aprire una parentesi per raccontarvi la storia di questa donna che è un altro capitolo avvincente. Mirela è una donna carina, dolce e una madre affettuosa.
Nel 1989 decide di lasciare Medjugorje, alla vigilia della guerra dei Balcani che per cinque anni scuote la pace e insanguina la ex Jugoslavia in un conflitto che vedrà alla fine un bilancio terrificante: centinaia di migliaia fra morti, feriti e mutilati. Le etnie si combattono con odio e vendette trasversali. Ad aggravare il bilancio, le diverse confessioni religiose che si contrapponevano nel territorio di uno stesso Stato: in Bosnia, fra musulmani e ortodossi e, nella vicina Erzegovina, a causa della forte etnia croata. I serbi attaccano i croati e poi si lanciano contro i musulmani. Tutti contro tutti.
Una terra senza pace che, per più di 600 anni, ha visto prevalere la feroce dominazione dei turchi, poi, dalla fine del secondo conflitto mondiale, la dittatura comunista di Tito, e infine le guerre etnico-religiose risolte solo con l’intervento armato della NATO che ha, tuttavia, provocato altre migliaia di vittime innocenti.
In questo scenario Mirela leva le tende appena in tempo per approdare in Italia – allora vista come un miraggio – per imparare le lingue, studiare, acquisire esperienza e costruirsi un futuro per poi ritornare in Erzegovina.
Si trasferisce in Veneto e in provincia di Verona dove, alla fine del 1990, conosce Michele Tortoricci, un ragazzo «dal cuore grande, educato e molto sensibile, che all’inizio non mi piacque subito ma che in seguito mi conquistò».
Dopo venti giorni Michele chiese a Mirela di sposarlo. Lei lì per lì gli domandò se fosse pazzo, ma poi il 29 dicembre 1993, due anni e mezzo più tardi, si sposarono con una grande festa sulle rive del Garda, a Peschiera.
Nel 1997, mentre in patria si attenuano le conseguenze del conflitto, pur continuando le faide private fra famiglie di diverse etnie, arriva il primo dolore di questa nuova famiglia. Dopo la nascita di Marco, il primo figlio, arriva una bimba che si chiama Nicol. La gioia per la nascita è subito strozzata dal dolore per un evento drammatico. All’età di cinque mesi la bimba viene colpita da una cardiopatia multipla rarissima che si chiama tetralogia di Fallot, una gravissima malattia del cuore che ne contiene addirittura altre quattro dentro di sé.
In questo caso la piccola Nicol ne aveva ben cinque, tanto che i medici del reparto di patologia neonatale dell’ospedale veronese di Borgo Trento, dissero alla mamma: «Questo è un caso di assoluta rarità e l’intervento si profila molto complesso e pericoloso. Per l’Italia è la prima volta». Un mese dopo, alla fine di otto ore di sala operatoria, e ventun giorni di ospedale, per gli specialisti veronesi la vita della piccola Nicol è appesa a un sottile filo di speranza.
I genitori decidono, a rischio e pericolo della incolumità della bimba, di trasportarla a Medjugorje e affidarla alla Madonna per intercessione della veggente Vicka. «La bambina» si erano raccomandati i medici «non deve allontanarsi più di un chilometro da un centro ospedaliero pediatrico attrezzato per le cardiopatie.» Ma la scienza non può non fare i conti con la fede.
Con la fede di una croata fervente cattolica – nata nella capitale mariana del mondo, Medjugorje, all’epoca niente di più che un piccolo e povero villaggio di mille abitanti martoriato dalle privazioni di una guerra feroce – Mirela, in pieno accordo col marito, affronta i rischi di un viaggio lunghissimo.
Il tragitto aveva un unico scopo: affidare Nicol alle cure protettive della Vergine Santa. Un’implorazione disperata di una giovane madre col cuore spezzato dal dolore, nel vedere quella piccina martoriata dagli interventi chirurgici per strapparla alla morte che pareva avesse segnato indelebilmente il suo destino.
Marito e moglie incontrano Vicka e con la preghiera la implorano di intercedere presso la Madonna Santa di Medjugorje. La veggente prega intensamente per la bambina, chiedendo alla Gospa di proteggere Nicol con il suo manto benedetto. Dopo una lunga preghiera, con la imposizione delle sue mani, Vicka dice ai due giovani sposi: «Di che vi preoccupate? Avete affidato questa piccola vita innocente alla Madonna. Abbiate fede. Lei vi aiuterà».
Pochi mesi dopo la bimba migliora. Oggi è una bella ragazza. Sana. Forte e dolce come la Madonna che l’ha guarita e che ha ispirato e guidato le mani di quei chirurghi per muovere il bisturi nel suo cuoricino. Un intervento al limite dell’impossibile per i sanitari dell’ospedale di cardiochirurgia infantile di Borgo Trento.
Un miracolo? Una guarigione straordinaria? Siamo sempre in bilico fra scienza e fede. Ma chi ha nel cuore la seconda sa che la verità sta sempre dalla parte di Dio. È Lui che decide, che sa e vede il progetto per ciascuno di noi. Sta a noi non impedirlo, non mettere ostacoli sulla sua strada, che è anche la nostra.
Nel 1998 tutta la famiglia Tortoricci si trasferisce definitivamente a Medjugorje per avere l’appoggio della famiglia di Mirela e in particolare della mamma Ljubica che all’epoca aveva 55 anni. Decidono tutti insieme di aprire un import-export di frutta e verdura. Le cose vanno subito bene ma la malasorte è in agguato.
Pochi anni dopo la madre di Mirela si ammala di un tumore inguaribile. Cinque anni di sofferenze e nel 2003 muore. Un anno prima si era ammalato anche suo marito Michele, di un linfoma dovuto probabilmente «al suo servizio militare in Libano negli anni ’80». Come sostiene, oggi, Mirela, ancora profondamente ferita da quel ricordo doloroso.
Michele muore il 3 giugno del 2004. Ma il calvario non è ancora finito, perché Miro, suo fratello, nel 2005, viene coinvolto in un gravissimo incidente stradale, che gli procura ferite e lesioni permanenti tali da renderlo totalmente invalido.
Mirela si fa in quattro per mandare avanti la ditta ma, dopo aver subito un furto nella sua abitazione in Bosnia a causa del quale spariscono la macchina e tutti i soldi e i gioielli di famiglia, sembra arrendersi anche perché alla fine la ditta fallisce.
Troppe tragedie. Troppe avversità. Anche per una croata credente, la cui madre si sottoponeva a digiuni e rinunce per pregare la Madonna con lunghi rosari.
Il 3 giugno del 2004, durante il funerale del marito, quando tutte le persone di Medjugorje si stringevano attorno a questa famiglia bersagliata dal male, Mirela, dentro il suo cuore, esplodeva, chiedendo a Dio, disperata: «Ma fra un anno, chi si ricorderà più di me e dei miei figli?».
Esattamente un anno dopo, il 3 giugno del 2005, Mirela stava salendo lungo i sentieri del monte Krizevac, per seguire la Via Crucis. Al rientro trova otto chiamate perse sul cellulare. Richiama. Risponde la voce sconosciuta di una signora italiana: «Mirela, la stiamo aspettando. Dobbiamo ripartire, faccia in fretta. Siamo al bar vicino alla chiesa. Abbiamo una cosa per lei».
Una corsa in auto, chiedendosi chi fossero quelle persone e che cosa volessero. Poi l’incontro, lo stupore. A Mirela viene consegnata una busta sigillata con dentro 20.000 euro in contanti. Avete capito bene, 20.000 euro, uno sull’altro. Con poco più della metà sarebbe riuscita a finire i lavori della casa, dove vivevano tutti, che era rimasta ferma a metà senza riscaldamento, luce e gas. Il resto le avrebbe permesso di far vivere lei e i suoi figli in attesa di tempi migliori. Quella stessa famiglia che l’aiutò, proveniente dal Nord Italia e che era venuta a cono...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Quella Notte
  5. La Prima Vita
  6. I Tre Amori
  7. Il Prezzo Del Successo
  8. Gretel, Un Nuovo Amore
  9. Il Dolore E La Paura
  10. Il Baratro E Il Piccolo Angelo
  11. I Cinque Sacerdoti E La Confessione
  12. Destinazione Medjugorje: Suor Kornelya E La Promessa A Gesù Risorto
  13. Il Podbrdo, Il Barattolo E Le Foto Con I Lampi
  14. Il Secondo Viaggio A Medjugorje
  15. La Dama Bionda, Il Palasharp E Silvia B.
  16. La Corona Di Spine Del Cristo Pensante
  17. I Tre Miracoli Del Terzo Viaggio
  18. Rimini E Il Rinnovamento Nello Spirito