Le tenebre e la luce
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Le tenebre e la luce

Il dramma della fede di fronte a Gesù

  1. 176 pagine
  2. Italian
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Le tenebre e la luce

Il dramma della fede di fronte a Gesù

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Dentro di noi c'è un continuo variare di luce e tenebre. Non dobbiamo stupirci che sia così. È necessario distinguere l'azione di Dio da quella dello spirito del male per fare discernimento spirituale tra i moti positivi e quelli negativi che vibrano dentro di noi, per operare una scelta definitiva fra la parte luminosa di noi stessi e quella oscura che sempre ci abita.
Il cardinal Martini torna sul Vangelo di Giovanni – e in particolare sui capitoli finali, in cui si gioca il dramma della fede di fronte a Gesù – per tracciare un itinerario di formazione per l'uomo contemporaneo, alla scoperta di quegli atteggiamenti lumi­nosi, che costituiscono un antidoto al male e al disorientamento dei nostri tempi.
Un cammino di discernimento interiore, che attraverso l'evangelo si confronta in modo speciale con alcuni grandi protagonisti dei racconti della Passione e della Risurrezione: figure illuminanti co­me Pietro e la Maddalena, ma anche figure enigmatiche come Pilato e i sommi sacerdoti.

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Informazioni

Anno
2010
ISBN
9788858501900

L’ECCESSO CHE SALVA

Di fronte alla figura della Maddalena vogliamo interrogarci più a fondo sul messaggio per noi, il messaggio dell’eccesso.
In realtà abbiamo notato nel comportamento della donna la presenza di eccedenze, di eccessi tipici di una persona la cui definizione più propria è quella di “amante estatica”: esce da sola nella notte verso il sepolcro, vi si ferma come aspettando qualcosa o qualcuno, mentre Pietro e l’altro discepolo ritornano indietro; il suo stesso modo di parlare è in qualche modo eccessivo, come di chi non sa bene ciò che dice. L’eccessività è resa ancora più evidente dal parallelo con la sposa del Cantico e con la protagonista dell’unzione di Betania.
Ci chiediamo allora: che cos’è questo eccesso che salva, come vorremmo oggi sottolineare? Anzi, ancora di più e precisando quasi al paradosso: che cos’è questo eccesso che solo salva?
Eccesso di male e di bene
Dobbiamo anzitutto riconoscere che nel mondo è presente un eccesso di male. Esso si verifica quando si oltrepassa la pura stupidità umana, quella che causa danni anche gravi, ma li provoca per incuria, per inettitudine, per negligenza, per fragilità, per debolezza. Allorché si supera tale livello, allorché si supera anche quella che sarebbe la misura della rappresaglia ad aequalitatem, cioè: occhio per occhio, dente per dente, per arrivare alla pianificazione del male fatta con cinismo e crudeltà, per godere del male altrui – è il caso dei lager, dei campi di concentramento –; allorché ci si esalta per lo schiacciamento dell’altro, come avviene nella tortura, nelle forme di sadismo, allora tocchiamo con mano che c’è un eccesso di male. Lo stesso eccesso che vediamo scatenarsi contro Gesù sulla croce.
È un eccesso, lo sappiamo bene, che può riguardare i rapporti interpersonali, per esempio nelle famiglie, dove c’è un farsi soffrire a vicenda dolorosamente, un tormentarsi per il gusto di tormentarsi. È un eccesso che arriva a colpire sovente intere popolazioni, col genocidio – quello del popolo ebraico, come quello verificatosi in Armenia o in Africa centrale – e con tutte le forme di oppressione e di arbitrio.
Un male spaventoso, indicibile, incredibile, tanto più che perpetrato, spesso reciprocamente, da persone che fino a poco tempo prima si incontravano, commerciavano, vendevano, compravano, fino al sorgere di assurde malvagità. Gerusalemme, città distrutta, riconquistata e ricostruita almeno 37 volte nella storia, che ha vissuto una terribile esperienza di male, ne è tragicamente testimone.
Naturalmente nel mondo c’è pure un eccesso del bene, un eccesso che vorrei tentare di definire richiamando quelli che potrebbero essere dei sinonimi. Un sinonimo potrebbe essere “il trascendente”, qualcosa che trascende, che va oltre; un altro “l’estatico”, che fa uscire da sé; oppure “la follia per Cristo”, come la tradizione soprattutto orientale ha definito uno stato di vita “eccedente”: i folli per Cristo; o ancora: il superamento delle abitudini mondane, il calpestamento di ogni convenzione, potremmo dire – senza valenza negativa – “la trasgressione”.
Quando siamo di fronte a un tale eccesso? Allorché il bene supera e travalica il puro do ut des, il puro contratto paritario (ti do tot, mi dai tot), perché qui siamo ancora all’equilibrio. L’eccesso di bene si verifica nel momento in cui si supera la relazione di stretta giustizia. Allora si dona in totale gratuità, secondo la parola di Gesù: «Quando fai un invito invita gli storpi e gli zoppi, perché non hanno da darti il contraccambio» (cfr. Luca 14,12-14); si dà in pura perdita – il perdono, dono iperbolico, è tutto in perdita, è dare a chi non merita, a chi ci è ostile –, anche oltrepassando le buone maniere, il cosiddetto buon senso della gente, il senso comune della misura. È tutto un eccesso di bene.
Porto alcuni esempi tipici.
San Francesco che si spoglia davanti al padre, per indicare che lascia tutte le sue ricchezze, la famiglia, i suoi amici, oppure bacia il lebbroso, manifesta un eccesso di bene. Non è obbligato a fare così, è qualcosa di straordinario che ci rende stupefatti e strabiliati.
Anche in sant’Ignazio di Loyola che si spoglia delle sue belle vesti per scambiarle con quelle di un povero c’è un eccesso, un’eccedenza, che meraviglia e sorprende. Lo stesso avviene riguardo a un altro episodio raccontato nella sua Autobiografia: trovandosi egli a Parigi, entra in una casa dove gli dicono che c’è timore di peste e rischio di contagio. Proprio in quel momento comincia a sentire un dolore fortissimo al braccio e una gran paura. Allora si morde il braccio, dicendo a se stesso: se è peste, prenda tutto il mio corpo! (cfr. n. 83). È un eccesso voluto per combattere la paura e sconfiggerla.
Ancora, quando Madre Teresa di Calcutta lascia la congregazione dove aveva un incarico onorato e ben valutato per dedicarsi ai moribondi, calpestando il senso comune della gente secondo la quale non serviva a niente dato che morivano comunque, compie un atto di eccedenza, travalica il normale senso del bene.
Mi fermo qui, ma nella storia della Chiesa sono numerosissimi gli atti di eccedenza, di superamento, di un andare al di là.
L’eccesso di Gesù e l’eccesso del discepolo
Tale superamento c’è soprattutto e anzitutto in Gesù.
Quando per esempio dice: «Il buon pastore offre la vita per le pecore» (Giovanni 10,11), questo – abbiamo visto – è un andare al di là dei doveri del buon pastore; nessuno può pretendere che, quando le cose vanno male, egli non si ponga in salvo. Gesù parla di un mettersi in gioco gratuitamente, liberamente, senza necessità alcuna.
Così pure quando dichiara che deve andare a Gerusalemme dove soffrirà molto e sarà respinto (cfr. Matteo 16,21) e accetta tutto questo, comprendiamo che sceglie l’eccedenza, per cui, essendo in forma divina, non considera un tesoro geloso l’uguaglianza con Dio, ma se ne spoglia, se ne priva, assume la condizione non solo di uomo, ma di servo e di servo crocifisso (cfr. Filippesi 2,6-8). È la stessa eccedenza che fa esclamare a san Paolo: «Mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Galati 2,20). È l’eccedenza dell’Eucaristia, dove Gesù si dona a noi in cibo e bevanda: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Giovanni 6,51). Dandosi in cibo e bevanda per noi, egli compie l’azione più imprevedibile della storia.
Eccedenza è tutta la vita di Gesù e ne costituisce il senso. È lo stesso eccesso del Padre, che ha dato il suo Figlio per nostro amore: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Giovanni 3,16).
Dunque l’eccedenza è la regola, la chiave della vita di Gesù, caratterizzata fin dall’inizio come totalità, dedizione gratuita, dedizione senza riserve anche per colui al quale non deve nulla, anche per colui che l’ha tradito.
Dell’eccedenza, che è la sua vita, il suo dare la vita per amore, Gesù trae anche la regola nostra, la regola del cristiano.
Leggiamo: «Gesù cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire» – ma perché doveva soffrire? È tutta eccedenza, tutta gratuità – «ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare» – un altro eccesso, di vita –. «Gesù faceva questo discorso apertamente» (Marco 8,31-32). Pietro lo prende in disparte, lo rimprovera in nome del buon senso comune e il Maestro risponde: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (v. 33). Dunque gli uomini pensano secondo misura, Dio pensa secondo eccedenza.
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E subito dopo la diatriba con Pietro, Gesù, convocata la folla, insegna: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (v. 34).
È tutto eccesso. Neppure il Discorso della montagna, che mostra un rigore di legge superiore a quello degli scribi e dei farisei, ha richieste così forti: rinnegare se stesso, prendere la croce. Il Discorso parla di una perfezione alta, altissima, di una nobilissima etica delle intenzioni, e tuttavia qui siamo oltre: «Prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo la salverà» (v. 35). Ci accorgiamo che è tutta gratuità.
L’eccedenza che è la regola del Vangelo la troviamo per esempio anche nella risposta di Gesù al notabile ricco: «Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, poi vieni e seguimi» (Luca 18,22). Il Discorso della montagna non dà questo consiglio eccessivo, totalizzante. E subito dopo il Signore annuncia di nuovo che andrà a Gerusalemme e sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi e che, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà (cfr. vv. 31-34).
C’è dunque omologia tra la vita di Gesù e quella del discepolo: come è il suo, tale è il destino dell’uomo. Questo è il cristianesimo.
Noi viviamo questo eccesso in ogni nostro atto che va al di là del puro dovere, del dare e ricevere, là dove viviamo un’obbedienza che costa («non sia fatta la mia, ma la tua volontà» Luca 22,41) o un perdono che ripugna.
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E di fronte a tanti esempi di eroica “eccessività” che non mancano intorno a noi, avvertiamo qualcosa di fortemente evangelico che ci attrae, ci conquista, è per così dire intoccabile, inappuntabile, non tollera obiezione alcuna, perché ha una forza nativa che nasce dalla stessa imitazione di Gesù e dal Mistero di Dio così come in esso si manifesta.
Vorrei ricordare che il libretto degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio è tutto fondato sull’eccedenza, sul magis, sul “di più”, sull’“oltre”.
Già il Principio e fondamento, la prima pagina che ho citato cominciando i nostri esercizi, è piuttosto sorprendente, in quanto all’inizio tratta di ciò che è necessario fare per raggiungere la salvezza, di ciò che è dovuto, e poi termina, in maniera strana e inattesa, invitandoci a scegliere ciò che ci può condurre “meglio”, “di più” al fine per cui siamo stati creati (cfr. n. 23). Tutti gli Esercizi spirituali sono fondati su questo “di più”. Pensiamo alla conclusione della meditazione del Regno, che abbiamo già considerato: coloro che vorranno maggiormente segnalarsi nel servizio del loro re universale, accetteranno e desidereranno un “di più” di povertà e di umiliazioni per seguire Gesù (cfr. n. 97). E anche là dove gli Esercizi parlano di coloro che, non sentendosi di compiere una scelta nuova, vogliono tuttavia regolare la propria vita secondo una giusta misura, si dice che devono determinare riguardo agli averi, alla famiglia, alla casa, «senza volere o cercare cosa alcuna che non sia, in tutto e per tutto, a maggiore lode e gloria di Dio nostro Signore» (n. 189). Di nuovo tutto è fondato sul “di più”: liberarsi maggiormente, uscire più sciolti da qualsiasi tipo di attaccamento e di legame a noi stessi.
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Mentre un’antropologia puramente della proporzione, dell’equilibrio, tenderebbe a intendere la maturazione come armonico assestamento dei diversi piani, una vera antropologia cristiana richiede un al di là, un andare oltre.
Il fuoco che brucia e il fuoco che scotta
Può sorgere a questo punto una difficoltà: un simile modo di vita sembrerebbe tipico soltanto di alcune azioni particolari, di qualche gesto eroico, isolato; che ne è allora di tutta la nostra vita nel suo in...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Premessa
  5. Introduzione
  6. Gesù soggetto e persona
  7. L’arresto: Gesù soggetto e persona nel giardino
  8. Il discepolo che Gesù amava
  9. Il cammino di Pietro verso la maturità
  10. Il processo religioso
  11. I sommi sacerdoti: invidia, ambizione, vanità
  12. La funzione di Pilato nell’umiliazione ed esaltazione di Gesù
  13. Giuda e i soldati
  14. Croce e Risurrezione
  15. La ricerca di Maria Maddalena
  16. L’eccesso che salva