Come un cane in chiesa
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Come un cane in chiesa

Il Vangelo respira solo nelle strade

  1. 182 pagine
  2. Italian
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Come un cane in chiesa

Il Vangelo respira solo nelle strade

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Da vero partigiano del Vangelo, don Gallo sa che le parole di Gesù sono sovversive, indomabili: soffocano nelle sagrestie e respirano sui marciapiedi. Da questa convinzione nasce l'idea di riproporre, a modo suo, alcune delle pagine più forti e radicali dei quattro Vangeli, porgendole con sapienza e leggerezza alla matita pungente, ironica e poetica di Vauro. I peccatori, le prostitute e i diseredati di queste schegge evangeliche sono i barboni, i trans, gli sbandati che da oltre quarant'anni don Gallo raccoglie dalla strada, quei "cani in chiesa" che la società del perbenismo di facciata ha dimenticato idolatrando denaro e potere. Il Vangelo scomodo di un prete scomodo, ma anche una "buona novella" dei miti e degli umili, che sorprende e scuote, diverte e rincuora.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858507667

IL GIORNO DEL GIUDIZIO

«Avevo fame e mi avete dato da mangiare...»
(Vangelo di Matteo 25, 31-46)

«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla Creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sua sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».
Contro il cristianesimo “di facciata”
Una certa concezione edulcorata e buonista del cristianesimo si ostina a presentarci Gesù come un uomo bello, alto, biondo e con gli occhi azzurri...
Moni Ovadia, una volta, mi fece notare: «Ce l’hai presente qualche foto di Gandhi? Gesù era ebreo-palestinese e, secondo me, assomigliava proprio a Gandhi. E forse era pure zoppo, perché i ragazzi di allora per guadagnarsi la zuppa o rimediare un tozzo di pane andavano a infilare le mani nelle carovane dei cammellieri, e certamente si buscavano delle randellate e il calcione di qualche cammello». Ai tempi di Gesù, la fame e l’ingiustizia erano problemi sociali gravi in una regione sfruttata e dilaniata dall’ingordigia dell’Impero Romano.
Il Vangelo, se preso sul serio, non ha nulla a che vedere con le sdolcinature melense a cui siamo abituati. E questa pagina sul giudizio finale è una gran sberla al nostro cristianesimo tiepido e “di facciata”. A mio parere, contiene la sintesi di tutto il messaggio evangelico.
Gesù utilizza immagini della letteratura apocalittica del tempo, ma le impasta con un insegnamento radicalmente nuovo: dopo la morte, coloro che in vita avranno realizzato il bene e la giustizia riceveranno in eredità la vita eterna; saranno i benedetti nel regno dei cieli.
Nutrire l’affamato, accogliere lo straniero, visitare l’ammalato sono gesti di restituzione e, dunque, atti di giustizia, ma per Gesù sono anche veri e propri gesti di devozione. Chi li compie è come se onorasse e rendesse culto a Dio stesso.
Gesù avrebbe potuto dire: benedetti voi che andate tutte le settimane al tempio e pagate l’obolo, e invece no. Se avesse parlato ai nostri giorni, avrebbe potuto dire: benedetti voi che fate la comunione tutte le domeniche, che andate ai santuari mariani, che andate dal papa alle giornate mondiali della gioventù, che versate l’otto per mille alla Chiesa cattolica..., e invece non dice niente di tutto questo.
Non ho nulla contro la devozione popolare, e la rispetto, ma nel Vangelo questa sorta di reverenza bigotta non è proprio contemplata.
In realtà, le parole di Gesù dicono tutt’altro, e sono tremende: maledicono tutti coloro che non lavorano per la giustizia sociale e il bene comune.
Usando le categorie tipiche della retorica biblica, Gesù si scaglia contro gli indifferenti, i menefreghisti, gli operatori di iniquità. Li chiama maledetti. Sì, proprio maledetti!
È significativo che il Maestro, che in tutta la vita predicò l’amore del Padre e la misericordia, abbia usato tanta durezza. Ritengo che la parola “maledetti” venga pronunciata proprio contro chi si picca di essere buono, devoto e religioso, ma poi nel quotidiano accumula case e vestiti, sfrutta i deboli, non paga le tasse e passa indifferente accanto a chi è in stato di bisogno, magari urlando che deve tornarsene al suo paese, anziché “invadere” l’Italia in cerca di pane e lavoro.
La bestemmia contro Dio
Il nostro perbenismo ci porta spesso a scandalizzarci di fronte a minime manchevolezze, impedendoci di capire che la fame e l’ingiustizia sociale sono la vera bestemmia contro Dio. Una bestemmia perpetrata, a volte, anche da chi si professa “buon cristiano”.
Lavorare per una più equa distribuzione dei beni è una forma di culto e di rispetto nei confronti della Creazione. Per i credenti la terra non è dell’uomo, ma è dono di Dio, e l’uomo ha ricevuto l’incarico di custodirla e coltivarla come un giardino (Genesi 2, 15). Anche per chi non è credente la terra è “madre” dell’umanità, fonte primaria di vita per ogni individuo.
La terra avrebbe frutti in abbondanza per tutti, se fosse usata con moderazione e, soprattutto, se nessuno si attribuisse il diritto di accaparrare a discapito di altri.
Un giorno, in una conferenza che ho tenuto a Jerzu, in Ogliastra, dissi: «Guardando l’Ogliastra mi pare di essere in un fondale marino riemerso all’improvviso, con tutte le sue bellezze e i suoi colori». Alla fine del dibattito un signore mi si avvicinò, dicendomi: «La ringrazio, lei ha dipinto la mia terra con parole meravigliose».
Images
Non ho dubbi sul fatto che al decalogo di Mosè andrebbe aggiunto un undicesimo comandamento che reciterebbe così: «Onora la madre terra». Noi ogni giorno assistiamo al suo scempio e a quella ingiustizia colossale per cui le sue risorse sono nelle mani di pochi avidi.
Il Gesù di tutti
Questa straordinaria pagina evangelica riafferma, fra l’altro, che siamo tutti discendenti della stessa stirpe umana, che siamo fratelli.
Quando lavoriamo per il bene e per la giustizia, quando restituiamo al prossimo il pane, la casa, la dignità, rendiamo culto e onore al genere umano, oltre che alla madre terra.
In questa profezia sul giorno del giudizio Gesù ci dice che la salvezza, la vita eterna, è per tutti gli esseri umani: chiunque compie il bene sarà salvo, anche se non ha mai sentito parlare di Dio o del Cristo.
I cristiani si sono appropriati indebitamente di Gesù. Il suo messaggio etico di giustizia e di amore è per tutti, nessuno escluso, e ci fa crescere in umanità.
Se Gesù è davvero il Salvatore, il figlio di Dio, deve per forza essere il Salvatore di tutti, altrimenti c’è qualcuno che sta barando. Mi rifiuto di credere che c’è un Dio-amore che manda suo figlio a salvare solo una ridotta porzione di umanità. Chi avrà dato anche solo un bicchier d’acqua a un fratello avrà la sua ricompensa. Nessun gesto d’amore gratuito, per quanto nascosto o ignorato, andrà perduto o sarà dimenticato nell’eternità.
Mi viene in mente in proposito una storiellina sul mio ex cardinale di Genova, Giuseppe Siri.
Muore il papa buono, Giovanni XXIII, e se ne va dritto in cielo. Viene accolto benissimo: san Pietro lo accompagna e, insieme a lui, in Paradiso, ci sono a far festa anche credenti di altre religioni, mussulmani compresi. Papa Giovanni chiede: «Anche loro sono qui?». «Eh certo!» risponde san Pietro. «Dio è padre di tutti, come vedi ci sono buddisti, atei, mussulmani, ebrei e popoli di ogni religione.» Papa Giovanni, contento, non si fa pregare: «Giusto! Dio è padre e anche madre. Per questo accoglie tutti indistintamente. A proposito, cos’è quella torre che sta lì davanti a noi?». «Lascia perdere» risponde san Pietro. «È una torre di avvistamento, e tu non puoi visitarla, sei troppo vecchio, non c’è l’ascensore». «Vorrei vedere cosa c’è dietro» ribatte il papa. Pietro lo trattiene dalla ringhiera, poi Giovanni butta l’occhio e vede, a cinque o sei metri, uno che gioca a pallone da solo... Dopo poco lo riconosce, è stato un suo cardinale, è Giuseppe Siri, e vuole salutarlo. San Pietro gli dice: «Lascialo stare, è convinto di essere in Paradiso da solo».
L’amore “a perdere” e papa Ratzinger
La Comunità di San Benedetto è particolarmente affezionata al brano evangelico del giudizio finale, perché ci spiega che l’essenza dell’amore autentico non richiede mai un ritorno, un tornaconto. I latini, i romani, dicevano do ut des, do per ricevere. Era un contratto, un baratto. Se invece andiamo a rileggere le parabole di Gesù notiamo che ogni volta si esalta l’amore a perdere: «Gratuitamente avete ricevuto e gratuitamente date».
L’amore non chiede un contraccambio. L’amore inonda tutto.
Penso che l’etica venga prima della fede. La fede non è una virtù secolare: non si può andare al supermarket a comprare la fede e neppure prendere la laurea in fede. Essa nasce e cresce sul terreno fertile dell’etica e dell’amore. Se il seme buono della Parola di Dio cade sulla roccia, o tra i rovi, non trova spazio per crescere. L’etica – il comportamento personale onesto, orientato al bene comune, all’altruismo e alla giustizia – è il terreno buono su cui attecchisce la fede.
La fede è un valore per i cristiani. Mi preme però aggiungere che, se il cristiano non riconosce e rispetta i valori di chi è diverso da lui, significa che della sua adesione a Cristo non ha capito nulla. Papa Ratzinger, nel suo ultimo viaggio in Germania, ha incontrato i luterani, e si è incaponito a non concedere l’eucaristia ai presenti, cioè la distribuzione del pane. Sarebbe stato un grande gesto di comunione, di amore e di solidarietà, nella fede.
La Chiesa si ostina ad anteporre la legge all’amore, e a mettere al primo posto il corpus della tradizione anziché la comunione. Non condivido.
Mi hanno raccontato che il cardinal Siri, in un viaggio a Lourdes, subito dopo il Concilio, mentre distribuiva le ostie pretendeva che i fedeli si inginocchiassero davanti a lui, in segno di devozione. Tutti sappiamo che nell’Ultima cena Gesù non chiese alcun segno di devozione; la celebrazione eucaristica è un pranzo, una festa: si è insieme per celebrare il vincolo fraterno di una comunità.
Una Chiesa povera e non gerarchica
C’è troppa rigida ritualità nelle nostre chiese. Fino al Concilio Vaticano II, quando c’era un’ordinazione episcopale, nelle immaginette e negli annunci si scriveva “Consacrazione episcopale”. Per fortuna oggi, nella Chiesa cattolica, non ci sono più cariche ma ordini. Tant’è vero che adesso si preferisce dire: ordinazione episcopale, ordinazione presbiterale, ordinazione diaconale. Si chiamano “ordini riconosciuti”.
La Chiesa dei primi secoli praticava la collegialità e la comunione. Nel IV secolo, a Milano, i cittadini, cioè i fedeli laici, scelsero Ambrogio come proprio vescovo. Accadde la stessa cosa a Tagaste per Agostino d’Ippona. La gente eleggeva il vescovo, e poi mandava a Roma una nota per ricevere una ratifica di approvazione. A quei tempi, nelle comunità ecclesiali non si parlava di gerarchia. La Chiesa era davvero “popolo di Dio in cammino” in cui c’erano i presbiteri, gli episcopi, i diaconi... e nessuna scala gerarchica; c’era solo una suddivisione di compiti in base ai talenti e alle capacità diverse. Ci siamo davvero molto allontanati dalle pietre miliari dei primi secoli della Chiesa.
Ho avuto un professore di storia molto bravo, era un salesiano, giovane, cecoslovacco, si chiamava don Pleroskj. Sono stato ordinato nel ’59, quindi si era ancora agli albori dell’idea di fare un Concilio. Eppure, durante il percorso di studi, il mio professore continuava a dire: la parola chiesa viene dal greco e dal latino ecclesìa, che vuol dire assemblea. Poi ci spiegava com’era nata a Roma la comunità cristiana. Era un’assemblea collegiale, con i suoi anziani e il vescovo. Ci sono pochissime fonti storiche, e nessuna di esse attesta che la Chiesa di allora fosse piramidale. Per me non lo era affatto. E lui, il mio professore, ci ripeteva che questo era il nodo fondamentale da sciogliere e che, se fosse emerso nel Concilio, avrebbe cambiato il volto della Chiesa.
E il mio professore non era il solo a sostenere questa tesi. C’erano con lui don Milani, don Mazzolari, i teologi francesi del personalismo, Maritain e Mounier, e coloro che portarono un contributo essenziale al Vaticano II: padre Marie-Dominique Chenu e Henri-Marie de Lubac.
La Chiesa deve ritrovare la collegialità delle origini e la sua scelta preferenziale per i poveri, come ampiamente detto nei testi di Medellin e Puebla, nonostante qualcuno abbia voluto far passare la Teologia della Liberazione come una teologia catto-comunista. Se la Chiesa si dichiara cristiana e cattolica, cioè universale, dovrà essere una Chiesa povera. Nel senso che la sua opzione preferenziale dovrà essere, anzitutto, dare voce ai poveri. Il messaggio di Gesù è inequivocabile e la Chiesa non può dimenticarlo: il nostro atteggiamento di fronte ai poveri sarà giudicato alla fine dei tempi. Dialogo significa soprattutto dare la parola all’altro, ascoltare; significa dire ai poveri: «Voi contate, voi siete importanti».
Ricordo quella volta che un ragazzo mi scrisse dal carcere: «Don Gallo, sono in cella con un suo amico, mi ha parlato di lei. Sono in una situazione disperata, alla prima occasione m’impicco». Presi carta e penna, e gli risposi con un breve scritto: «Il valore della vita, l’intelligenza, la creatività, la spiritualità sono energie che si agitano nel profondo di ognuno di noi, e dunque sono anche in te. Caro Luigi, tu sei importante per l’universo». Lui mi rispose a strettissimo giro di posta: «Don Gallo, ho trent’anni, furti, galera, tossicodipendenza... In trent’anni mai nessuno mi aveva detto che sono importante». È andata bene. Dopo quelle poche righe è seguito un fitto scambio di lettere. Luigi ora è uscito di prigione, è cresciuto.
Don Milani lo diceva ai figli degli operai del Mugello, in toscano: «Oh bimbi! Guardate che siete re! Siete importanti tanto quanto i sovrani! Siete responsabili della vostra vita e delle vostre scelte!».
Il Concilio ha proclamato che il primato della coscienza personale è dottrina certa. Di fronte a Dio siamo tutti figli uguali, nessuno è più santo degli altri, neppure il papa. Povero don Milani, morto nel ’67, non fece in tempo a vedere il cambiamento che ci sarebbe stato rispetto ai suoi anni da giovane prete di campagna... Quel cambiamento ci sarebbe stato grazie alla straordinaria primavera dello Spirito che fu il Concilio Vaticano II.
Un cane in chiesa
Tempo fa il mio attuale arcivescovo, il cardinal Bagnasco...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Come un cane in chiesa
  3. Le parole ribelli del Vangelo
  4. 1. Il giorno del giudizio. «Avevo fame e mi avete dato da mangiare...» (Vangelo di Matteo 25, 31-46)
  5. 2. Anche i trans ci precederanno. «I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio» (Vangelo di Matteo 21, 28-32)
  6. 3. Beatitudini e felicità. «Beati gli operatori di pace» (Vangelo di Matteo 5, 1-12)
  7. 4. I sepolcri imbiancati di oggi. «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti...» (Vangelo di Matteo 23, 1-33)
  8. 5. Quelli che si credono “a posto”. «Non sono venuto a chiamare i giusti» (Vangelo di Matteo 9, 9-12)
  9. 6. A tavola con gli ultimi. «Conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi» (Vangelo di Luca 14, 11-24)
  10. 7. Uomini che odiano le donne. «Chi di voi è senza peccato...» (Vangelo di Giovanni 8, 1-11)
  11. 8. Gli altri siamo noi. «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Vangelo di Matteo 22, 34-40)
  12. 9. Se l’altra guancia brucia. «Amate i vostri nemici...» (Vangelo di Matteo 5, 38-48)
  13. 10. La provvidenza non dimentica. «Guardate i gigli del campo» (Vangelo di Matteo 6, 19-34)
  14. 11. Una lezione di laicità. «Date a Cesare quel che è di Cesare» (Vangelo di Matteo 22, 15-22)
  15. 12. Chiesa e potere. «Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Vangelo di Marco 10, 35-45)
  16. Copyright