Nella terra delle meraviglie
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Nella terra delle meraviglie

A Medjugorje la Madonna scende in campo

  1. 336 pagine
  2. Italian
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Nella terra delle meraviglie

A Medjugorje la Madonna scende in campo

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La Madonna ha un progetto: incontrare i cuori di quelli che "cercano una luce" per portare a tutti il suo messaggio di consolazione e di speranza. Per realizzarlo ha deciso di "scendere in campo" non solo a Medjugorje - dove appare da oltre trent'anni - ma in molti altri luoghi, manifestandosi alla gente comune e a tanti personaggi dello sport e dello spettacolo amati dal grande pubblico affinché possano diventare testimoni visibili del suo annuncio di pace. Guarigioni inspiegabili, fenomeni di bilocazione, stimmate e prodigi si moltiplicano in Italia e nel mondo accanto ai nuovi casi di veggenti e di manifestazioni soprannaturali non solo mariane. Fioriscono ovunque le "nuove Medjugorje", luoghi di preghiera che attraggono con il loro mistero milioni di pellegrini. Attraverso racconti incredibili Paolo Brosio ci trascina in tante "avventure dello Spirito". Un reportage di grandi storie fra cui spiccano: l'incontro con il cardinale di Vienna, Christoph Schönborn; la storia della conquista "miracolosa" della Premier League ottenuta dal Manchester City di Roberto Mancini dopo un pellegrinaggio a Medjugorje; la visita a padre Matteo La Grua, uno dei più grandi carismatici del Rinnovamento nello Spirito; una lunga intervista a padre Gabriele Amorth, l'esorcista più conosciuto al mondo; il caso della sorgente d'acqua miracolosa di madre Speranza, mistica privilegiata dal dono delle estasi. Un'inchiesta nel mondo della fede - corredata da un'ampia documentazione fotografica - in compagnia di un credente, Paolo Brosio, che non dimentica mai di essere un cronista serio e rigoroso.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858507674

Capitolo 1

SPORT E FEDE

Giocare e pregare per vivere meglio

La Madonna e lo scudetto d’Inghilterra:
Mancini e Mihajlovic a Medjugorje
La vicenda che sto per raccontarvi ha dell’incredibile e, se non ne fossi stato testimone per tre anni, probabilmente, non l’avrei scritta perché non ci avrei creduto.
Nella mia vita ho praticato lo sport a livello dilettantesco e amatoriale sia nel calcio che nel tennis, ho amato la bicicletta da corsa e le maratone. Ho narrato e scritto le gesta dei campioni in tv e sui quotidiani, ma, questa volta, mi sono imbattuto in una storia unica, particolare e bellissima da raccontare.
Tutto comincia nel 2009 quando conosco un amico speciale: Sinisa Mihajlovic (cfr. Viaggio a Medjugorje, da pag. 220 a pag. 240) [foto 1, 2, 3], l’ex campione di calcio della Stella Rossa di Belgrado con cui ha vinto praticamente tutto quello che si poteva vincere: scudetti, la Coppa dei Campioni (il 29 maggio 1991 a Bari, contro l’Olympique Marsiglia) e anche la Coppa Intercontinentale (a Tokyo contro il Colo Colo di Santiago del Cile, la più forte squadra di quell’anno in Sud America). Mihajlovic viene a giocare in Italia, acquistato dalla Roma per sedici milioni di euro, e poi passa alla Sampdoria, alla Lazio e all’Inter dove vince tantissimo e conosce Roberto Mancini, suo compagno di squadra, che nella Sampdoria faceva coppia fissa in attacco con Gianluca Vialli.
La moglie di Sinisa Mihajlovic, Arianna, durante una mia testimonianza in televisione nel 2009, appena tornato da Medjugorje, mi volle contattare perché aveva sentito che volevo aiutare i bambini della Bosnia e, in particolare, l’orfanotrofio di suor Kornelya a Vionica.
Si trattava di completare il progetto Nonni e Nipoti, orfani e anziani famigliari delle vittime della guerra nei Balcani, che aveva coinvolto in prima persona anche la famiglia di Mihajlovic: i genitori infatti abitavano a Vukovar, in Croazia e, lì vicino, a Borovo Naselje, il calciatore aveva mosso i primi passi nella squadra locale.
Qui, il 26 giugno del 1991, a 10 anni esatti dalle prime apparizioni mariane a Medjugorje, scoppiarono le prime granate di una guerra tremenda che provocò oltre trecentomila morti e novecentomila fra mutilati e feriti.
Fu una guerra casa per casa, senza guardare in faccia a nessuno, né bambini né anziani. Stupri e violenze inaudite erano all’ordine del giorno. Spesso si sparava per strada sui civili ferendoli alle gambe, in modo tale che i loro lamenti attirassero i soccorritori e si potessero così uccidere altre persone.
Le donne sono state vittime di tante violenze e gli stupri etnici hanno dato vita a figli non voluti, poi abbandonati sui sagrati delle chiese o delle moschee per la vergogna di quello che era successo. Mihajlovic, un giorno, ricordando un suo viaggio nel quartiere dove una volta c’era la sua casa a Vukovar, mi disse: «Quando sono rientrato nella città dove sono nato, che era stata riconquistata dai serbi, sono andato a vedere la mia vecchia casa, ma non sono stato in grado di distinguerla, perché era tutto un cumulo di macerie. Sono rimasto muto perché mi pareva ancora di ascoltare il lamento dei feriti, dei miei amici e di tutti quelli che non ce l’hanno fatta. Solo qualche tempo prima, il vicino di casa ti portava il pane o il latte, se l’avevi dimenticato. Il giorno dopo, scoppiata la guerra, ti guardava con odio e ti sparava dalla finestra. Questa è stata la guerra più brutta di tutte, non c’era pietà per nessuno. Tutti contro tutti, casa per casa. E donne e bambini non facevano eccezione».
Oggi molti di quei bambini sono stati portati nei centri di accoglienza a Sarajevo, a Mostar e vicino a Medjugorje, dai frati francescani e dalle suore.
I bambini, sì, proprio loro, sono i protagonisti del filo narrativo di questo racconto che parte da Mihajlovic e arriva a Mancini.
La moglie di Sinisa, che mi aveva cercato, riesce finalmente a contattarmi e, insieme al marito, mi offre tutta la loro disponibilità per finire i lavori dell’orfanotrofio, promettendo di venire con me a Medjugorje. Anche Roberto Mancini, quel 12 maggio 2009, sarebbe dovuto partire ma, all’ultimo momento, gli fu impossibile.
E così Sinisa tornò per la prima volta dopo la guerra atterrando in Erzegovina, a Mostar, e grande fu la sua emozione: «Mi ricordo che all’ultimo momento avevo timore di scendere dall’aereo perché le guardie di frontiera sono quasi tutte croate e io, benché fossi figlio di madre croata, sono sempre stato ritenuto serbo a tutti gli effetti, perché lo era mio padre, per la mia militanza nella nazionale serba e perché sono un ex calciatore della Stella Rossa di Belgrado.
Invece sono stato accolto con grande disponibilità e cordialità. La polizia di frontiera mi ha chiesto l’autografo e di fare delle foto e poi, quando sono stato a Medjugorje, il mio cuore ha cominciato a battere forte forte e mi sono commosso piangendo, soprattutto quando mi sono ritrovato a vedere quei bambini, e sentivo le testimonianze delle suore e della gente che aveva patito la guerra e tutte quelle storie terribili della devastazione del mio paese, la Iugoslavia, che oggi non c’è più. Medjugorje mi ha lasciato la pace nel cuore e oggi prego con più coraggio e con più forza, ripensando sempre a quel viaggio. Ora, caro Paolo, voglio tornare laggiù con te e Roberto e vedere tutto quello che è stato fatto. Non so perché, ma quel posto mi ha lasciato qualcosa di straordinario e ci voglio portare anche mia moglie e i miei figli».
Da quel momento rimango in contatto con questo grande campione che poi ha allenato il Catania e la Fiorentina e oggi è legato a un contratto come commissario tecnico della Serbia e perciò rappresenta idealmente i serbo-cristiani-ortodossi.
Fate bene attenzione a questa informazione perché ora passiamo a Roberto Mancini, uomo di fede cattolica, insieme a tutta la sua famiglia. In questi ultimi due anni Roberto continua a chiamarmi e a inviarmi sms, parlando di Medjugorje e dei progetti di beneficenza. Ha comprato i miei libri e li sta leggendo a Manchester con i suoi famigliari, appassionandosi ai misteri delle apparizioni mariane.
Roberto è sempre stato credente ma, soprattutto agli inizi della carriera, era un giovane con tanti soldi e molta voglia di successo, la qual cosa lo teneva un po’ lontano dalla famiglia e da Dio.
Pensate però che è proprio all’oratorio della sua parrocchia di Jesi che Roberto deve la sua fortuna professionale. Infatti, come ci spiegherà molto bene in un’intervista, tutta la sua famiglia, sebbene suo padre Aldo fosse di idee di estrema sinistra, era comunque molto legata alla vita della chiesa e dell’oratorio.
La mamma, Marianna, è attenta ai valori cristiani ed è donna di fede, energica e puntigliosa. Roberto era un talento fuori dal comune, col pallone faceva quello che voleva, e le sue capacità erano subito apparse evidenti al suo primo allenatore, il parroco don Roberto Vigo, che nel 2012 ha compiuto 85 anni.
Mancini aveva esordito muovendo i primi passi da campioncino nelle categorie “pulcini”, “giovanissimi” e “allievi” nel campetto della sua parrocchia, la chiesa di San Sebastiano a Jesi, che sorge proprio sotto la casa di famiglia, nel quartiere Prato.
Il sacerdote fece poi il colpaccio, vendendo quel ragazzo promettente per settecentomila lire al Bologna Calcio. Con quei soldi don Roberto ha potuto rifare l’oratorio, i campi di calcio, gli spogliatoi e si è persino comprato i pulmini per il trasporto dei ragazzi nelle partite fuori casa.
Da quel momento inizia l’avventura dorata di uno dei calciatori più famosi d’Italia e d’Europa che, con le sue serpentine, i suoi goal e i suoi passaggi smarcanti, ha fatto impazzire gli sportivi di tutto il mondo. Bologna, Genova e la Sampdoria e poi la Lazio e l’Inter, tante coppe Italia, due scudetti, la Supercoppa Uefa, due Coppe delle Coppe e una finale di Coppa dei Campioni, sfumata per un niente contro il Barcellona nei tempi supplementari. E poi la nazionale italiana, con gioie e dolori. Alla fine Roberto, ragazzo intelligente e sensibile, comincia una carriera fulminante come allenatore e così, dopo i trionfi dell’Inter di Moratti, arriva l’Inghilterra, il Manchester City degli sceicchi di Abu Dhabi e, da quel momento, di quel ragazzo di Jesi che giocava all’oratorio sotto la protezione della Madonna, di san Giovanni Bosco e san Sebastiano, parlerà il mondo intero.
Quando inizia il campionato 2011-2012, sin da agosto il Manchester City parte a razzo e accumula un buon vantaggio sulle dirette inseguitrici, prima fra tutte la rivale di sempre, il Manchester United di Ferguson, il “nemico numero uno” di Roberto Mancini, l’allenatore più osannato, pagato e potente d’Inghilterra, tanto che si dice negli ambienti giornalistici londinesi: «Ferguson è il padre padrone del calciomercato, del campionato, delle designazioni arbitrali e non si muove foglia che lui non voglia: chi si oppone prima o poi la paga». Una parte della stampa lo osanna, un’altra parte non vede l’ora che finisca l’impero Ferguson [foto 4].
Quando il City disputò il famoso derby di Manchester, tappa fondamentale per le sorti dello scudetto, il mister dello United andò a trovare Mancini nell’ufficio che gli allenatori hanno a disposizione all’interno dello stadio. Entrando, Ferguson esclamò: «Ehi, Mancini, ma qui c’è troppa gente, c’è confusione, ma tu non puoi fare entrare tutte queste persone! Nel mio ufficio entro solo io e pochi altri ed entrano solo quando lo dico io!». Roberto, quando mi ha raccontato questo particolare, si è messo a ridere perché, quel giorno, c’erano anche la sua famiglia, le persone più care e i collaboratori più stretti. Due mentalità a confronto, due modi diversi di intendere il calcio. Forse, per la prima volta dopo tanti anni, qualcuno venuto da lontano stava togliendo lo scettro al vecchio leone Ferguson.
Tanto per farvi capire che tipo è questo allenatore sanguigno, vi ricordo l’episodio di quando tirò uno scarpino da calcio in testa a David Beckham, il più bello e il più ricco calciatore del mondo. Volete un altro aneddoto per capire di che pasta è fatto il “boss” del Manchester? Per una discussione su alcune notizie trapelate dallo spogliatoio del Manchester United e sulla vita dei calciatori fuori dal campo, Ferguson non rilascia più dichiarazioni da diverso tempo alla BBC che, peraltro, paga fior di sterline per avere le interviste dai giocatori e dai tesserati della squadra.
Insomma, Ferguson si può permettere tante cose, ma di sicuro c’è un particolare: quando il City, la squadra di Mancini, ha vinto lo scudetto all’ultimo respiro, roba da infarto secco, in sala stampa una gran parte dei giornalisti ha esultato come se fosse finalmente crollato il muro di Berlino.
In questo clima da leggenda ecco che arriva un italiano vincente e preparato professionalmente, con un passato da grande calciatore, a riportare il Manchester City, dopo quarantaquattro anni, alla vittoria dello scudetto d’Inghilterra.
Roberto mi ha raccontato un particolare del suo rapporto con Ferguson: «Un giorno, sapendo della sua passione per il vino d’annata di gran qualità, gli regalai una bottiglia che costava quasi come l’oro, una vendemmia eccezionale, diciamo un pezzo pregiato. Quando gliela consegnai la guardò, la prese fra le mani custodendola gelosamente e poi mi disse: “Questa me la bevo io, non ci penso nemmeno a offrirla a qualcuno”. Era serio, mi ringraziò e, da quel momento, quella bottiglia sparì per sempre dalla mia vista. Comincio a pensare che, quando offre del vino agli allenatori, secondo me, non fa parte sicuramente delle sue bottiglie più pregiate. Queste se le scola tutte lui!». Roberto sorride e ci fa capire che quell’uomo è davvero un bel volpone e che non sarà facile per nessuno scalzarlo dalla panchina più potente d’Inghilterra.
Ma come ha fatto Roberto Mancini ad arrivare alla conquista dell’ambitissima Premier League?
Sicuramente grazie alla sua bravura, alle idee tattiche innovatrici e ai fuoriclasse che ha a disposizione. Ad esempio nel derby, una partita decisiva, ha spostato in attacco Yaya Touré, il colosso di colore dai piedi vellutati, levandolo dalla difesa e rischiando il tutto per tutto.
Anche il Manchester United ha grandi giocatori, tuttavia, certamente, una potente mano in questa vicenda è calata dal Paradiso e, se andiamo ad analizzare le singole circostanze, vi verranno la pelle d’oca e i brividi lungo la schiena per degli indizi eccezionali, non spiegabili con le sole forze della ragione.
Lo ha riconosciuto lo stesso Roberto Mancini in un’intervista alla «Gazzetta dello Sport», martedì 15 maggio 2012, poche ore dopo una vittoria rocambolesca: «È stato un miracolo. Dio ha dato uno sguardo alla partita e ha deciso di darci una mano».
Roberto, come tutte le mattine, era andato a messa alle 7.30 e anche quel giorno, come sempre, aveva mantenuto vivo l’incontro con Dio.
Ma facciamo un passo indietro e, prima di entrare nel merito di queste circostanze eccezionali, cerchiamo di ricostruire il rapporto fra me, Medjugorje, Roberto Mancini e Mihajlovic.
Dunque, vediamo quello che vi ho anticipato poco fa. Roberto Mancini, dopo aver parlato con Sinisa Mihajlovic e aver tentato di venire con noi a Medjugorje nel 2009, ha cominciato a informarsi con lui e con me, riguardo agli aiuti agli orfani.
Nel frattempo Roberto, insieme alla moglie Federica e ai tre figli Filippo, Andrea e Camilla, aveva cominciato a leggere A un passo dal baratro. Perché Medjugorje ha cambiato la mia vita, il primo libro che ho scritto per Piemme. Incuriosito e interessato dalla mia testimonianza, aveva poi approfondito la conoscenza di Medjugorje. «Voglio vedere cosa stai facendo in quella terra, Paolo, così, se uniamo le forze, chiudiamo subito i lavori di ristrutturazione del centro Nonni e Nipoti.»
E così, pian piano, il lavoro di allenatore si andava mescolando sempre più intensamente con una preghiera forte che proveniva da un luogo dove Roberto non era mai stato, ma che sentiva vicino come se ci fosse già andato. Sembra un discorso contradditorio ma, in realtà, è proprio quello che sarebbe successo, nel giro di un anno, all’allenatore del Manchester City.
Intanto, cari amici lettori, ricordo molto bene che nel 2011 è arrivata una prima donazione firmata personalmente da Roberto Mancini per le Olimpiadi del Cuore, come suo contributo fra i tanti donati da migliaia di pellegrini.
A loro devo dire grazie; a loro che sono venuti con me tante volte a Medjugorje con i pullman, i voli charter e i camper, devo dare un bacio, un abbraccio, un affettuoso grazie di cuore perché, senza quel grande slancio di generosità, oggi non sarei arrivato a finire questo grande progetto.
Nel mese di gennaio del 2012, Roberto fa un’altra donazione a favore della Bosnia.
Mi rendo conto che la sua generosità è grande ed è strettamente collegata a questo suo desiderio di preghiera che viene dal cuore, come un’esigenza di donare agli altri una parte di ciò che Dio gli ha elargito in abbondanza.
Torniamo al calcio giocato: dall’agosto al Natale del 2011, Roberto vive un momento molto particolare del campionato perché il Manchester City, dopo aver condotto la testa della classifica, si trova in una situazione non facile. Da un lato infatti l’allenatore marchigiano deve fronteggiare la crisi con Tevez, grande attaccante argentino, che non si trova più d’accordo con la società e con l’allenatore; d’altro canto, deve fare i conti con l’italiano Mario Balotelli, un suo giocatore molto forte in campo, ma che fuori dal rettangolo di gioco ne combina di tutti i colori.
“Supermario” alterna prestazioni eccezionali a disavventure, come quella della sua villa incendiata dai fuochi d’artificio accesi da un amico, o come le notti brave con belle donne, che si riflettono poi sul rendimento altalenante nelle partite, in cui fioccano cartellini rossi, espulsioni, dichiarazioni fuori luogo alla stampa, nervosismo e litigate con gli avversari. Insomma, chi più ne ha più ne metta: per Mancini arrivano i guai.
Da Natale 2011 a marzo 2012, sono fortemente impegnato con la trasmissione televisiva Viaggio a… mentre Roberto si trova a fronteggiare una situazione sempre più complessa, perché, nel girone di ritorno, all’inizio dell’anno, si verifica un calo di risultati che sembra compromettere tutto.
Il Manchester United accumula un vantaggio di ben 8 punti che si consuma rapidamente in seguito a una serie di brutte parti...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Nella terra delle meraviglie
  3. Prologo. Viaggio nella fede da Medjugorje a Manchester, da Vienna alla Versilia
  4. 1. Sport e fede
  5. 2. I Figli della Gospa e il santuario abbandonato
  6. 3. I giorni di Vienna
  7. 4. L’esorcista della Sicilia
  8. 5. Padre Amorth
  9. 6. Madre Speranza e il pozzo dei miracoli
  10. Informazioni utili
  11. Immagini
  12. Copyright