Il paese senza adulti
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Il paese senza adulti

  1. 266 pagine
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Il paese senza adulti

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C'è qualcosa che non torna nel mondo degli adulti. Passano il tempo a sgridare noi bambini, a dirci che dobbiamo fare così e cosà, e poi basta vedere il telegiornale per capire che dovrebbero solo stare muti e lasciare comandare noi. Un giorno ho sentito in una trasmissione che lo Stato deve proteggere i bambini, ma quando sono arrivato a casa da scuola e mio padre, ubriaco come sempre, ha picchiato mia madre, Maxence e me, mi è proprio venuta voglia di telefonargli, allo Stato. Solo che non sapevo chi chiamare. Il mio nome è Slimane, Maxence è mio fratello, ha tredici anni, solo due più di me, ma sembra molto più grande. Lui è la mia roccia, mi protegge dal Demone, come chiamiamo nostro padre, e riesce sempre a rassicurarmi. Mi ha anche fatto delle ali d'angelo, e quando le cose si mettono proprio male, ne infiliamo una ciascuno e immaginiamo di volare via. La vita è davvero fatta male. Tutti lo sanno, ma nessuno sa dove fare denuncia. Dunque si fa finta che tutto sia normale. Ma io dico che non è affatto così. È solo una grande fregatura. Per questo Maxence un giorno ha deciso di andare nel paese senza adulti, e mi ha lasciato qui da solo. Io ho provato a raggiungerlo, ma devo aver sbagliato strada. O forse no.

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Informazioni

Anno
2010
ISBN
9788858502488
Page 171 TERZA PARTE

1

Questa sera, per la prima volta, a Valentine è concesso di mangiare con noi, perché ha ripreso peso. Si siede a tavola, senza guardare nessuno.
Il mio cuore ha la febbre, tanto scotta. Cerco i suoi occhi, ma non li trovo. Devono essere nascosti da qualche parte dentro di lei.
Ci servono il pesce e le verdure. Valentine prende la forchetta e schiaccia tutto quello che ha nel piatto, così che ci sia meno roba possibile da mandare giù. Le carote diventano coriandoli e il pesce non sembra più pesce.
Sidonie non smette di guardarla, e siccome vede che non mangia, le va vicino e le bisbiglia qualcosa all’orecchio.
Valentine prende la forchetta, ma deve essere tanto pesante, perché il suo viso si piega come un ventaglio. Mette in bocca un pezzo di carota, e mastica. Non la finisce più di masticare, anche se la carota sembrava già masticata prima di atterrare nella sua bocca. Io non mangio più, perché continuo a guardarla. Lei prende ancora un po’ di poltiglia di carota e mastica come se fossero sassi. Valentine ha gli occhi verdi.
______
La sera, a letto, continuo a pensare a lei. Non capisco perché mi succede. Il mio cuore fa dei grandi giri sull’ottovolante. Non gli era mai capitato prima. È anche più molle del chewing-gum. È la prima volta che sento di avere un cuore, da quando Maxence è partito per il Paese senza adulti. Sono sorpreso, perché ero convinto che il mio cuore fosse defunto. Forse prima di morire, ha messo al mondo un cuore bebé, ed è lui che mi batte nel petto. Deve sicuramente aver fame. In ogni caso, Valentine è un bocconcino che ha l’aria di piacergli.

2

Ho pensato molto, e alla fine ho deciso di tornare nel reparto di geriatria. Ho voglia di rivedere la vecchia signora dell’altra volta. Sarà forse all’ospedale per curare la sua cattiveria? Allora gli ospedali dovrebbero essere pieni zeppi di questi malati. Sono sicuro che se ci si impegnasse, si troverebbero delle cure per rendere la gente più gentile e disponibile.
Infilo lo stesso corridoio dell’altra volta. Mi ricordo il numero della camera: 55. Entro senza far rumore, senza bussare, perché so che comunque lei non risponderebbe. La signora è a letto. Deve avere in testa un temporale, perché i suoi occhi lanciano fulmini.
«Che cosa fai ancora qui? Ti avevo detto di non tornare!»
«E invece sono tornato lo stesso. Come si chiama?»
«Levati dai piedi!»
Sulla scheda del suo letto leggo il suo nome: Marguerite. Gli occhi di Marguerite sono opachi.
«Si chiama Marguerite? Non è possibile. I suoi genitori devono aver fatto un errore!»
«E perché mai?»
«Ma perché le margherite sono fiori gentili e adorabili, mentre lei non lo è per niente. Il suo nome dovrebbero essere ortica o cactus.»
«Sei solo un moccioso. Detesto i bambini.»
«Non sono un bambino.»
«E si può sapere cosa sei?»
«Appartengo a una nuova specie. Sembro un bambino, ma sono più grande di tutti voi.»
«E cosa ti fa essere così sicuro?»
«Capisco le cose.»
«Che genere di cose?»
«Perché le persone sono infelici.»
«E perché sono infelici?»
«Perché non si vogliono abbastanza bene.»
«Continua così e vincerai il premio Nobel.»
«Continui così e finirà tutta sola, con un cuore ammuffito.»
I suoi occhi diventano di colpo meno cattivi, la sua faccia ha l’aria un po’ stordita. Ho colpito nel segno. Affari suoi. Scommetto che stasera aprirà l’album dei ricordi e sfoglierà tutta la sua vita.
Per quanto mi riguarda, non ho nessun album da sfogliare. Ho giusto Maxence. Certe sere, mi manca talmente che ho l’impressione di morire. Ma non succede. Passano i minuti e io sono sempre vivo.
Dove sei? Ci sono altri bambini con te?
Tutti i bambini feriti, quelli gravi.
La vita non è una cosa da bambini.
Esplorando l’ospedale, ho scoperto un mucchio di cose; il reparto di chirurgia plastica, per esempio. Il dottor Lemoine mi ha detto che non è un reparto dove si opera con dei sacchetti di plastica, ma che è un posto dove si fa diventare la gente più bella di prima. E dove l’aggiustano, anche. A volte, dopo un incidente d’auto, la faccia è tutta storta o schiacciata, allora ci sono i chirurghi che la rifanno. Ci sono anche persone che vogliono rimanere belle, allora si fanno tutte delle strane operazioni. Cambiano la pelle, gli occhi, il naso, tutto. Certo che se un chirurgo mi operasse, il Demone non potrebbe mai ritrovarmi. Potrei passargli davanti e nemmeno mi riconoscerebbe. A volte, quando mi guardo allo specchio, ho paura di somigliargli. Allora faccio tante smorfie per controllare, perché se un giorno vedessi il suo viso sul mio, mi farei operare nel reparto di chirurgia plastica.

3

Il professor Delbarre è il capo del reparto dei bambini infelici. Quando mi mette una mano sulla testa, è sicuro di avere scalato la montagna più alta del mondo. Passa una volta alla settimana per fare una specie di ispezione. Quando ci guarda, non ci vede perché si capisce che pensa solo a se stesso. Il giorno più brutto è stato quando Valentine si è aggrappata a lui. Non so cosa le è preso, perché non è davvero da lei. Valentine, ogni volta che mangia, è come se ingerisse dei sassi: il suo corpo diventa pesantissimo e lei non riesce più a sopportarlo. Allora vuole vomitare tutto, per tornare più leggera di una nuvola, ma nessuno la capisce e lei è costretta a trascinare il suo corpo pieno di sassi per ore interminabili.
Si è aggrappata al professor Delbarre, e i suoi occhi gridavano: “Aiuto. Mi aiuti, per favore!”. Ma lui ha tirato il camice, finché lei si è staccata. Le ha dato un buffetto, e se ne è andato senza dire niente, mentre Valentine tirava su col naso.
È per questo che si vuole morire. È per questo che non si può più mangiare. Perché siamo solo dei granelli di sabbia gettati in una tempesta che non capiamo. Nessuno viene a raccoglierci.
______
Maryse spinge Valentine in refettorio. Noi abbiamo già cominciato a mangiare. Questa sera, pollo, purè e piselli. Valentine si siede senza fare rumore, come se non ci fosse. Io la guardo e il mio cuore brucia come una crêpe al Grand Marnier che ho visto in una trasmissione alla televisione. Fa delle fiamme immense, e il mio corpo è tutto caldo. Valentine guarda il piatto, ma sembra non accorgersi di quello che c’è dentro. Comincia a fare a pezzettini il pollo, e lo mangia. Valentine è un uccellino che becca. Io, con il pollo, il purè e i piselli, faccio un omino. Uno vero, con tanto di occhi, naso e bocca. Quando Valentine alza la testa, le mostro l’omino. Sorride. Ne fa uno anche lei. Il suo omino ha una testa strana, con il pollo in mille pezzettini e i piselli schiacciati. Io prendo il naso del mio omino con la forchetta, e lo metto in bocca. Lei esita un po’, poi prende il naso piatto del suo omino e lo mangia. Io mastico per tanto tempo, come fa lei, e poi mandiamo giù insieme. Mangiamo metà omino: le orecchie di pollo, la bocca di purè e l’occhio sinistro che è un pisello. Sento che Valentine ha già fatto un grande sforzo, allora ci fermiamo. Nei nostri piatti restano i capelli e un baffo di purè, con un paio d’occhiali fatti con i piselli.

4

Questa sera vado di nuovo in escursione. C’è un reparto che mi incuriosisce, è quello di oncologia pediatrica. Sarà un reparto dove si impara a essere logici? In ogni caso, è un parolone, e tutto quello che per il momento ho visto è che le porte, all’interno, sono tutte rosa. Scivolo fuori. Attraverso tanti corridoi senza far rumore, come facevo quando il Demone era in casa. Salgo ancora due piani e guardo dal vetro della porta del reparto di oncologia pediatrica. C’è un lungo corridoio, con dei tricicli, delle biciclette e dei giochi. Entro e mi guardo intorno. I muri sono ricoperti di disegni di bambini. Principesse, alberi che toccano il cielo, o bambini che dormono su nuvole. Le porte delle camere sono rosa come lo zucchero filato e hanno nomi carini: “Caramella”, “Orzata”, “Confetto”... Una porta sbatte e mi fa sobbalzare. Faccio appena in tempo a vedere un’infermiera, mi infilo nella camera Caramella. All’interno, c’è un bambino con la testa tutta nuda, che mi guarda come se scendessi da un disco volante.
«Che ci fai qui?»
«Niente. Sto gironzolando un po’.»
«Ah, davvero? Vieni da fuori?»
«No.»
«Da dove vieni? Sei all’ospedale?»
«Sì...»
«In quale reparto?»
Provo a ricordarmi quello che ho letto sul pannello.
«Pedopsichiatria.»
«Ah, sì? E com’è là?»
«Si sta terribilmente peggio che qui. Non abbiamo bici, le porte non sono nemmeno rosa, e le nostre camere non si chiamano come le vostre.»
«E come si chiamano?»
«Non si chiamano.»
«Allora chiamale tu!»
«Come?»
«E io che ne so. Pensa per esempio a dove ti piacerebbe vivere.»
«Nel Paese senza adulti.»
«Ecco vedi, l’hai trovato il nome della tua camera!»
Mi fa un gran sorriso. Assomiglia a un extraterrestre che una volta ho visto in una serie televisiva.
«Come ti chiami?»
«Slimane.»
«Wow! Non l’ho mai sentito. È strafigo!»
«E tu come ti chiami?»
«Hugo.»
«Perché sei qui?»
«Perché ho la leucemia.»
«Che cos’è una leucemia?»
«È una malattia. Non ho più difese.»
«Nemmeno io. Perché ti hanno rapato la testa?»
«Faccio la chemioterapia.»
«Che cos’è?»
«È un trattamento per pulire il midollo osseo da tutte le cellule malate.»
«E funziona?»
«Il fatto è che uccide tutte le cellule cattive del midollo, ma anche quelle normali.»
«Ma guarirai?»
«Guarisce il 75% dei bambini.»
«E gli altri?»
«...»
Mi dispiace di aver fatto questa domanda, allora cerco qualcosa da dire, una qualsiasi.
«Nel mio reparto c’è una bambina che si chiama Valentine.»
«E lei che cos’ha?»
«È anoressica.»
«E tu, che cos’hai?»
«Io mi sono suicidato.»
Non so perché, ma quando Hugo mi fa delle domande, le risposte escono da sole.
«Perché lo hai fatto? Volevi morire per davvero?»
«Volevo raggiungere Maxence.»
«Chi è Maxence?»
«È mio fratello.»
«Si è suicidato?»
«No. Se ne è andato al Paese senza adulti.»
«Io, quando ho perso i capelli, ho perso anche tutti i miei amici.»
«Ed eri triste?»
«Sì.»
«Ci sono altri bambini in questo reparto?»
«Sì.»
«Durante il giorno vi vestite?»
«Sì. Non restiamo in pigiama.»
«Perché?»
«Perché fuori non si va in giro in pigiama!»
Resta un momento in silenzio, e mi guarda con uno sguardo tutto elettrico.
«Io, se la vita fosse un bicchier d’acqua vorrei berla tutta.»
«Perché?»
«Perché voglio vivere.»
«Anche qui? In quel mondo fuori?»
«Sì.»
Non so che dire. Non capisco chi ha voglia di vivere.
«Devo andare, altrimenti mi beccano.»
«Vuoi che ti presti la locomotiva del mio trenino elettrico?»
«Perché?»
«Perché così tornerai a trovarmi.»
«D’accordo.»
Me la tende sorridendo. Ho voglia di piangere tanto sono contento. Apro piano la porta della camera. Via li...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Dedica I
  5. Dedica II
  6. PRIMA PARTE
  7. SECONDA PARTE
  8. TERZA PARTE
  9. Epilogo
  10. Grazie