LA PAROLA… CREA
«In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio» così inizia il Vangelo di san Giovanni. Verbo o Logos è la parola creatrice di Dio. Secondo la tradizione cabalistica ebraica, la creazione è innanzitutto creazione del linguaggio: Dio crea la parola cosicché l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, attraverso la parola possa creare la realtà a immagine di Dio sulla Terra.
In base a quanto detto, anche noi nella vita di tutti i giorni possiamo con le parole creare la nostra realtà, felice o infelice, ricca o povera, sana o malata. Ad esempio, frasi del tipo: «Non ce la farò mai», «A me non va mai bene niente» o «Sono un perdente» ci predispongono a un fallimento sicuro, perché hanno programmato il nostro cervello – il nostro computer mentale – all’insuccesso.
Profezia autorealizzante
In psicologia, per “profezia autorealizzante” si intende appunto una convinzione che poi si avvera. Ad esempio, se recandomi all’ennesimo colloquio di lavoro mi ripeto che «sarà come sempre un buco nell’acqua, perché io non troverò mai uno straccio di lavoro», il mio cervello farà in modo di far realizzare quello in cui credo e mi porterà a rispondere solo ad annunci improbabili. Non vedrò nemmeno le offerte di lavoro valide, perché si vede solo ciò in cui si crede, solo ciò che ci si aspetta.
Lo stesso accadrà se sono convinto di non piacere alle ragazze, perché inevitabilmente verrò attratto da ragazze che mi rifiutano, confermando così il mio pensiero e facendo realizzare quanto avevo previsto.
Per contro, se continuo a sostenere con determinazione che a trent’anni sarò ricco, nella vita vedrò solo le opportunità positive per la mia carriera.
Ecco perché venne di moda l’espressione, sintetizzata con una faccetta gialla sorridente – uno “smile” appunto –, «pensa positivo», che potremmo trasformare, per continuare il nostro discorso, in «parla positivo».
Ora, con gli studi della fisica quantistica, si è arrivati ad affermare scientificamente che la parola, veicolata dal pensiero e dall’emozione a essa collegata, crea la realtà.
Ecco un altro motivo per imparare a usare bene le parole!
Il ricercatore giapponese Masaru Emoto è diventato famoso per aver pubblicato due libri, Messaggi dall’acqua, frutto dei suoi studi condotti in laboratorio sulle modificazioni che l’acqua subiva quando veniva esposta a stimoli diversi, comprese parole amorevoli o parole offensive.
Nel primo caso la goccia d’acqua congelata si trasformava in una magnifica stella di ghiaccio, nel secondo si strutturava in un ammasso informe.
Se così è, e se pensiamo che il nostro corpo è composto per circa il 70% di acqua, questo dato dovrebbe farci riflettere su quali modificazioni potrebbero avvenire dentro di noi, quando ci vengono rivolte parole che ci feriscono o invece parole d’amore e d’incoraggiamento.
LA PAROLA… FERISCE
Voce dal sen fuggita / Poi richiamar non vale; / Non si trattien lo strale / Quando dall’arco uscì.
PIETRO METASTASIO
«Ferisce più la lingua della spada.»
Sì, la spada può ferire e uccidere, ma si può anche riuscire a scansarne i colpi o a curare le ferite che ci ha inferto. È impossibile invece proteggerci da parole avvelenate, perché ci entrano dentro, feriscono la nostra anima e noi – continuando a ricordarle – rinnoviamo ogni volta il dolore che ci hanno causato.
Chi di noi, sentendosi vittima di un’ingiustizia o in preda all’ira, non ha mai pronunciato parole pesanti, violente o cattive? Poi, passata l’arrabbiatura, magari siamo andati a scusarci, credendo così che tutto fosse risolto. Quanto abbiamo detto resterà però come un ricordo indelebile nella mente della persona che abbiamo ferito.
Ci ricordiamo ancora – vero? – quella frase terribile che ci è stata lanciata addosso anni fa. Ogni tanto riemerge dolorosamente, proprio quando ci sentiamo più deboli e insicuri e avremmo bisogno di conferme positive.
«Non sono capace di risolvere questo compito che mi è stato affidato; incomincio a temere di essere proprio un incapace. D’altronde sarà vero: da piccolo mi ripetevano sempre che ero un buono a nulla.»
Da questo esempio vediamo il danno che certe parole che i genitori rivolgono ai figli – magari rientrando stanchi e stressati dal lavoro – possono provocare. Frasi del tipo «Sei così brutta e goffa che nessuno ti sposerà mai», «Sei un perdente, da grande non combinerai nulla» o «Sei negato per lo studio» influenzeranno e condizioneranno la futura vita dei figli, che forse falliranno sentimentalmente o professionalmente, creando in quei genitori la convinzione di averlo già capito fin da quando erano piccoli.
Anni fa conobbi una donna di circa trentacinque anni: era una potente manager di una multinazionale europea ed era molto brutta, o almeno si conciava in modo tale da nascondere ogni tratto piacevole e femminile. Si era sposata molto giovane e il suo era stato un grande amore, ma la frase che il padre le aveva ripetuto durante tutta la sua infanzia: «Brutta come sei nessuno ti vorrà. Almeno studia, così potrai fare carriera nel lavoro», l’aveva così condizionata da farle credere che il suo bel marito non potesse davvero amarla.
Riuscì a far fallire il matrimonio: non essendo stata “programmata” per essere amata dagli uomini, ora li aveva sotto di sé, ai suoi ordini.
Ricordo una storiella che lessi molto tempo fa in un libricino zen e che ora con varie modifiche si trova riportata spesso su internet.
Narra di un giovane discepolo, dal carattere insolente e dalla lingua lunga, che venne inviato da un maestro per ascoltare il suo insegnamento. Il maestro lo fece attendere parecchio tempo poi finalmente uscì dalla capanna e consegnò al ragazzo una manciata di chiodi e un martello, dicendogli di piantare tutti i chiodi in uno steccato che si trovava poco lontano e poi di far ritorno da lui.
A lavoro finito il ragazzo ritornò dal maestro in attesa di una sua parola e il maestro gli disse di riandare allo steccato e di togliere tutti i chiodi che aveva conficcato. Il ragazzo avrebbe voluto protestare, perché non capiva l’utilità della cosa, ma il maestro si ritirò e a lui non restò che andare a levare quegli stupidi chiodi.
Infine spazientito ritornò ancora una volta dal maestro, il quale gli disse: «Ora sai che ogni chiodo che hai piantato è come una parola pronunciata in preda alla rabbia che tu hai conficcato nel cuore di qualcuno; se anche togli tutti i chiodi, nel legno resteranno per sempre quei buchi; se anche tu chiedi scusa alla persona che hai ferito, nel suo cuore resteranno per sempre quelle ferite».
LA PAROLA… GUARISCE
Se, come abbiamo visto, la parola può creare la nostra realtà, essa può anche influenzare il nostro stato di salute: la nostra malattia o la nostra guarigione.
Conosciamo bene l’effetto placebo: la reazione positiva che una persona ha dopo la somministrazione di un finto farmaco, il placebo appunto. L’idea stessa che quel farmaco porti alla remissione dei sintomi o alla guarigione di una patologia induce il nostro corpo a stimolare le difese immunitarie, quindi a guarire.
Ma non è il placebo, solitamente una semplice soluzione di acqua e zucchero, a mettere in moto il processo, bensì sono le parole del medico di cui abbiamo fiducia, che prescrivendocelo ci assicura che guariremo rapidamente e completamente. Ci fidiamo delle sue parole e queste si possono trasformare in realtà.
Anche una madre può guarire il figlio che piange, con un soffio sul ginocchio sbucciato e dolorante, dicendogli: «Ecco, ora la tua mamma soffia e ti manda via la bua». Il bambino le crede, non sente più male e ritorna a giocare.
Quando le mie figlie erano piccole avevo insegnato loro un gioco da fare quando erano ammalate, e cioè quello di mettersi davanti allo specchio e dire ad alta voce alla loro malattia di andarsene via.
Un giorno mi capitò, passando davanti alla porta aperta del bagno, di sentire mia figlia minore, in piedi su uno sgabello per riuscire a guardarsi allo specchio, che stava solennemente dicendo: «Brutto raffreddore non ti voglio più, vai dalla Paola!».
Be’! Ho dovuto spiegarle meglio che la malattia la si manda via, non la si passa alla compagna di banco. In fondo, però, a modo suo, mia figlia aveva ragione. Si dice infatti comunemente: «Ho preso l’influenza dal mio collega» oppure «Stammi lontano sennò ti passo il raffreddore», dato che le malattie si possono “prendere” da qualcuno e “passare” a qualcun altro.
A volte, ancora, è una frase pronunciata dal terapeuta a far sparire il sintomo. Quella frase, per poter guarire, deve racchiudere il senso nascosto e profondo del malessere che ha indotto il sintomo fisico.
Quando l’origine della malattia è psicosomatica, quando cioè la malattia si “somatizza” e manifesta nel corpo un vissuto emozionale doloroso, dire a un paziente qual è il vissuto legato a quel sintomo può portare alla remissione veloce del sintomo stesso. Ad esempio: «Hai male al braccio… lui ti manca molto, vero? È molto dolorosa per te la perdita di quella persona, che il tuo braccio non può più abbracciare. Il tuo braccio sta manifestando il dolore che tu provi». O ancora: «Hai mal di schiena e dici di sentirti oppresso come da un grosso peso. Cosa ti sta pesando nella vita?».
Naturalmente esiste anche l’effetto nocebo.
«Se mangi tutte quelle merendine ti verrà il mal di pancia!» Il bambino goloso le mangia e gli viene il mal di pancia.
«Non prendere quelle compresse per il tuo mal di testa, non servono a niente; rischi anzi che ti aumenti!» Voi da anni siete soliti assumere quelle compresse ogni volta che quel vostro fastidioso mal di testa ricompare e sapete che vi hanno sempre fatto effetto subito, ma da quando vi hanno detto quella frase, quel farmaco per voi non funziona più.
Un medico con le sue parole può influenzare in modo positivo o negativo il decorso della patologia del paziente.
Dire: «Va tutto bene! Segua le cure che le ho prescritto e vedrà che si rimetterà in piedi presto!» è diverso da: «La sua patologia è piuttosto grave, intanto inizi a prendere i farmaci che le ho prescritto, sperando che le facciano effetto e che non subentrino ulteriori complicanze».
Se foste voi quel paziente al quale è stata diagnosticata una malattia grave, nel primo caso forse guarireste; mentre nel secondo, avendo fatta vostra la non completa fiducia del medico nella cura e aspettandovi le possibili e preannunciate complicanze… chissà!