Piazza San Pietro è un’immensa distesa di ombrelli aperti. Migliaia di persone, sfidando il freddo e la pioggia, da ore attendono che il comignolo in rame della Sistina dia l’atteso responso. La sera prima, alle 16.30, la lunga e suggestiva processione dei centoquindici porporati elettori del conclave chiamato a designare il successore di Benedetto XVI è sfilata dalla Cappella Paolina alla Sistina. Dopo il giuramento e la meditazione tenuta dal cardinale Prosper Grech, i porporati hanno votato una prima volta. Nonostante fosse scontato l’esito della fumata nera, tante, tantissime persone si erano radunate con il naso all’insù, in attesa di conoscerne l’esito. Le volute di fumo color corvino, abbondantissime, hanno confermato che gli elettori avevano deciso di iniziare subito con gli scrutini. E, com’era da aspettarsi, nessuno di loro aveva ottenuto i settantasette voti necessari, pari ai due terzi.
Mercoledì 13 marzo, dopo un iniziale sbuffo bianchiccio, era stata grigiastro-nera anche la fumata di mezzogiorno, quella successiva alle due votazioni della mattinata, cioè al secondo e terzo scrutinio del conclave. Anche in questo caso, un esito piuttosto prevedibile. Negli ultimi cento anni, soltanto Eugenio Pacelli, nel marzo 1939, era stato eletto al terzo scrutinio. Allora c’era la guerra ormai incombente, i cardinali scelsero in fretta il fedele segretario di Stato di papa Ratti. Da fuori, il mondo, quello mediatico e quello dei fedeli e dei curiosi, s’interrogava su che cosa stesse avvenendo sotto le volte della Sistina, di fronte a quel drammatico e stupendo affresco del Giudizio Universale di Michelangelo. O che cosa stesse avvenendo fra i padri cardinali durante il pranzo nella Domus Sancta Marta, dov’erano alloggiati. Dal pomeriggio, l’elezione cominciava a diventare più probabile, nonostante le previsioni sul conclave lungo e difficile. Per Joseph Ratzinger, nell’aprile 2005, era accaduto così. Era stato eletto al quarto scrutinio.
Quel pomeriggio, tuttavia, anche la prima votazione era andata a vuoto. Non c’era stata una fumata bianca tra le 17 e le 18. E dunque questo significava che i cardinali avevano continuato con un nuovo scrutinio, il quarto della giornata, il quinto del conclave. La fumata, bianca o nera, era attesa per le 19. Pochi minuti prima un gabbiano si era posato in cima al comignolo e lo si era visto rimanere lì, immobile, per più di mezz’ora, anche dai quattro megaschermi posizionati sulla piazza antistante la basilica vaticana.
«Non è un buon segno,» dice un prete «perché l’uccello che simboleggia lo Spirito è la colomba, non certo il gabbiano. Vuol dire che non hanno ancora scelto.» Eppure c’è qualcosa che si avverte. Un’attesa crescente, che non ha ragioni esterne o umane d’essere.
Alle 19.05 un fumo bianco, prima quasi trasparente e poi sempre più denso e immacolato, comincia a fuoriuscire dal camino, mandando in visibilio la folla che comincia ad applaudire. Il papa è fatto, anche se il mondo ancora non conosce il suo nome e il suo volto. In quel mentre smette di piovere. L’attesa sembra interminabile. Poi, finalmente le grandi vetrate della Loggia centrale di San Pietro si aprono, e il cardinale protodiacono Jean-Louis Tauran si presenta alla folla per annunciare il nome dell’eletto: «Annuntio vobis gaudium magnum, habemus papam, Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum Georgium Marium, Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Bergoglio, qui sibi nomen imposuit Franciscum».
Georgium Marium, sarebbe bastato questo per capire che l’eletto era il cardinale di Buenos Aires, un arcivescovo gesuita nato in quella città settantasei anni prima, da una famiglia di emigranti piemontesi.
Il nome non è noto e, al principio, la gente rimane quasi sconcertata. Proprio come accadde un’altra sera, quella del 16 ottobre 1978, quando il cardinale Pericle Felici annunciò ai fedeli che il nuovo papa era Karol Wojtyla. Padre Bergoglio, dunque. Tutti si aspettavano un pontefice giovane, e invece i cardinali tornavano a sceglierne uno già anziano. Molti facevano previsioni sul «papa italiano», e invece il nuovo vescovo di Roma arrivava dall’emisfero sud del mondo, da molto lontano. Dopo aver ripercorso in senso contrario quel viaggio che la sua famiglia nel 1929 aveva compiuto imbarcandosi dal porto di Genova.
Chi conosce Bergoglio, la sua figura, il suo episcopato, percepisce immediatamente la portata dell’evento. Resa evidente anche dalla scelta del nome: Francesco. È ascoltando quel nome che la folla prorompe in un applauso fragoroso. Un papa gesuita che prende il nome del Poverello d’Assisi fondatore dei francescani. Un segno di cambiamento, di svolta. Il richiamo alla radicalità evangelica, a una Chiesa povera, che cammina, edifica e confessa Cristo crocifisso, «l’unico Salvatore di tutto l’uomo e di tutti gli uomini».
Passano ancora pochi minuti, ed ecco affacciarsi il nuovo papa. Sono le 20.10. Per la prima volta nella storia, prima che l’eletto esca sulla Loggia, un frammento di immagine del Centro Televisivo Vaticano mostra Francesco, rivestito degli abiti bianchi, mentre si avvicina alla finestra. Il pontefice non indossa la mozzetta rossa bordata di ermellino che era stata preparata, né ha la stola sulle spalle. Si saprà dopo che non ha voluto usare quell’abito regale dai risvolti di pelliccia. L’ermellino non si addice a un papa di nome Francesco. La croce pettorale non è cambiata, è quella che Jorge Mario Bergoglio ha sempre portato con sé. È di metallo, non d’oro. Non porta incastonata nessuna pietra preziosa.
Il nuovo papa esce attorniato dai cerimonieri e da alcuni cardinali, vuole accanto a sé il vicario di Roma, Agostino Vallini. Appena uscito, fa un cenno di saluto sollevando la mano destra e quindi rimane immobile a guardare verso la piazza. Senza dire nulla, mentre la folla applaude e grida «Viva il papa». Poi finalmente prende la parola e dice: «Fratelli e sorelle, buonasera...». Un semplice saluto, che ricorda le ultime parole di Benedetto XVI, pronunciate un attimo prima di rientrare nel palazzo papale di Castel Gandolfo per rimanere «nascosto al mondo».
Francesco continua: «Voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo... Ma siamo qui... Vi ringrazio dell’accoglienza, alla comunità diocesana di Roma, al suo vescovo, grazie. E prima di tutto vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca».
Non si definisce papa, ma ricorda innanzitutto di essere vescovo di Roma, come peraltro aveva fatto al suo primo affacciarsi dopo l’elezione anche Giovanni Paolo II. Il papa è papa perché vescovo di Roma e non viceversa, come sembrano talvolta dimenticare taluni osannatori dello splendore della corte pontificia. Papa Bergoglio sottolinea questo legame speciale, particolare, con la Chiesa della Città Eterna. È un vescovo che parla ai suoi diocesani prima che al mondo.
Quindi, subito dopo, Francesco invita a pregare per il predecessore e accompagnato dai fedeli recita il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Gloria. Fa pregare la gente, fa recitare le preghiere più utilizzate nella fede cristiana.
«E adesso» riprende dopo aver terminato le tre orazioni «incominciamo questo cammino, vescovo e popolo, questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore e di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi, l’uno per l’altro, preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa che oggi incominciamo – mi aiuterà il mio cardinale vicario qui presente – sia fruttuoso per la evangelizzazione di questa città tanto bella...»
È il momento della benedizione, la prima benedizione apostolica, il nuovo papa ha chiesto al popolo di essere benedetto. Ha chiesto ai fedeli di invocare la benedizione di Dio sul nuovo vescovo. Una richiesta del tutto inedita, nuova, che vede protagonisti i laici, il popolo di Dio, e la loro preghiera sul nuovo pastore.
«Adesso vorrei dare la benedizione, ma prima vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, io vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la benedizione per il suo vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me...»
Francesco china il capo, poi, riprende la parola e dice: «Adesso darò la benedizione a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e donne di buona volontà». Indossa la stola papale sopra l’abito bianco e impartisce la benedizione in latino, concedendo l’indulgenza plenaria Urbi et Orbi. Poi, dopo aver salutato con un gesto della mano, chiede nuovamente il microfono e conclude: «Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me. E a presto, ci vediamo presto. Domani voglio andare a pregare la Madonna perché custodisca tutta Roma. Buona notte e buon riposo».
Lasciato il palazzo apostolico, per rientrare a Santa Marta, il papa si trova di fronte la grande macchina nera targata SCV 1. Ma Francesco non la prende: «Salgo nel pulmino con i cardinali...». Farà lo stesso anche il pomeriggio del giorno dopo per tornare nella Sistina a concelebrare la messa con i porporati.
A cena raccontano che c’era un clima di festa, disteso. La Chiesa aveva finalmente un nuovo papa. I centoquattordici “prigionieri” temporanei del conclave avevano scelto il “prigioniero” a vita, colui che sarebbe rimasto in Vaticano. Francesco, salutando i confratelli dopo cena, li ha guardati e ha detto: «Che Dio vi perdoni per quello che avete fatto».
Quella sera stessa, il nuovo papa telefona al papa emerito Benedetto XVI. Non è l’unica telefonata che fa. Francesco chiama anche a casa di alcuni amici romani. E invia immediatamente un messaggio al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni: «Nel giorno della mia elezione a vescovo di Roma e pastore universale della Chiesa cattolica, le invio il mio cordiale saluto, annunciandole che la solenne inaugurazione del mio pontificato avrà luogo martedì 19 marzo. Confidando nella protezione dell’Altissimo, spero vivamente di poter contribuire al progresso che le relazioni tra ebrei e cattolici hanno conosciuto a partire dal Concilio Vaticano II, in uno spirito di rinnovata collaborazione al servizio di un mondo che possa essere sempre più in armonia con la volontà del Creatore».
La prima giornata del pontificato, Francesco l’ha iniziata come al solito, con la sveglia molto presto e una lunga preghiera davanti al tabernacolo. Poi, come aveva preannunciato la sera precedente, ha voluto pregare la Madonna di custodire e proteggere la diocesi di Roma. Poco prima delle otto si è presentato nella basilica di Santa Maria Maggiore per una visita privata. In una grande cappella della navata sinistra della più antica chiesa dedicata alla Madonna, si conserva l’icona della Salus populi romani. Il nuovo papa è entrato tenendo in mano un mazzo di fiori e si è fermato in preghiera davanti all’immagine mariana. Poi è andato all’altare, sotto il quale è conservata una reliquia della mangiatoia della Natività. Quindi in una cappella che si chiama anch’essa Sistina, all’altare dove sant’Ignazio di Loyola celebrò, una notte di Natale, la sua prima messa: è un luogo fortemente simbolico per i gesuiti. Francesco ha quindi pregato sulla tomba di san Pio V, il papa della battaglia di Lepanto e della messa del vecchio rito; il pontefice domenicano, quello che inaugurò la tradizione del colore bianco per le vesti papali, perché volle mantenere il suo abito religioso domenicano.
Dopo la preghiera, Francesco incontra il personale, i cardinali presenti e i confessori domenicani. «Misericordia, misericordia, misericordia...»: questo è l’invito che ha fatto loro salutandoli a uno a uno. «Voi siete i confessori quindi siate misericordiosi verso le anime. Ne hanno bisogno», ha aggiunto.
Il nuovo papa è arrivato con una macchina della gendarmeria vaticana, non con la berlina papale. E aveva una scorta ridotta al minimo. La sera dell’elezione aveva voluto parlare con il direttore della Domus Sacerdotalis Paulus VI, la casa del clero di via della Scrofa 70 a Roma, dove era solito alloggiare durante i suoi soggiorni nella capitale e dove era rimasto per le due settimane precedenti il conclave. Nei giorni delle congregazioni generali si è sempre mosso a piedi sia all’andata che al ritorno.
Il papa ha avvisato il direttore che sarebbe passato a ritirare la sua valigia e i suoi effetti personali, e a pagare il conto. E così è stato. Francesco è arrivato nell’antico palazzo a due passi da piazza Navona accompagnato dal Prefetto della Casa Pontificia, Georg Gänswein, e davanti alle facce sbigottite che sembravano volergli dire “Santità, sta scherzando, non vorrà mica pagare?”, lui ha fatto capire: «Proprio perché sono il papa devo dare l’esempio».
Quindi ha voluto salire personalmente in camera per raccogliere le sue cose, e ha fatto da solo la sua valigia. Come era solito fare, del resto, a ogni viaggio. Perché Jorge Mario Bergoglio è sempre stato un vescovo senza segretario. Il papa che rifiuta macchinone e scorta, che preferisce viaggiare con i «fratelli cardinali», che non si lascia imporre gli abiti bordati di ermellino, che non ritiene di essere assurto a un livello tale da impedirgli di farsi da solo la valigia e di pretendere di pagare il conto della casa del clero, come ogni altro ospite. Tanti piccoli grandi segni. Il mondo di oggi chiede alla Chiesa di testimoniare il Vangelo più con la vita che con le parole. E dovrebbe essere normale, per un cristiano, comportarsi con sobrietà, con semplicità. Certe esibizioni da Chiesa trionfante forse hanno avuto un significato in passato. Di certo oggi appaiono fuori dal tempo e dalla sensibilità comune. E in qualche caso persino rischiano di offrire una contro-testimonianza. Invece di avvicinare, allontanano. Papa Francesco, con il suo essere se stesso fino in fondo, attrae. Come dimostra la straordinaria reazione di tanta, tantissima gente nel mondo. Colpita e affascinata dalla sua straordinaria ordinarietà e dalla sua semplicità.
«Certo questo papa creerà qualche problema inedito alla sicurezza vaticana», ha commentato il gesuita padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, che ha però subito aggiunto: «Ma i responsabili della sicurezza sono al servizio del Santo Padre e sanno che devono adeguarsi al suo stile pastorale».
Non è il papa a doversi adeguare a certe esagerate esibizioni che in nome della sicurezza hanno rischiato di ingabbiare Benedetto XVI negli ultimi anni del suo pontificato. È l’entourage che deve adeguarsi allo stile del pontefice. Un pontefice che è vescovo di Roma e che con la sua città e diocesi intende stabilire un rapporto speciale.
Jorge Mario Bergoglio, Francesco, è il primo papa nella storia della Chiesa a essere eletto successore di un pontefice dimissionario per motivi di vecchiaia. Gli avvenimenti che hanno portato un vescovo gesuita latinoamericano sul Soglio di Pietro hanno inizio un lunedì mattina come tanti altri, l’11 febbraio 2013. Quel giorno, alle ore 11, nella Sala del Concistoro, Benedetto XVI deve presiedere un concistoro pubblico per la canonizzazione di alcuni beati. Sono Antonio Primaldo e compagni (+ 1480), i martiri di Otranto; Laura di Santa Caterina da Siena Montoya y Upegui (1874-1949), vergine, fondatrice della Congregazione delle suore missionarie della Beata Vergine Maria Immacolata e di Santa Caterina da Siena; Maria Guadalupe García Zavala (1878-1963), cofondatrice della Congregazione delle Serve di Santa Margherita Maria e dei Poveri. Il papa ha decretato che «siano iscritti nell’Albo dei santi di domenica 12 maggio 2013».
Benedetto XVI, tuttavia, non si è fermato qui. Ha continuato, leggendo una breve dichiarazione in latino che portava la sua firma e la data del giorno prima, con la quale annunciava la sua decisione di rinunciare al pontificato per motivi d’età, comunicando che la Sede di Pietro sarebbe stata vacante a partire dalle ore 20 del 28 febbraio. Un testo che soltanto all’alba di quel lunedì era stato consegnato ai traduttori della Segreteria di Stato, dopo averli fatti giurare di mantenere il segreto.
Con voce flebile e rotta dall’emozione, papa Ratzinger dice: «Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum...».
«Carissimi Fratelli,» dice il papa di fronte ai cardinali attoniti e per nulla preparati a quanto stava per accadere «vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino.»
«Sono ben consapevole,» aggiunge Benedetto XVI «che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato.»
«Per questo,» conclude il pontefice «ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di san Pietro, a me affidato per mano dei cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20.00, la sede di Roma, la sede di san Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice.»
Il papa conclude ringraziando i cardinali «di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti». Assicurando che «anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio».
Sono appena ventidue righe in latino. Ventidue righe destinate a cambiare la storia della Chiesa. Subito dopo averle lette, Benedetto XVI riceve l’abbraccio del cardinale decano del collegio cardinalizio, Angelo Sodano. Poi con passo incerto, in silenzio, attorniato dai prelati della Casa Pontificia scuri in volto, Ratzinger fa ritorno nell’appartamento papale, dove rimarrà per altri diciassette giorni. Qui, al riparo da sguardi indiscreti, non regge all’emozione e si commuove. Le lacrime rigano il suo volto di papa anziano e stanco. Il volto del primo papa dimissionario dopo sei secoli.
Benedetto XVI lascia dunque il pontificato con un annuncio senza precedenti. La sua è una scelta clamorosa, presa in solitudine. Una scelta maturata da tempo, stabilita al ritorno dal viaggio del marz...