L'ultimo miracolo
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L'ultimo miracolo

Perché Giovanni Paolo II è santo

  1. 168 pagine
  2. Italian
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L'ultimo miracolo

Perché Giovanni Paolo II è santo

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"Santo subito!". Così acclamava la folla, davanti alla basilica di San Pietro, poche ore dopo la morte di Karol Wojtyla. Ad appena nove anni dalla scomparsa, Giovanni Paolo II ottiene l'aureola in tempi record. Il processo di canonizzazione è stato il più rapido di tutta la storia della Chiesa e il vaticanista Andrea Tornielli svela i passaggi top secret che hanno condotto la Consulta medica della Congregazione delle cause dei santi a riconoscere come inspiegabile la guarigione di una donna gravemente malata, che dal Costa Rica seguì l'intera cerimonia di beatificazione del pontefice pregandolo con fede. Dopo l'approvazione di un primo miracolo per la beatificazione, le procedure di canonizzazione prevedono il riconoscimento di un secondo miracolo. Il postulatore della causa, monsignor Slawomir Oder, ha presentato alla Congregazione vaticana la documentazione sul presunto risanamento. Dopo il primo parere favorevole, il dossier con le cartelle cliniche e le testimonianze è stato quindi presentato ufficialmente al dicastero che ha certificato il miracolo attribuendolo all'intercessione del beato papa Wojtyla. Un racconto avvincente, che s'intreccia con la descrizione del fenomeno di devozione fiorito intorno alla figura del pontefice polacco e con le dichiarazioni sconvolgenti di tanti fedeli che ricorrendo a lui nella preghiera gli attribuiscono grazie ricevute, richieste esaudite, conversioni straordinarie.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858510117

1

SANTO QUASI SUBITO

Papa Wojtyła, il primo Pontefice slavo della storia della Chiesa, il vescovo di Roma che proveniva da uno dei Paesi della Cortina di Ferro e che ha segnato con il suo lungo pontificato l’ultimo quarto di secolo del Novecento, introducendo la Chiesa nel nuovo millennio, viene proclamato santo nove anni dopo la sua morte, avvenuta il 2 aprile 2005. Un evento straordinario, innanzitutto per i tempi. Giovanni Paolo II è stato infatti beatificato nel maggio 2011 dal suo successore, papa Ratzinger, appena sei anni dopo la sua scomparsa. E ora, in tempi record, il beato viene canonizzato dal suo secondo successore, papa Francesco l’ex arcivescovo di Buenos Aires creato cardinale da Wojtyła nel concistoro più affollato della storia della Chiesa, quello del 2001. Bergoglio ha voluto unire la canonizzazione di Giovanni Paolo II a quella del «Papa buono», Giovanni XXIII, beato già da quattordici anni, che ora, per volere dell’attuale Pontefice, ottiene l’aureola della santità senza bisogno del riconoscimento di un secondo miracolo attribuito alla sua intercessione.
Il giorno dei funerali di Wojtyła vennero sventolati in piazza San Pietro degli striscioni con la scritta «Santo subito!». Un’iniziativa preparata che però, in quel momento di forte emozione dell’ultimo saluto al grande Pontefice polacco, venne fatta in qualche modo propria da tutta la folla. «Santo subito!»: era questa la speranza dell’arcivescovo Stanislaw Dziwisz, il segretario particolare di Giovanni Paolo II, che di lì a poco avrebbe lasciato la Prefettura della Casa Pontificia, il Vaticano e Roma per andare a guidare la Chiesa di Cracovia, la diocesi in cui Wojtyła era nato, era cresciuto, era diventato prete e poi vescovo. Non c’è dubbio che monsignor Dziwisz, oggi cardinale, sia stato il vero artefice della causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II. Meno noto è il fatto che nelle prime settimane del suo pontificato, il suo successore Joseph Ratzinger prese seriamente in considerazione la richiesta di proclamare Wojtyła «santo subito», cioè di aprire direttamente un processo per la canonizzazione saltando il gradino intermedio della beatificazione. Un evento che sarebbe stato senza precedenti nell’epoca moderna. Ratzinger non disse subito di no alla proposta che gli venne avanzata e che dava forma a un’aspirazione dello stesso Dziwisz.
Benedetto XVI, di fronte a una richiesta così inedita, chiese consiglio ad alcuni collaboratori della Curia romana e in particolare alla Congregazione delle cause dei santi. Infine stabilì di consentire subito l’apertura del processo, senza attendere i cinque anni dalla morte, ma senza saltare il gradino di beato.
Bisogna tornare alla grande emozione dei giorni successivi alla morte di Giovanni Paolo II per comprendere ciò che allora accadde Oltretevere. I cardinali, in quei giorni dell’aprile 2005, mentre si riunivano per decidere lo svolgimento dei funerali e preparare il conclave dal quale sarebbe stato eletto Benedetto XVI, scorgevano quotidianamente la fiumana ininterrotta di persone sfilare davanti alla salma di Wojtyła. Anziani e famiglie, giovani coppie con bambini, gente venuta da tutto il mondo, disposta a sottoporsi a ore e ore di coda, a trascorrere la notte bloccata in fila tra le transenne, in attesa di poter arrivare soltanto per una manciata di secondi davanti alle spoglie mortali del Pontefice polacco, composte davanti all’altare della Confessione nella grande basilica vaticana.
Il cardinale slovacco Jozef Tomko, prefetto emerito di Propaganda Fide e amico del Pontefice appena scomparso, si fece promotore di una raccolta di firme tra i colleghi porporati per chiedere al nuovo Papa, chiunque fosse, di aprire la causa per portare il predecessore sugli altari. L’allora decano del collegio cardinalizio, Joseph Ratzinger, nell’omelia della Messa funebre, parlò di Wojtyła affacciato alla finestra del cielo, e le sue parole vennero considerate da molti come un viatico all’aureola. Subito dopo l’elezione di Ratzinger, fu il cardinale Camillo Ruini, allora vicario di Roma, a presentargli la petizione dei porporati. Da parte di Dziwisz arrivò invece a Benedetto XVI il suggerimento di procedere per la proclamazione a «santo subito».
Ratzinger, che aveva conosciuto da vicino Wojtyła e ne era stato uno dei più longevi e stretti collaboratori, volle valutare con calma pro e contro. Inizialmente non disse di no alla richiesta, giudicandola dunque degna di approfondimento. C’erano da valutare dal una parte la fama di santità diffusa a livello popolare e l’eccezionalità della figura del predecessore dal lunghissimo pontificato. Dall’altra, c’erano le regole canoniche, le procedure della Congregazione delle cause dei santi, e l’impatto che un tale strappo avrebbe avuto passando subito a una proclamazione di santità, a così poca distanza dalla morte e senza che fossero aperti gli archivi relativi agli anni del pontificato wojtyliano.
Benedetto XVI, il nuovo Papa, sapeva bene che qualcosa di simile – come richiesta – era stato preso in considerazione appena due anni prima, nel giugno 2003, quando l’allora segretario di Stato, cardinale Angelo Sodano, aveva scritto una lettera a nome di Giovanni Paolo II ad alcuni cardinali della Curia romana, chiedendo loro un parere sulla possibilità di proclamare «santa subito» madre Teresa di Calcutta, la piccola religiosa albanese divenuta apostola dei più poveri tra i poveri dell’India e poi in tutto il mondo. Wojtyła chiedeva di esprimersi confidenzialmente sulla possibilità di canonizzare madre Teresa senza passare per il gradino previo della beatificazione. Vale la pena di ricordare, a questo proposito, che la beatificazione è un atto con cui il Papa concede il permesso di rendere un culto pubblico al beatificato, in alcune parti della Chiesa, fino a che il beato sia canonizzato e non implica l’infallibilità. Diversa è la canonizzazione, che diventa vincolate per tutta la Chiesa con il culto universale del santo.
A papa Wojtyła quell’idea di madre Teresa «santa subito» non dispiaceva affatto, ma volle consultare i collaboratori, che lo sconsigliarono di procedere in questo modo, nonostante la diffusissima fama di santità della piccola suora albanese. Così madre Teresa divenne beata, non santa. Consultati alcuni esperti della Congregazione delle cause dei santi, Benedetto XVI ha seguito la stessa linea. Ha deciso di derogare all’attesa dei cinque anni, ma ha stabilito che la causa del predecessore, pur seguendo una corsia preferenziale in quanto ai tempi (innegabile, nonostante le smentite vaticane), avvenisse secondo procedure regolari, senza scorciatoie o sconti. Il fatto che, ad appena sei anni dalla morte, Giovanni Paolo II sia diventato beato è già di per sé un fatto eccezionale. Da più di un millennio, infatti, un Papa non elevava agli altari il suo immediato predecessore.
L’ultimo Pontefice che si sarebbe voluto «santo subito», prima di Wojtyła, era stato Giovanni XXIII: i padri del Vaticano II proposero al suo successore Montini di canonizzarlo in Concilio, per «acclamazione». Anche quella volta il Papa scelse di agire diversamente e fece iniziare un regolare processo per Roncalli. È interessante notare che proprio questi due Papi, per i quali si sarebbe voluto procedere con il «santo subito», vengano canonizzati insieme, lo stesso giorno.
Il cardinale Stanislaw Dziwisz, nel libro-intervista con Gian Franco Svidercoschi (Ho vissuto con un santo), ha dichiarato a proposito della «scorciatoia» per fare «santo subito» Wojtyła: «Sì, devo dire la verità, anch’io all’inizio ho creduto che fosse possibile. Anch’io ho sperato che Benedetto XVI, una volta completato l’iter della causa di beatificazione, saltasse questa tappa intermedia e procedesse immediatamente alla canonizzazione di Karol Wojtyła. Non credo comunque di essere stato il solo a pensarlo, e a parlarne pubblicamente. Anche perché veniva naturale chiedersi se una beatificazione, che comporta un culto locale, non andasse un po’ “stretta”, mi permetto di dire così, a un Papa conosciuto e venerato in tutti i luoghi della terra».
Ma l’ex segretario di Giovanni Paolo II ammette: «L’ho capito pian piano, gradualmente, ma Benedetto XVI ha fatto davvero la cosa giusta. Dopo soli sei anni, e nel pieno rispetto della prassi canonica, ha potuto fare questo dono prezioso (la beatificazione, N.d.A.) alla memoria di Giovanni Paolo II, al quale era ed è ancora così intimamente legato. Per di più, in questo modo, ha spianato la strada – come infatti poi è avvenuto – perché si potesse arrivare alla canonizzazione senza troppi problemi.
Dunque, tutto è andato avanti rapidamente, ma secondo le regole, un passo dopo l’altro, niente forzature, niente favoritismi. E così c’è stato anche il tempo per far meglio conoscere, non solo la biografia, non solo la figura, ma lo stesso magistero di Giovanni Paolo II. E questo è stato molto importante, perché ha favorito una maturazione collettiva, ha preparato la gente, e ha creato il clima spirituale che ci voleva».
Anche se la cerimonia di canonizzazione e il via libera al decreto sul miracolo, cioè la guarigione inspiegabile di Floribeth Mora Díaz – della quale ci occuperemo diffusamente nelle prossime pagine – sono arrivati da papa Francesco, il successore di Ratzinger eletto il 13 marzo 2013, dopo l’inedito e coraggioso gesto della rinuncia presentata da Benedetto XVI, non v’è dubbio che il grande protagonista della corsa di Wojtyła verso gli altari sia stato proprio il «Papa emerito». Colpisce in modo particolare rileggere le parole che Benedetto XVI pronunciò il 2 aprile 2008, ricordando il terzo anniversario della scomparsa di Giovanni Paolo II.
«La data del 2 aprile» disse in quella occasione Papa Ratzinger «è rimasta impressa nella memoria della Chiesa come il giorno della partenza da questo mondo del servo di Dio papa Giovanni Paolo II. Riviviamo con emozione le ore di quel sabato sera, quando la notizia della morte fu accolta da una grande folla in preghiera che gremiva piazza San Pietro. Per diversi giorni la basilica vaticana e questa piazza sono state davvero il cuore del mondo. Un fiume ininterrotto di pellegrini rese omaggio alla salma del venerato Pontefice e i suoi funerali segnarono un’ulteriore testimonianza della stima e dell’affetto, che egli aveva conquistato nell’animo di tantissimi credenti e di persone d’ogni parte della terra. Come tre anni fa, anche oggi non è passato molto tempo dalla Pasqua. Il cuore della Chiesa è ancora profondamente immerso nel mistero della Risurrezione del Signore. In verità, possiamo leggere tutta la vita del mio amato predecessore, in particolare il suo ministero petrino, nel segno del Cristo Risorto.»
«Egli nutriva» aveva continuato Benedetto XVI in quella omelia «una fede straordinaria in Lui, e con Lui intratteneva una conversazione intima, singolare e ininterrotta. Tra le tante qualità umane e soprannaturali, aveva infatti anche quella di un’eccezionale sensibilità spirituale e mistica. Bastava osservarlo quando pregava: si immergeva letteralmente in Dio e sembrava che tutto il resto in quei momenti gli fosse estraneo. Le celebrazioni liturgiche lo vedevano attento al mistero-in-atto, con una spiccata capacità di cogliere l’eloquenza della Parola di Dio nel divenire della storia, al livello profondo del disegno di Dio. La santa Messa, come spesso ha ripetuto, era per lui il centro di ogni giornata e dell’intera esistenza. La realtà “viva e santa” dell’Eucaristia gli dava l’energia spirituale per guidare il Popolo di Dio nel cammino della storia. Giovanni Paolo II» aveva aggiunto Ratzinger «si è spento alla vigilia della seconda Domenica di Pasqua; al compiersi del “giorno che ha fatto il Signore”. La sua agonia si è svolta tutta entro questo “giorno”, in questo spazio-tempo nuovo che è l’“ottavo giorno”, voluto dalla Santissima Trinità mediante l’opera del Verbo incarnato, morto e risorto. In questa dimensione spirituale il papa Giovanni Paolo II più volte ha dato prova di trovarsi in qualche modo immerso già prima, durante la sua vita, e specialmente nell’adempimento della missione di Sommo Pontefice.»
Benedetto XVI ricordò, in quella occasione, anche la sofferenza degli ultimi anni, quando Wojtyła aveva il fisico minato dalla malattia. Il pontificato di Giovanni Paolo II può infatti essere diviso in due parti non tanto sulla base degli eventi accaduti nella Chiesa e nella storia dell’umanità (dal 1978 al 2005 il mondo ha subìto cambiamenti profondi), quanto piuttosto a partire dalla testimonianza di un Papa eletto molto giovane, dal fisico robusto e sportivo, che è stato poi segnato dalla malattia nel lungo crepuscolo del suo regno.
«Ci guidano in questa riflessione rievocativa» aveva detto ancora Ratzinger nell’aprile 2008 «le Letture bibliche appena proclamate: “Non abbiate paura, voi!” (Matteo 28,5). Le parole dell’angelo della risurrezione, rivolte alle donne presso il sepolcro vuoto, che ora abbiamo ascoltato, sono diventate una specie di motto sulle labbra del papa Giovanni Paolo II, fin dal solenne inizio del suo ministero petrino. Le ha ripetute più volte alla Chiesa e all’umanità in cammino verso il 2000, e poi attraverso quello storico traguardo e ancora oltre, all’alba del terzo millennio. Le ha pronunciate sempre con inflessibile fermezza, dapprima brandendo il bastone pastorale culminante nella Croce e poi, quando le energie fisiche andavano scemando, quasi aggrappandosi a esso, fino a quell’ultimo Venerdì Santo, in cui partecipò alla Via Crucis dalla Cappella privata stringendo tra le braccia la Croce. Non possiamo dimenticare quella sua ultima e silenziosa testimonianza di amore a Gesù. Anche quella eloquente scena di umana sofferenza e di fede, in quell’ultimo Venerdì Santo, indicava ai credenti e al mondo il segreto di tutta la vita cristiana. Il suo “Non abbiate paura” non era fondato sulle forze umane, né sui successi ottenuti, ma solamente sulla Parola di Dio, sulla Croce e sulla Risurrezione di Cristo. Via via che egli veniva spogliato di tutto, da ultimo anche della stessa parola, questo affidamento a Cristo è apparso con crescente evidenza. Come accadde a Gesù, pure per Giovanni Paolo II alla fine le parole hanno lasciato il posto all’estremo sacrificio, al dono di sé. E la morte è stata il sigillo di un’esistenza tutta donata a Cristo, a Lui conformata anche fisicamente nei tratti della sofferenza e dell’abbandono fiducioso nelle braccia del Padre celeste. “Lasciate che vada al Padre”, queste – testimonia chi gli fu vicino – furono le sue ultime parole, a compimento di una vita totalmente protesa a conoscere e contemplare il volto del Signore.»
Non devono sfuggire al lettore alcune frasi pronunciate da Benedetto XVI. Parole che apparvero già allora una chiara profezia circa la santità personale di Wojtyła. Conviene sottolinearle, aggiungendo alcuni corsivi: «Egli nutriva una fede straordinaria in Lui (Cristo Risorto, N.d.A.), e con Lui intratteneva una conversazione intima, singolare e ininterrotta. Tra le tante qualità umane e soprannaturali, aveva infatti anche quella di un’eccezionale sensibilità spirituale e mistica. Bastava osservarlo quando pregava: si immergeva letteralmente in Dio e sembrava che tutto il resto in quei momenti gli fosse estraneo». Papa Wojtyła, secondo il suo successore, «dialogava» con Gesù, aveva «qualità soprannaturali» ed era un mistico.
Avendo questo giudizio sulla persona del predecessore, il 28 aprile 2005, su istanza dell’allora cardinale vicario di Roma Camillo Ruini, papa Ratzinger concedeva la dispensa dai cinque anni per poter incominciare la causa di beatificazione. Il 9 maggio dello stesso anno, la Congregazione delle cause dei santi emanava il relativo decreto, dando avvio al processo. Pochi giorni dopo veniva nominato il postulatore, monsignor Slawomir Oder. L’inchiesta principale sulla vita, le virtù e la fama di santità di Giovanni Paolo II veniva istruita presso il Vicariato di Roma dal 28 giugno 2005 al 2 aprile 2007. Oltre agli interrogatori romani, in questo lasso di tempo, si celebravano due inchieste «rogatoriali» nella curia di Cracovia (dal 4 novembre 2005 al 1° aprile 2006) e nella curia di New York (31 luglio 2006).
Per quanto riguarda la guarigione inspiegabile ritenuta miracolosa e servita per la beatificazione, l’inchiesta diocesana aveva luogo presso la curia della diocesi di Aix-en-Provence (Francia), dal 17 marzo 2006 al 23 marzo 2007, con venti sessioni.
Il 19 dicembre 2009, Benedetto XVI dichiarava l’eroicità delle virtù del servo di Dio Giovanni Paolo II e, dopo la promulgazione del decreto del miracolo, lo beatificava nel corso di una cerimonia in piazza San Pietro, il 1° maggio 2011. Una data importante anche ai fini della canonizzazione: come vedremo più avanti, proprio nelle ore in cui a Roma si svolgeva la cerimonia, in presenza di una folla imponente proveniente da tutto il mondo, in Costa Rica avveniva un altro evento che sarebbe stato poi giudicato scientificamente inspiegabile.
In quella occasione, papa Ratzinger affermava: «Sei anni or sono ci trovavamo in questa piazza per celebrare i funerali del papa Giovanni Paolo II. Profondo era il dolore per la perdita, ma più grande ancora era il senso di una immensa grazia che avvolgeva Roma e il mondo intero: la grazia che era come il frutto dell’intera vita del mio amato predecessore, e specialmente della sua testimonianza nella sofferenza. Già in quel giorno noi sentivamo aleggiare il profumo della sua santità, e il popolo di Dio ha manifestato in molti modi la sua venerazione per lui. Per questo ho voluto che, nel doveroso rispetto della normativa della Chiesa, la sua causa di beatificazione potesse procedere con discreta celerità. Ed ecco che il giorno atteso è arrivato; è arrivato presto, perché così è piaciuto al Signore: Giovanni Paolo II è beato!».
Non sfugga quell’inciso contenuto nelle prime righe dell’omelia papale: «nel doveroso rispetto della normativa della Chiesa». È come se Ratzinger avesse voluto sgomberare il campo dalle critiche per la rapidità della beatificazione. Sappiamo inoltre qual è il vero significato di questa frase, e cioè una possibile allusione al fatto che non ci sono stati «sconti» e non si sono saltati passaggi, come sarebbe stato nel caso di una immediata canonizzazione senza il preventivo passo della beatificazione. Anche se sarebbe ingenuo pensare che non entri in gioco una considerevole parte di discrezionalità nell’ambito della Congregazione delle cause dei santi, dove alcuni processi avanzano con ritmi decisamente superiori a tanti altri.
«Questa domenica è la seconda di Pasqua» ricordava ancora Benedetto XVI nell’omelia della Messa di beatificazione «che il beato Giovanni Paolo II ha intitolato alla Divina Misericordia. Perciò è stata scelta questa data per l’odierna celebrazione, perché, per un disegno provvidenziale, il mio predecessore rese lo spirito a Dio proprio la sera della vigilia di questa ricorrenza. Oggi, inoltre, è il primo giorno del mese di maggio, il mese di Maria; ed è anche la memoria di san Giuseppe lavoratore. Questi elementi concorrono ad arricchire la nostra preghiera, aiutano noi che siamo ancora pellegrini nel tempo e nello spazio; mentre in cielo, ben diversa è la festa tra gli angeli e i santi! Eppure, uno solo è Dio, e uno è Cristo Signore, che come un ponte congiunge la terra e il cielo, e noi in questo momento ci sentiamo più che mai vicini, quasi partecipi della liturgia celeste.»
Benedetto XVI aveva quindi parlato della fede di papa Wojtyła. «“Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Giovanni 20,29). Nel Vangelo di oggi Gesù pronuncia questa beatitudine: la beatitudine della fede. Essa ci colpisce in modo particolare, perché siamo riuniti proprio per celebrare una beatificazione, e ancora di più perché oggi è stato proclamato beato un Papa, un successore di Pietro, chiamato a confermare i fratelli nella fede. Giovanni Paolo II è beato per la sua fede, forte e generosa, apostolica. E subito ricordiamo quell’altra beatitudine: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli” (Matteo 16,17). Che cosa ha rivelato il Padre celeste a Simone? Che Gesù è il Cristo, il figlio del Dio vivente. Per questa fede Simone diventa “Pietro”, la roccia su cui Gesù può edificare la sua Chiesa. La beatitudine eterna di Giovanni Paolo II, che oggi la Chiesa ha la gioia di proclamare, sta tutta dentro queste parole di Cristo: “Beato sei tu, Simone” e “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. La beatitudine della fede, che anche Giovanni Paolo II ha ricevuto in dono da Dio Padre, per l’edificazione della Chiesa di Cristo.»
Papa Ratzinger sottolineava poi l’importanza di celebrare quella cerimonia all’inizio del mese mariano. «La beatitudine della fede ha il suo modello in Maria, e tutti siamo lieti che la beatificazione di Giovanni Paolo II avvenga nel primo giorno del mese mariano, sotto lo sguardo materno di colei che, con la sua fede, sostenne la fede degli apostoli, e continuamente sostiene la fede dei loro successori, specialmente di quelli che sono chiamati a sedere sulla cattedra di Pietro. Maria non compare nei racconti della risurrezione di Cristo, ma la sua presenza è come nascosta ovunque: lei è la madre, a cui Gesù ha affidato ciascuno dei discepoli e l’intera comunità.»
Benedetto XVI continuava con un cenno alle tante beatificazioni e canonizzazioni presiedute da Wojtyła: «Oggi risplende ai nostri occhi, nella piena luce spirituale del Cristo risorto, la figura amata e venerata di Giovanni Paolo II. Oggi il suo nome si aggiunge alla schiera di santi e beati che egli ha proclamato durante i quasi ventisette anni di pontificato, ricordando con forza la vo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. L'ultimo miracolo
  3. 1. Santo quasi subito
  4. 2. Il miracolo per Floribeth
  5. 3. Quel Papa chiamato da lontano
  6. 4. Grazie, guarigioni, “miracoli”
  7. 5. Una luce soprannaturale
  8. Copyright