Stormbird (versione italiana)
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Stormbird (versione italiana)

La Guerra delle Rose

  1. 518 pagine
  2. Italian
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Stormbird (versione italiana)

La Guerra delle Rose

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Informazioni sul libro

Sfortunato è quel regno che ha per re un uomo debole. È il 1437 e le nubi si addensano minacciose nei cieli inglesi: il potere è in mano alla famiglia Lancaster, ma il “leone d’Inghilterra” Enrico V non è più sul trono. A succedergli è il figlio, Enrico VI, un uomo malato e senza ambizioni. Ma il trono di Inghilterra è troppo importante perché resti nelle mani del “re agnellino”. Così, sono in molti, nella schiera dei suoi avidi consiglieri, ad approfittare della situazione – come il potentissimo duca di Suffolk, che nutre inconfessabili speranze di potere. Ma anche nella stirpe di York, rivale dei Lancaster, c’è chi non ha rinunciato a volere l’Inghilterra nelle mani di un re forte – come Riccardo, duca di York, e i suoi sodali. Tanto più che all’orizzonte c’è una nuova minaccia: l’imminente ribellione nei territori inglesi di Francia. E quando comincia a correre voce che Enrico VI sia stato promesso in sposo a una nobildonna francese, Margherita d’Angiò, il futuro dell’Inghilterra appare come non mai in pericolo. Per i Lancaster e gli York comincia così un reciproco assedio, una guerra da combattere in patria e nei territori francesi, il cui bottino è il destino stesso dell’Inghilterra. E quel trono che più di tutti gli altri vuol dire potere e, come il potere, non cessa di generare mostri.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858512463

PARTE SECONDA

Il mio animo è pronto e la mia volontà
per servire umilmente questo fiore
con ogni mio pensiero e in fedeltà
senza accidia né infingimento alcuno;
conoscerlo davvero è un paradiso,
vedere questo fiore che comincia a sbocciare,
i suoi nuovi, freschi colori, bianco e rosso.
WILLIAM DE LA POLE
[scritta per Margherita d’Angiò]

XI

Le mani coperte dalla calda pelliccia che le avvolgeva piacevolmente anche il collo, Margherita calpestò il terreno ghiacciato dei giardini di Wetherby House, la sua prima casa in Inghilterra, dove aveva già trascorso quasi tre mesi. Gli alberi erano ancora neri e spogli, ma intorno alle radici spuntavano i primi bucaneve, annunciando che la primavera non era lontana. Sembrava quasi di essere in Francia e passeggiare per quei sentieri diminuiva un po’ la nostalgia di casa.
In tutte le fattorie della campagna circostante si stava ammazzando il maiale e salandone la carne. Margherita, che avvertiva l’odore del fumo, sapeva che le carcasse degli animali venivano ammassate insieme alla paglia che si faceva bruciare per eliminare le setole; un odore acre che le riportò di colpo alla mente un ricordo così vivido da costringerla a fermarsi di botto, fissando il vuoto. In bocca sentì il gusto di quando sua madre aveva permesso ai garzoni delle scuderie di mescolare il sangue fresco con lo zucchero fino a formare un impasto simile a una mousse. Sua sorella Iolanda e i suoi fratelli si erano divisi una ciotola di quella leccornia rara, litigandosi il cucchiaio fino a farlo cadere nella polvere; avevano finito di ripulire la scodella con le dita, sporcandosi di rosso dita e denti.
Margherita sentì le lacrime salirle agli occhi. Saumur sarebbe stato un posto più tranquillo senza di lei quell’estate. Quando veniva servito un pezzo di maiale bollito che se ne stava come un macigno su un mare di piselli e di salsa pesante, era difficile non avvertire la mancanza delle sarde ripiene o del pollo coi finocchi di sua madre. Sembrava che agli inglesi piacesse far bollire il cibo: un’altra cosa a cui doveva fare l’abitudine.
Lord William era un conforto per lei, quasi l’unico viso familiare da quando era partita. L’aveva aiutata a migliorare il suo inglese, anche se usava un buon francese quando voleva o quando doveva spiegarle qualche termine. Però era stato assente per la maggior parte del tempo e ogni volta che tornava portava sempre nuove notizie sulla cerimonia di nozze.
Nella vita di Margherita quei mesi erano uno strano iato, con quei grandi personaggi, uomini e donne, che si occupavano di organizzare la seconda cerimonia di nozze. Quando era sbarcata sulla costa meridionale, nei pressi del castello di Portchester, aveva sperato di vedere Enrico. Aveva immaginato un re giovane e bello che cavalcava da Londra fino a quelle grandiose rovine, magari arrivando durante la prima notte per prenderla tra le braccia. Invece era stata portata subito a Wetherby e apparentemente dimenticata. I giorni e le settimane erano scivolati via senza nessun segno dell’arrivo del re; aveva visto solo Suffolk o il suo amico il conte di Somerset, un individuo basso e peloso che si era inchinato così profondamente davanti a lei da farle temere che non riuscisse più a rialzarsi. Sorrise al ricordo. Prima che Somerset arrivasse, Derry Brewer glielo aveva descritto come “un autentico nobile galletto”. Margherita aveva imparato l’espressione con grande divertimento, accresciuto dal fatto che Somerset, quando le era stato presentato, era vestito di un blu e un giallo vivaci. Quei tre uomini le piacevano tutti, per ragioni diverse. Derry era simpatico e cortese allo stesso tempo, e le aveva allungato un sacchetto di minuscoli dolcetti senza farsi vedere da William; lei si era sentita offesa per essere stata trattata come una bambina e contemporaneamente era stata felice di quelle gocce di limone solido che succhiava con piacere, sporgendo le labbra.
Il Natale era arrivato e passato, con doni strani e ricchi che arrivavano per lei da parte di un centinaio di nobili sconosciuti, tutti desiderosi di esserle presentati. Con William al fianco come chaperon, Margherita aveva partecipato a un ballo che le aveva lasciato un ricordo confuso di sidro di mele pungente e di danze. Aveva sperato di vedere là il suo sposo, aveva la testa piena di racconti sentimentali nei quali il re arrivava all’improvviso e tutti i festanti tacevano. Ma Enrico non era comparso e Margherita stava cominciando a pensare che non si sarebbe mai fatto vedere.
Alzò la testa al rumore di ruote che facevano scricchiolare la ghiaia del viale sull’altro lato della casa. Quel giorno William non c’era e Margherita fu presa dal timore che si trattasse di un’ennesima dama dell’aristocrazia venuta a esaminarla o a chiederle qualche favore, sicura che fosse in suo potere farne. Aveva dovuto restare per ore seduta con le consorti di conti e di baroni, sbocconcellando dolcetti al cumino inzuppati nel vino speziato e sforzandosi di trovare qualcosa da dire in risposta alle loro domande. La duchessa Cecily di York era stata la peggiore di tutte, una donna così alta e sicura di sé che Margherita si era sentita una bambina impacciata. Non parlava ancora bene l’inglese e la duchessa affermava di non conoscere il francese, ragion per cui quello era stato il pomeriggio più difficile della sua vita, con pause di silenzio lunghissime.
«Sarò di nuovo malata» borbottò fra sé al pensiero di un altro di quegli incontri. «Sarò... indisposta.»
In effetti subito dopo il suo arrivo era stata davvero male. Forse a causa di quello strano cibo pesante o forse per il semplice cambiamento d’aria, non aveva fatto che vomitare e i sapienti medici di corte le avevano proibito di lasciare il letto per quasi due settimane. Allora aveva pensato che sarebbe morta di noia, ma in realtà quei giorni di quiete erano diventati per lei un bel ricordo, già quasi dimenticato, peraltro.
Credeva confusamente che una regina dovesse sostenere il marito adulando e blandendo i suoi sostenitori, ma a giudicare da Cecily di York, non sarebbe stata un’impresa facile. Rabbrividì, rammentando il profumo secco e vagamente acido della donna.
Alzò lo sguardo nel sentirsi chiamare da una voce acuta e distante. Buon Dio, la stavano cercando di nuovo! Riusciva a intravedere i servitori muoversi nella casa e affrettò il passo, addentrandosi nel parco per non farsi vedere dalle finestre. William, rosso in viso e allegro, la chioma ribelle grigio ferro ben spazzolata e lustra, le aveva detto che le nozze sarebbero state celebrate di lì a pochi giorni. Non appena lui avesse fatto ritorno, le aveva detto, Margherita avrebbe dovuto recarsi all’abbazia di Titchfield, distante meno di dieci miglia. Enrico sarebbe stato là ad aspettarla, finalmente. A Margherita dispiaceva soltanto di non potersi raffigurare il viso del giovane, immaginandosi la scena. Nella sua mente lo aveva sposato già mille volte, con ogni particolare vivido tranne quello.
«Margherita!» Qualcuno la stava chiamando.
Rialzò di colpo la testa, allarmata, ma quando la voce si fece udire di nuovo, con la gola stretta per l’emozione, si raccolse l’orlo della veste e si avviò di corsa verso la casa.
Sua sorella Iolanda, ferma sulla soglia, stava guardando in direzione del giardino quando il suo sguardo si posò su Margherita; il viso le si illuminò e le corse incontro. Si abbracciarono nel gelo del parco, circondate dall’erba imbiancata. Iolanda, in un torrente di parole francesi, saltava dalla gioia tenendo stretta la sorella minore.
«Com’è bello rivederti! Sei diventata più alta, giuro, e hai le guance colorite. L’Inghilterra ti fa bene, mi pare!»
Non essendoci nessun segnale che il fiume di chiacchiere stesse per cessare, Margherita premette la mano sulle labbra della sorella, facendo scoppiare in una risata tutte e due.
«Come mai sei qui, Iolanda? Sono così emozionata! Quasi mi è mancato il respiro nel vederti, ma come hai fatto a venire? Devi raccontarmi tutto!»
«Sono venuta per le tue nozze, Margherita, naturalmente! Pensavo che non ce l’avremmo fatta e invece eccomi qui! Il tuo lord William mi ha mandato un invito bellissimo a Saumur e nostro padre ha obiettato, naturalmente, ma era distratto da non so quale progetto per un altro viaggio. La nostra cara madre ha detto che la famiglia doveva assolutamente essere rappresentata e ha vinto lei, che sia benedetta la sua anima santa! Il tuo amico inglese ha mandato una nave per me! Come noi avremmo mandato una carrozza, capisci? Oh! E non per me sola! C’è Frederick con me. Si sta facendo crescere un ridicolo paio di basette. Devi dirgli che gli stanno malissimo, perché mi graffiano e poi così non mi piace.»
Margherita distolse lo sguardo, consapevole della stranezza della sua situazione. Si era sposata mesi prima di sua sorella, ma non aveva ancora mai visto suo marito. Scrutò attentamente Iolanda.
«Hai un aspetto... sei un fiore, sorella. Aspetti un bambino?»
Iolanda arrossì violentemente.
«Spero di sì! Lo abbiamo cercato e, oh, Margherita, è meraviglioso! La prima volta è stato un po’ sgradevole, ma non peggio della puntura di un’ape, forse. Dopo, però...»
«Iolanda!» la interruppe Margherita, arrossendo quasi allo stesso modo. «Non voglio ascoltarti.» Si interruppe per riflettere, rendendosi conto che in realtà desiderava farlo moltissimo. «E va bene. Sono sicura che Frederick verrà a cercarti molto presto. Dimmi tutto, così saprò che cosa devo aspettarmi. Che intendi dire con “un po’ sgradevole”?»
Con una risatina, Iolanda prese la sorella sottobraccio e si avviò lungo il sentiero del parco.
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Era tutto diverso, eppure era tutto uguale. Con una fortissima sensazione di déjà vu Margherita prese posto in carrozza nell’abito da sposa che aveva indossato a Tours; l’unica differenza era che perlomeno qui faceva freddo, una benedizione con quel vestito che la soffocava.
Iolanda era seduta di fronte a lei e agli occhi di Margherita sembrava più adulta, come se il matrimonio avesse operato in lei una strana alchimia, o forse era perché adesso la sorella aveva il diritto di farsi chiamare contessa. Suo marito Frederick, la spada sulle ginocchia, sedeva dritto e austero nella sua tunica scura. Margherita notò che aveva ancora le lunghe basette che gli scendevano dalle orecchie fino al mento. Il cognato aveva detto che anche suo padre le portava e che erano molto ammirate nella loro parrocchia, il che indusse Margherita a dubitare che sua sorella sarebbe mai riuscita a fargliele radere. La severità del marito, però, era scomparsa quando si era voltato verso la moglie e le aveva preso le mani nelle sue: l’affetto tra loro era palese e toccante mentre si appoggiavano l’uno all’altro a ogni scossone della carrozza sulla strada dissestata.
La mattina era trascorsa in un turbine di emozioni, con William che correva avanti e indietro dall’abbazia per occuparsi degli ultimi particolari, ritirandosi alla fine in una delle stanze del piano superiore per lavarsi e cambiarsi d’abito. Margherita era già stata presentata a dozzine di signori e di dame che non aveva mai visto man mano che gli invitati affluivano a Wetherby House, ridendo e chiacchierando tra loro. Il suo rango la metteva in difficoltà quando si trattava di presentazioni ai nobili e alle loro mogli. Non ancora regina, Margherita aveva fatto la riverenza alla duchessa di York, come avrebbe fatto con qualsiasi altra dama della generazione di sua madre e forse aveva solo immaginato l’espressione ironica di Cecily di York mentre, in risposta, lodava l’abito di Margherita. Il duca di York era stato molto educato, inchinandosi e dicendole quanto fosse felice di presenziare alla sua seconda cerimonia di nozze dopo aver assistito alla prima. Sua moglie aveva mormorato qualche parola che Margherita non aveva afferrato, ma che aveva fatto sorridere York mentre si piegava per baciarle la mano, e quella loro complicità divertita l’aveva irritata.
Con uno sforzo, scacciò le immagini dalla mente. Quel giorno avrebbe conosciuto suo marito, avrebbe visto il suo volto. E mentre sobbalzava nella carrozza, pregava mentalmente che il giovane re non fosse brutto o deforme. William le aveva assicurato che Enrico era di bell’aspetto, ma lord Suffolk non poteva parlare diversamente, Margherita lo sapeva. Il timore e la speranza si mescolavano in pari misura nel suo animo mentre guardava le siepi scorrere ai margini della strada e i corvi neri volare via. Le prudeva la fronte nel punto in cui le cameriere le avevano tirato indietro i capelli, ma non osava grattarsi per non lasciare dei segni sulla polvere bianca che le avevano cosparso sul viso, limitandosi perciò a mordersi il labbro, cercando di resistere a quella fastidiosa irritazione. Le avevano intrecciato dei fiori nei capelli e si sentiva tirare la pelle del viso a causa di tutti i trucchi e i profumi che le avevano applicato dopo il bagno che aveva fatto all’alba. Cercò di non respirare troppo profondamente, temendo di svenire, irrigidita com’era dentro i pannelli di tessuto dell’abito.
Margherita capì che si stavano avvicinando all’abbazia di Santa Maria e San Giovanni Evangelista, quando vide le famiglie dei contadini che lavoravano le vaste terre dei monaci, allineate lungo la strada per vederla passare. In suo onore ai garzoni era stata data una giornata di libertà e gli uomini e le donne della città avevano indossato gli abiti della domenica, solo per stare in piedi ore ad aspettare lei, la giovane donna che sarebbe diventata la regina d’Inghilterra. Margherita ebbe la visione di una folla che acclamava e salutava con la mano, poi la carrozza la trascinò via lungo una strada che correva per miglia tra boschi e campi dai solchi scuri.
Il suo pubblico non superò quell’invisibile barriera e all’inizio di una discesa Margherita riuscì a vedere il corteo che la precedeva e la seguiva, quattordici carrozze che avanzavano insieme verso la chiesa visibile in lontananza. Sentì il cuore batterle forte e si premette la mano sul petto per frenare i colpi precipitosi. Forse Enrico sarebbe stato sul sagrato ad aspettarla, un re di ventitré anni. Guardò oltre Frederick e Iolanda per riuscire a intravederlo, pur sapendo che era inutile: Enrico sarebbe stato già dentro la chiesa, avvertito dalla vista delle carrozze sul viale, e forse era già in attesa all’altare con William accanto a sé.
Con la testa che le girava, Margherita temette di svenire ancor prima di arrivare. Accorgendosi del suo stato, Iolanda tirò fuori un ventaglio e le fece vento mentre Margherita si lasciava andare contro lo schienale, respirando con gli occhi chiusi.
L’abbazia faceva parte di un complesso di edifici molto più grande. Quel giorno i monaci non lavoravano nei campi, ma si vedevano stagni per i pesci, giardini cinti di mura e vigneti, così come stalle e una dozzina di altre strutture. Margherita scese dalla carrozza aiutata da Frederick, che si era precipitato a girare intorno al veicolo per porgerle la mano.
Tutti erano già scesi dalle carrozze che avevano preceduto la sua e, sebbene molti fossero già entrati in chiesa, sul sagrato si vedeva ancora una folla di gente che sorrideva e conversava. Derry Brewer era fermo accanto al duca di York e la salutò con la mano quando la vide avanzare a fianco della sorella e con un gregge di ancelle al seguito. Margherita lo vide sussurrare a York qualcosa che fece assumere un’espressione dura al duca. Mentre Margherita si avvicinava alla porta della chiesa tutti si affrettarono a entrare nella semioscurità della navata, come oche sospinte dalla loro guardiana, tanto che all’esterno non rimasero che lei, Iolanda e le cameriere.
«Grazie a Dio, ci sei tu, Iolanda,» esclamò Margherita con affetto «non mi sarebbe piaciuto essere qui da sola.»
«Bah! Avrebbe dovuto esserci nostro padre, ma è sempre in giro a cercare di recuperare i suoi titoli. Non gli bastano mai. Il mio Frederick dice... No, oggi non ha importanza. Vorrei solo che la mamma fosse qui con noi, ma nostro padre ha voluto a tutti i costi che restasse a governare Saumur. Tu sei nelle sue preghiere, Margherita, di questo puoi essere certa. Sei pronta a conoscere il tuo re? Sei nervosa?»
«Sì, e... sì. Mi gira la testa dall’agitazione. Puoi restarmi vicina finché non riprendo a respirare? Questo vestito è troppo stretto.»
«Dalla scorsa estate sei cresciuta, Margherita. Non era troppo stretto a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Stormbird
  3. PERSONAGGI
  4. PROLOGO
  5. PARTE PRIMA
  6. PARTE SECONDA
  7. PARTE TERZA
  8. EPILOGO
  9. NOTE STORICHE
  10. Bibliografia consigliata
  11. RINGRAZIAMENTI
  12. TRINITY
  13. Copyright