I fioretti di papa Francesco
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I fioretti di papa Francesco

  1. 210 pagine
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I fioretti di papa Francesco

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Informazioni sul libro

Fin dai primi istanti dopo il suo apparire al balcone di piazza San Pietro - con quel "buonasera" semplice e immediato - è entrato nel cuore di milioni di fedeli. Con il passare dei mesi, il feeling non accenna a diminuire, e anzi si è accresciuto cogliendo le simpatie di molti non credenti. Andrea Tornielli - che ha conosciuto il cardinale Bergoglio prima dell'elezione - raccoglie in questo libro aneddoti, episodi, piccole e grandi storie di vita quotidiana del pontefice molte delle quali inedite: dalla lettera inviata alla detenuta che gli prepara le ostie per la messa mattutina alla telefonata alle suore di Buenos Aires, pochi giorni dopo essere diventato vescovo di Roma, scherzando sui cardellini che accudiscono. C'è il papa capace di parlare ai capi di Stato e ai grandi leader religiosi e, un istante dopo, di telefonare a un ragazzo che gli ha scritto e che ha bisogno di conforto. C'è il papa che rifugge ogni sfarzo scegliendo di abitare in un residence per rimanere in contatto con la gente e che ha iniziato a riformare la Chiesa con l'esempio. C'è il papa grande comunicatore del Vangelo, che non rinuncia a fare il parroco, accettando il dono di una vecchia Renault 4 da un prete di periferia. Un viaggio di straordinaria curiosità e godibilità per avvicinarsi di più a Francesco e al suo messaggio.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788858510131

FIORETTI

DELLA MISERICORDIA

«Chi sono io? Un peccatore...»

«Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza.»
PAPA FRANCESCO, Lettera a Eugenio Scalfari,
«la Repubblica», 11 settembre 2013
«Chi è Jorge Mario Bergoglio?» È la domanda che padre Antonio Spadaro ha posto al Papa nel corso della lunga intervista pubblicata su «La Civiltà Cattolica». Francesco lo ha fissato in silenzio, ha fatto cenno di accettare la domanda e ha risposto così: «Non so quale possa essere la definizione più giusta... Io sono un peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore».
«Sì» ha aggiunto «posso forse dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: “Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”.» E ha ripetuto: «Io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto Miserando atque eligendo l’ho sentito sempre come molto vero per me».
Il motto di papa Francesco è tratto dalle Omelie di san Beda il Venerabile, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: «Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi».
Francesco ha aggiunto: «Il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando».
Poi il Papa ha continuato a riflettere a partire dalla sua esperienza come visitatore della Città Eterna. «Io non conosco Roma. Conosco poche cose. Tra queste Santa Maria Maggiore: ci andavo sempre. Conosco Santa Maria Maggiore, San Pietro... ma venendo a Roma ho sempre abitato in via della Scrofa. Da lì visitavo spesso la chiesa di San Luigi dei Francesi, e lì andavo a contemplare il quadro della vocazione di san Matteo di Caravaggio.»
«Quel dito di Gesù così... verso Matteo. Così sono io. Così mi sento. Come Matteo.» E qui il Papa, nota l’intervistatore padre Spadaro, si fa deciso, come se avesse colto l’immagine di sé che andava cercando: «È il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra i suoi soldi, come a dire: “No, non me! No, questi soldi sono miei!”. Ecco, questo sono io: “Un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi”. E questo è quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a Pontefice».

Dio è più grande di qualsiasi peccato

«Ma guardate che [la misericordia] non è sentimento, non è “buonismo”! Al contrario, è la vera forza che può salvare l’uomo e il mondo dal “cancro” che è il peccato.»
PAPA FRANCESCO, Angelus, 15 settembre 2013
Papa Francesco chiede a tutta la Chiesa una conversione pastorale. Vuole che i vescovi e i sacerdoti, come pure tutti i cristiani, siano capaci di mostrare il volto della misericordia, l’annuncio di un Dio vicino e amorevole, capace di accogliere e perdonare. «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi, questo non è possibile», ha detto nell’intervista concessa al direttore padre Antonio Spadaro e pubblicata su «La Civiltà Cattolica».
«Io non ho parlato molto di queste cose» ha ammesso Francesco «e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione.»
«Una pastorale missionaria» ha detto ancora il Papa «non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus...» Ecco, l’essenziale. Vedere e ascoltare Francesco, seguirlo mentre incontra le persone, i malati, i sofferenti fa comprendere di che cosa si tratti. «La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia. L’annuncio dell’amore salvifico di Dio è previo all’obbligazione morale e religiosa. Oggi a volte sembra che prevalga l’ordine inverso.» Insomma, prima c’è l’annuncio di fede in un Dio che si fa uomo e muore per salvarci, non le dottrine e i divieti.
Francesco ne parla rispondendo a una domanda sulle persone omosessuali. «Dobbiamo annunciare il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile.»
«Una volta una persona» ha aggiunto il Papa «in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta.»
«Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari» ha affermato ancora Francesco «chi tende in maniera esagerata alla “sicurezza” dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante. Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio.»

Misericordia infinita

«La gente oggi ha bisogno certamente di parole, ma soprattutto ha bisogno che noi testimoniamo la misericordia e la tenerezza del Signore.»
PAPA FRANCESCO,
Omelia durante la messa per i seminaristi,
i novizi e le novizie, 7 luglio 2013
La prima messa con i fedeli, il nuovo Papa l’ha celebrata nella piccola parrocchia di Sant’Anna, in Vaticano, domenica 17 marzo. Francesco ha tenuto l’omelia parlando a braccio. «Il messaggio di Gesù è la misericordia. Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore.»
Il Papa ha commentato il brano evangelico dell’adultera, la donna che gli scribi e i farisei volevano lapidare come prescritto dalla legge mosaica. Gesù le salva la vita, chiedendo a chi fosse senza peccato di scagliare la prima pietra: se ne andarono tutti. «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più», aveva detto Gesù alla donna. Bergoglio, riferendosi agli scribi e ai farisei che avevano trascinato la donna da lapidare davanti al Nazareno, ha detto: «Anche a noi, a volte, piace bastonare gli altri, condannare gli altri».
Il primo e unico passo richiesto per fare esperienza della misericordia infinita di Dio, ha spiegato Francesco, è quello di riconoscersi bisognosi del suo perdono: «Gesù è venuto per noi, quando noi riconosciamo che siamo peccatori». Basta non imitare quel fariseo che stando davanti all’altare ringraziava Dio per non essere «come tutti gli altri uomini». Se siamo come quel fariseo, se ci crediamo giusti, «non conosciamo il cuore del Signore, e non avremo mai la gioia di sentire questa misericordia!».
Chi è abituato a giudicare gli altri, a sentirsi a posto, a considerarsi giusto e buono, non avverte il bisogno di essere abbracciato e perdonato. Ma c’è anche chi, invece, avverte quel bisogno però pensa di essere irredimibile a causa del troppo male commesso.
Il Papa, che anche da vescovo era abituato a trascorrere del tempo in confessionale, ha raccontato a questo proposito un dialogo con un uomo il quale, sentendosi rivolgere questa parola sulla misericordia, aveva risposto a Bergoglio in questo modo: «Oh, padre, se lei conoscesse la mia vita, non mi parlerebbe così! Ne ho fatte di grosse!». E lui ha risposto: «Meglio! Vai da Gesù: a lui piace se gli racconti queste cose! Lui si dimentica, Lui ha una capacità speciale di dimenticarsi. Si dimentica, ti bacia, ti abbraccia e ti dice soltanto: “Neppure io ti condanno; va’, e d’ora in poi non peccare più”. Soltanto quel consiglio ti da. Dopo un mese, siamo nelle stesse condizioni... Torniamo al Signore. Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono. E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono, perché Lui mai si stanca di perdonare».
Dio non si stanca mai di accogliere e di perdonare, se soltanto riconosciamo di essere bisognosi del suo perdono. Queste parole semplici e profonde di Francesco sono una boccata d’ossigeno. Per tanti. Proprio perché presentano il volto di una Chiesa che non rinfaccia agli uomini le loro fragilità e le loro ferite, ma le cura con la medicina della misericordia. Una Chiesa che abbraccia.
Il Papa ha aggiunto riferendosi al Vangelo dell’adultera: «Colpisce l’atteggiamento di Gesù... Non sentiamo parole di condanna ma solo d’amore». È così facile, per noi, indignarci per i peccati altrui, chiedere condanne senza fare un esame di coscienza. «Il volto di Dio è quello di un Padre misericordioso, che sempre ha pazienza» dice Francesco. «Non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a lui con il cuore contrito» aggiunge. Riconoscersi bisognosi di essere perdonati.
Poco dopo quell’omelia tenuta nella chiesa di Sant’Anna, Francesco si era affacciato alla finestra dello studio del palazzo Apostolico per il suo primo Angelus. «La misericordia cambia il mondo. Lo rende meno freddo e più giusto» ha detto, citando il profeta Isaia: «Anche se i nostri peccati fossero scarlatti, Dio li rende bianchi come la neve». A un mondo che fa così fatica a credere, il nuovo Papa vuol gridare lo stesso annuncio di duemila anni fa, e cioè che questa misericordia non è un sentimento ma una persona. Il suo modo singolarissimo di ricordare l’incarnazione – l’Angelus è appunto la memoria dell’incarnazione – è un gesto materno: porta avanti e muove le braccia come a cullare un bambino e dice: «La Madonna l’ha tenuta in braccio, la misericordia fatta uomo, Gesù».
Poi un altro aneddoto, un altro ricordo personale tratto dalla sua lunga e quotidiana esperienza di confessore. Francesco racconta di un’anziana donna che aveva confessato quando era vescovo ausiliare a Buenos Aires, durante una messa celebrata all’aperto in presenza della statua pellegrina della Madonna di Fatima. «Mi disse: “Tutti abbiamo peccato, ma il Signore perdona tutto”. E io: “Nonna, e lei come lo sa?”. Mi rispose così: “Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe”.» «Ma nonna, forse lei ha studiato alla Gregoriana?», era stata la risposta di Bergoglio. Quell’anziana donna senza titoli accademici né lauree nelle università pontificie aveva espresso in modo mirabile ed efficacissimo una grande verità di fede.
Viviamo in una società che ci abitua sempre meno a riconoscere le nostre responsabilità e a farcene carico: a sbagliare, infatti, sono sempre gli altri. Gli immorali sono sempre gli altri, le colpe sono sempre di qualcun altro, mai nostre. Ma viviamo anche l’esperienza di un certo clericalismo che ci presenta talvolta l’immagine di una Chiesa che sembra intenta solo a «regolarizzare» le vite delle persone, attraverso l’imposizione di prerequisiti e divieti che soffocano la libertà e appesantiscono il già faticoso vivere quotidiano. Il messaggio della misericordia abbatte contemporaneamente entrambi i cliché.
Non c’è alcun dubbio sul fatto che queste parole del Papa abbiano fatto breccia nei cuori di tante persone. Soprattutto nei lontani, in coloro che si erano allontanati dalla Chiesa e dalla vita di fede. Numerosi parroci, da ogni parte d’Italia, lo hanno testimoniato, parlando dell’aumento delle confessioni nel tempo pasquale e del fatto che molti penitenti hanno citato proprio le parole di Francesco sulla misericordia.
Il sociologo Massimo Introvigne, direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), ha guidato una ricerca sull’«effetto Francesco». Cioè sul riavvicinamento alla Chiesa e ai sacramenti da parte di persone che se ne erano allontanate e che si sono sentite colpite dalle parole di papa Bergoglio sulla misericordia e sul perdono.
«Da dati aneddotici» ha spiegato Introvigne «siamo voluti passare a una rilevazione scientifica, per quanto prima e preliminare. Abbiamo diffuso un questionario attraverso la tecnica detta a cascata che utilizza i social network Facebook e Twitter, a partire da gruppi particolarmente frequentati da cattolici.»
«Premesso» continua il sociologo «che, come tutte le tecniche, anche questa presenta vantaggi e limiti quanto al campionamento, e che gli effetti legati al primo periodo di un nuovo pontificato vanno sempre verificati a distanza di mesi per accertare se siano effimeri o duraturi, su un campione di duecento sacerdoti e religiosi il 53% ha affermato di avere riscontrato nella propria comunità un aumento delle persone che si riavvicinano alla Chiesa o si confessano, aggiungendo che queste persone citano esplicitamente gli appelli di papa Francesco come ragione del loro riavvicinamento alla pratica religiosa.»
«Nel 43,8% di questi casi l’aumento di fedeli è definito come consistente, superiore al 25%. Lo notano di più i religiosi (66,7%) rispetto ai sacerdoti diocesani (50%). E per il 64,2% del campione l’aumento riguarda particolarmente le confessioni. Abbiamo condotto la stessa indagine» continua Introvigne «anche su un campione di oltre cinquecento laici cattolici. Percepiscono l’effetto Francesco meno dei sacerdoti e religiosi, che sono impegnati direttamente nei confessionali. Ma un significativo 41,8% dei laici si è accorto dell’effetto, che sembra dunque essere visibile, per così dire, a occhio nudo.»
«I dati» conclude il sociologo «sono, nei limiti dell’indagine, molto significativi. Un effetto rilevato da oltre metà di un campione è un fenomeno non solo esistente ma di grande rilievo. Se cercassimo di tradurre il dato in termini numerici e su scala nazionale, con riferimento a metà delle parrocchie e comunità, dovremmo parlare di centinaia di migliaia di persone che si riavvicinano alla Chiesa accogliendo gli inviti di papa Francesco.»

«La mia Chiesa,
un ospedale da campo»

«Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio.»
PAPA FRANCESCO, Intervista a
«La Civiltà Cattolica», 19 settembre 2013
Di che cosa ha più bisogno la Chiesa oggi? Papa Francesco lo ha spiegato nell’intervista con padre Antonio Spadaro, direttore de «La Civiltà Cattolica». E ha usato un’immagine suggestiva, quella dell’ospedale da campo dopo una battaglia.
«Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dal basso.»
Come dire: chi ha smarrito il senso de...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. I fioretti di papa Francesco
  3. Premessa. Il profumo del Vangelo
  4. FIORETTI DELLA MISERICORDIA
  5. FIORETTI DELLA SOBRIETÀ
  6. FIORETTI DELLA SANTITÀ QUOTIDIANA
  7. FIORETTI AL TELEFONO
  8. FIORETTI MARIANI
  9. FIORETTI DEL SORRISO
  10. FIORETTI DEL CORAGGIO
  11. FIORETTI DELLA CONDIVISIONE
  12. Copyright